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Capitolo II. Costellazione simbolica della Renovatio

2.4 Lo Sparagmos

Il mutamento di forma, ovvero la crescita e scomparsa per gradi della Luna – la quale, quando è nella fase del quarto, è una «falce» mutilatrice – si rivela una vera e propria chiave di lettura al fine di decifrare un mitologema, altrimenti di senso oscuro, relativo al Dying and Rising God: quello del suo Sparagmos o smembramento – talvolta eufemizzato nell’evirazione. Tale atto è, analogamente, isomorfo al processo agricolo di falciatura delle messi.

Il punto di partenza per la comprensione dello Sparagmos è il riconoscimento, nel ciclo lunare (e, per riflesso, in quello agrario) di un destino di tipo «metamorfico» – ossia, sottoposto alla graduale azione logorante del Tempo. La Luna, più che apparire e sparire, «cresce, decresce e scompare»: tuttavia, «la sua morte non è mai definitiva», in quanto è sottoposta al «divenire»135. È «il primo morto»136: conosce la decadenza nella decrescita; conosce la scomparsa e assenza nella fase della luna nera o nuova – in cui discende nella sfera ctonia sotterranea; e, infine, conosce la graduale rinascita e crescita, sino al plenilunio. La Luna è, così, non solo il primo morto, bensì «il primo morto che risorge»137: la sua medesima caducità si riscontra nel ciclo vegetale, da essa regolato.

È proprio per il suo «modo di essere metamorfico» che la Luna è essenzialmente diversa dall’altro archetipo celeste, il Sole: l’astro diurno, infatti, è stato si, per i primitivi, «il primo morto che resuscita», ma non conosce metamorfosi – decrepitezza e ricrescita alternate e visibili. È sempre identico a se stesso, senza crescere né decrescere, attraversando le regioni ctonie senza esperire la morte e riemergendo al mattino esattamente nella forma in cui era scomparso138. La Luna, invece, non conosce solo la morte in quanto scomparsa dal reame del visibile, ma conosce anche la graduale metamorfosi che vige tanto

135 Ibidem. 136 Ivi, p. 155.

137 G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., p. 363.

138 Cfr. M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 122. Probabilmente è a causa

della potenza più totalizzante e drammatica dell’archetipo Luna che la «mitologia lunare» ha preceduto la «mitologia solare» praticamente ovunque (cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 20). Un esempio di divinità solarizzata che preserva inconfutabili attributi lunari potrebbe essere il persiano Mitra (importato poi nel pantheon romano), «Sole invitto» che lotta contro il Toro (lunare), ma è contemporaneamente detto «triplice», appellativo che è traccia del suo sostrato lunare (cfr. P. Scarpi, Le Religioni dei misteri, op. cit., vol. II, p. 359, p. 363).

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sulla sua vita quanto sulla sua morte e che veicola la sua ciclica immortalità139. Incarna la corruttibilità, la mobilità, ma soprattutto il divenire140: è per questo che la sua sorte è tanto vicina a quella dell’uomo, molto più di quanto non lo sia quella del Sole.

In virtù del suo destino di morte e resurrezione graduali, la Luna agisce attivamente sull’ontologia del Dying and Rising God. Entrambi risentono della finitezza del mondo terreno e sono protagonisti di un movimento perpetuo tra dimensione sotterranea e dimensione sovraterrena, morendo nella Terra per poi rispuntare da essa. Ed entrambi sono intimamente correlati alla Terra, che tanto somiglia loro, e parimenti li uccide e partorisce. Ma c’è di più: la morte e resurrezione della Luna e del Dio non si traducono, banalmente, in una latenza e in un ritorno, poiché sono «cangianti». Il Dying and Rising God esibisce un simbolismo lunare di mutamento, di metamorfosi, di eterno peregrinare, deformandosi e riformandosi, in un movimento ciclico di annullamento e di graduale riapparizione141. Tale movimento si concretizza nello Sparagmos142, ossia nella morte cruenta, nella riduzione del corpo del dio in pezzi, nel suo dilaniamento.

Il liquido archetipico che caratterizza lo Sparagmos è quello del Sangue. L’archetipo Sangue è rinviabile al fecondo simbolismo acquatico: parimenti all’Acqua, è «veicolo della vita»143. In altre parole, «il simbolo dell’acqua contiene quello del sangue»144. Tanto l’Acqua quanto il Sangue hanno un lato

139 Cfr. M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 153. 140 Cfr. ivi, p. 160.

141 L’archetipo Luna, prima di caratterizzare il Dying and Rising God, agisce sulla sua

controparte, la Grande Dea. Infatti, oltre alle fitte corrispondenze tra le quattro fasi lunari e le quattro stagioni agrarie, esiste una corrispondenza tra le quattro fasi lunari e i quattro stadi della vita femminile: la luna crescente è la fanciulla, la luna piena è la donna incinta, la luna calante è l’anziana, e infine la luna nera – fase in cui la «sfera» è invisibile, uguale e opposta alla luminosa sfera della gravida luna piena – corrisponde alla morte (cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 18). Robert Graves, invece, in un suo celebre saggio (La Dea Bianca. Grammatica storica del mito

poetico, Milano, Adelphi, 1992, p. 443), propone, più coerentemente con la natura tripartita del

ciclo, tre stadi: «La Triplice Dea [...] era una personificazione della donna primitiva, della donna creatrice e distruttrice. Come luna nuova o primavera era fanciulla; come luna piena o estate, donna; come luna vecchia o inverno, megera».

142 Il termine Sparagmos deriva da una pratica rituale dionisiaca, il cui hieros logos è costituito

dallo squartamento o tagliuzzamento del corpo del dio ellenico Dioniso-Zagreo – altro Dying and

Rising God – ad opera dei Titani (cfr. J. Taylor, op. cit., p. 164). 143 J. Chevalier, A. Gheerbrant, op. cit., vol. II, p. 322. 144 Ivi, vol. I, p. 8.

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diurno e un lato notturno, un lato maschile-fecondatore e un lato femminile- mestruale145.

Nonostante non in tutte le versioni del Mito del Dying and Rising God a cui ci siamo interessati ci sia una presenza esplicita di sangue, esso vi esercita indirettamente la sua funzione archetipale di liquido mortale e vitale, esattamente come l’Acqua, di cui è manifestazione. Non è necessario che nelle fonti che tramandano il Mito appaia del sangue, poiché esso vi può venire evocato da altri mitemi, che ne implicano la necessaria presenza. Infatti, il Dying and Rising God affronta un infausto destino di morte: ma occorre precisare ulteriormente che la sua morte è sempre violenta. Secondo Durand, infatti, «la cerimonia sacrificale appare [...] come una sintesi molto complessa tra la mitologia lunare, il rituale agrario e l’iniziazione»146.

Nel Neolitico, ci si trova spesso dinanzi a tracce di ocra rossa negli scenari che vedono protagonisti la Dea Madre e il Dio Figlio, come a Çatal Hüyük147. Il rosso è il «colore del sangue», dal significato «funebre» nonché «iniziatico»148: nessun colore potrebbe prestarsi meglio alla fenomenologia della morte e della rinascita del Dio dalla tomba-ventre della Dea. Qui esso è legato al lato vitale, alla fecondità e al mestruo della Dea Madre.

Il vicino-orientale Dumuzi/Tammuz e l’ellenica Kore subiscono un rapimento e vengono violentemente «strappati» alla vita: il primo viene torturato da demoni, la seconda viene stuprata dal dio degli Inferi. Malgrado essi non «sanguinino» esplicitamente, la tortura e lo stupro implicano uno «spargimento di sangue» e una sorta di sacrificio del Dio – necessario affinché egli possa rinascere.

Il caso nordeuropeo di Baldr è l’unico in cui la presenza del sangue è esplicita: in una delle fonti, il poema eddico Voluspa, la sua morte viene denominata «sacrificio di sangue». Inoltre, Baldr viene trafitto dal ramo di vischio: la

145 Cfr. ibidem.

146 G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., pp. 378-381.

147 Cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., pp. 86 e sgg. 148 J. Chevalier, A. Gheerbrant, op. cit., vol. II, p. 300.

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perforazione, isomorfa alla penetrazione ‒ assassina e fecondatrice ‒ provoca, naturalmente, una morte sanguinosa149.

Il Sangue è sia acqua mortuaria che acqua materna150. Per questo la sua azione, nel Mito del Dying and Rising God, è negativa e positiva, annichilente e rigenerante assieme. Il Dio viene ucciso violentemente, affinché il suo sangue sparso possa essere elargito, attraverso la Catabasi alla Tellus Mater, ossia alla Dea, quale offerta sacrificale. La morte del dio è, in definitiva, un Sacrificio alla Terra.

L’immolazione del Dio alla Dea può essere letta in chiave nutritiva: la Terra inghiotte il Dio/Seme, assorbendolo. Oppure, può essere letta in chiave fertilizzante: la Dea Terra viene fecondata dal Dio/Seme − così come la vagina inghiotte il fallo − per poter generare la pianta. O ancora, il rituale sacrificale cruento del Dio può essere letto come l’atto necessario alla restaurazione dell’Unità tra la Parte e il Tutto, il Maschile e il Femminile:

Il grembo della terra vuole essere fecondato e va fecondato, e i sacrifici cruenti e i cadaveri sono il suo nutrimento preferito. È questo l’aspetto spaventoso, il lato mortale del carattere della terra. Nei culti più antichi della fecondità la vittima sacrale veniva tagliata a pezzi, e i pezzi sanguinanti venivano spartiti come oggetti preziosi e offerti alla terra allo scopo di fecondarla [...]. Nei riti della fertilità, sia che prevedano il dissanguamento della vittima, sia l’autoflagellazione, sia la castrazione oppure il sacrificio umano, il sangue ha dappertutto un ruolo essenziale. La grande legge della terra per cui non c’è vita senza morte è stata presto capita e ancor più presto rappresentata nel rito con l’idea che il rinvigorimento della vita va pagato

149 In altri miti del Dying and Rising God si ritrovano dei mitemi cruenti, che rinviano tutti a un

violento spargimento di sangue del Dio. Il frigio Attis castra se stesso (evirazione). L’egiziano Osiride viene fatto a pezzi, e tra tali pezzi viene recuperato il suo fallo (smembramento, aggravato dall’evirazione). Il greco Adone viene ucciso da un cinghiale: dal suo sangue – in tale versione, il liquido compare esplicitamente – nasce un fiore rosso, l’anemone. Si ritiene di poter rinviare al medesimo complesso della morte violenta e cruenta anche la decapitazione, la quale figura in molte misteriose pratiche rituali preservate nel folklore europeo (cfr., ad esempio, J. L. Weston,

op. cit., pp. 101-102). Decapitazione, evirazione, amputazione vengono inglobati dal macro-

simbolismo della mutilazione: sono, per la precisione, mutilazioni parziali – ovvero limitate, rispettivamente, o ai due organi centrali del capo e del fallo, o alla generica rimozione di una parte del corpo, come ad esempio l’occhio per l’orbo o la mano per il monco. Andrebbero correlati alla medesima costellazione simbolica anche lo strangolamento e l’annegamento, isomorfo all’immersione (cfr. G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione

all’archetipologia generale, op. cit., p. 381).

150 Cfr. G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., p. 125.

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con la morte sacrificale [...]. Uccisione e sacrificio, spezzettamento e offerta del sangue sono strumenti magici che garantiscono la fertilità della terra151.

Due pilastri archetipici, quello agrario e quello selenico, sottendono alla necessità dello spargimento di sangue dovuto allo smembramento del corpo del Dio. Se il Dying and Rising God muore violentemente, venendo trafitto, mutilato − o più in generale «maltrattato» − è perché la pratica dell’agricoltura prevede la falciatura o mietitura delle messi, atto «violento» per la pianta, che la sradica, smembra e uccide. In secondo luogo, la morte violenta del Dying and Rising God riflette la sua natura lunare: la sua agonia e la sua cruenta decadenza sono la trasposizione mitica della fase decrescente della luna, la quale, diversamente dal sole, non solo muore discendendo nelle regioni ctonie, ma esperisce «momenti drammatici: nascita, pienezza, scomparsa», un «frazionamento»152. Il Dying and Rising God, imitando «la morte apparente della luna», fa ritorno alla Terra e restaura così «la fertilità della terra»153:

Quando il ciclo della luna viene esperito miticamente, la parte, che è il figlio, muore e viene riunito con il Tutto, e una nuova parte nasce dalla loro unione [...]. I riti sacrificali [...] hanno il fine di ristorare il senso perduto dell’unità154.

Il sacrificio cruento del Dying and Rising God alla Dea Tellus Mater commemora «l’androginato primitivo»155. In tal modo, lo Sparagmos si integra ai mitologemi indagati in precedenza, ovvero la discesa nel Femminile (ossia, la Catabasi), la struttura lunare di tale discesa, l’unione mistica al Femminile e la risalita procurata da tale unione (ossia, il Ciclo).

La natura ciclica del Mito del Dying and Rising God non viene contraddetta dalla natura sacrificale della sua morte, ma al contrario ne viene confermata. Il carattere mutilatorio della morte del Dio, oltre a simboleggiare la decrescita dell’astro lunare e la falciatura del vegetale, è un’immagine che si integra al

151 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, op. cit., pp. 66-67. 152 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 160.

153 A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 162. 154 Ivi, p. 163.

155 G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., p. 379.

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tempo gradualmente distruttore e altrettanto gradualmente ricostruttore- creatore156. Il rituale sacrificale si dimostra quella «ripetizione di un atto primordiale, che ha avuto luogo all’inizio, in quel tempo»157 affinché se ne possa avviare uno nuovo. In virtù «del potere fertilizzante della morte»158, il sacrificio del Dying and Rising God rappresenta proprio una «ripetizione rituale della creazione», incarnando l’imitazione dell’atto cosmogonico par excellence, ovvero l’uccisione di una creatura mitica, dallo smembramento del cui corpo fu creato il mondo159. Il corpo del Dio, «ridotto in pezzi, coincide con il corpo dell’essere mitico primordiale che diede vita ai semi con il suo smembramento rituale»160. In merito alla necessità della morte violenta del Dio nell’ottica del Tempo ciclico e dei riti di costruzione, Eliade asserisce:

Soltanto la morte rituale (la morte violenta) è creatrice, per il semplice motivo che essa interrompe il filo di una vita che non ha consumato tutte le sue possibilità, che non ha compiuto il suo destino161.