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Capitolo II. Costellazione simbolica della Renovatio

2.3 Valenze agro-seleniche

Con la sua ambiguità sessuale e la sua passività comportamentale, il Dying and Rising God si dimostra dotato di un consistente sostrato selenico. Androginia e passività sono, difatti, due proprietà tipiche dell’archetipo Luna. Ciò non entra in contraddizione con la natura esplicitamente agraria – e non, direttamente, lunare – del Dio. La Luna, difatti, regola e «ripartisce» il ciclo agrario106:

Il dramma lunare è in intima correlazione con i culti agrari. La pianta e il suo ciclo sono una riduzione microcosmica e isomorfa delle fluttuazioni dell’astro notturno107.

Infatti, la Luna, poiché possiede aspetti infiniti e inesauribili – essa è «la madre del plurale»108 –, regola anche dei piani diversi da quello propriamente selenico; il primo tra tutti è quello vegetale, che si dispiega nel tempo stagionale tetrapartito:

104 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 288. 105 A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 660.

106 Cfr. M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 160.

107 G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., p. 365.

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La luna resta l’immagine primaria del mistero della vita, della crescita, del declino, della morte e della rigenerazione. Il ciclo lunare offrì un modo per capire come può un seme crescere in forma di fiore e frutto, che, precipitando nell’oscurità della terra, fa ritorno in forma di seme rigenerato. Le quattro stagioni, che contrassegnano gli stadi della vita della vegetazione [...] riflettono le quattro fasi lunari. Primavera, estate, autunno e inverno sono gli equivalenti della luna crescente, della luna piena, della luna calante e della luna nera – lo stadio della gestazione, nel quale la vita creatrice è invisibile109.

Tanto la Luna quanto la Pianta esperiscono un perpetuo «passaggio», la cui soglia è costituita dalla Terra, che prima li risucchia e poi li partorisce, rinnovati. Nella storia delle religioni e dell’immaginario, tuttavia, l’archetipo selenico è anteriore a quello vegetale:

L’agricoltura è solamente uno dei piani sui quali si applica il simbolismo della rigenerazione periodica, e se la “versione agricola” di questo simbolismo ha avuto un’immensa diffusione – grazie al suo carattere popolare ed empirico – non si può assolutamente considerarla come il principio e l’intento del complesso simbolismo della rigenerazione periodica. Questo simbolismo trova i propri fondamenti nella mistica lunare; si può dunque ritrovarlo, dal punto di vista etnografico, già nelle società preagricole110.

È per tale ragione che la vita vegetale subisce l’influsso lunare:

La storia delle religioni annovera numerosi esempi di collisione tra il ciclo lunare e il ciclo vegetale. In tal senso si spiega la frequentissima confusione di terra e luna nell’appellativo di “Grande Madre”, rappresentando ambedue, direttamente o indirettamente, il dominio sui germogli e sulla loro crescita. Questa è pure la ragione per cui la luna è classificata tra le divinità ctonie [...]. Cicli mestruali, fecondità lunare, maternità terrestre, creano una costellazione agricola ciclicamente sovradeterminata111.

Il ciclo lunare veniva contemplato già dall’uomo del Paleolitico. Invece, il ciclo della pianta, sebbene compreso dai cacciatori-raccoglitori paleolitici, venne consacrato e valorizzato soltanto in un secondo momento della Preistoria, ossia

109 A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 49.

110 M. Eliade, Il Mito dell’eterno ritorno, op. cit., p. 89.

111 G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., p. 367.

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durante la Rivoluzione agricola. In virtù di tale anteriorità, nel Dying and Rising God, di età «storica», la cui vicenda è «drammatica», il «sostrato» selenico è meno percepibile delle sue valenze vegetali.

L’indeterminatezza «selenica», tanto sessuale quanto caratteriale, del Dying and Rising God, non è che un residuo della percezione organica dell’Essere, propria nella mente primitiva. Per l’uomo dei primordi, i confini che separavano il maschio dalla femmina erano ben labili. Come afferma Jung, nell’inconscio risiede

un essere umano collettivo che combina le caratteristiche di entrambi i sessi, che trascende la giovinezza e la vecchiaia, la nascita e la morte [...] praticamente immortale112.

Il Dying and Rising God preserva, in qualche modo, alcuni aspetti di tale essere unitario primitivo, che ha lasciato delle tracce nella struttura intima e inconscia della psiche umana113: ogni essere umano, indipendentemente dal proprio sesso biologico, possiede una componente maschile e una componente femminile114.

Stando alle fonti, il Dying and Rising God è quasi sempre biologicamente un maschio, ma possiede una spiccata entità femminea (psichica) proiettata in una corporalità quasi sempre maschile (fisica). Come la Luna, simbolo ambivalente e plurimo per eccellenza115, anche il Dio è doppio nonché molteplice, e concentra in sé numerose potenzialità – che un tempo appartenevano alla coppia primordiale e completa del Dio Figlio e della Dea Tellus Mater. Gilbert Durand riconosce l’androginia del «Figlio Femminoide» come sintomo di atavicità:

Il simbolo del Figlio sarebbe una traduzione tardiva del primitivo androginato delle divinità lunari. Il Figlio conserva la valenza maschile [...]

112 C. G. Jung, The Structure and Dynamics of the Psyche, London, Routledge & Kegan

Paul, 1970, p. 349.

113 Cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 41.

114 Jung ce ne parla in termini di Animus e Anima (cfr. C. G. Jung, L’Io e l’inconscio, Torino,

Bollati Boringhieri, 1985, pp. 102-129). Per il concetto di «ermafroditismo» dell’archetipo del Fanciullo, cfr. C. G. Jung, «Psicologia dell’archetipo fanciullo», in C. G. Jung, K. Kerényi, op.

cit., pp. 138-143.

115 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 163: «La Luna “connette” [...]

armonie, simmetrie [...] coordinate dai ritmi lunari, formano un tessuto interminabile, una “rete” di fili invisibili, che “lega” fra loro uomini, piogge, vegetazione, fecondità, salute, animali, morte, rigenerazione, vita d’oltretomba».

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smarrendo l’androginia originaria, una sola parte della quale è preservata nella filiazione. Il Figlio manifesta [...] un carattere ambiguo, connotato in senso bisessuale116.

L’accentuata «passività» comportamentale del Dying and Rising God, spesso muto e immobile, è un indizio del suo sostrato eminentemente selenico. Difatti, la Luna è passiva e ricettiva rispetto al Sole – principio diurno – rappresentando, così, la dipendenza e il principio Femminile per eccellenza117.

Dumuzi/Tammuz, ad esempio, è succube della spietata e aggressiva dea Inanna/Ishtar, che lo condanna a soggiornare agli Inferi al suo posto, non avendo pieta mentre il suo amato viene inseguito e torturato da nefasti demoni. Si ricordi anche che tale sciagura avviene in quanto egli era apparso alla dea tranquillo, inerme, addormentato, dimentico sul trono – si noti, tutti attributi passivi – durante l’assenza di lei. Allo stesso modo, al momento della sua condanna, il dio non apre bocca per difendersi o giustificarsi con Inanna/Ishtar, per quanto provi a fuggire i demoni: la sua passività risiede anche in questo silenzio.

Kore è una sventurata vittima di un ratto a opera del bramoso Ade: tale ratto è frutto di un complotto di cui è una passiva vittima, simultaneamente, la sua madre-doppio, Demetra. Le due dee sono delle succubi anche perché, alla fine dell’omerico Inno a Demetra, nulla possono contro la legge degli Inferi, che condanna Kore – dopo che questa, con l’inganno118, ha inghiottito il seme di melagrana – a un soggiorno alternato, rispettivamente presso la madre e presso il marito. Lo stesso atto dell’inghiottimento119, isomorfo alla penetrazione, è ricettivo e passivo.

Balder è una muta e passiva vittima di un destino inesorabile: i suoi sogni, unica avvisaglia circa la sua morte, a nulla servono: anzi, forse ne accelerano il

116 G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., p. 370. La doppia sessualità del Dying and Rising God è altresì attribuibile alla

sua natura archetipica di «Dio Figlio», il quale è un Dio «Fanciullo»: l’età dell’infanzia, infatti, è ancora dominata dalla precoce indeterminatezza sessuale, e pertanto dalla presenza di entrambe le componenti sessuali (cfr. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi: tutte le lezioni, Torino, Bollati Boringhieri, 2012, pp. 288-289).

117 Cfr. J. Chevalier, A. Gheerbrant, op. cit., vol. II, p. 44; M. E. Harding, op. cit., p. 123. 118 Per una tesi opposta, cfr. E. Neumann, La Grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell᾽inconscio, op. cit., p. 306.

119 Cfr. G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, op. cit., pp. 316-317.

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sopraggiungere. Non è, secondo noi, un caso che all’accelerazione dell’evento nefasto abbia contribuito un’iniziativa – in buona fede – proprio di Frigg, dea femminile e madre di Balder. Infine, se l’inganno dell’astuto dio Loki conduce lo sventurato dio alla morte, è anche grazie all’ingenuità – e dunque, alla passività – di Hother, fratello di Balder120.

In virtù della sua ciclicità, la Luna rappresenta il passaggio dalla vita alla morte e dalla morte alla vita121. La sua mutevolezza, in base alle quale attraversa una fase propizia e luminosa e una fase nefasta e oscura:

La quarta fase [della luna] può essere intesa come la dimensione invisibile in cui ha luogo la gestazione della nuova vita [...] una parte essenziale del ciclo della luce122.

La fase della luce e la fase del buio lunari si rispecchiano negli aspetti del Dying and Rising God. Anzitutto, il dio è protagonista, come si è visto, di una di una Catabasi123. Varcando i regni della vita e della morte, conosce, così, sia una fase luminosa, sia una fase buia. Non per nulla, si tratta del dio ciclico par excellence.

Se lo stadio lunare «oscuro» del Dying and Rising God è simboleggiato dalla morte e Discesa agli Inferi, lo stadio lunare «luminoso» è suggerito dai suoi tratti fisici: il Dio è difatti dotato di eccezionale leggiadria, innocenza e ingenuità, nonché di uno straordinario candore – in quale è, simultaneamente, un pallore «lunare», che ne preannuncia la morte. La sua bellezza è sempre esplicitamente trasparente e diafana: si rivela un essere vago, impalpabile, quasi evanescente, proprio come il suo destino evidenzia. Il suo bianco è il colore della purezza

120 Anche in altri Dying and Rising Gods si possono riconoscere evidenti indizi di passività

comportamentale. Il frigio Attis è vittima della corte spietata di Cibele, Madre degli Dèi, che lo conduce all’evirazione e alla morte (cfr. P. Scarpi (ed.), Le Religioni dei misteri, op. cit., vol. II, p. 273). L’egiziano Osiride è vittima dell’omicidio per squartamento da parte del fratello Seth (cfr. Plutarco, Iside e Osiride, a cura di D. Del Corno, Milano, Adelphi, 2009, p. 120). L’ellenico Adone, definito «poco virile» (cfr. S. Ribichini, op. cit., p. 82), è vittima delle conseguenze della corte spietata di due dee – Afrodite e Persefone – e, infine, dell’uccisione da parte di un cinghiale (cfr. T. N. D. Mettinger, op. cit., pp. 118-119).

121 Cfr. J. Chevalier, A. Gheerbrant, op. cit., vol. II, p. 44. 122 A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 20.

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virginea, nonché della freddezza mortuaria; ma è soprattutto il colore del passaggio, della transitorietà, della morte che precede la vita, del ritorno124.

La bellezza eccezionale e candida del Dying and Rising God è più volte decantata nelle varie versioni del suo Mito. La virginea e florida Kore è detta «dalle belle caviglie», «dal roseo volto» e «dal volto luminoso»125. A Kore si affianca la lunare Hecate, detta «dal diadema luminoso»; e si oppone la connotazione lunare «tetra» di Demetra, detta «dallo scuro peplo» e «Nera». È tuttavia il nordeuropeo Balder il dio che ha meglio preservato l’aspetto lunare «luminoso». Di lui, infatti, si legge:

È tanto bello d’aspetto e splendente che da lui emana luce, e vi è un’erba tanto bianca che si può paragonare alle “sopracciglia di Baldr”, la più chiara di tutte le erbe. E da questo puoi immaginare la sua bellezza nei capelli e nel corpo126.

Inoltre, Balder è presentato come il più bello, il più saggio, il più benigno degli dèi; il nome della sua dimora (Breithablik) significa «che splende lontano», ed è esente dall’impurità127. Come nel caso di Kore, anche lo splendente Balder possiede una controparte tetra, in quanto epifania della luna nera: si tratta di suo fratello e involontario assassino Hother, «oscuro» perché cieco.

Il Dying and Rising God, proprio con i suoi attributi lunari, rivela le sue analogie con il seme, ergendosi a emblema dei sogni umani di eternità:

Con la morte [gli esseri umani] sentivano di essere ricondotti nell’oscuro grembo della Madre, e credevano che sarebbero rinati come la luna. L’oscurità era [...] uno degli aspetti ontologici della Dea Madre128.

Si noti che la Luna – così come la Terra129 – è sia nel Dio che nella Dea: ma la Terra viene identificata nella sua interezza con la Dea, mentre il Dio incarna

124 J. Chevalier, A. Gheerbrant, op. cit., vol. I, pp. 144-145. Il bianco pallore lunare del passivo Dying and Rising God è diametralmente opposto al caldo rosso solare che simboleggia, di contro,

il principio diurno e attivo.

125 P. Scarpi (ed.), Le Religioni dei misteri, op. cit., vol. I, pp. 13-17. Il grembo ctonio della

terra, che ospita la fase buia della luna, è invece Ade «dalle cupe chiome», sebbene egli giunga su «un carro d’oro», attributo che ne evoca in più un aspetto «solare» in quanto diurno, attivo, fecondatore, virile, conquistatore.

126 S. Sturluson, Edda, op. cit., p. 74. 127 Cfr. ibidem.

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quella parte (o epifania) della Terra periodica e periodicamente rinnovata, ossia il vegetale – semi, frutti, piante. La funzione ricoperta dal Dying and Rising God in relazione alla Dea – ossia, dalla pianta in relazione alla Terra – è, dunque, quello della parte. Ciò è valido altrettanto sul piano archetipico lunare: infatti, le due lune «complete» sono epifanie della Dea; la luna piena e gravida è la Dea incinta del Dio, mentre la luna nuova o nera è la Dea sotto forma di grembo contenente; e le due lune «parziali» sono epifanie del Dio: ci riferiamo, in particolare, ai due quarti di luna.

Sia la Dea che il Dio sono la Luna, ma lo sono secondo due prospettive diverse: rispettivamente, quella dell’eternità ciclica, in cui ogni stato ritorna perennemente uguale a se stesso, e quella dell’irripetibile stato di finitezza di ogni individuo. La Dea è il Tutto, nella misura in cui il perpetuo «rinnovo nel tempo» della Luna rivela la «totalità senza tempo»130 in cui la sua esistenza si inserisce. Il Dio è diverso da lei, in quanto la sua carica selenica archetipica focalizza le singole fasi del perpetuo «rinnovo nel tempo» della Luna, e non la «totalità senza tempo» che vi trascende131.

Nel Neolitico, la pienezza lunare e la parte lunare si manifestavano, rispettivamente, in una Dea abbondante come il plenilunio e in una bestia taurina, o comunque cornuta, come il quarto lunare che fuoriesce da essa – e che dunque è parte di essa132. Nei miti delle «storiche» età post-neolitiche di cui ci siamo occupati, invece, le due epifanie lunari, parziale e totale, non potevano che divenire un mito e un dramma in cui: il Dio e la Dea sono inizialmente amorevolmente uniti (plenilunio); la vicissitudine fa sì che il Dio si «stacchi» dalla Dea, perendo: ma, nel momento stesso, la sua morte, essendo una «discesa»

129 Si noti che la Luna e la Terra possiedono la medesima connotazione archetipica femminile.

Si può individuare, dunque, una «sovradeterminazione femminile, quasi mestruale dell’agricoltura» (G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione

all’archetipologia generale, op. cit., p. 367). 130 A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 21.

131 Cfr. M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., p. 139. In qualità di «epifania

drammatica del tempo» (G. Durand, Le Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione

all’archetipologia generale, op. cit., p. 116), la Luna viene eletta a strumento della misurazione

cronologica per eccellenza (cfr. ivi, p. 89, p. 352; M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op.

cit., pp. 138-139): con il suo perpetuo divenire (che pure non esclude la sua eternità) rappresenta

sia il tempo che trascorre e distrugge – in particolare nell’epifania della falce, il quarto di luna – sia il Tempo ciclico e perpetuo.

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negli Inferi, nel mondo sotterraneo, egli sta incontrando l’«altra» epifania totale lunare della Dea, sotterra (luna nera); nella fase che completa il ciclo, egli è destinato a staccarsi nuovamente dalla Dea per riemergere alla terra e al cielo (altro quarto).

Il destino del Dio lunare in quanto parte della Dea lunare è perfettamente isomorfo al destino della vegetazione quale parte della Dea Terra133. Il paradosso, per il quale il Dying and Rising God possa essere contemporaneamente il Figlio e lo Sposo della Dea, perde la sua assurdità proprio grazie a tale ciclica e dinamica relazione parte-tutto. Il Figlio è fuor di dubbio una parte della Madre, che la abbandona quando ne viene partorito. Grazie all’intervento fertilizzante di tale «parte» (il Dio) che, una volta uscita, rientra nell’utero con funzione fallica e procreante, è permesso il rinnovo della natura – il Figlio che ne esce è come un «nuovo nato»: il ruolo di Sposo contribuisce attivamente al ricominciamento del ciclo stesso.

Il sostrato selenico primitivo agisce nel Dio Figlio non meno che nella Dea Tellus Mater, sua controparte. Tale sostrato, nel tessuto dei miti agrari, emerge da sporadici e appena accennati attributi – candore, passività, effeminatezza, ingenuità, silenzio – privi di una coesione talmente esplicita da rinviarli tutti, insindacabilmente, dalla «forma» mitica compiuta del Dio all’arcaica «idea» divina non-mitica. Eliade parla, a buon diritto, in termini di «sopravvivenze» lunari:

In quasi tutti gli dèi della vegetazione e della fecondità esistono come sopravvivenza – anche quando la loro “forma” divina si è fatta completamente autonoma – attributi o efficienze lunari134.

La garanzia di tali sopravvivenze è la relazione parte-tutto che il Dio intrattiene con la Dea, con cui costituisce un’unità primeva di cui si ha lontana memoria, sepolta sotto lo strato cosciente e narrativo del mito: l’unità della Luna «totale» e «assoluta» con le sue singole fasi cangianti corrisponde all’unità della Terra «totale» e «assoluta» con il vegetale cangiante.

133 A. Baring, J. Cashford, op. cit., pp. 145-148.

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