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2. Secondo capitolo Le problematiche di agenzia nelle società a proprietà diffusa,

2.5 La teoria dell’agenzia nelle imprese familiari

Il ruolo di monitoraggio e minimizzazione delle inefficienze nel rapporto principal- agent attribuito al Board e ai suoi Comitati viene valorizzato se si considerano le realtà familiari, le quali presentano dinamiche e problematiche distintive rispetto alle altre realtà societarie. Nello specifico risulta che la struttura proprietaria familiare possa comportare una serie di problematiche di moral hazard, riguardanti i seguenti punti (Bammens et al., 2011):

La possibilità che la famiglia stessa persegua i propri interessi economici piuttosto che quelli della società;

La possibilità che la famiglia persegua interessi di diversa natura rispetto a quelli economici, ovvero personali;

Altruismo genitoriale (“parents’ altruism”); Divergenze di interessi all’interno della famiglia.

Il primo punto si riferisce alla possibilità che i membri della famiglia esproprino parte della ricchezza economica della società per attribuire ai parenti dividendi ingenti e remunerazioni eccessive. Si pone quindi la necessità di limitare la discrezionalità decisionale dei membri della famiglia e di proteggere l’interesse degli azionisti di minoranza attraverso un Board composto da membri indipendenti che possano garantire tutela e trasparenza. Ciò attiene agli interessi economici della famiglia, ma è possibile

anche che si perseguano interessi personali, come la volontà da parte degli attuali soci di mantenere una proprietà familiare nel corso del tempo, la necessità di dare un’occupazione a tutti i membri della famiglia all’interno della realtà societaria e il mantenimento di tradizioni e armonia familiare, proponendo iniziative che non risultano quelle più efficienti per l’impresa considerata. È necessario specificare che le tematiche descritte, se gestite adeguatamente, non sempre rappresentano un’inefficienza, ma quando questo accade, generano dei costi di agenzia per i non-family stakeholder, i quali sono interessati esclusivamente alla performance aziendale. Anche in questo caso risulta decisivo il ruolo del Board nel tutelare gli interessi coinvolti.

Altre problematiche si pongono nei casi di “altruismo genitoriale”, ovvero situazioni in cui, ad esempio, viene deciso di favorire l’assunzione dei propri figli all’interno della realtà societaria anche quando esistano già soggetti in grado di svolgere quel determinato ruolo o semplicemente quando non vi sia l’esigenza di una nuova assunzione. Queste situazioni potrebbero causare sia inefficienze sia malcontento e senso di ingiustizia da parte degli altri stakeholder dell’impresa, considerando anche che viene rilevato che talvolta i figli assunti godono di privilegi remunerativi non giustificati da un apporto di valore aggiunto all’interno dell’impresa, ma piuttosto motivati dalla volontà di gratificazione da parte dei genitori (Schulze et al., 2001). Inoltre queste iniziative da parte dei genitori potrebbero portare i figli anche ad assumere un comportamento scorretto, in quanto, consapevoli di godere di una posizione privilegiata, potrebbero evitare l’assunzione di responsabilità, facendo affidamento sull’attività svolta dal resto degli impiegati, i quali sono invece tenuti a svolgere le proprie mansioni. Anche in questo caso è necessario specificare che questo non sempre può accadere, solo nel caso in cui si verifichino situazioni di questo tipo, si sopportano

dei costi di agenzia dovuti alle inefficienze causate da scelte errate da parte dei membri della famiglia.

Nelle suddette situazioni il ruolo del Board è quello di entrare nel merito delle decisioni assunte dai proprietari al fine di limitare queste “tendenze altruistiche” in modo da tutelare sia gli interessi degli altri stakeholder, sia quelli della famiglia stessa, la quale è la prima interessata a una corretta gestione dell’impresa e al suo buon funzionamento. Questo è possibile anche monitorando il comportamento dei figli neoassunti, riportando ai membri della famiglia eventuali azioni scorrette.

Le problematiche descritte costituiscono delle fonti potenziali di azzardo morale dove i soggetti coinvolti sono la proprietà familiare e il resto degli stakeholder, tuttavia è possibile anche che queste problematiche sussistano non solo con l’esterno, ma anche fra i membri della famiglia stessa. Questo è il caso in cui sussistano divergenze di interessi in merito all’eredità di quote societarie nel passaggio generazionale. In questo caso il ruolo del Board è quello di monitorare eventuali asimmetrie informative fra i membri della famiglia tutelando l’interesse verso la corretta gestione della società. Gli aspetti descritti sopra riflettono dei potenziali effetti negativi che la struttura proprietaria familiare può comportare, i quali possono essere gestiti con un’adeguata struttura di Governance; nello stesso tempo è stato rilevato, in letteratura, un effetto positivo che la struttura familiare può comportare, attinente alla riduzione del costo del debito. Jensen e Meckling (1976) hanno indagato la relazione fra la struttura proprietaria e il conflitto di agenzia shareholder-bondholder, constatando che i detentori di quote azionarie in società con azionariato diffuso, hanno l’incentivo a espropriare risorse finanziarie agli obbligazionisti investendo in nuovi progetti maggiormente rischiosi di quelli presenti nel portafoglio dell’impresa, con l’aspettativa di ottenere rendimenti futuri più elevati. In questo modo gli obbligazionisti dovrebbero

sopportare un rischio maggiore che comporterebbe un costo del debito più alto rispetto a quello definito in partenza sulla base dei progetti di investimento facenti parte del portafoglio aziendale iniziale. Di conseguenza gli obbligazionisti, una volta diventati consapevoli dell’incentivo degli shareholder a investire in nuovi progetti più rischiosi, anticipano il costo dell’incentivo stesso richiedendo rendimenti più alti, con un conseguente aumento del costo del debito, al fine di percepire un ritorno adeguato rispetto alla rischiosità dei progetti di investimento. R.C Anderson et al. (2003) sostengono che se si considerano società a proprietà familiare, questo conflitto di agenzia fra azionisti e obbligazionisti risulta meno forte, comportando una riduzione del costo del debito. Questo accade in quanto la proprietà familiare ha incentivi differenti rispetto ad altre tipologie di azionisti, per due motivazioni principali, ovvero l’interesse dei familiari alla creazione di valore dell’impresa nel medio-lungo termine, con la prospettiva di realizzare un passaggio generazionale, e l’interesse alla reputazione dell’impresa stessa. Di conseguenza è maggiormente probabile che nelle imprese familiari l’obiettivo sia quello della massimizzazione del valore dell’impresa stessa piuttosto che di quello degli azionisti, nel caso in cui sorgano delle divergenze fra queste due alternative. Sarà dunque meno probabile che, in questo contesto proprietario, si decida di investire in progetti maggiormente rischiosi che possano comportare profitti per gli azionisti a discapito della creazione di valore per l’impresa. A fronte di ciò, gli obbligazionisti non avranno più la necessità di richiedere rendimenti maggiori, comportando una riduzione del costo del debito.

R.C Anderson et al. (2003) dimostrano questa relazione fra la tipologia della struttura proprietaria e il costo del debito dal punto di vista empirico, analizzando un campione di società appartenenti al Lehman Brothers Bond Database (LBBD) e allo S&P 500 Industrial Index. I risultati dell’analisi mostrano che le società con proprietà familiare

presentano un costo del debito di 32 punti percentuali inferiore rispetto a quello delle non-family firms.

Si può ipotizzare dunque che il legame di lungo termine dei familiari con l’impresa, l’interesse al passaggio generazionale e alla reputazione della realtà aziendale, comportino, nelle imprese familiari, una mitigazione dei conflitti fra bondholder e shareholder.