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La Composizione dell'Audit Committee e le politiche di Earning Management: analisi empirica di un campione di società quotate italiane.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

La Composizione dell’Audit Committee e le politiche di

Earning Management: analisi empirica di un campione di

società quotate italiane.

RELATORE

Prof. Roberto Barontini

CANDIDATO

Sara Picchi

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INDICE

Introduzione

1. Primo capitolo- Natura e funzioni del comitato controllo e rischi.

1.1 Il ruolo della Corporate Governance nella gestione del rischio: la

crescente importanza del Comitato controllo e rischi………...6

1.2 L’Audit Committee secondo il modello statunitense: il Sarbanes Oxley Act………..8

1.3 Il Comitato controllo e rischi nel panorama normativo italiano: il Codice di Autodisciplina……….13

1.4 La teoria dell’Audit Committee Effectiveness: focus sulla Composition…...19

1.5 La professionalità………..22

1.6 L’indipendenza………...27

2. Secondo capitolo- Le problematiche di agenzia nelle società a proprietà diffusa, familiare e pubblica: il ruolo dell’Audit Committee. 2.1 La teoria dell’agenzia: il caso delle Public Companies………...32

2.2 L’ipotesi di Management Entrenchment………...36

2.3 La Stewardship Theory……….38

2.4 Le imprese familiari: possibili definizioni………...40

2.5 La teoria dell’agenzia nelle imprese familiari………...45

2.6 Le società pubbliche: le tipologie societarie……….49

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3. Terzo capitolo- La Composizione dell’Audit Committee e le politiche di Earning Management.

3.1 Earning management e “qualità del reddito”………56

3.2 I modelli “accrual based”………..58

3.3 Il modello di Beneish………63

3.4 Il legame fra Composition e earning quality: evidenze empiriche………...71

4. Quarto capitolo- Analisi empirica 4.1 Obiettivi della ricerca………78

4.2 Il campione di analisi……….81

4.3 La metodologia di raccolta dati………...84

4.4 Statistiche descrittive……….87

4.5 La metodologia di analisi dei dati………...95

4.6 Risultati………...99

Conclusioni

Bibliografia

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Introduzione

I recenti scandali finanziari, che hanno caratterizzato il contesto economico Europeo e internazionale, costituiscono l’impulso per l’analisi del ruolo che i sistemi di Corporate Governance rivestono nella gestione dei rischi. La presenza di un sistema di controlli interni che tuteli gli stakeholder delle imprese, secondo principi di trasparenza e correttezza, costituisce uno strumento fondamentale nel perseguimento del suddetto fine.

L’obiettivo della presente ricerca è quello di analizzare il ruolo e le funzioni che l’Audit Committee riveste nella Governance delle imprese, sottolineando i requisiti che i singoli membri del Comitato dovrebbero possedere affinché quest’ultimo risulti “effective”. Partendo dunque dall’analisi della teoria dell’Audit Committee Effectiveness, si analizzano i contributi empirici relativi agli effetti che la suddetta teoria ha avuto nei contesti societari internazionali, per poi focalizzarsi sul recepimento di tali impulsi all’interno del contesto normativo italiano attraverso il Codice di Autodisciplina. Risulta inoltre utile analizzare la Teoria dell’ Agenzia, al fine di comprendere i fondamenti teorici che giustificano l’esistenza e le funzioni dell’ Audit Committee, evidenziando le problematiche di Governance relative a strutture proprietarie diverse; in questo modo è possibile delineare il ruolo che l’ Audit Committee riveste nella gestione delle suddette problematiche nelle realtà a proprietà diffusa, familiare e pubblica. Da queste riflessioni si rileva che i conflitti d’interesse evidenziati dalla Teoria dell’ Agenzia per le singole strutture proprietarie hanno influenza anche sullo svolgimento dell’attività di reporting finanziario. In particolare ciò attiene alla gestione di eventuali politiche di Earning Management attuate dai manager, i quali possono sfruttare l’attività valutativa volta alla determinazione degli accrual al fine di ottenere il target di utile desiderato, in modo da presentare agli stakeholder una situazione finanziaria migliore di

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quella reale. Questi ultimi hanno invece interesse a una rappresentazione trasparente delle imprese verso le quali detengono diverse tipologie di interessi, a seconda della categoria di stakeholder considerata. L’attività valutativa svolta dai manager può essere considerata dunque uno dei processi più delicati dell’attività di reporting finanziario, motivo per cui viene sottolineata la necessaria presenza di un Comitato, in grado di monitorare il corretto svolgimento delle suddette attività al fine di gestire il conflitto d’interesse esistente fra i manager e gli stakeholder dell’impresa. Si rileva dunque una connessione tra quest’ultimo aspetto e la teoria dell’ Audit Committee Effectiveness, volta a garantire lo svolgimento efficace dell’ attività del Comitato nel monitoraggio di eventuali politiche di Earning Management.

Da qui l’opportunità di un’analisi empirica, volta a testare la relazione esistente fra la Composizione dell’ Audit Committee e le politiche di Earning Management in alcune realtà societarie rappresentative del contesto italiano, ovvero società diffuse, familiari e pubbliche. L’obiettivo è verificare il rispetto dei requisiti di indipendenza e professionalità, evidenziati dalla teoria dell’ Audit Committee Effectiveness, sia l’effetto che i suddetti requisiti apportano nell’efficacia dell’attività di controllo svolta dall’ Audit Committee nell’ambito delle politiche di Earning Management.

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1. Primo capitolo- Le funzioni del comitato controllo e rischi: analisi degli impulsi normativi.

1.1 Il ruolo della Corporate Governance nella gestione del rischio: la crescente importanza del Comitato controllo e rischi.

Il tema della gestione del rischio e del controllo d’impresa è da decenni una delle tematiche maggiormente analizzate dagli studiosi dell’economia d’azienda, in ragione sia dei profondi mutamenti che negli ultimi anni hanno caratterizzato i contesti economici e finanziari a livello mondiale, sia del manifestarsi di situazioni di patologia d’impresa, legate a carenze e omissioni a livello di vigilanza, supervisione e organizzazione societaria interna.

Queste condizioni hanno messo in luce l’importanza della ricerca di un equilibrio fra i poteri e le diverse tipologie di interessi che gravitano attorno alle realtà societarie, con l’obiettivo sia di contribuire all’interesse della platea di stakeholder di queste sia allo sviluppo del contesto economico in cui sono inserite (Carlo Regoliosi, 2009). L’esigenza che si pone è quindi quella di analizzare le diverse tipologie di interessi che riguardano le imprese e riuscire a tradurre queste ultime in un adeguato sistema di controlli interni, facendo sì che si creino condizioni generali di efficacia e di corretto sviluppo del rapporto fra risorse, attività e risultati. Risulta dunque necessario che le azioni del management vengano controllate e fatte confluire verso gli obiettivi aziendali sia in termini di performance che a livello di benessere degli stakeholder, dando nello stesso tempo un contributo positivo all’ambiente di riferimento.

I sistemi di Corporate Governance vengono considerati uno strumento importante per il raggiungimento degli obiettivi sopra citati, risulta pertanto utile menzionare la definizione contenuta nel Rapporto Cadbury, secondo cui la Corporate Governance

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rappresenta il sistema attraverso il quale le aziende vengono dirette e controllate1, a sottolineare la necessità di un’architettura che consenta di attribuire ruoli e responsabilità, in modo da fungere da presidio dei rischi d’impresa e permettere nello stesso tempo di visualizzare gli obiettivi aziendali per avere un’organizzazione interna che consenta di raggiungerli.

Un’altra definizione che conferma quanto appena esposto è quella data dagli “OECD Principles”, secondo i quali la Corporate Governance è la struttura deputata a stabilire gli obiettivi dell’impresa e a determinare i mezzi necessari al conseguimento di tali finalità, nonché gli strumenti di controllo e misurazione in termini di performance dei risultati ottenuti2. In questa definizione viene messo in evidenza non solo il ruolo di delineazione degli obiettivi, ma anche di misurazione del loro raggiungimento. Ciò è indispensabile per poter apportare successivi miglioramenti all’architettura societaria al fine anche di gestire più efficacemente i rischi aziendali.

Volendo unificare le due definizioni sopra citate potremmo affermare che la Corporate Governance è il sistema di regole, relazioni, processi e strumenti deputati a una corretta e efficiente gestione dell’impresa, che escluda ogni forma di ambiguità e proponga, sia chiarezza e condivisione di regole e informazioni, sia la trasparenza dell’ambiente gestionale e istituzionale del comando aziendale3.

Fra le strutture interne predisposte al raggiungimento degli obiettivi di cui sopra, ha assunto negli ultimi anni particolare importanza il Comitato controllo e rischi, in quanto organo che sia di supporto per l’organizzazione societaria nel fronteggiare la complessità dell’ambiente economico e finanziario promuovendo correttezza, efficienza e trasparenza a livello di processi, di flussi informativi e nelle relazioni interpersonali.

1 Cadbury A. (2000), Global Corporate Governance Forum, World Bank. 2 OECD (2004), OECD Principles of Corporate Governance.

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Il ruolo del Comitato controllo e rischi è infatti quello di fungere da tramite fra il management, gli auditor esterni e i portatori di capitale, in modo che tutti questi soggetti ricevano informazioni finanziarie accurate, complete e esaustive nel momento risultino necessarie (Braiotta L., Trent Gazzaway R., Colson R., Ramamoorti S., 2009).

Tuttavia per comprendere a fondo il ruolo del Comitato controllo e rischi e le diverse funzionalità e responsabilità di cui è investito nelle realtà societarie, si analizza come questo viene concepito nel sistema di Governance statunitense, il quale è stato un punto di riferimento importante a livello globale.

1.2 L’Audit Committee secondo il modello statunitense: il Sarbanes Oxley Act.

Il ruolo e le funzioni che l’ Audit Committee riveste nel sistema statunitense sono stati delineati all’interno del Titolo III del Sarbanes-Oxley Act, il quale, essendo divenuto legge federale in data 30 Luglio 2002, definisce in modo tassativo l’obbligatorietà della costituzione del Comitato insieme a requisiti e compiti dei singoli membri. Nel panorama normativo statunitense si è ritenuto che, al fine di promuovere un efficace monitoraggio sull’operato del Board, fosse necessaria una fonte di hard law, in modo da rendere vincolante quanto prescritto dalla SOX4.

Si ritiene dunque necessario analizzare in primo luogo la definizione contenuta nel Titolo III del Sarbanes-Oxley Act:

“The term ‘‘audit committee’’ means a committee (or equivalent body) established by and amongst the board of directors of an issuer for the purpose of overseeing the accounting and financial reporting processes of the issuer and audits of the financial statements of the issuer, and if no such committee exists with respect to an issuer, the

4 Come verrà esposto di seguito, questa costituisce un’importante differenza rispetto al contesto italiano, nel quale suddetti ruoli e funzioni vengono definiti a livello di soft law nel Codice di Autodisciplina.

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entire board of directors of the issuer5”.

Da questa nozione viene messo in risalto il fatto che l’Audit Committee sia un organo costituito presso il Consiglio di Amministrazione e, in particolare, la funzione principale rivestita dal Comitato può essere espressa attraverso la parola chiave “oversight”. Quest’ultima riguarda il ruolo di monitoraggio e supervisione dei processi di reporting finanziario, dei prospetti contabili e dei sistemi di Audit sia interni che esterni; il Comitato ha infatti anche il ruolo di deliberare in merito al compenso percepito dagli “external auditors” e di monitorare in merito alla loro indipendenza. In particolare nella sezione 302 del Titolo III della SOX viene specificato anche che in merito all’attività di vigilanza sul sistema di controllo interno, la posizione dell’Audit Committee è subordinata al ruolo dei “principal officers”6 della società, i quali devono segnalare al Comitato “all significant deficiencies in the design or operation of internal controls which could adversely affect the issuer’s ability to record, process, summarize and report financial data”. Dunque l’Audit Committee, sulla base anche delle segnalazioni di inefficienze che vengono effettuate da parte dei principal officers, si occupa di costituire un sistema di controllo interno che consenta di mantenere e migliorare l’attendibilità e la trasparenza dell’ “accounting and financial reporting process”, in modo da assicurare che la reportistica finanziaria e contabile della società sia “accountable”, ovvero affidabile7. Di conseguenza si può sostenere che l’ Audit Committee costituisca una sorta di guida e di punto di riferimento per il Board per apportare miglioramenti alle policy interne di controllo e rendicontazione, migliorando il rapporto con i diversi stakeholder e creando un riscontro concreto fra i diversi attori che agiscono sia dall’interno che dall’esterno della realtà societaria.

6 I Principal Officers sono solitamente rappresentati dal Chief Executive Officer (CEO) e dal Chief Financial Officer (CFO);

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Il Sarbanes-Oxley Act si occupa inoltre anche di definire i requisiti tassativi previsti per i membri degli Audit Committee, rappresentati da professionalità e indipendenza. In particolare nella Sezione 407 del suddetto testo legislativo viene specificato che all’interno del Comitato debba esservi almeno un membro identificato come “financial expert”, ovvero un soggetto che abbia la qualifica di Accounting Financial Expert (AFEs), la quale comprende la certificazione di Certified Public Accountant (CPA) e di Chartered Financial Analyst (CFA). Inoltre risulta necessario aver anche maturato esperienza nell’attività di public accountant in accordo con i seguenti criteri:8

Avere una comprensione generale dei principi contabili e dei prospetti finanziari;

Aver avuto esperienza nella redazione di financial statements e nell’applicazione dei principi contabili per la determinazione di estimates, accruals, and reserves; Aver maturato esperienza con gli internal accounting controls;

Avere consapevolezza e comprensione delle funzioni dell’ Audit Committee.

La SEC ha poi esteso la definizione di financial expert, includendovi non solo coloro che abbiano la qualifica di Accounting Financial Experts (AFEs), ma anche i soggetti identificati come Non-accounting Financial Experts (NAFEs), ovvero gli investment bankers, gli analisti finanziari e i supervisory experts come gli chief executives officers, in quanto figure professionali che hanno maturato un’ampia esperienza e competenza in ambito finanziario. I suddetti requisiti sono stati quindi funzionali a garantire che almeno un soggetto facente parte del Comitato abbia le competenze specifiche

8 Section 407: Considerations, Sarbanes Oxley-Act: (1) an understanding of generally accepted accounting principles and financial statements; (2) experience in— 
the preparation of auditing financial statements of generally comparable issuer and 
 the application of such principles in connection with the accounting for estimates, accruals, and reserves; (3) experience with internal accounting controls; and (4) an understanding of audit committee functions.

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necessarie per espletare in modo efficace la funzione di financial monitoring, promuovendo un miglioramento nella qualità delle conoscenze specifiche sia teoriche che pratiche dei membri dell’Audit Committee.

Inoltre nella Sezione 301 del Sarbanes-Oxley Act viene stabilito che ogni membro debba essere indipendente, specificando che nessun componente del Comitato possa percepire “any consulting, advisory or other compensatory fee from the issuer” o essere “an affiliated person of the issuer or any subsidiary”. La Security Exchange Commission in particolare specifica quanto sopra attraverso le seguenti previsioni9:

I componenti degli Audit Committee non possono accettare nessuna tipologia di compenso o remunerazione da parte dell’emittente che non sia giustificata e attinente all’attività svolta in quanto membri del Board o di comitati appartenenti a quest’ultimo;

I membri di Audit committee appartenenti a un emittente che non sia una società di investimento non possono essere soggetti affiliati all’emittente o a una filiale dell'emittente.

Si evince dunque che i membri degli Audit Committee non possano percepire compensi che siano relativi ad attività non attinenti a quelle del Comitato stesso. Ad esempio i singoli soggetti all’interno dell’organizzazione societaria non potranno esercitare altre attività di consulenza, non attinenti al ruolo di membri dell’Audit Committee, in quanto questo potrebbe compromettere la loro indipedenza. Inoltre i suddetti soggetti non

9 Securities and Exchange Commission, 2003, Release No. 38-8220, Standards Relating to Listing Company Audit Committee “(A) Audit committee members are barred from accepting any consulting, advisory, or other compensatory fee from the issuer or any subsidiary thereof, other than in the member’s capacity as a member of the board of directors and any board committees. (B) Audit committee members of an issuer that is not an investment company may not be an affiliated person of the issuer or any subsidiary of the issuer apart from his or her capacity as a member of the board and any board committee”.

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possono essere “affiliati” alla società del Comitato di cui sono partecipi, nel senso che essi non possono avere legami con la società emittente determinati dal possesso di una partecipazione azionaria (anche di minoranza) o da legami con terze parti che a loro volta siano legate alla società emittente. Per esempio il singolo membro non potrà detenere quote azionarie di terze società, che a loro volta sono collegate, attraverso partecipazioni azionarie, alla società emittente.

In merito alle attività svolte dall’Audit Committee nel sistema di Governance Statunitense, è possibile dunque concludere che le tre attività principali siano costituite da:

Planning: il Comitato ha il compito di identificare al proprio interno le diverse responsabilità e di redigere un piano organizzativo dell’attività di controllo. In questo modo viene palesato a tutto il Board e ai soggetti esterni le modalità con cui sono impiegate le risorse a disposizione e come sia possibile evidenziare la concreta strutturazione dell’attività di controllo;

Monitoring: si concretizza nell’attività di oversight, ovvero nel monitoraggio dell’attività di financial reporting dell’organizzazione societaria e nell’analisi delle diverse tipologie di rischi aziendali, in modo da comprendere se i relativi meccanismi di risk management messi in atto possano essere migliorati per incrementarne l’efficacia;

Reporting: riguarda il tenere un’adeguata reportistica in merito ai controlli effettuati e all’esito della strutturazione di tutta l’attività. Questo è necessario sia al fine di mantenere traccia delle procedure messe in atto e dei cambiamenti che sono stati apportati, sia per rendere conto al Board e ad altri eventuali interlocutori, in maniera precisa e puntuale, di tutta l’attività di monitoring.

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Avendo delineato le peculiarità dell’Audit Committee nel modello di Governance statunitense, si rende necessario analizzare come nel contesto normativo italiano il Comitato controllo e rischi sia stato concepito dal Codice di Autodisciplina.

1.3 Il Comitato controllo e rischi nel panorama normativo italiano: il Codice di Autodisciplina

Nel contesto normativo italiano il testo di riferimento per comprendere la natura e il ruolo del Comitato controllo e rischi è rappresentato dal Codice di Autodisciplina (CAD), il quale, a differenza del caso statunitense, non costituisce una fonte normativa in senso proprio, ma è una raccolta di raccomandazioni elaborate da Borsa Italiana Spa in merito all’organizzazione societaria delle realtà aziendali che decidono di quotarsi nel mercato finanziario italiano. Essendo questa una fonte di soft law, e quindi non vincolante, si desume che nell’ordinamento giuridico italiano non esista l’obbligo di istituire il Comitato controllo e rischi. Tuttavia è stato constatato che la stragrande maggioranza delle aziende quotate italiane ha deciso di dotarsi del suddetto Comitato, ritenendolo un elemento imprescindibile ai fini dell’efficacia dei sistemi di Governance (Carlo Regoliosi, 2009). Inoltre la sua diffusione è stata motivata anche da ulteriori eventi, primo fra tutti la presenza degli amministratori indipendenti, in quanto è di condivisa evidenza il fatto che le sedi naturali, in cui questi possono svolgere i propri compiti di garanzia, siano i comitati interni al Consiglio di Amministrazione e in particolare il Comitato controllo e rischi.

L’obiettivo della presente trattazione è dunque comprendere come vengano delineate all’interno del Codice di Autodisciplina le funzioni di planning, monitoring e reporting rilevate dall’analisi della SOX e rilevare se vi siano delle differenze rispetto al sistema

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statunitense. Si vogliono poi successivamente analizzare le raccomandazioni in merito ai requisiti richiesti per i singoli membri del Comitato, evidenziando anche in questo caso eventuali differenziazioni.

L’Art. 7 del CAD raccomanda l’istituzione di Comitati interni al Consiglio di Amministrazione allo scopo di riservare loro le tematiche che creano conflitti d’interesse e consentire l’identificazione, la misurazione, la gestione e il monitoraggio dei principali rischi10. In particolare l’Art. 7.P.2 raccomanda l’istituzione del Comitato controllo e rischi al fine di promuovere un’adeguata istruttoria in riferimento a quelle tematiche le cui valutazioni e processi decisionali richiedono un elevato grado di informazione, in modo da far sì che vengano assunte decisioni consapevoli11. Da questa raccomandazione le funzioni attribuite al Comitato controllo e rischi sembrerebbero analoghe a quanto già delineato per il Sistema di Governance statunitense, tuttavia, se si effettua un’analisi maggiormente approfondita, attraverso i Criteri Applicativi del CAD, i quali specificano nel concreto le attività svolte dal Comitato, risulta che, mentre nella SOX il suo ruolo si esplica in modo prioritario nell’attività di oversight attinente al financial reporting della società, il Comitato nel nostro ordinamento riveste un ruolo più ampio. Esso riguarda il monitoraggio di tutto il sistema di controllo interno, colto nei suoi molteplici aspetti, sia di reporting finanziario, che di supervisione dell’operato dell’ Internal Audit e di valutazione periodica per la verifica dell’adeguatezza dei rischi assunti. Per rilevare questa differenze è necessario analizzare i seguenti Criteri12 ponendo in evidenza la suddivisione fra attività di planning, monitoring e reporting:

Planning: definizione delle linee di indirizzo del sistema di controllo interno e di gestione, con speciale riguardo alla verifica e corretta identificazione dei rischi, 10 Codice di Autodisciplina (2015): Art 7.P.1.

11 Codice di Autodisciplina (2015): Art 7.P.2. 12 Codice di Autodisciplina (2015): Art.7.C.1.

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nonché della loro adeguata gestione; Monitoring:

a) Valutazione periodica dell’efficacia e dell’adeguatezza del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi rispetto alle caratteristiche dell’impresa e al profilo di rischio assunto;

b) Individuazione di un amministratore esecutivo incaricato di sovraintendere alla funzionalità del sistema di controllo interno, valutandone con cadenza annuale l’adeguatezza e l’efficacia di questo;

Reporting: descrivere nella relazione sul governo societario gli elementi essenziali del sistema di controllo interno.

Si evince dunque che la differenza rispetto al sistema statunitense consiste nella nomina di un amministratore interno al Comitato, che abbia la funzionalità specifica di valutare l’adeguatezza del sistema di controllo interno, rilevando le eventuali inefficienze. Questo ruolo nel sistema statunitense è svolto dai principal officers, soggetti esterni rispetto al Comitato che hanno il compito di effettuare le eventuali segnalazioni in merito a possibile inadeguatezze del sistema di controllo interno13. È evidente quindi un ampliamento della funzione di monitoring, in quanto il Comitato ha la possibilità di agire autonomamente in merito alla segnalazione e valutazione delle problematiche relative ai controlli interni. Inoltre nell’ Art 7.P.4 del CAD vengono effettuate delle specificazioni ulteriori rispetto all’attività che il Comitato è tenuto a svolgere nell’ambito del monitoraggio della funzione di Internal Audit:

L’esame delle relazioni che hanno come oggetto il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi predisposte dalla funzione di Internal Audit;

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Il monitoraggio dell’autonomia, adeguatezza, efficacia ed efficienza della funzione di Internal Audit;

La possibilità di richiedere all’Internal Audit di svolgere verifiche su specifiche aree operative, dandone contestuale comunicazione al collegio sindacale.

Anche in questo caso è possibile sottolineare la maggiore capacità di iniziativa del Comitato in merito alla rilevazione delle problematiche attinenti i controlli interni, per la possibilità di richiedere direttamente lo svolgimento di attività specifiche all’ Internal Audit, in modo da poter effettuare le relative verifiche di adeguatezza. Riassumendo, si può rilevare che il Comitato controllo e rischi nel nostro ordinamento è un organo consultivo che risponde all’esigenza di rafforzare la Governance delle realtà societarie italiane e di garantire all’organo di governo un efficace esercizio dell’attività di supervisione sulla componente esecutiva. Ciò gli permette di addivenire in modo più informato e consapevole alle deliberazioni attinenti al controllo interno e di gestione dei rischi, nonché a quelle relative all’approvazione delle relazioni finanziarie periodiche14.

Il Codice di Autodisciplina fornisce informazioni anche in merito ai requisiti che i singoli membri del Comitato sono tenuti a possedere, specificando, analogamente al contesto statunitense, che questi debbano essere indipendenti. In particolare nell’Art.3 del CAD viene sottolineato che l’indipendenza consiste “nell’ assenza di relazioni con l’emittente, o con soggetti ad esso legati, tali da condizionare attualmente, per la loro importanza da valutarsi in relazione al singolo soggetto, l’autonomia di giudizio e il libero apprezzamento dell’operato del management”. Vengono poi indicate nei Criteri Applicativi dell’Art.3 delle ipotesi di assenza di indipendenza, secondo le quali un amministratore è da considerarsi non indipendente nei seguenti casi:

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Se, direttamente o indirettamente, anche attraverso società controllate, fiduciari o interposta persona, controlla l’emittente o è in grado di esercitare su di esso un’influenza notevole, o partecipa a un patto parasociale attraverso il quale uno o più soggetti possono esercitare il controllo o un’influenza notevole sull’emittente;

Se è, o è stato nei precedenti tre esercizi, un esponente di rilievo dell’emittente, di una sua controllata avente rilevanza strategica o di una società sottoposta a comune controllo con l’emittente;

Se, direttamente o indirettamente (ad esempio attraverso società controllate o delle quali sia esponente di rilievo, ovvero in qualità di partner di uno studio professionale o di una società di consulenza), ha, o ha avuto nell’esercizio precedente, una significativa relazione commerciale, finanziaria o professionale con l’emittente, una sua controllata, o con alcuno dei relativi esponenti di rilievo;

Se riceve, o ha ricevuto nei precedenti tre esercizi, dall’emittente o da una società controllata o controllante una significativa remunerazione aggiuntiva anche sotto forma di partecipazione a piani di incentivazione legati alla performance aziendale, anche a base azionaria;

Se è stato amministratore dell’emittente per più di nove anni negli ultimi dodici anni;

Se riveste la carica di amministratore esecutivo in un’altra società nella quale un amministratore esecutivo dell’emittente abbia un incarico di amministratore; Se è socio o amministratore di una società o di un’entità appartenente alla rete

della società incaricata della revisione legale dell’emittente;

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ai precedenti punti.

Le ipotesi di assenza di indipendenza sopra indicate riflettono quanto previsto dalla SEC nel contesto statunitense, in quanto fanno riferimento a casistiche in cui il singolo membro del Comitato abbia legami diretti o indiretti con l’emittente o abbia percepito remunerazioni aggiuntive dall’emittente stesso, in aggiunta a quelle di Amministratore15. Non vengono inoltre rilevate differenze rispetto al contesto statunitense neppure in merito al requisito di professionalità, in quanto nell’Art. 7.P.4 del CAD viene specificato che all’interno del Comitato deve essere presente almeno un membro che possieda un’adeguata esperienza in materia contabile e finanziaria o di gestione dei rischi, da valutarsi da parte del consiglio di amministrazione al momento della nomina.

1.4 La teoria dell’Audit Committee Effectiveness: focus sulla Composition L’obiettivo di ottenere risultati performanti e di operare in maniera efficace è parte

integrante della società contemporanea e costituisce anche un elemento attinente alle tematiche riguardanti la Corporate Governance. L’Audit Committee diventa parte attiva nel raggiungimento del suddetto obiettivo a condizione che i suoi membri abbiano i requisiti per svolgere il loro ruolo in modo informato e consapevole. Si è aperto dunque un vivace dibattito in letteratura relativo al significato di “Audit Committee effectiveness” e alle sue determinanti. In particolare i requisiti che contribuiscono alla nascita di un “effective audit committee” possono essere definiti come segue:

An effective audit committee has qualified members with the authority and resources to protect stakeholder interests by ensuring reliable financial reporting, internal controls,

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and risk management through Its diligent oversight efforts16”.

Questa definizione pone l’accento sul fatto che, affinché l’Audit Committee possa operare con efficacia, è indispensabile la presenza di membri che siano qualificati e che abbiano l’autorità e le risorse necessarie per esercitare l’attività di oversight.

Partendo da questa nozione, è stato elaborato un modello teorico che consente di individuare le quattro determinanti dell’ “Audit Committee effectiveness”17:

Composition: espressa da professionalità, indipendenza, integrità e oggettività; Authority: riconosciuta dal Board, dalla legislazione e da altri regolamenti; Resources: espresse da un numero adeguato di membri, il contatto con il

management, gli auditor esterni e interni;

Diligence: espressa dagli incentivi, dalla motivazione e dalla perseveranza.

Queste dimensioni rappresentano aspetti differenti e autonomi, che esemplificano i requisiti necessari per ottenere un Comitato che sia effective. In letteratura si è sviluppato un importante confronto in merito alla comprensione del significato delle suddette determinanti, con l’obiettivo di mettere in luce, in base ai risultati di studi empirici, come queste possano essere misurate e correlate alla performance del Comitato controllo e rischi. Nello stesso tempo è necessario precisare che non viene attribuita la stessa rilevanza a tutte queste componenti, in quanto si ritiene che la Composition sia quella che consente di individuare se i membri presentino i requisiti considerati indispensabili ai fini dell’esercizio dell’attività di controllo, rappresentati da indipendenza e professionalità, dei quali viene riconosciuta la rilevanza anche dal punto

16 Kalbers, L.P., & Fogarty, T.J. (1993), “Audit Committee effectiveness: an empirical investigation of the contribution of power.”

17 De Zoort, F.T., Hermanson, D.R., Archambeault, D.S., & Reed, S. A., 2002, “Audit committee effectiveness: A synthesis of the empirical audit committee literature.”

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di vista normativo18. L’integrità e l’oggettività rappresentano invece caratteristiche

attinenti alla sfera personale dei singoli individui e risultano di difficile misurazione, motivo per cui in letteratura si è sviluppato un confronto incentrato sulla professionalità e sull’indipendenza. In particolare Tom Lee e Mary Stone (1997) sostengono che a causa di controlli interni inadeguati e della mancanza di un effettivo monitoraggio interno, si rende ancora più necessario avere come obiettivo quello della misurazione dell’effectiveness dell’Audit Committee. Essi sottolineano che questa efficacia si concretizza in un’ adeguata attribuzione di responsabilità ai singoli membri del Comitato, coerentemente con il loro grado di “expertise”, dando quindi particolare rilevanza alla Composition. Su questa linea di pensiero si collocano anche D.Paul Scarbrough et al. (1998) che mettono in risalto come la determinante della Composition sia fondamentale nel promuovere un adeguato dialogo fra l’Audit Committee e l’Internal Audit, che è possibile solo se i membri del Comitato risultano indipendenti. Quest’ultimo è considerato un presupposto importante affinché si instauri un dialogo costruttivo fra i due organi societari senza possibili influenze degli altri membri del Board19. Secondo Sandra C. Vera-Munoz (2005) affinché l’Audit Committee possa

agire in modo consapevole, vigile e informato, il requisito è avere membri indipendenti e qualificati che dispongano di un’adeguata conoscenza dell’operatività economica della società e dei principali rischi a cui questa è esposta. Quindi professionalità e indipendenza costituiscono gli elementi cardine della Composition con un impatto significativo sulla qualità dell’attività svolta dal Comitato ai fini della costruzione di un “effective Audit Committee”. Obiettivo della presente trattazione è quello di procedere

18 Si veda Capitolo 1, par.1.2 e par 1.3;

19Sulla stessa linea di pensiero si pongono anche Yves Gendron e Jean Bédard (2006) e A. Rahim et al.

(2015) i quali individuano la Composition come una determinante importante della qualità dell’ Audit

Committee, evidenziando come expertise e independence siano requisiti imprescindibili per un miglior

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con un’analisi degli studi empirici che sono stati condotti in merito alla professionalità e all’indipendenza del Comitato. In questo modo sarà possibile comprendere le correlazioni esistenti fra questi due requisiti e la qualità dell’attività svolta dall’ Audit Committee per evidenziare anche le possibili relazioni con la realtà societaria nel suo complesso.

1.5 La professionalità

Il dibattito che si è sviluppato in letteratura in merito al requisito della professionalità, risulta incentrato sull’analisi del contributo che quest’ultima (e in particolare l’aver maturato esperienza in ambito di controlli interni da parte dei singoli membri) possa fornire in termini di effectiveness del Comitato e di miglioramento delle interazioni fra Audit Committee e Internal Audit. L’obiettivo è dunque comprendere, sulla base dell’analisi della letteratura empirica, quali risultati siano stati rilevati in merito alle suddette tematiche, al fine di delineare sia il ruolo che la professionalità riveste ai fini dell’ efficacia dell’attività dell’Audit Committee sia il suo legame con altri aspetti della realtà societaria.

Relativamente al contributo della professionalità in termini di effectiveness, Linda McDaniel et al. (2002), si pongono l’obiettivo di indagare come gli “experts” e i “literates” differiscano nelle loro valutazioni sulla qualità del financial reporting, sostenendo che gli experts svolgano un’attività di oversight maggiormente esaustiva, organica e strutturata rispetto ai literates. La metodologia di ricerca prevede dunque di classificare fra gli experts tutti coloro che hanno avuto esperienza come membri di Audit Committee, o in ambiti affini a questa tipologia di attività, e fra i literates coloro che hanno conseguito un percorso di studi attinente a materie in ambito finanziario, ma

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che non possiedono competenze focalizzate nell’ambito dei controlli interni. Questa metodologia di ricerca si propone quindi di mettere in luce se i diversi background delle due categorie suddette, possano fungere da filtro nella definizione del requisito di professionalità. Sono stati dunque selezionati due gruppi di soggetti, in particolare quello dei financial experts risulta composto da 20 audit managers qualificati come Certified Public Accountants (CPA) e con in media 8 anni di esperienza in ambito accounting, mentre quello dei financial literates comprende 18 soggetti, che hanno recentemente conseguito un Executive MBA che abbia almeno un corso di financial accounting. Ai partecipanti è stato richiesto di svolgere attività di valutazione in termini di reporting quality relativamente ai financial statement di una società operante nel settore tessile e di discutere con gli Internal Auditors della società in merito alla reportistica analizzata. Dall’analisi delle valutazioni effettuate dai due gruppi si evidenziano varie differenze nei giudizi espressi, in particolare gli experts si concentrano su aspetti che risultano essere collettivamente meno noti, ma nello stesso tempo molto ricorrenti nell’operatività aziendale, questo grazie all’esperienza maturata in ambito di monitoring. I literates, al contrario, si focalizzano su problematiche più conosciute anche dalla stampa, ma meno rilevanti ai fini della qualità del reporting. Di conseguenza risulta chiaro che il requisito della professionalità permette di effettuare delle valutazioni e dei controlli più esaustivi relativi alla realtà di business considerata, fornendo un contributo determinante in termini di effectiveness. La suddetta tesi è stata sostenuta precedentemente anche da Dezoort (1998), il quale ha condotto la propria ricerca su un campione di 87 membri di diversi Audit Committee con l’obiettivo di comprendere il contributo che l’esperienza specifica nell’ ambito dei controlli interni possa fornire a livello di effectiveness; in particolare nel presente studio con il termine “experience” si intende il tempo investito in ambiti collegati con mansioni che

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comportino l’assunzione di responsabilità in ambito di oversight. Quello che viene rilevato è che i membri, che non soddisfano questo requisito di esperienza, sono coloro che tendono ad assumere decisioni subottimali, in quanto non possiedono le conoscenze tecniche necessarie per comprendere a livello organico le problematiche presenti e potenziali che dovranno essere affrontate dal Comitato, dimostrando una scarsa attitudine al problem-solving e la mancanza di autonomia decisionale. Viene inoltre sottolineato anche che i membri con oversight experience vantano maggiore autoconsapevolezza riguardo alle migliori metodologie e ai processi da impiegare nell’organizzazione dell’attività di monitoraggio; nello stesso tempo possiedono anche una migliore attitudine al lavoro di squadra, ottenendo maggiore consenso presso gli altri membri del gruppo, in modo da assumere decisioni che siano supportate collettivamente. Questo è motivato anche dal fatto che la collaborazione fra membri, che hanno maturato esperienze affini, porterà necessariamente a raggiungere maggiori punti di incontro rispetto al caso in cui ci sia eterogeneità a livello di conoscenze tecniche in ambito di monitoraggio fra i membri del Comitato.

La conclusione che possiamo trarre è che il concetto di professionalità può essere associato a quello di esperienza e conoscenza tecnica della materia del monitoraggio e dei controlli interni, in quanto i membri dei Comitati controllo e rischi, che posseggono queste caratteristiche, apportano un contributo determinante in termini di effectiveness dell’attività di controllo. Questa considerazione viene avvalorata anche da un’ulteriore attività di ricerca di Dezoort (1997), che consiste in un’indagine condotta presso 500 membri di Comitati controllo e rischi di un campione di 134 società quotate presso la NYSE, l’AMEX e il NASDAQ. L’obiettivo è quello di indagare da una prospettiva interna la percezione che i soggetti intervistati hanno in merito all’importanza e al significato del requisito della professionalità, misurata attraverso l’analisi di una serie di

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parametri rappresentati dalla capacità di riconoscere le proprie responsabilità, dall’opinione dei singoli membri riguardo l’importanza di possedere una sufficiente esperienza in materia di monitoraggio, controllo e accounting e dall’autoconsapevolezza dei singoli soggetti in merito al loro grado di professionalità. I risultati della presente ricerca indicano che alcuni membri rilevano una mancanza di sufficiente esperienza e conoscenza tecnica di ciò che attiene alle materie di auditing, accounting e law, sottolineando il fatto che la componente dell’ experience nell’ambito dell’attività di oversight e di analisi dei financial statement è una determinante fondamentale per valutare la professionalità dei singoli membri, perché il Comitato possa svolgere la propria attività in modo efficace.

Per completare la presente trattazione si rende utile indagare il contributo che l’ expertise possa fornire in termini di miglioramento delle interazioni fra Audit Committee e Internal Audit. Raghunandan et al. (2001) si pongono questo obiettivo sulla base di un’indagine svolta presso gli Chief Internal Auditors di 114 società statunitensi quotate, in particolare la metodologia di ricerca si basa sull’invio di un questionario a ciascuno di questi soggetti in merito alla frequenza e alla qualità degli incontri svolti con gli Audit Committee e al background sia formativo che professionale dei componenti del suddetto Comitato. L’intensità dell’interazione con l’Internal Audit viene misurata dalle seguenti variabili: il numero di incontri svolti in un anno, la lunghezza delle riunioni, il numero di riunioni private fra Audit Committee e Chief Internal Auditor, la revisione completa dell’Internal Auditing Program e dei relativi risultati. Attraverso un’analisi di regressione che evidenzi la correlazione fra il numero di financial expert e le variabili indicate sopra, è stato rilevato che gli Audit Committee che hanno almeno un membro che sia financial expert hanno:

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Incontri di maggiore durata con l’Audit Committee; Maggior numero di riunioni con lo Chief Internal Auditor;

Revisione completa dell’ Internal Auditing Program e dei relativi risultati.

Si può dunque concludere che la presente ricerca fornisce una base empirica che avvalora la necessità di dotarsi di membri dotati del requisito di professionalità all’interno degli Audit Committee, in quanto consente di avere un contributo positivo in termini di efficacia dell’attività svolta dal Comitato, promuovendo una migliore interazione con l’Internal Audit, la quale costituisce una base necessaria per dare un contributo significativo nella revisione delle proposte e dei risultati ottenuti da parte del suddetto organo societario.

1.6 L’ indipendenza

L’indipendenza rappresenta un’altra caratteristica portante della Composition, motivo per cui alcuni studi empirici si sono proposti di indagare quali siano i fattori che influenzano l’incidenza numerica dei membri indipendenti all’interno degli Audit Committee. L’obiettivo della presente trattazione è dunque quello di individuare sia i suddetti fattori, sia le possibili conseguenze che comporta una maggiore incidenza della componente indipendente nei Comitati.

Klein (2002) ha fornito evidenza empirica del fatto che l’indipendenza dell’ Audit Committee è correlata a fattori economici attraverso l’analisi della composizione interna dei Board e dei Comitati di società quotate statunitensi appartenenti allo S&P 500, dalle quali sono state escluse 65 banche e altri intermediari finanziari e 38 compagnie assicurative. Le ipotesi della ricerca si basano sulla constatazione che, considerando che l’ Audit Committee è istituito internamente al Board, le sue caratteristiche dipenderanno

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dalla struttura del Board stesso; di conseguenza Klein ipotizza che l’indipendenza del Comitato sia correlata positivamente con l’indipendenza e la dimensione del Board. Inoltre sulla base di precedenti studi (Hayn, 1995; Lipe et al, 1998; Collins et al, 1999) si rileva che le realtà societarie che hanno avuto perdite consecutive negli anni precedenti richiedono un’attività di controllo meno intensa sul sistema di financial reporting e di conseguenza una minore necessità di membri indipendenti all’interno dell’ Audit Committee. Da questa considerazione deriva la seconda ipotesi, secondo la quale l’indipendenza del Comitato è minore nelle realtà societarie che hanno riportato più perdite consecutive. Stimando dunque, attraverso un’analisi di regressione, la correlazione fra le variabili sopra citate e la percentuale di indipendenza dell’ Audit Committee, viene rilevato che quest’ultima aumenta con la dimensione del Board e con la percentuale di outside directors e diminuisce se sono state rilevate perdite nei due anni precedenti, confermando le ipotesi iniziali. Yin-Hua Yeh et al (2011) attraverso un’analisi delle 20 maggiori istituzioni finanziarie dei paesi appartenenti al G8 nel periodo di crisi finanziaria (2007-2008), rilevano che in questo arco temporale l’incidenza della componente indipendente è stata più elevata nelle imprese con maggiore attitudine al rischio. Si può ipotizzare dunque che, in questo caso specifico, il controllo effettuato dai membri indipendenti dei Comitati controllo e rischi abbia permesso di affrontare in modo più efficace il periodo di credit crunch; in situazioni di patologia finanziaria la componente dell’indipendenza dei membri consente di controllare l’operato del Board, facendo sì che le decisioni prese siano caratterizzate da un grado di rischiosità sostenibile per la realtà societaria esaminata. Tuttavia risulta difficile sostenere che la relazione fra l’incidenza dell’indipendenza e l’attitudine al rischio della singola impresa sia valida in assoluto, in quanto questa evidenza empirica è riferita a un arco temporale con caratteristiche particolari.

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Successivamente ai risultati sopra rilevati, risulta d’interesse comprendere i possibili effetti della maggiore incidenza della componente indipendente all’interno degli Audit Committee, in particolare si rileva una serie di studi con l’obiettivo di indagare se esista una relazione fra l’indipendenza e la performance delle imprese. Bolton (2014) nell’intento di verificare l’efficacia delle previsioni della SOX sui requisiti previsti per gli Audit Committee, rileva che non esista una relazione fra l’indipendenza del Comitato e le performance societarie; risulta significativo riscontrare questa ipotesi dal punto di vista empirico considerando che l’indipendenza è un requisito finalizzato a migliorare l’efficacia dell’attività di oversight dell’ Audit Committee, senza che ci si attenda un legame con la performance, la quale dipende da altri fattori che attengono alla realtà societaria. Sulla stessa linea di pensiero si pongono anche Hayan Zhou et al (2018), i quali, tramite una ricerca effettuata su un campione di società quotate presso la Borsa di Atene fra il 2008 e il 2012, non hanno rilevato la presenza di una relazione fra performance e indipendenza degli Audit Committee.

Altri contributi relativi agli effetti dell’indipendenza, riguardano il ruolo di questa nel prevenire il verificarsi di attività fraudolente all’interno delle realtà societarie. Un primo contributo in questo senso proviene da Beasley (1996), la cui ricerca si pone l’obiettivo di esaminare se la presenza di Audit Committee possa ridurre la probabilità di incorrere nelle suddette attività. Il campione di ricerca è costituito da 75 aziende suddivise fra fraud firm e no-fraud firm, con l’obiettivo di individuare, attraverso un’analisi di regressione, se le aziende non fraudolente siano anche quelle con la presenza di Audit Committee o se, al contrario, non si rilevi questa correlazione.20 I risultati di ricerca mostrano che non esiste una relazione significativa in merito alla tematica esposta,

20 È necessario tener presente che lo studio analizzato è stato pubblicato nel 1997, data in cui non vi era ancora obbligo della SOX di istituire l’ Audit Committee.

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suggerendo che la presenza del Comitato non sia utile ai fini della riduzione della probabilità di attività fraudolente. Questo contributo di ricerca è stato poi approfondito in letteratura, in quanto, mentre lo studio precedentemente analizzato ha avuto come obiettivo l’analisi della presenza dei Comitati controllo e rischi nelle realtà suddette, la successiva ricerca di Abbott et al. (2000) ha come punto di partenza quello di esaminare se l’indipendenza dei membri dell’ Audit Committee riduca l’incorrere in tali pratiche, concentrandosi dunque direttamente sulla valorizzazione della Composition. Dunque si considera come data la presenza del Comitato all’interno delle realtà societarie e si indagano gli effetti dell’indipendenza. Il campione analizzato è costituito da 156 società, fra le quali 78 sono state sanzionate da parte della Securities and Exchange Commission (SEC)21 con riferimento a pratiche fraudolente in ambito finanziario e vengono messe a confronto con le restanti 78 società che non sono state sanzionate, ma che risultano simili per dimensione, settore di attività e mercato di riferimento alle prime citate. Il risultato dell’analisi indica che le società con Audit Committee che hanno una percentuale di incidenza più elevata di amministratori indipendenti e che si riuniscono almeno due volte l’anno, è meno probabile che siano sanzionate dalla SEC, in quanto la percentuale di amministratori indipendenti all’interno dei Comitati controllo e rischi è negativamente correlata con la presenza di attività fraudolente.

Da ciò consegue dunque una valorizzazione dell’indipendenza in termini di effectiveness dell’attività svolta dall’ Audit Committee; questo requisito è infatti funzionale all’esercizio efficace dell’attività di controllo, facendo sì che l’impresa possa trarre beneficio da una maggiore supervisione dell’attività del Board e dei relativi processi decisionali. La presenza di membri indipendenti all’interno del Comitato garantisce che questi agiscano nell’interesse degli stakeholder, tutelandoli da eventuali 21 E’ possibile tenere traccia di questa attività della SEC consultando l’Accounting and Auditing Enforcement Releases (AEERs)

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azioni “scorrette” da parte del Board.

A questo punto della trattazione risulta dunque rilevante riflettere sulle motivazioni che hanno condotto alla formazione di questo organo societario, analizzando nello specifico il modello teorico che giustifica la sua esistenza, ovvero la teoria dell’agenzia.

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2. Secondo capitolo- Le problematiche di agenzia nelle società a proprietà diffusa, familiare e pubblica: il ruolo dell’Audit Committee

2.1 La teoria dell’agenzia: il caso delle Public Companies.

Il dibattito relativo alla Corporate Governance ha avuto un contributo importante con la ricerca di Jensen e Meckling (1976), relativa alla teoria dell’agenzia, la quale formalizza la seguente ipotesi: quando proprietà e controllo non coincidono, si crea un potenziale conflitto di interessi tra i proprietari e i soggetti cui il controllo è demandato. In particolare una relazione di agenzia si definisce come un contratto in base al quale un soggetto (the principal) delega un altro soggetto (the agent) nel perseguimento di obiettivi contrattualmente determinati che devono essere conseguiti nell’interesse del delegante. Se la realizzazione degli obiettivi definiti massimizza l’utilità di entrambe le parti, ci sono buone ragioni per ritenere che l’agente agirà nell’interesse del principale, se invece i suddetti obiettivi massimizzano principalmente l’utilità del delegante, si creano i presupposti per il manifestarsi di un problema di agenzia che può compromettere l’efficienza della relazione principal-agent (Jensen e Meckling, 1976). In particolare quest’ultima ipotesi ha maggiore probabilità di manifestazione considerando che una sola determinazione contrattuale non risulta sufficiente a promuovere i comportamenti desiderati. L’inefficienza della relazione descritta deriva dal fatto che l’opportunismo delle due parti porta a un utilizzo di eventuali asimmetrie informative a proprio vantaggio generando due problematiche: la selezione avversa e l’azzardo morale. La prima si riferisce al comportamento scorretto messo in atto da un soggetto nella fase di stipulazione di un contratto che, in presenza di asimmetria informativa, gli permette di nascondere o manipolare informazioni per ingannare la controparte (opportunismo ex ante). L’azzardo morale invece, o opportunismo ex post,

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si concretizza nel comportamento scorretto messo in atto da un soggetto nell’esecuzione delle sue obbligazioni contrattuali in presenza di asimmetria informativa, a causa della non osservabilità delle azioni, con la conseguente impossibilità di stabilire se le parti abbiano rispettato i termini del contratto. Tutto ciò comporta dei costi, monetari e non, che vengono definiti costi di agenzia e riguardano le seguenti categorie:

Costi di sorveglianza e di incentivazione necessari per orientare il comportamento dell’agente;

Costi di obbligazione sostenuti dall’agente per assicurare il principale che non adotterà comportamenti volti a danneggiarlo e, nel caso, indennizzarlo (per esempio costi di una polizza di assicurazione sulla responsabilità civile);

Una componente residua, rappresentata dal costo opportunità misurato dalla differenza tra il comportamento effettivo dell’agente e quello che teoricamente avrebbe portato alla massimizzazione dell’utilità per il principale.

L’obiettivo che la teoria dell’agenzia si pone è dunque quello di minimizzare i suddetti costi, rendendo maggiormente efficiente la relazione fra principale e agente. Per comprendere come ciò avviene, è necessario sottolineare che l’applicazione alle imprese della teoria dell’agenzia conduce al conflitto classico tra l’azionista, titolare dei diritti di proprietà, e il manager, titolare della gestione, dove gli azionisti, in quanto semplici investitori, tendono a disinteressarsi della gestione diretta dell’impresa, la quale viene affidata a manager professionisti. Di conseguenza le funzioni imprenditoriali di gestione e assunzione del rischio d’impresa sono svolte da distinti agenti economici con interessi diversi e contrapposti; in particolare i proprietari sono interessati al valore di mercato dell’impresa, alla redditività e alla sicurezza degli investimenti, volendo massimizzarne i profitti, mentre i manager hanno interesse alla remunerazione, alla posizione sociale, al prestigio e alla sicurezza del posto di lavoro (Vese, 2015). Questa differenza nelle

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funzioni obiettivo è causa delle inefficienze sopra descritte in quanto gli azionisti non dispongono delle informazioni e delle capacità tecniche necessarie per controllare in modo adeguato il comportamento dei manager, i quali tendono di conseguenza a perseguire i propri interessi in modo discrezionale. Questa separazione fra proprietà e controllo avviene tipicamente nelle società ad azionariato diffuso, dove gli azionisti sono molto numerosi, ma detengono partecipazioni che singolarmente sono di piccola entità per poter avere un’influenza sul controllo dei manager. Inoltre vi è anche una seconda ragione per cui per gli azionisti risulta non conveniente monitorare il comportamento del management, rappresentata dal fatto che l’attività di monitoring è un public good, ovvero se un solo azionista esercita l’attività di controllo necessaria e questa porta a un miglioramento, per esempio, della performance, anche tutti gli altri azionisti ne beneficeranno. Considerando che il monitoraggio rappresenta un costo per chi lo esercita, ogni azionista spererà che gli altri effettuino l’attività di monitoring al suo posto. Tuttavia, considerando che tutti gli azionisti ragioneranno in questo modo, l’attività di monitoraggio non verrà effettuata (Oliver Hart, 1995).

Questa inefficienza della relazione principal-agent porta a una distruzione di valore per l’impresa, di conseguenza risulta necessario porre in atto dei meccanismi che consentano di monitorare la suddetta relazione. In questa prospettiva, il sistema di Corporate Governance può essere definito come l’insieme di strutture e meccanismi finalizzati a disciplinare le relazioni esistenti fra i diversi stakeholder dell’impresa, promuovendo l’assunzione di comportamenti in linea con l’obiettivo di creazione di valore economico da parte di tutti i portatori d’interesse dell’impresa stessa; in particolare, a questo fine, il Board e l’Audit Committee svolgono un ruolo cruciale in merito al monitoraggio dell’operato dei manager per la minimizzazione dei costi di agenzia. Questi organi societari rivestono quindi il ruolo di monitorare eventuali

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comportamenti opportunistici da parte del management, incentivando di conseguenza la massimizzazione del valore dell’impresa.

Un altro meccanismo finalizzato ad allineare gli interessi dei manager a quelli degli azionisti riguarda i meccanismi di incentivazione manageriale, fra i quali assumono rilievo le stock option. Queste sono opzioni call (americane o europee) che conferiscono ai manager il diritto di acquistare le azioni dell’impresa a un dato prezzo (strike price) e vengono conferite gratuitamente, in quanto vanno a costituire una parte variabile della remunerazione del management. L’idea di base è che quest’ultimo dovrebbe essere maggiormente motivato ad agire nell’interesse dell’azienda con il fine di massimizzare la performance in modo da poterne beneficiare tramite l’impatto positivo sui prezzi azionari. Tuttavia le stock option non sempre hanno raggiunto questo obiettivo, in quanto i manager potrebbero essere portati a effettuare manipolazioni contabili che incidano positivamente sull’utile aziendale, in modo da avere un guadagno sulla remunerazione variabile senza impatti positivi in termini di creazione di valore per l’impresa.

2.2 L’ipotesi di Management Entrenchment

La teoria dell’agenzia rappresenta un’occasione di riflessione sulla possibilità che il management non abbia interesse a proteggere gli interessi degli stakeholder, ma possa piuttosto perseguire i propri, assumendo un comportamento di tipo opportunistico, finalizzato all’estrazione di benefici privati. L’ipotesi di management entrenchment descrive questa problematica riferendosi a una casistica specifica, riassunta efficacemente dalla seguente espressione: “Excessive investment in assets complementary to managers’ skills” (Shleifer e Vishny, 1989). È possibile che i

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manager siano incentivati ad investire in progetti definiti “manager-specific”, i quali possono creare valore solamente se gestiti dal manager che li promuove, perché legati a conoscenze e esperienze specifiche di quest’ultimo all’interno della realtà societaria considerata. Questo fa sì che il manager possa rendersi insostituibile, in quanto il singolo progetto non apporterebbe lo stesso valore se gestito da un soggetto alternativo22. Di conseguenza si opta per investimenti “manager-specific”, escludendo alternativi impieghi di risorse, i quali potrebbero massimizzare il valore dell’azienda ex-ante, a prescindere dal manager da cui verranno gestiti, comportando per l’impresa il costo opportunità derivante dall’esclusione di altre alternative di investimento che apporterebbero un valore maggiore nel tempo.

Shleifer e Vishny (1989) descrivono anche un altro strumento che i manager possono utilizzare per creare un legame più stretto con la realtà societaria, ovvero stipulare “manager-specific implicit contracts”, ovvero contratti che sono basati sulla reputazione del manager stesso che li stipula, piuttosto che su quella dell’impresa considerata; di conseguenza il manager, avendo costruito una relazione di fiducia con la controparte, diventa indispensabile per la stipula di accordi con attori che possono essere sia dipendenti dell’impresa, che fornitori e clienti. Per chiarire questo concetto è possibile portare l’esempio dei “valuable employees”, ovvero dipendenti dell’impresa che creano valore attraverso il loro lavoro e che vengono retribuiti meno di quanto si meriterebbero per il contributo che apportano a livello di profitti. Il manager può conquistare la loro

22 Shleifer e Vishny (1989), portano i seguenti esempi per chiarire il concetto descritto: “A secretary, for example, has an incentive to design ways of keeping records or computer files that are very costly for anyone else to figure out. This secretary is using the resources of the employer to become irreplaceable. Similarly, a plant manager can hide details of operations from headquarters, or always be in the middle of a new project that he alone can complete. This manager is entrenching himself by making it costly for any potential replacement to step into his shoes. He benefits by gaining greater job security and more freedom of action”.

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fiducia promettendo aumenti in futuro e bonus per valorizzare il lavoro svolto, di conseguenza i suddetti dipendenti potrebbero maturare l’idea che quello specifico manager sia maggiormente capace di comprendere il loro valore e di gratificarli e stimolarli in futuro, ritenendo che se fosse sostituito dovrebbero sopportare una perdita in termini di valore.

Lo stesso potrebbe accadere anche per i contratti stipulati con fornitori e clienti, i quali, se legati da una relazione di fiducia con il manager, potrebbero decidere di interrompere i rapporti con l’attuale impresa se quest’ultimo venisse sostituito.

Risulta utile dunque chiedersi se esistano meccanismi che possono evitare il verificarsi delle situazioni descritte. Shleifer e Vishny (1989) e successivamente Fan e Wong (2002), sottolineano che il capital rationing rappresenta un’attività utile a questo fine, in quanto finalizzata a determinare il valore dei progetti di investimento proposti dai manager in modo da valutare se rappresentino l’alternativa migliore in termini di creazione di valore. Inoltre può essere anche in questo caso valorizzato il ruolo del Board e dell’ Audit Committee, in quanto attraverso l’attività di monitoraggio dell’operato del management si auspica che sia possibile individuare o prevenire la nascita di queste situazioni di conflitto d’interesse.

2.3 La Stewardship Theory

La teoria dell’agenzia si basa sull’ipotesi che il comportamento manageriale sia di tipo opportunistico e che di conseguenza, come descritto sopra, risulti necessario attuare attività di monitoraggio da parte del Board al fine di allineare gli interessi del management con quelli degli azionisti, volendo impedire ai primi di estrarre benefici privati a discapito della creazione di valore per l’impresa. La suddetta assunzione in

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merito al comportamento dei manager è stata un elemento soggetto a critiche, considerando che, sotto certe condizioni, è possibile che i manager si impegnino per essere buoni amministratori della realtà societaria in cui sono inseriti, con l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo per gli stakeholder. In questo senso, secondo la Stewardship Theory (Donaldson e Davis, 1991), si sostiene che possa esistere un allineamento naturale fra gli interessi di manager e azionisti se i primi non vengono identificati più come soggetti opportunisti, ma come “buoni steward” nei confronti della società. L’ipotesi è che, considerando che il ruolo del manager è quello di realizzare gli obiettivi strategici preposti per l’impresa, il suo interesse è far sì che questi vengano raggiunti, in modo da massimizzare sia l’utilità degli stakeholder sia la propria, in quanto la realizzazione della mission aziendale porta a un accrescimento del prestigio e della reputazione personale del management che è stato parte attiva nel conseguimento dell’obiettivo. Di conseguenza per il manager è più conveniente identificare i propri obiettivi con quelli dell’organizzazione aziendale invece che con i suoi interessi individuali, in quanto in questo modo potrà realizzare una propria crescita professionale che si sviluppi parallelamente alla crescita economica della realtà societaria (Yusoff e Alhaji, 2015). Questo tuttavia non accade sempre, in quanto oltre alla predisposizione psicologica personale dei manager, è necessario che anche il contesto culturale dell’impresa spinga il management ad assumere l’attitudine da “buon steward”. Di conseguenza i proprietari dovranno mettere i manager in condizione di poter sfruttare il proprio potenziale in un contesto stimolante, in cui vi è un clima di collaborazione e di correttezza, nel quale si trasmetta l’idea che il percorso di crescita che conduce l’organizzazione alla realizzazione della propria mission sia volto anche a una valorizzazione dei soggetti che hanno svolto un ruolo chiave nel perseguimento di questo obiettivo. In questo contesto sarà il manager a scegliere di agire da buono

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