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2. Secondo capitolo Le problematiche di agenzia nelle società a proprietà diffusa,

3.2 I modelli “accrual based”

Il termine “accrual” è riferito al risultato dei processi valutativi che, a fine esercizio, vengono effettuati da parte dei manager per far sì che la reportistica finanziaria comprenda costi e ricavi per i quali non vi è stata ancora una manifestazione finanziaria, ma che risultano comunque di competenza dell’esercizio corrente. Queste componenti di costo e ricavo vengono incluse all’interno della reportistica attraverso delle operazioni dunque di “aggiustamento” che consentono di contabilizzare le suddette componenti. Gli “accrual” possono essere sia non discrezionali che discrezionali, nel primo caso si hanno operazioni di aggiustamento che non sono soggette a valutazioni da parte del management, il cui valore dunque è oggettivo e predeterminato, mentre nel secondo, si hanno operazioni che consistono in stime effettuate dai manager, i quali si avvalgono della propria discrezionalità per determinarne il valore. È possibile dunque che quest’ultimi sfruttino le suddette valutazioni discrezionali in modo da influire sul valore degli earning, mostrando agli stakeholder la situazione finanziaria desiderata. Di conseguenza i modelli statistici che si basano su questa distinzione adottano la misura degli accrual discrezionali come proxy della qualità dei redditi, sostenendo che al diminuire della componente discrezionale aumenti l’ earning quality. L’obiettivo dei modelli statistici è dunque quello di quantificare l’entità dei discretionary accrual (DA).

Il modello di Jones (1991) si propone di quantificare i DA partendo dal calcolo degli accrual totali (ACC), i quali vengono stimati attraverso la seguente formula:

ACCit = EBXIit – CFOit

specifico anno t, EBXIit rappresenta il reddito calcolato al lordo delle componenti straordinarie (“earnings before extraordinary items”) e CFOit coincide con i flussi di cassa operativi, i quali rappresentano una componente non soggetta a possibili aggiustamenti in quanto si riferiscono a operazioni che hanno già avuto manifestazione in termini di liquidità.

L’ipotesi di Jones è che all’interno dello stesso settore di attività vi sia omogeneità nel processo di determinazione degli accrual, tuttavia, come esposto di seguito, questo sarà un aspetto soggetto a critiche sulla validità del modello stesso.

Il passaggio successivo prevede di applicare il seguente modello di regressione multivariata, dove gli accrual sono considerati funzione di variabili che riflettono le specificità del business dell’impresa, ovvero i ricavi e le immobilizzazioni materiali:

𝐴𝐶𝐶 𝑇𝐴 = 𝛼 + 𝑎 1 𝑇𝐴 + 𝑎 ∆𝑅𝐸𝑉 𝑇𝐴 + 𝑎 𝑃𝑃𝐸 𝑇𝐴 Dove:

𝑇𝐴 = totale dell’attivo nell’anno precedente a quello considerato30;

∆𝑅𝐸𝑉 = variazione dei ricavi intervenuta fra gli esercizi t e t-1;

𝑃𝑃𝐸 = ammontare delle immobilizzazioni materiali (al netto degli ammortamenti).

È possibile dunque calcolare in questo modo i coefficienti di regressione, i quali rappresentano la relazione fra gli ACCit e le variabili esplicative. A seguito di ciò si determina l’ammontare degli accrual non discrezionali (NDA):

30 È necessario specificare che tutte le variabili considerate sono divise per il totale dell’attivo in modo da neutralizzare eventuali differenze di valore dovute a società con scale dimensionali diverse.

𝑁𝐷𝐴 = 𝛼 + 𝑎 1 𝑇𝐴 + 𝑎 ∆𝑅𝐸𝑉 𝑇𝐴 + 𝑎 𝑃𝑃𝐸 𝑇𝐴

A questo punto è possibile quantificare il valore degli accrual discrezionali come differenza fra ACCit e NDAit, ottenendo così la proxy della qualità del reddito risultante dalla reportistica finanziaria della società considerata.

Uno dei punti deboli di questa metodologia è che i ricavi totali vengono considerati come una componente non soggetta a manipolazioni da parte del management, in quanto vengono utilizzati come dati. Per risolvere questa problematica, Dechow et al. (1995) si propongono di modificare il modello di Jones aggiustando i ricavi attraverso la variazione dei crediti commerciali, i quali, rappresentando potenziali ricavi futuri che non hanno ancora avuto manifestazione sotto forma di flussi di cassa, sono frequentemente oggetto di manipolazione da parte del management (Dechov et al., 2010). In questo modo è dunque possibile conferire maggiore significatività al modello di Jones, in quanto la componente dei ricavi viene considerata come soggetta a valutazioni discrezionali. I NDA vengono dunque determinati attraverso la seguente espressione: 𝑁𝐷𝐴 = 𝛼 + 𝑎 1 𝑇𝐴 + 𝑎 ∆𝑅𝐸𝑉 − ∆𝑅𝐸𝐶 𝑇𝐴 + 𝑎 𝑃𝑃𝐸 𝑇𝐴

Dove ∆𝑅𝐸𝐶 rappresenta la variazione dei crediti commerciali rispetto all’esercizio precedente. Il suddetto modello è stato denominato come “Modified Jones Model”.

Nonostante dunque attraverso il “Modified Jones Model” si risolva uno dei limiti del modello originario, è necessario rilevare comunque le ulteriori criticità che il suddetto modello presenta. In particolare Jackson (2018) argomenta la questione evidenziando due problematiche definite come “impact of peer firms” e “magnitude of discretionary

accruals”. La prima fa riferimento all’assunzione di omogeneità e stazionarietà del processo di determinazione degli accrual fra imprese appartenenti allo stesso settore; in particolare Jackson sottolinea che ciò non sempre si verifica, in quanto anche all’interno della stessa industry è possibile che le realtà societarie attuino strategie di business diverse o che sperimentino shock idiosincratici dovuti a divergenze nei valori dei Fondamentali. Di conseguenza si rileveranno delle differenze nei processi di determinazione degli accrual non dovute a pratiche di earning management, ma alla specificità della singola realtà societaria. Da ciò consegue che assumere omogeneità nella determinazione degli accrual fra imprese dello stesso settore potrebbe portare a una non corretta interpretazione dei risultati, in quanto si rischierebbe di ipotizzare l’esistenza di politiche di earning management in casi in cui la variazione del valore degli accrual è semplicemente motivata dalle specificità della singola impresa. Ciò che viene criticato dunque non è la modalità di determinazione degli accrual, ma piuttosto come queste misure vengono poi interpretate; infatti si otterrebbero conclusioni condivisibili se il valore degli accrual discrezionali venisse interpretato come una misura dello scostamento degli accrual dell’impresa rispetto alla media del settore. Il fatto che invece il suddetto scostamento sia indicativo dell’esistenza di politiche di earning management non risulta condivisibile, in quanto è possibile che esistano dei “firm effects” che influenzano il valore degli accrual discrezionali, facendo sì che questi ultimi non costituiscano una misura adeguata di attività di earning management. Inoltre, relativamente al secondo punto, Jackson sottolinea che se si rapporta il valore degli accrual discrezionali a quello del ROA, si ottiene una misura della percentuale di redditi che è stata generata tramite gli accrual stessi; in particolare, analizzando lo studio di Jones, il suddetto indice rileva che più della metà degli earnings delle società analizzate sono stati oggetto di attività di earning management. Quest’ultimo risultato non può

dunque essere considerato economicamente ragionevole considerando il ruolo svolto dagli Auditors, volto a verificare il processo di redazione dei financial statement e di determinazione dei redditi.

Le suddette criticità rimangono dunque una questione aperta e permettono di analizzare i risultati dell’applicazione del modello di Jones con la consapevolezza dei limiti che quest’ultimo comporta.

Risulta infine d’interesse menzionare anche il modello di Dechow e Dichev (2002), i quali definiscono gli accrual in funzione della variazione dei cash flow relativa all’esercizio precedente, a quello attuale e dell’anno successivo. Ciò è motivato dal fatto che, considerando che gli accrual costituiscono un’anticipazione di future entrate o uscite di liquidità, è possibile rilevare attività di earning management se si riscontrano delle anomalie nella tempistica con cui i cash flow si traducono in ricavi. In particolare gli autori si focalizzano sui flussi di cassa relativi al capitale circolante netto, senza rilevare invece possibili attività di earning management relative a un arco temporale di medio-lungo termine, questo costituisce dunque un limite del modello analizzato.

La relazione utilizzata è la seguente:

∆𝑊𝐶 = 𝛽 𝐶𝐹𝑂 + 𝛽 𝐶𝐹𝑂 + 𝛽 𝐶𝐹𝑂 + 𝜀

Dove ∆𝑊𝐶 rappresenta la variazione di capitale circolante e le variabili esplicative sono costituite dai flussi di cassa dei tre periodi. La deviazione standard della componente residuale del modello è la proxy utilizzata per la misura della qualità del reddito. Gli autori rilevano che le società che hanno deviazioni standard delle componenti residuali elevate hanno earnings meno stabili e flussi di cassa e accrual più volatili, in particolare queste società sono tipicamente di dimensioni ridotte e hanno più probabilità di

riportare perdite. I risultati ottenuti dall’applicazione del modello suggeriscono che le realtà societarie che hanno le caratteristiche sopra descritte presentano una componente di errore maggiormente elevata nella determinazione degli accrual e di conseguenza una minore qualità dei redditi.