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La tutela brevettuale internazionale alla luce del TRIPS

CAPITOLO 3: I L WTO E LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

3.4 PROPRIETÀ INTELLETTUALE E GLOBALIZZAZIONE

3.4.5 La tutela brevettuale internazionale alla luce del TRIPS

diritto si estingue, per concludere analizziamo i limiti alla tutela

brevettuale. Queste limitazioni, il cui inserimento nell’Accordo TRIPS

è stato voluto prevalentemente dai Paesi in via di sviluppo, sono state regolate dal legislatore internazionale per poter soddisfare interessi pubblici.

Una prima limitazione ha come scopo impedire che l’incentivo a raggiungere risultati innovativi (grazie al sistema brevettuale) porti la collettività a produrre invenzioni contrarie all’ordine pubblico o alla morale corrente, o comunque dannose per la vita, la salute e l’ambiente. L’impulso ad inventare, dato anche dalla possibilità di ottenere un brevetto, deve stimolare l’uomo a creare un qualcosa di innovativo che sia utile alla collettività, e non dannoso.

Come seconda limitazione vi è l’esigenza, in alcuni casi, di permettere l’utilizzo dell’invenzione brevettata da parte di soggetti terzi che non

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siano il solo titolare della privativa. Ci riferiamo ad esempio a ragioni di interesse scientifico, farmaceutico o didattico, o quando si presentino circostanze eccezionali e di rilevante urgenza. L’introduzione di tali limiti permette la compressione e l’indebolimento dei diritti monopolistici del proprietario del brevetto, nella maggior parte dei casi residente in uno stato industrializzato. Le finalità possono essere varie, come ad esempio scoraggiare attività nocive, rimuovere ulteriormente le barriere al commercio internazionale delle merci e preservare la salute delle popolazioni160.

E’ proprio riguardo alla tutela della salute e ai limiti di brevettabilità imposti ai farmaci, che vogliamo ricordare una recente vicenda che ha coinvolto il colosso farmaceutico svizzero Novartis ed il governo indiano.

Il contraddittorio sulla produzione di farmaci generici in India risale almeno al 1970, cioè al momento in cui il Paese ha eliminato i brevetti sui medicinali. Tale scelta ha dato impulso all’industria indiana del farmaco, che in questo modo è riuscita a produrre medicinali a basso costo sia per il vasto mercato interno che per un altrettanto vasto mercato internazionale. Questo però ha dato origine ad una dura polemica commerciale.

Un esempio eclatante è il contrasto fra l’impresa svizzera Novartis e l’India, nato alla scadenza del brevetto di un farmaco, di nome commerciale Glivec, utilizzato nella cura di alcune forme di tumore. Questo farmaco ha due caratteristiche che lo rendono per certi versi rivoluzionario e indispensabile: è meno invasivo delle classiche terapie antitumorali (rappresenta una delle forme più moderne di chemioterapia) e ha funzionato su moltissimi casi presi in esame. Un’altra caratteristica del prodotto, che in questo caso è importante evidenziare, è il suo prezzo molto elevato. Prezzo giustificato dal fatto

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che il farmaco era costato a Novartis molti milioni di dollari per il suo sviluppo.

Per un Paese, come l’India, che ha ampie fasce di popolazione al di sotto della soglia di povertà ed un’assistenza sanitaria non sviluppata, il costo, e quindi la disponibilità effettiva, di un farmaco ha effetti significativi sulla salute della popolazione.

Nel 2006 l’industria indiana ha iniziato un processo di fabbricazione interno del farmaco per poi commercializzarlo ad un prezzo inferiore di quello di mercato. L’obiettivo era abbattere i costi troppo alti necessari per la cura della popolazione. Il costo sul mercato internazionale per l’uso del medicinale è circa 2000 euro al mese, dovendo Novartis trarre un profitto rispetto al grande costo fisso della ricerca e dello sviluppo, mentre la sua versione generica, prodotta dall’industria indiana, consente la terapia al costo di appena 100 euro al mese, dovendo far fronte soltanto a costi variabili per la produzione del farmaco.

La questione concreta verteva su un punto complesso, che fa riflettere sulle effettive innovazioni dell’industria farmaceutica. Se un’impresa ha un prodotto efficace in vendita esclusiva, allo scadere del brevetto questo può essere riprodotto e venduto da qualsiasi altra azienda; se, però, l’impresa modifica leggermente il farmaco iniziale, dimostrando che la modifica apporta miglioramenti ed un aumento di efficacia, il brevetto può essere rinnovato. Tale modifica consente all’impresa titolare del brevetto di continuare a far valere l’esclusiva. E’ chiaro però che si tratta di una strategia commerciale che si presta a facili abusi. La Novartis, allo scadere del brevetto, aveva leggermente modificato la composizione del farmaco, ottenendo così una molecola più efficace e sicura. Le industrie indiane, nel frattempo, avevano iniziato a produrlo autonomamente ed a venderlo a prezzo inferiore. La Novartis ha chiesto che fosse rispettato il diritto di proprietà, invocando anzitutto la regolamentazione in tema di “modifica del prodotto iniziale”. Dopo

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anni di interventi giudiziari fatti di documenti, ricorsi e perizie, il problema si è spostato anche sul piano politico e sociale.161

Una vittoria della Novartis avrebbe fatto entrare in crisi gran parte della popolazione indiana, creando un precedente fortissimo e rafforzando il potere economico di un’azienda che non ne ha certo bisogno. Una vittoria dello Stato indiano invece, avrebbe avuto un forte impatto economico ma anche simbolico. Nella sentenza finale del 1° aprile 2013, l’Alta Corte indiana ha negato alla Novartis l’esclusività della produzione del Glivec, che può continuare ad essere prodotto anche dall’industria nazionale indiana. E’ chiaro che, a questo punto, è più conveniente l’acquisto del prodotto dalle imprese interne.

Non è semplice dare un giudizio di merito riguardo alla sentenza, ma sicuramente si tratta di un evento significativo per le industrie del farmaco nei paesi più sviluppati, spesso titolari di innovazioni date le loro maggiori possibilità di progresso scientifico ed economico. L’effetto più significativo della sentenza è di contrastare la prassi ormai diffusa delle imprese farmaceutiche di apportare piccole revisioni ad un prodotto già noto da tempo, cambiandone solo marginalmente le caratteristiche. Gli effetti e la validità del prodotto restano praticamente identici ma una semplice modifica, avendo valore giuridico, permette alle aziende di rendere “innovativi” farmaci che in realtà hanno già goduto della normale tutela brevettuale. Nel caso in questione, l’Alta Corte indiana ha evidentemente ritenuto che questo tipo di comportamento non meriti tutela nell’ambito della legittima protezione della proprietà intellettuale.

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CONCLUSIONI

Sebbene resti difficile e complesso determinare una verità assoluta e definitiva rispetto alla globalizzazione economica e sociale, questo lavoro offre diversi spunti di riflessione per analizzare più approfonditamente la questione, al fine di costruirsi un’opinione informata sui vantaggi e svantaggi che il maggiore fenomeno dei nostri tempi ha apportato.

E’ evidente, ad esempio, come in seguito al fenomeno della globalizzazione, soprattutto nella seconda parte del XX secolo, molti paesi in via di sviluppo abbiano raggiunto tenori e condizioni di vita difficilmente auspicabili fino a poco tempo prima. Le differenze tra i singoli stati, tra i continenti, tra il Nord ed il Sud del mondo, si sono notevolmente affievolite ed il gap culturale è stato ridotto grazie alla possibilità di viaggiare e muoversi con facilità. Basti pensare alla diffusione delle lingue straniere ed il livello di conoscenza di esse, un enorme passo avanti sia in termini di comunicazione che di scambio socio-culturale. Tutto ciò ha contribuito ad una maggiore integrazione sociale, con l’immediata riduzione dei conflitti e degli scontri. Alcune città rappresentano oggi un vero e proprio specchio della globalizzazione: l’unione urbana di usi, costumi e religioni differenti che, ogni giorno, si avvicinano maggiormente. Organismi come l’Unione Europea, inoltre, hanno letteralmente anticipato il concetto stesso di globalizzazione, delineandone valori e punti fondamentali. Ponendosi come ente sovranazionale che coordina e regola i mercati, infatti, l’UE consente alle singole economie interne di prosperare, favorendone lo sviluppo e la crescita.

Un altro grande vantaggio della globalizzazione consiste nell’evidente aumento delle libertà personali. E’ ormai universalmente accettato e riconosciuto, infatti, che i mercati aperti e l’economia libera rappresentino la base della libertà individuale. Cadono le dogane, i dazi,

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i limiti e si aprono nuovi confini: questo è il concetto base della globalizzazione, questa è la vera apertura del mercato. I lavoratori possono muoversi con libertà tra le varie frontiere, creando nuove opportunità di business e aggiornandosi con continuità. I paesi liberi si alimentano a vicenda in termini di idee, modelli di crescita e creatività, permettendo lo svilupparsi di una meritocrazia professionale che spesso può riuscire a creare ricchezza anche dal basso. Tali condizioni hanno permesso alle imprese, inseguendo il profitto, di riuscire a produrre gli stessi prodotti di prima con maggior efficienza, grazie al processo di delocalizzazione che permette alle stesse di assemblare un prodotto fuori del paese in cui è stato progettato.

Citando però solo alcuni degli innumerevoli miglioramenti apportati dall’apertura al commercio internazionale, sento la necessità di aggiungere che la globalizzazione, per ritenersi vantaggiosa, debba sottostare a determinate condizioni. I pareri dei più noti economisti sono spesso discordanti sull’argomento e non è semplice dare delle risposte definitive, né tantomeno soluzioni. Significativa al riguardo è la teoria esposta da Dani Rodrik riguardo alla cosiddetta globalizzazione intelligente. Egli, nell’omonimo libro, definisce il trilemma, ovvero l’impossibilità di perseguire contemporaneamente democrazia, autodeterminazione nazionale e globalizzazione economica. La stessa globalizzazione viene definita da Rodrik dirompente e distruttiva, perché crea automaticamente vincitori e vinti. Le società democratiche sarebbero, secondo questa tesi, capaci di tollerare questa distruzione creativa solo se in grado di garantire benefici condivisi. Nessun paese, tuttavia, rinuncerebbe mai alla sovranità nazionale ed alla possibilità di gestire l’economia secondo i propri interessi: ne sono un chiaro esempio Stati Uniti, Cina, India e altri colossi internazionali. Un labirintico paradosso che rende la globalizzazione un fenomeno ancora da limare e migliorare, affinché i suoi effetti possano essere giudicati indiscutibilmente positivi.

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L’economista turco individua così una strada percorribile: la già citata globalizzazione intelligente, in cui democrazia e determinazione nazionale dovrebbero imporsi sulla globalizzazione senza limiti, proteggendo così i delicati sistemi sociali dei singoli Stati. Restituire potere e vigore alle democrazie nazionali, sostiene ancora Rodrik, garantirebbe impulso e basi più solide per l’economia mondiale. La strada individuata è dunque quella che conduce ad una globalizzazione non estrema, bensì razionale e ponderata.

A parere di chi scrive, tuttavia, non va trascurata una maggior attenzione agli interessi extra-territoriali delle singole nazioni. Essa garantirebbe un modello di globalizzazione produttivo ed efficace, sia per i Paesi in via di sviluppo che per le grandi potenze occidentali. Da un lato, infatti, i primi hanno indubbiamente approfittato delle ingenti spese in ricerca e sviluppo compiute dai paesi avanzati per raggiungere obiettivi tecnologici ed economici inizialmente non alla loro portata. Esemplare al riguardo è la questione dei plagi e sfruttamenti di segreti industriali, analizzata in questo elaborato. Quanto ai paesi ricchi, essi, sfruttando i bassi costi di manodopera, hanno tratto enormi vantaggi finanziari a discapito delle economie più fragili.

La maggior parte degli economisti ha trascurato i problemi e gli svantaggi che la globalizzazione può avere, se non regolata, giudicandola spesso come positiva a prescindere. I problemi però erano destinati ad emergere. Quando ciò è accaduto, senza che fossero preannunciati, la popolazione nei vari paesi ha perso fiducia nell’apertura dei mercati. Questo ha permesso l’ascesa delle recenti correnti populiste che si stanno affermando nel panorama politico globale. Un’ascesa a mio parere distante dalla realtà odierna che racconta di un mondo globalizzato ed ormai unico come il nostro.

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