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Vantaggi e svantaggi della Globalizzazione: Dani Rodrik e Jagdish Bhagwati a confronto

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TITOLO TESI:

Vantaggi e svantaggi della globalizzazione:

Dani Rodrik e Jagdish Bhagwati

a confronto

Candidato:

Relatore:

Lorenzo Martini

Prof.Nicola Giocoli

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INDICE

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1: TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE 1.1 LA NASCITA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE 7

1.2 LA TEORIA DI RICARDO: IL VANTAGGIO COMPARATO 9

1.3 LA TEORIA DI HECKSCHER-OHLIN 19

1.4 EFFETTI E LIMITI DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE 26

1.4.1 Il modello a fattori specifici 28

1.4.2 Benefici derivanti da scambio e specializzazione 30

1.5 LE NUOVE TEORIE 35

1.6 COMMERCIO INTERNAZIONALE E PROTEZIONISMO: DUE VISIONI OPPOSTE 40

1.6.1 Il protezionismo in azione: “Il caso Huawei” 46

CAPITOLO 2: IL DIBATTITO SULLA GLOBALIZZAZIONE 2.1 RODRIK E BHAGWATI ANALIZZANO IL LIBERO SCAMBIO 50

2.1.1 Avverso il commercio internazionale: il protezionismo 53

2.1.2 Commercio e governi 55

2.1.3 I vantaggi comparati 56

2.1.4 Pro commercio… ma con qualche precisazione 61

2.2 RODRIK E LA FALLACIA DEL LIBERO SCAMBIO 62

2.2.1 Il rompicapo della globalizzazione 65

2.2.2 Il trilemma per una globalizzazione sostenibile 66

2.3 BHAGWATI: ELOGIO DELLA GLOBALIZZAZIONE 73

2.3.1 ll volto umano della globalizzazione 74

2.4 ASPETTI PROBLEMATICI DELLA GLOBALIZZAZIONE 77

2.4.1 Disparità sociali e sfruttamento ambientale 83

2.4.2 Globalizzazione dei media e delocalizzazione 88

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2.4.4 Globalizzazione e dispersione salariale 96 CAPITOLO 3: IL WTO E LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE 3.1 EVOLUZIONE DAL GATT AL WTO 100

3.1.1 Le clausole di nazione più favorita e di trattamento

nazionale 106 3.2 LO STATUTO DEL WTO 108 3.2.1 Gli organi di vertice del WTO 110 3.2.2 Attività del WTO e risoluzione delle controversie 112 3.2.3 Regolazione del commercio internazionale 115 3.3 IL DUMPING 118

3.3.1 Definizione e tipologie di dumping 118 3.3.2 Misure e inchieste antidumping nei rapporti globali 121 3.3.3 L’applicazione delle misure antidumping 126 3.4 PROPRIETÀ INTELLETTUALE E GLOBALIZZAZIONE 130 3.4.1 L’integrazione della proprietà intellettuale nel GATT 130 3.4.2 Gli accordi TRIPS 135 3.4.3 Perché è importante la tutela brevettuale 137 3.4.4 Requisiti di brevettabilità 139 3.4.5 La tutela brevettuale internazionale alla luce del TRIPS 143 CONCLUSIONI 147 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 150 SITOGRAFIA 153

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INTRODUZIONE

Alla base di questo studio vi è il dibattito che riguarda la globalizzazione. La scelta non poteva vertere su tematica più attuale. Il mondo in cui viviamo, ed in particolare la nazione che abitiamo, si caratterizza per una spinta all’apertura dei commerci, accompagnata dal timore dei danni che possano derivarne al mercato interno. Da questa ambivalenza tra apertura e paura nasce e si sviluppa questo lavoro. Il percorso che ha condotto alla globalizzazione, e che oggi osserviamo, non è stato accolto da favore unanime, bensì è stato motivo di un forte dibattito teorico. Se da un lato, infatti, i sostenitori del libero scambio hanno individuato nella globalizzazione la chiave della prosperità economica, dall’altro i suoi detrattori hanno messo in luce come la stessa possa essere la causa delle disparità economiche nel mondo. Questa divisione è ben rappresentata dalla posizione di due autorevoli economisti, Dani Rodrik e Jagdish Bhagwati, che rappresentano l’una e l’altra corrente di pensiero.

Questo lavoro si sviluppa su tre capitoli. Il primo si concentra sulla lettura economica del commercio internazionale, attraverso una rassegna delle principali teorie volte a spiegare il modello delle politiche che hanno dato attuazione al libero scambio tra i paesi del mondo. In particolare, analizzeremo la teoria di Ricardo dei vantaggi comparati, quella di Heckscher-Ohlin sulla diversità nei fattori produttivi dei paesi e la teoria standard moderna elaborata da diversi autori contemporanei. Alla base di queste teorie vi è il concetto di vantaggio comparato, secondo cui i paesi, specializzandosi nella produzione ed esportazione di beni appartenenti a determinati settori, risultano più efficienti in un equilibrio perfetto di allocazione delle risorse, creando ricchezza e benessere. Se queste teorie spiegano il commercio inter-industriale, vedremo come le nuove teorie del libero scambio, elaborate recentemente, abbandonando la concorrenza

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perfetta, si caratterizzino per la presenza di beni differenziati appartenenti alla stessa impresa o gruppo di imprese. Questo capitolo introduttivo sul commercio internazionale non può evitare di considerare il rapporto tra il libero scambio e le teorie protezionistiche, intese queste ultime come metodi economici indirizzati alla restrizione dei commerci e volti a tutelare i mercati interni messi in pericolo dalla loro apertura.

Il secondo capitolo, che vuole essere il fulcro di questo lavoro, ospiterà il confronto tra due economisti esponenti dell’uno e dell’altro modo di pensare riguardo al commercio internazionale. Dani Rodrik rappresenta, pur da posizioni complessivamente ortodosse, un autore più che mai scettico riguardo alla globalizzazione come evento positivo per tutti. Rodrik sottolinea le disparità economico-sociali che si creano, in particolar modo a scapito dei paesi più poveri e svantaggiati. Non solo. E’ di rilevante importanza per questo studio il fatto che Rodrik sia particolarmente critico quando introduce il suo “trilemma”, inevitabile situazione in cui, dall’avvento della globalizzazione, si vengono a trovare tutte le nazioni, costrette in un triangolo tra sovranità, globalizzazione e democrazia dal quale è impossibile uscire. Jagdish Bhagwati, invece, è il campione della posizione a favore della globalizzazione. Egli sostiene che tale fenomeno porti, inevitabilmente, vantaggi per tutti, e che nonostante le disparità o gli svantaggi nel breve periodo, nel lungo periodo tutti ne trarranno beneficio. L’ ambizione del secondo capitolo è giungere, attraverso il confronto delle idee di questi grandi economisti, ad una risposta riguardo l’efficacia e l’efficienza della globalizzazione, per comprenderne gli effetti positivi e gli eventuali limiti.

In ultimo, oggetto del terzo capitolo è la riflessione sull’unico organismo sovranazionale per ora in grado di regolare i rapporti commerciali tra gli stati e delegato a risolverne le controversie: l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Queste pagine

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vogliono essere un approfondimento critico sull’esistenza di una sola istituzione in grado di fornire mezzi efficaci per raggiungere un’ efficiente collaborazione tra stati. Il capitolo intende anche introdurre dei focus riguardanti tematiche particolarmente attuali che richiedono l’ intervento dello stesso WTO, quali il dumping e la tutela della proprietà intellettuale in riferimento ai brevetti ed alla guerra tecnologica tra Occidente e Oriente, problema che proprio in questo periodo sta dominando la scena mondiale.

All’inizio di questo elaborato non siamo in grado di sapere se le nostre domande troveranno risposte e se questi interrogativi saranno soddisfatti. Rimandiamo pertanto alle conclusioni per risolvere il dibattito che prenderà forma nelle prossime pagine.

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CAPITOLO 1: TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

1.1 La nascita del commercio Internazionale

Il “commercio internazionale” rappresenta il complesso degli scambi di beni e servizi tra i diversi paesi. La teoria economica oggetto di questo capitolo ha come obiettivo comprendere il volume, le motivazioni e la struttura del commercio internazionale, i vantaggi di un’economia aperta oltre i confini nazionali, la specializzazione dei paesi, oltre alle misure ed alle conseguenze di tale politica commerciale.

I primi studiosi che affrontarono in modo sistematico le peculiarità del commercio internazionale furono gli economisti classici. In particolare, Adam Smith nella sua opera del 1776, Ricchezza delle Nazioni, definita come pilastro della moderna teoria economica del mercato. Fino a quel momento, ossia prima dell’arrivo del liberalismo classico nel secolo diciottesimo, il commercio internazionale veniva individuato come

mercantilismo. Questo sistema nel continente europeo veniva

caratterizzato da una stringente regolamentazione delle importazioni e delle esportazioni. I sostenitori del mercantilismo ritenevano che, affinché un paese si arricchisse, dovessero essere stimolate il più possibile le esportazioni e scoraggiate le importazioni, convertendo il surplus commerciale nell’acquisto di oro e argento, il quale avrebbe aumentato la potenza nazionale dei monarchi. Gli stessi mercantilisti sostenevano il nazionalismo economico, convinti che gli interessi nazionali fossero in conflitto reciproco e che un paese potesse arricchirsi negli scambi a spese degli altri paesi. Oltre a questo, promuovendo le esportazioni, il governo poteva favorire la produzione nazionale e l’occupazione interna1.

In questo contesto di controllo ferreo da parte del governo, sullo svolgimento dell’attività economica, Smith sviluppa la sua teoria sul

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7

liberalismo classico2. Il pensiero di Smith era legato al successo del libero scambio fondato sul principio del vantaggio assoluto.

Ritendendo il lavoro come unico fattore produttivo, un vantaggio assoluto è definito come la capacità di un paese di produrre un bene impiegando meno lavoro per unità prodotta, cioè ad un costo di produzione minore rispetto ad un altro paese3. Attraverso la specializzazione ed esportando beni che fanno parte del settore in cui si ha un vantaggio assoluto, e importando beni per la cui produzione si ha uno svantaggio assoluto, tutti avranno beneficio dal libero scambio. Le risorse sono impiegate in modo efficiente e la produzione di entrambi i beni aumenterà.

Questo aumento della produzione rispecchia il beneficio derivante dalla specializzazione, che sarà distribuito poi tra i paesi mediante scambio4.

Ciò nonostante, in una condizione in cui un paese ha vantaggio assoluto nella produzione di tutti i beni rispetto alla sua controparte, secondo Smith, non ci sarebbe stata possibilità di commercio internazionale vantaggioso per entrambi.

Questa situazione fu invece esaminata dall’economista David Ricardo nella sua “teoria sui costi comparati”, apportando così nuovi sviluppi alla teoria del commercio internazionale. Adesso possiamo riconoscere tre modelli teorici principali del commercio internazionale.5

La prima è la teoria classica di Ricardo, che pone come “conditio sine qua non” per lo scambio internazionale la differenza nelle tecnologie. La seconda è la teoria neoclassica di Heckscher-Ohlin, fondata sulle differenze delle dotazioni dei fattori produttivi. La terza è la teoria studiata da numerosi autori moderni, che tiene conto simultaneamente

2 Scambi reciprocamente favorevoli sono possibili e per fare in modo che due paesi

siano disposti volontariamente a fare tali scambi, entrambi devono ottenere dei benefici. Salvatore, op. cit., pag. 39

3 Mankiw e Taylor, Manuale di economia politica, pag. 377 4 Salvatore, op. cit., pag. 39

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8

delle differenze tecnologiche, delle differenze delle dotazioni dei fattori produttivi e delle differenze dei gusti.

Più attuali sono le nuove teorie del commercio internazionale, dove vengono abbandonate le ipotesi di concorrenza perfetta e/o omogeneità dei prodotti sostenute dagli autori classici. Come novità, danno una spiegazione del commercio intra-industriale, cioè la simultanea importazione ed esportazione di prodotti appartenenti alla stessa industria, diversamente dalle teorie tradizionali che trattano del commercio interindustriale, ossia lo scambio di prodotti diversi tra due paesi6.

Tali teorie, diverse tra loro, partono dall’analisi dell’economia in condizioni di autarchia. Successivamente, l’analisi si concentra sull’economia caratterizzata da libero scambio spiegando gli effetti e i benefici che il commercio internazionale può apportare.

1.2 La teoria di Ricardo: il vantaggio comparato

La teoria dei vantaggi comparati di David Ricardo, evidenzia come due paesi possono conseguire un beneficio specializzandosi nella produzione e nell’esportazione del bene nel quale godono di un vantaggio comparato7 .

Tale teoria, sostiene che lo strumento fondamentale, affinché possa esistere e funzionare in modo efficiente il commercio internazionale, sia la “tecnologia”. A spingere i paesi a commerciare tra loro è la possibilità di trarre beneficio dalle differenze nella tecnologia, ossia nelle tecniche di produzione.

Avere un vantaggio comparato per un paese, secondo Ricardo, significa avere una tecnologia8 più efficiente nella produzione di un bene rispetto

6 Salvatore, op. cit., pag. 33 7 Salvatore, op. cit., pag. 33

8 Con la parola tecnologia intendiamo l’uso combinato di diverse discipline – dalle

più astratte come la matematica alle più pratiche come quelle ingegneristiche – utilizzate per rendere più efficiente ed economica possibile la produzione di nuovi beni e strumenti. Enciclopedia Treccani

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ad un altro paese. Dovrà realizzare quei beni che sa produrre relativamente meglio e a costi più bassi, beni per i quali possiede dunque una tecnologia più avanzata.

La circostanza necessaria affinché ci possa essere uno scambio internazionale è che ci sia una differenza tra i costi comparati. Il costo

comparato9 possiamo spiegarlo in due modi; sia come il rapporto tra i

costi unitari assoluti delle due merci nel medesimo paese, sia come il rapporto tra i costi unitari assoluti dello stesso bene nei due paesi10. Per comprendere in modo più approfondito questo concetto è possibile accostare il termine di vantaggio comparato a quello di costo-opportunità, ossia quanto vale la migliore alternativa a cui rinunciamo nel momento in cui prendiamo una scelta economica. Il vantaggio comparato di un paese ci sarà quando il costo-opportunità per la realizzazione di un bene sarà inferiore rispetto ad un altro.11

La differenza dei costi comparati fa in modo che ogni paese possa decidere di specializzarsi nella produzione del bene per il quale ha un vantaggio comparato. Si presenta così la possibilità di riorganizzare a livello internazionale la produzione, in modo che sia vantaggiosa per entrambi i paesi. Tale sistemazione accresce la quantità della produzione mondiale e, mediante il commercio internazionale, sarà possibile migliorare il tenore di vita di tutta la popolazione.

Il commercio tra due paesi si realizzerà se questo porterà vantaggio a entrambi e affinché i paesi possano ottenerne beneficio, dovranno esportare i beni con i quali hanno un vantaggio comparato12.

9 Secondo la teoria del costo comparato, il costo di un bene è dato dall’ammontare

di un secondo bene cui bisogna rinunciare per rendere disponibili le risorse esattamente sufficienti a produrre una unità addizionale del primo bene. Il paese con il minor costo-opportunità in un certo bene gode di un vantaggio comparato relativamente a quel bene e soffre di uno svantaggio comparato in relazione al secondo bene. Salvatore,op. cit., pag. 50

10 Salvatore, op. cit., pag. 49 11 Salvatore, op. cit., pag. 49-50 12 Mankiw e Taylor, pag. 392

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La logica della teoria di Ricardo, fondato sulle disparità tra i costi comparati, ci dà una spiegazione di come possano essere convenienti gli scambi reciproci anche se un paese ha vantaggi assoluti in entrambe le produzioni.

Come abbiamo già detto, se per Smith non era possibile trarre vantaggi dal commercio internazionale in una situazione del genere, Ricardo invece dà prova che facendo riferimento a termini relativi, ossia ai costi comparati, possono avvenire scambi vantaggiosi per i due paesi nonostante uno sia meno efficiente dell’altro nella produzione di entrambi i beni.13

Più in particolare, il modello di Ricardo rappresenta la struttura e gli effetti del commercio riferendosi ad un’economia che oggi gli economisti caratterizzano come di concorrenza perfetta nella quale operano due paesi identici tranne che nelle tecnologie disponibili, e nei quali si producono due soli beni. L’idea imprescindibile su cui si basa la teoria di Ricardo è la presenza nell’economia di un solo fattore produttivo, il lavoro, caratterizzato da una perfetta mobilità da un settore all’altro dell’economia ma immobile a livello internazionale. Le funzioni di produzione, sempre differenti tra i beni e tra i paesi, presentano coefficienti tecnici fissi, in modo che la produttività rimane costante e non varia con la scala produttiva. Tutti i paesi hanno dunque funzioni di produzione lineari per entrambi i beni. Altre ipotesi rilevanti sono l’assenza di costi di trasporto e una ragione di scambio internazionale esterna per i due paesi, che non hanno alcuna possibilità di influire sui prezzi internazionali e quindi commerciano alle condizioni date dal mercato mondiale14.

I costi-opportunità possono essere esposti attraverso la frontiera delle

possibilità di produzione. La frontiera è una curva che mostra le

combinazioni alternative dei due beni che un paese può produrre

13 Salvatore, op. cit., pag. 53 14 Salvatore, op. cit., pag. 49-50

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utilizzando pienamente tutte le proprie risorse con la tecnologia disponibile e, data l’assunzione di ipotesi di funzioni lineari, la frontiera sarà anch’essa una retta15. Il valore assoluto della pendenza della

frontiera delle possibilità di produzione è pari al costo-opportunità di un bene in termini dell’altro e viene individuato come saggio marginale

di trasformazione.16

In un sistema economico di concorrenza perfetta, dove i costi sono uguali ai ricavi, ed il lavoro è l’unico fattore di produzione, il costo-opportunità di un bene rispetto all’altro sarà pari al rapporto tra i prezzi dei beni. I prezzi relativi saranno quindi il motivo di scambio interno dei paesi.

Con un’economia chiusa, in cui un paese dovrà necessariamente produrre entrambi i beni, i prezzi relativi rappresentano il rapporto fra le quantità di lavoro che servono a produrli, ossia il rapporto tra le produttività marginali del lavoro. In autarchia, dunque, per raggiungere una unità in più di un bene sarà necessario rinunciare alla produzione del secondo bene in quantità uguale alla ragione di scambio interna17. In assenza di commercio internazionale, il limite delle possibilità di produzione coincide con la frontiera delle possibilità di consumo, poiché un paese può utilizzare solo i beni che esso stesso produce. La combinazione di beni che deciderà di produrre e consumare dipende dalle preferenze degli individui18.

15 Salvatore, op. cit., pag. 50-51

16 Il saggio marginale di trasformazione indica la quantità di un bene (Y1) a cui

bisogna rinunciare per produrre un'unità aggiuntiva dell'altro bene (Y2). Salvatore,

op. cit., pag. 72

17 Salvatore, op. cit., pag. 78 18 Salvatore, op. cit., pag. 53-54

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Figura 1.1 Frontiere delle possibilità di produzione dei due paesi

In caso di apertura al commercio, la differenza nei prezzi relativi, che graficamente ci dà una diversa inclinazione delle frontiere per i due paesi (Fig.1.1), rispecchia i loro vantaggi comparati e rappresenta la condizione per scambi reciprocamente vantaggiosi.

In questo modo, Ricardo ha dimostrato che un paese aperto al commercio internazionale permette a esso stesso di accrescere la produzione e il consumo di beni aumentando cosi, anche, il benessere collettivo.

Il commercio internazionale offre una diversa possibilità di produrre più beni, mediante lo scambio tra i due paesi; lo scambio sul mercato internazionale, pertanto, può essere visto come una nuova tecnologia a disposizione dei paesi, un sistema indiretto di produzione, ossia prima prodotto e poi scambiato, che risulta più efficiente di quello diretto. Oltre alla divergenza tra i vantaggi comparati, per realizzare e far sì che sia conveniente lo scambio, è necessario che la ragione di scambio internazionale, il rapporto a cui si scambiano i beni sul mercato internazionale, sia compresa fra le cause di scambio interne. Se si verificano le due condizioni, ogni paese avrà convenienza a

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specializzarsi nella produzione del bene per il quale ha un vantaggio relativamente maggiore19.

Quando abbiamo scambi internazionali, i paesi impegnano tutte le loro risorse nella produzione del bene che ha minor costo relativo. I paesi si specializzano completamente in tale produzione. Infatti, quando lo scambio risulta più efficiente della produzione interna, questo sarà sempre più conveniente qualsiasi sia la scala produttiva20. Ciascun paese vorrà comprare sul mercato internazionale il bene il cui prezzo relativo sia maggiore della ragione di scambio internazionale e specializzarsi interamente nella realizzazione del bene che abbia un prezzo relativo inferiore alla ragione di scambio internazionale. Dato che i due paesi vogliono consumare entrambi i beni, esporteranno una parte della loro produzione e importeranno il bene che non producono, allo stesso prezzo della ragione di scambio internazionale. La ragione di scambio internazionale non deve essere uguale alla ragione di scambio interna di uno dei due paesi, perché in questo caso il paese sarà indifferente allo scambio internazionale21 .

I vantaggi che derivano dall’apertura al commercio internazionale sono dovuti alla differenza tra la ragione di scambio interna e la ragione di scambio internazionale. Maggiore è il margine tra le due ragioni, maggiore sarà il guadagno ottenuto dallo scambio22.

I vantaggi possono essere evidenziati anche guardando alla maggiore possibilità di consumo di ogni paese. La specializzazione produttiva comporta un aumento del livello della produzione, e quindi del reddito reale, ottenibile con lo stesso impiego di lavoro. In economia aperta, il reddito reale di ciascun paese, guardando alla ragione di scambio internazionale, è massimo nel punto di specializzazione della produzione del bene con costo comparato minore23. Ora le possibilità

19 Mankiw e Taylor, op.cit., pag. 378

20 De Arcangelis, Economia Internazionale, 2013, pag. 62 21 De Arcangelis, op. cit., pag. 67

22 Salvatore, op. cit., pag. 121 23 Salvatore, op. cit., pag. 81-82

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di consumo non coincidono più con le possibilità di produzione (Fig. 1.2). Attraverso lo scambio, ogni economia può consumare combinazioni dei due beni diverse da quelle che produce in quanto è maggiore la possibilità di scelta che hanno i consumatori.

Il paese 1 si specializza nella produzione di Y e produce nel punto B. Il paese 2 si specializza nella produzione del bene X e produce nel punto C. Le possibilità di consumo, definite dalle linee tratteggiate (curve di isoreddito, data la ragione di scambio internazionale), sono maggiori con il libero scambio.

Figura 1.2 Frontiere di produzione e ragione di scambio

internazionale

In questo modo abbiamo un aumento del benessere non solo nei due paesi ma anche a livello mondiale.

Una curva di trasformazione mondiale24 (fig. 1.3) sarà, nel caso di due

paesi, una linea spezzata composta da due segmenti con diverse inclinazioni che fanno riferimento ai saggi marginali di trasformazione dei due paesi.

24 Tale curva ci dà le combinazioni di beni con la massima quantità producibile per il

mondo nel suo complesso, considerando fisse le risorse disponibili e le tecniche utilizzate. Salvatore, op. cit., pag. 50-52

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Fig. 1.3 Curva di trasformazione mondiale

Il punto di incontro dei due segmenti (punto E della Fig. 1.3), corrisponde alla situazione in cui entrambi i paesi si specializzano nella produzione con costi relativi minori. Il reddito reale mondiale sarà massimizzato proprio in questo punto, dove passa la retta di isoreddito più alta.

Nella teoria di Ricardo, le preferenze dei consumatori, e quindi la domanda di beni nei paesi, non sono trattate; dunque non si pone il problema della determinazione della ragione di scambio internazionale che viene considerata esterna. Nonostante questo, inserendo le curve di domanda e di offerta dei beni possiamo determinare i prezzi relativi di equilibrio dei beni, una volta avvenuto lo scambio.

La ragione di scambio internazionale si determina al livello dove viene eguagliato il valore delle esportazioni e il valore delle importazioni di un paese25 . Risultando le esportazioni di un paese pari alle importazioni della sua controparte commerciale, il valore si adegua in modo tale da eguagliare la domanda di un paese con la domanda dell’altro26.

In questo quadro, con una ragione di scambio interna, la “dimensione” dei paesi, determinata dal numero dei lavoratori presenti nell’economia,

25 De arcangelis,op. cit., pag. 76 26 De Arcangelis,op. cit., pag 76

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risulta importante per stabilire come distribuire i vantaggi del commercio internazionale.

I paesi grandi hanno come caratteristica maggiori eccessi di domanda o di offerta del bene, ossia le importazioni e le esportazioni, rispetto a un paese piccolo, a parità di scostamento dalla ragione di scambio di autarchia. Dunque, i prezzi relativi internazionali si stabilizzano ad un livello più vicino ai prezzi relativi interni dei paesi grandi piuttosto che a quello dei paesi piccoli. I paesi grandi, quindi, hanno minor beneficio dallo scambio internazionale27.

Il commercio internazionale ha effetti anche sui salari reali e per dimostrarlo viene eseguita un’analisi in riferimento ai vantaggi assoluti. Un paese che ha vantaggi assoluti in entrambi i beni, gode di maggiore produttività - e quindi il lavoro riceverà un salario reale superiore - in entrambi i settori rispetto al partner commerciale. Mediante libero scambio, grazie alla specializzazione nella produzione, il potere d’acquisto cresce per i due paesi. La produttività più elevata, però, in entrambe le industrie per un paese fa in modo che il salario di questo rimanga più elevato rispetto al paese che ha svantaggi assoluti28. Possiamo rendere più chiara tale teoria mediante un esempio; prendiamo in esame la diversa produttività di t-shirt e di microchip tra UE e India. L’UE ha vantaggi assoluti in ambedue i beni. In economia chiusa, ciò significa che il salario reale in entrambi i settori è più elevato nell’UE piuttosto che in India. Con 40 ore un lavoratore nell’UE può ottenere venti microchip oppure dieci t-shirt. Invece, sempre con 40 ore di lavoro, in India si possono ottenere quattro microchip oppure otto t-shirt.

Con l’apertura al commercio internazionale, il differenziale salariale in termini di potere d’acquisto, fra i due Paesi, permane. Con 40 ore di lavoro nell’UE si possono ora ottenere venti magliette con venti

27 De Arcangelis, op. cit., pag. 67 28 De Arcangelis, op. cit., pag. 66

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microchip, presentando tutti i chip internamente prodotti sul mercato internazionale e scambiandoli con magliette. In India, invece, 40 ore di lavoro procureranno al massimo otto magliette oppure otto microchip attraverso lo scambio internazionale. Sia in termini di magliette che di microchip, il salario è più elevato nell’UE, ossia nell’economia che beneficia di vantaggi assoluti in entrambi i beni.

Dunque, i vantaggi assoluti stabiliscono in quale Paese il salario reale è più elevato; nonostante migliori il salario reale dei lavoratori sia indiani sia europei, lo scambio internazionale non azzera le differenze salariali tra i Paesi e i lavoratori indiani continuano ad avere un salario più basso.29

Il modello ricardiano è stato sottoposto a svariati test empirici, per verificare se fosse una validaindicazione del funzionamento reale degli scambi internazionali.

La teoria di Ricardo ha trovato conferma nella prova empirica condotta dall’economista scozzese Don MacDougall nel 1951 e 195230.

Nell’analisi svolta, MacDougall confronta i dati relativi alla produttività degli Usa e della Gran Bretagna per verificare in modo empirico le previsioni del modello ricardiano; mettendo a confronto l’insieme degli scambi, seguendo il modello di Ricardo, il rapporto tra le esportazioni degli Usa e quelle britanniche sarebbe dovuto essere relativamente elevato per quei beni in cui fosse maggiore anche il rapporto tra le produttività.

MacDougall ha dimostrato empiricamentela presenza di una relazione positiva tra produttività del lavoro ed esportazioni. Veniva dunque confermata la previsione centrale del modello ricardiano poiché nei settori in cui la produttività statunitense era superiore a quella britannica, anche le esportazioni statunitensi erano maggiori di quelle britanniche31.

29 De Arcangelis, op. cit., pag. 66 30 Salvatore, op. cit., pag.57 31 Salvatore, op. cit., pag. 57-58

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Altre tesi sostenute da Ricardo, tuttavia, hanno creato dubbi riguardo al loro riscontro con la realtà. Ad esempio, l’esistenza di un solo fattore produttivo, il lavoro, e il suo utilizzo in un rapporto fisso nella produzione di tutti i beni.

Questo modello non spiega chiaramente le differenze di produttività che possono esserci tra i diversi paesi né permette di rappresentare gli effetti sulle remunerazioni dei fattori produttivi che si ottengono dall’apertura al commercio internazionale32 .

Il più alto grado di specializzazione originato dalla presenza di tecnologie lineari, l’assenza di costi di trasporto e l’immobilità a livello internazionale dei fattori di produzione non possono essere considerate ipotesi realistiche ma, nonostante questo, sono necessarie per lo sviluppo logico del modello.

1.3 La teoria di Heckscher-Ohlin

La teoria dei due economisti svedesi Eli Heckscher e Bertil Ohlin, chiamato anche modello della proporzione dei fattori, pone alla base dell’analisi le differenze nelle disponibilità di risorse che ogni singolo paese possiede.

A differenza del modello di Ricardo che tratta il commercio internazionale attraverso il concetto di vantaggio comparato dovuto alle differenze nella tecnologia, questa teoria si focalizza invece sulle differenze nelle dotazioni fattoriali dei paesi; non alla disponibilità assoluta, ma alla disponibilità relativa che si ottiene dalla quantità di capitale per lavoratore. La teoria H-O ha dato come contributo importante la spiegazione delle cause del vantaggio comparato e delle differenze nella produttività del lavoro, oltre agli effetti del commercio internazionale sulle remunerazioni dei fattori produttivi nei due paesi33.

32 Salvatore, op. cit., pag. 60 33 Salvatore, op. cit., pag. 142

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Nel modello H-O, si considerano due paesi che producono due beni utilizzando due fattori produttivi, capitale e lavoro. Ci sono, poi, altre caratteristiche fondamentali del modello, ossia, concorrenza perfetta nei mercati dei beni e dei fattori produttivi, prodotti omogenei, stesso livello di tecnologia, solite preferenze nei due paesi perché si considera la domanda di beni identica e indipendente dal livello di reddito, funzioni di produzione a rendimenti di scala regolari e costanti con mancanza di inversione delle intensità fattoriali, due fattori di produzione (capitale e lavoro) mobili all’interno del paese ma immobili verso l’esterno e infine assenza di ostacoli al commercio34.

Utilizzare le stesse tecnologiche significa che i paesi impiegano le stesse tecnologie produttive. Questo fa in modo che anche le intensità fattoriali dei beni, a parità di prezzi relativi dei fattori, siano uguali nei due paesi. L’intensità fattoriale è l’intensità d’uso dei fattori produttivi nella produzione dei due beni. In un’economia con due beni e due fattori produttivi, un bene è ad alta intensità di capitale se il rapporto tra capitale e lavoro impiegato nella sua produzione è superiore a quello utilizzato nella produzione del secondo bene, il quale deve essere invece ad alta intensità di lavoro35.

L’intensità fattoriale è misurata secondo la quantità relativa dei fattori e non secondo quella assoluta, affinché si tenga conto della quantità di capitale per unità di lavoro, ovvero K/L. I rapporti K/L, ossia le intensità dei fattori, variano, oltre che in base alle caratteristiche tecniche dei due beni, anche secondo le condizioni economiche, ossia facendo riferimento al rapporto tra i prezzi dei fattori produttivi36.

Le combinazioni di input dipendono dal costo relativo dei fattori produttivi. Il cambiamento nel prezzo relativo dei fattori produttivi comporta quindi un nuovo risultato ottimale di capitale-lavoro per la

34 Salvatore, op. cit., pag. 143 35 Salvatore, op. cit., pag. 145 36 Salvatore, op. cit., pag. 145

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realizzazione dei due beni, cioè una modifica nelle tecniche produttive che si dispongono verso il fattore relativamente meno costoso37. Dunque, i produttori di ogni paese sfrutteranno maggiormente il fattore che nel paese è relativamente meno costoso affinché possano ridurre al minimo i costi di produzione. Inevitabilmente, il rapporto capitale-lavoro aumenta con l’aumentare del rapporto tra i prezzi ; ciò nonostante questa relazione è indipendente dalla scala di produzione, poiché ci sono funzioni di produzione a rendimenti di scala costanti. Il mutamento nelle tecniche produttive, comunque, non inverte i rapporti, vista la condizione di assenza di inversione fattoriale. La scala delle intensità fattoriali dei beni si ritiene efficace per qualunque rapporto tra i prezzi dei fattori. Dunque, l’ordine dei rapporti K/L per ogni settore non muta se variano i prezzi relativi dei fattori. Diminuendo il prezzo relativo di un fattore avremmo una sua sostituzione con il fattore meno costoso in modo da minimizzare i costi, cosi i due beni si ritroverebbero con la stessa intensità fattoriale. L’assunzione dell’ipotesi di assenza di inversione delle intensità fattoriali fa in modo che, per qualsiasi rapporto fra i prezzi dei fattori, l’ordine rimanga lo stesso, non variando quindi in base ai prezzi dei fattori produttivi. Anche tra i prezzi relativi dei beni e i prezzi relativi dei fattori c’è una determinata relazione. La concorrenza perfetta sia nei mercati dei beni che nel mercato dei fattori, determina che il prezzo di ogni bene sia uguale al suo costo di produzione, ovvero uguale al prezzo dei fattori. In questo modo, aumentando il prezzo di un fattore, aumenterà il prezzo dei beni realizzati utilizzando quel fattore.

In questa relazione diventa importante l’influenza che uno specifico fattore ha nella produzione del bene. Se per produrre un certo bene viene utilizzato relativamente più capitale rispetto al lavoro, ad esempio, un aumento del costo relativo del fattore capitale andrà ad incidere maggiormente sul prezzo relativo del bene.

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In conclusione, tra il prezzo relativo dei beni, il prezzo relativo dei fattori e le intensità fattoriali ottimali troviamo una relazione per la quale, data la concorrenza perfetta sui mercati, partendo dal rapporto di equilibrio dei prezzi dei beni, che è preso per noto, possiamo ottenere sia il rapporto di equilibrio dei prezzi dei fattori sia le intensità fattoriali ottimali per i due settori38.

Come abbiamo già detto, le dotazioni fattoriali nei due paesi non saranno le stesse. Ci sarà un paese relativamente più dotato di capitale, mentre il suo partner commerciale avrà maggiore disponibilità del fattore lavoro. Le dotazioni dei fattori produttivi saranno valutate in termini fisici o in termini economici.

Riguardo alla definizione in termini di unità fisiche, un paese offre una dotazione relativamente maggiore di capitale, ad esempio, se il rapporto tra la quantità totale di capitale e quantità totale di lavoro disponibile nel paese risulta superiore rispetto al suo partner commerciale. Non devono essere considerati i valori assoluti dei fattori, ma il rapporto tra le quantità totali. Dunque, un paese potrebbe avere meno capitale dell’altro ed essere, comunque, caratterizzato da maggiore abbondanza relativa 39.

Secondo, invece, la definizione in termini economici, ossia di prezzi relativi dei fattori, un paese avrà abbondanza relativa di un fattore se quello stesso fattore è relativamente meno costoso in questo paese piuttosto che nell’altro, ovvero il rapporto tra il prezzo del capitale e il prezzo del lavoro è inferiore in questo paese rispetto al partner commerciale.

Basandoci sulle dotazioni fattoriali di ciascun paese, possiamo capire verso la produzione di quale bene esso è propenso. Il paese ricco relativamente di un fattore avrà una preferenza verso la produzione del bene che ha un’intensità maggiore di quel fattore.

38 Salvatore, op. cit., pag. 145-146 39 Salvatore, op. cit., pag. 147

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Il paese relativamente ricco di capitale deciderà pertanto di produrre il bene “capitale intensivo”, poiché potrà produrne in quantità relativamente superiore rispetto al paese con cui scambia. Le combinazioni ottime di beni che i paesi potranno produrre e consumare in autarchia dipenderà dalla domanda di beni che, per ipotesi, è identica in entrambi40.

Fig. 1.4 Frontiere di produzione e combinazioni ottime in autarchia

Rappresentando quanto detto graficamente, vediamo che la diversa forma delle frontiere di produzione rispecchia le combinazioni dei beni che i paesi possono produrre secondo le loro capacità fattoriali. Al livello delle combinazioni ottime scelte (punti A e B della Fig.1.4), il prezzo relativo dei beni è differente nei due paesi. Alla differenza nelle dotazioni fattoriali relative equivale, quindi, una divergenza dei prezzi di equilibrio relativi dei beni senza considerare la presenza di scambi internazionali. La divergenza nei prezzi relativi dei beni in autarchia genera i vantaggi comparati del singolo paese.

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E’ sulla base di tali ipotesi del modello H-O che si è sviluppato il teorema che analizza i vari aspetti di equilibrio economico generale dopo l’apertura al commercio internazionale e che tratta

dell’organizzazione degli scambi.

Il teorema di H-O sostiene che ogni paese esporta il bene per la cui produzione si richiede un impiego relativamente più intensivo del fattore produttivo di cui quel paese è relativamente più abbondante, e importa il bene di cui ha relativamente meno disponibilità. Le

disponibilità relative dei fattori sono allora, nella teoria di H-O, la causa fondamentale del vantaggio comparato e del commercio internazionale, e determinano la struttura degli scambi41 .

Mediante l’apertura al commercio internazionale e in assenza di costi di trasporto, la ragione di scambio internazionale è uguale nei due ipotetici paesi che commerciano. I prezzi relativi dei beni convergono verso un unico valore e, in base a questo, i paesi aumentano la produzione del bene a maggior intensità del fattore relativamente più abbondante, diminuendone però il consumo relativo, e riducendo la produzione dell’altro.

Questo processo avviene in base alla relazione che sussiste tra prezzi relativi dei beni e prezzi relativi dei fattori. La produzione in eccesso rispetto al consumo interno, dato l’aumento del suo prezzo relativo, viene esportata da ciascun paese, allo stesso modo verrà importato il bene per cui il prezzo relativo è diminuito. La nuova struttura della produzione permette ai paesi di specializzarsi nella realizzazione dei prodotti per la quale hanno un vantaggio comparato.

La differenza con il modello di Ricardo è che generalmente i paesi non si specializzano completamente nella produzione di un solo bene.42 Seguendo l’ipotesi per cui la struttura della domanda sia identica e indipendente dal livello del reddito, i paesi consumeranno i due beni

41 Salvatore, op. cit., pag. 151-152 42 De Arcangelis, op. cit., pag.101

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nella stessa proporzione, cosicché le esportazioni e le importazioni saranno tali che, dopo lo scambio, le disponibilità dei due beni nei due paesi siano identiche alla struttura della domanda. Entrambi i paesi raggiungono il punto ottimo di consumo (punto E della Fig.1.5), dove le esportazioni sono pari alle importazioni.

I due paesi guadagnano dal commercio internazionale perché, rispetto alla combinazione di consumo dei beni in stato di autarchia, nonostante consumino meno del bene che esportano, possono consumare una quantità maggiore del bene per il quale non hanno vantaggio comparato e che quindi importeranno.

Da un punto di vista grafico, è dimostrato l’aumento del benessere dalla posizione più alta della curva di indifferenza dove possiamo trovare il punto ottimo con libero scambio, rispetto alla curva di indifferenza in condizioni di un’economia chiusa al commercio internazionale.

I due paesi presi in esame si specializzano nella produzione del bene per il quale hanno un vantaggio comparato. La produzione del paese 1 passa da B a B’, la produzione del paese 2 passa da A ad A’. Effettuando lo scambio al valore della ragione di scambio internazionale (la tangente alle frontiere di produzione) raggiungono la combinazione

ottima di consumo43. In questo modo entrambi i paesi avranno un beneficio dal commercio internazionale poiché entrambi consumano su una curva di indifferenza più elevata di quella in stato di autarchia.

43 La scelta ottima del consumatore ha luogo quando il saggio marginale di

sostituzione eguaglia il rapporto fra i prezzi dei beni, compatibilmente con il vincolo di bilancio del consumatore.

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25

Fig. 1.5 Equilibrio in presenza di commercio internazionale:

1.4 Effetti e limiti del commercio internazionale

Il primo effetto del commercio internazionale individuato dal modello di H-O è quello riguardante la distribuzione del reddito all’interno degli stati. Questo effetto non veniva analizzato nel modello di Ricardo dato che quest’ultimo escludeva che il commercio internazionale potesse avere effetti sulla distribuzione del reddito all’interno degli stati, ipotizzando che i paesi guadagnassero sempre dagli scambi.

All’interno di ogni paese, il libero scambio fa aumentare il prezzo del fattore che nel paese è relativamente più abbondante e riduce il prezzo del fattore che nel paese è meno presente e quindi più costoso. In questo modo, i proprietari dei fattori di cui un paese ha una dotazione relativamente abbondante traggono un beneficio dall’apertura del commercio internazionale poiché il prezzo dei loro beni tenderà a salire, mentre i proprietari del fattore scarso, che in precedenza potevano vendere a prezzi relativamente alti ne saranno danneggiati, vendendo i loro prodotti a prezzi necessariamente molto vicini a quelli degli altri paesi, dunque più bassi44.

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Un ulteriore effetto del commercio tra due paesi è il pareggiamento dei

prezzi dei fattori produttivi45. La motivazione di tale risultatoè data da alcune assunzioni che sono alla base del modello di H-O, le quali però non si verificano nella realtà.

La prima è che i paesi producano entrambi i beni, ma questo non è sempre vero. Ciò può avvenire infatti solo se non risultano troppo diverse le dotazioni di fattori dei due paesi. Nel caso, invece, ci siano ampie differenze fra i paesi coinvolti nel rapporto tra le dotazioni fattoriali, i prezzi degli stessi fattori non saranno necessariamente uguali. La seconda ipotesi sostiene che il livello tecnologico dei due paesi sia identico, ma anche in questo caso possono esserci, nella realtà, paesi con tecnologie superiori rispetto ad altri. La terza ipotesi riguarda la convergenza dei prezzi dei beni, dalla quale dipende il fatto che vengono considerati uguali i prezzi dei fattori nei diversi paesi. Anche quest’ultima ipotesi non si verifica nella realtà, poiché si verificano costi come il trasporto, eventuali dazi o restrizioni quantitative46. Sul modello di H-O sono state fatte numerose verifiche empiriche. Lo studio più importante è stato condotto nel 1953 dall’economista Wassily Leontief 47, basandosi su dati degli Stati Uniti del 1947. In quell’anno gli Stati Uniti avevano una disponibilità piuttosto abbondante di capitale rispetto ai suoi partners commerciali, per cui, in base al modello H-O, avrebbero dovuto esportare beni ad alta intensità di capitale. Leontief giunse, al contrario, ad un risultato del tutto distaccato rispetto al teorema di Hecksher-Ohlin e, proprio per questo, tale risultato è conosciuto come Paradosso di Leontief.

Mediante le tavole che rappresentano il rapporto input-output48, Leontief è riuscito a calcolare il fabbisogno complessivo dei fattori

45 Il commercio internazionale conduce all’ eguaglianza delle remunerazioni relative

e assolute dei fattori omogenei tra i paesi. Salvatore, op. cit., pag. 159

46 Salvatore, op. cit., pag. 160-161 47 Salvatore, op. cit., pag. 169

48 La tavola input-output è una tabella che indica l’origine e la destinazione di ogni

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produttivi per ogni unità di esportazioni e per ogni unità di importazioni sostitutive, dove con importazioni sostitutive Leontief intendeva merci che possono essere prodotte dalle industrie nazionali. Prendendo come esempio l’ipotesi del modello H-O che la tecnologia sia identica tra i paesi, e che quindi la tecnologia per la produzione dei beni sostituti sia identica a quella dei beni importati, Leontief ha ottenuto il contenuto fattoriale delle importazioni attraverso quello dei beni sostituti. Tale analisi ha dato come risultato che gli Stati Uniti esportavano prodotti ad alta intensità di lavoro e importavano prodotti ad alta intensità di capitale, nonostante ce ne fosse una disponibilità abbondante. Lo stesso Leontief, come spiegazione di tale risultato, ha attribuito maggiore efficienza al lavoro statunitense rispetto a quello degli altri paesi.

La spiegazione fornita da Leontief non è accettabile ed egli stesso in seguito l’ha abbandonata.

Il motivo per cui non è accettabile è, che mentre senza dubbio il lavoro statunitense era più produttivo del lavoro negli altri paesi, lo stesso si poteva dire del capitale statunitense. Pertanto, sia il lavoro che il capitale statunitensi avrebbero dovuto essere moltiplicati all’incirca per lo stesso coefficiente, mantenendo così più o meno invariata l’abbondanza relativa di capitale negli Stati Uniti.

1.4.1 Il modello a fattori specifici

Il modello di H-O ritiene che i fattori di produzione capitale e lavoro siano perfettamente mobili all’interno del paese, ossia che sia possibile spostarli da un settore all’altro senza costi o impedimenti. Tuttavia, nel breve periodo questa ipotesi non è necessariamente vera. Nel lungo periodo, i fattori possono essere riconvertiti da un’industria all’altra più facilmente, mentre nel breve periodo alcuni fattori possono risultare

questa nuova tecnica, ricevendo il premio Nobel nel 1973. Salvatore, op. cit., pag.

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immobili o vincolati ad un settore particolare. Questo tipo di fattori sono

chiamati specifici, ossia che possono essere utilizzati in modo specifico soltanto in un particolare settore o in una determinata industria. L’esistenza di fattori specifici fa in modo che gli effetti del commercio internazionale a cui si riferisce il modello di H-O debbano essere rivalutati49.

Il modello a fattori specifici si occupa proprio di questo. Questo stesso modello, si basa su alcune ipotes3i, come ad esempio un’economia nella quale si producono due beni, non utilizzando soltanto due fattori produttivi, bensì tre. Il lavoro, considerato generalmente mobile, è utilizzato in entrambi i settori di produzione, mentre i due tipi di capitale specifico, sono utilizzabili ognuno nel proprio settore. In tale situazione, l’apertura al commercio internazionale provoca effetti diversi rispetto a quanto previsto dal modello di H-O per quanto riguarda la remunerazione dei fattori produttivi.

Poniamo come presupposto che ogni paese vada a specializzarsi nella produzione di un bene che necessita del fattore specifico relativamente più disponibile. Il libero scambio rende i prezzi relativi dei beni meno distanti tra loro e questo porta vantaggio al fattore specifico utilizzato nel settore di esportazione, mentre il fattore specifico utilizzato nel settore di importazione subisce uno svantaggio.

L’aumento della produzione, dovuta all’aumento del prezzo relativo del bene di esportazione, necessita di una quantità maggiore di fattori produttivi, ma, dato che il capitale è specifico per ciascuna industria, ci sarà trasferimento tra i diversi settori soltanto per quanto riguarda il lavoro.

Se applichiamo più lavoro con una certa quantità di capitale specifico, il rendimento del capitale aumenta. Nel settore opposto, dove

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l’occupazione diminuisce, avremo anche un rendimento inferiore del capitale50.

“La conclusione a cui giunge il modello a fattori specifici è che il commercio con l’estero ha un effetto doppio sui fattori mobili del paese: è benefico per i fattori immobili specifici ai beni d’ esportazione o ai settori esportatori del paese, e danneggia i fattori immobili specifici ai beni o ai settori che, nel paese, competono con le importazioni”. Rimane, invece, ambiguo l’effetto che il commercio internazionale ha sul fattore mobile lavoro. Il valore nominale del fattore lavoro aumenta per effetto dell’aumento della sua domanda, ma l’effetto sul salario reale è incerto. Il salario reale, facendo riferimento al bene di esportazione, diminuisce a causa dell’incremento del prezzo relativo, mentre riguardo al bene di importazione, a causa della diminuzione del suo prezzo, il salario reale cresce. 51

1.4.2 Benefici derivanti da scambio e specializzazione

I due paesi hanno la possibilità di specializzarsi nella produzione del bene con un prezzo relativo minore, grazie all’apertura al commercio internazionale. Si specializzano, dunque, nel bene in cui hanno un vantaggio comparato, scambiano parte del proprio prodotto con l’altro paese e in cambio ricevono il bene in cui invece hanno uno svantaggio comparato.

Avremo una specializzazione fino al punto in cui i prezzi relativi dei beni in economia chiusa si eguagliano al livello in cui abbiamo un equilibrio negli scambi, ovvero le importazioni sono pari alle esportazioni e i paesi avranno in fine un livello di consumi maggiore rispetto a quando non si presenta commercio internazionale52.

50 Salvatore, op. cit., pag. 165-166 51 Salvatore, op. cit., pag. 166 52 Salvatore, op. cit., pag. 87

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In base alla dimensione dei paesi è possibile fare una distinzione nell’analisi di equilibrio generale del modello. Nel caso di un paese piccolo che commercia con il resto del mondo, la ragione di scambio viene decisa sul mercato internazionale, non essendo questo in grado di influenzarla. Nel caso di paesi grandi, invece, il modello riesce a stabilire la ragione di scambio grazie alla sua forte influenza sul mercato mondiale.

Come detto, se consideriamo un paese piccolo, la ragione di scambio internazionale deriva da forze esterne.53 Le scelte riguardo alla produzione e al consumo sono fatte seguendo il nuovo rapporto creatosi tra i prezzi dei beni, uguagliando a questo il saggio marginale di trasformazione, per quanto riguarda la produzione, e il saggio marginale di sostituzione dal lato dei consumatori. Attraverso il libero scambio, avviene una variazione del prezzo relativo dei beni; questo fa in modo che la coincidenza tra produzione e consumo, che si verificava in autarchia, non sia più presente.

Rispetto alla ragione di scambio internazionale, il paese migliora e accresce in termini quantitativi la produzione del bene per cui ha un vantaggio comparato e diminuisce la produzione del bene per cui presenta un vantaggio il partner commerciale. La ragione di scambio internazionale stabilisce il nuovo vincolo di bilancio ed in base a quest’ultimo verrà deciso quale potrà essere il paniere ottimo di consumo. Il bene per cui il paese si specializza verrà prodotto in quantità eccessiva rispetto al consumo interno. Questo eccesso sarà esportato nei paesi con cui è stata stabilita una relazione commerciale, in cambio del bene per cui ci sarebbe uno svantaggio comparato che, invece, viene importato. Grazie al sistema di specializzazione e al commercio internazionale, il paese ha la possibilità di utilizzare un paniere di beni che va oltre la frontiera di produzione, portando un

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livello di benessere maggiore rispetto a quello che avremmo in equilibrio in condizione di economia chiusa. (Figura 1.6).

Figura 1.6 Equilibrio generale con libero scambio

In autarchia, con ragione di scambio interna pari a p, l’equilibrio è rappresentato dal punto E, nel quale produzione e consumo coincidono. Con apertura al commercio internazionale, la ragione di scambio stabilita dal mercato internazionale sarà p*. In base a questa le imprese sceglieranno un nuovo punto di produzione, P, e i consumatori il nuovo paniere di consumo C. La produzione di

X in eccesso al consumo, ̅𝐻𝑃̅̅̅, viene esportata in cambio dell’importazione del bene Y in misura pari a ̅𝐶𝐻̅̅̅. Il triangolo CHP è detto triangolo del commercio internazionale.54.

La curva di indifferenza posta più in alto rispetto a quella di autarchia rappresenta il miglioramento del benessere generale.

Una volta raggiunto il valore richiesto della ragione di scambio, il mercato internazionale del bene è detto in equilibrio. Tale equilibrio è

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32

costante, poiché se ci fossero valori diversi dalla ragione di scambio di equilibrio le influenze della domanda di importazioni e dell’offerta di esportazioni del bene riporterebbero in equilibrio il prezzo relativo. Dunque, se consideriamo la ragione di scambio come il rapporto che intercorre tra il prezzo del bene esportato da un paese X e il prezzo del bene importato da un paese Y, entrambi i paesi avranno un aumento della ragione di scambio e un livello di benessere generale superiore; questo grazie al passaggio dal prezzo relativo di autarchia al prezzo relativo internazionale. L’apertura allo scambio internazionale consente di avere un bene a un costo minore rispetto a quanto costerebbe se fosse prodotto internamente e consente di accrescere le quantità di consumo rispetto a quanto possibile in economia chiusa.55

Possiamo scomporre in due parti il vantaggio che proviene dall’ apertura al libero mercato, ossia i benefici che otteniamo dallo scambio e i benefici che derivano dalla specializzazione.56

Il vantaggio che deriva dallo scambio coinvolge soltanto i consumatori ed è provocato dal cosiddetto effetto sostituzione.57 In un primo momento, successivo all’ apertura al libero scambio, la produzione rimane allo stesso livello di autarchia. I consumatori, però, fanno acquisti secondo la ragione di scambio internazionale, sostituendo il bene il cui prezzo relativo è aumentato con il bene di importazione ora meno caro (passaggio da E a C’ nella Figura 1.7). Questa sostituzione nei beni provoca un iniziale aumento di benessere, il quale passa dalla curva di indifferenza U a quella più alta U’. Osservando il grafico, il consumo passa dal punto C’ a C e l’aumento di benessere si riflette nella curva di indifferenza più alta U*.

55 De Arcangelis, op. cit., pag. 157 56 Salvatore, op. cit., pag. 87

57 L'effetto di sostituzione consiste in una variazione delle quantità domandate dei

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33

Figura 1.7 Benefici derivanti dallo scambio e benefici derivanti dalla specializzazione

Dalla specializzazione, è possibile avere un beneficio che riguarda maggiormente la produzione.

È causato da un effetto reddito58 per la variazione della ragione di scambio. Secondo il nuovo rapporto tra i prezzi, le imprese stabiliscono la loro produzione uguagliando il saggio marginale di trasformazione59

alla ragione di scambio internazionale, specializzandosi nella produzione del bene il cui prezzo relativo è aumentato sul mercato internazionale. I consumatori, in questo secondo momento, continuano il loro rapporto commerciale in base alla ragione di scambio internazionale e le imprese, dalla specializzazione, avranno beneficio nella produzione. L’effetto reddito consente di accrescere il consumo di entrambi i beni e di avere un ulteriore miglioramento del benessere nel singolo paese.60

58 L'effetto di reddito è la variazione del potere di acquisto del consumatore che segue

una variazione di prezzo di un bene.

59 Il saggio marginale di trasformazione di X in termini di Y cui un paese deve

rinunciare per produrre ciascuna unità addizionale di X.

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34 1.5 Le nuove teorie

Fino a questo momento sono stati trattati modelli secondo i quali, il motivo per cui veniva attuato il commercio internazionale era la presenza di vantaggi comparati. Tali vantaggi potevano derivare da una diversa disponibilità tra i paesi, dei fattori produttivi e della tecnologia. I modelli affrontati avevano, anche, come elemento comune l’idea che ci fosse una concorrenza perfetta e che i beni fossero omogenei tra i diversi paesi. 61

Queste due ipotesi comuni fanno in modo che le teorie precedenti trattino il commercio interindustriale, ovvero lo scambio di beni diversi tra paesi, senza invece analizzare il commercio intra-industriale, che consiste nello scambio di beni simili appartenenti allo stesso genere di industria. In realtà, la gran parte del commercio internazionale la troviamo nel commercio intra-industriale e i prodotti oggetto di scambio non sono uguali, ma prodotti differenti che appartengono alla stessa industria.

La differenziazione dei prodotti si distingue in verticale e orizzontale. La differenziazione verticale avviene in base alla qualità dei prodotti. Ovviamente tutti i consumatori preferirebbero beni di qualità superiore a beni di qualità inferiore, ma la diversità nella domanda, rispetto alla qualità dei beni, dipenderà dal livello di reddito, dal momento che, con l’aumentare della qualità aumenterà anche il prezzo. La differenziazione orizzontale tratta, invece, le differenze, reali o presunte, nelle caratteristiche dei vari prodotti. I consumatori, valutano le caratteristiche di un prodotto in modo soggettivo e distinto; solitamente, però, optano per panieri di beni più eterogenei, e quindi con più caratteristiche, o per il bene che rispecchia maggiormente le caratteristiche ricercate dal consumatore stesso. Generalmente, la

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soddisfazione dei consumatori aumenta se hanno, a loro disposizione, un maggior numero di varietà di prodotto. 62

Il commercio intra-industriale63, con la conseguente differenziazione dei prodotti, è dovuto alla possibilità delle imprese di utilizzare, nella produzione, le economie di scala. Le economie di scala, o rendimenti

crescenti64, permettono di avere una produzione tanto più efficiente quanto maggiore è la scala di produzione. Per utilizzare al meglio le economie di scala, ogni paese deve centralizzare su un numero limitato di beni la propria attività produttiva. I rendimenti di scala crescenti creano però una struttura di mercato di concorrenza imperfetta poiché il vantaggio nel costo di produzione delle grandi imprese sulle piccole è evidente; questo rende incompatibile l’idea di concorrenza perfetta delle teorie precedenti.

Con le nuove teorie del commercio internazionale gli scambi con l’estero dipendono dai rendimenti crescenti. Nelle “Nuove Teorie” del commercio internazionale i fenomeni che vengono trattati sono economie di scala, forme di mercato non perfettamente concorrenziali e differenziazione dei prodotti.

Se definiamo le “economie di scala” rispetto alle economie interne alle imprese facciamo riferimento al meccanismo per cui la riduzione dei costi unitari di produzione avviene in conseguenza alla crescita della produzione dell’impresa. Le economie esterne, invece, si riferiscono alla riduzione dei costi unitari di produzione dell’impresa dovuta alla crescita della produzione dell’intera industria, intesa come settore. Con la presenza di economie esterne, le imprese continuano a produrre con

62 Salvatore, op. cit., pag. 209-211

63 La concorrenza internazionale spinge ogni impresa nei paesi industrializzati a

produrre solo una o al massimo poche varietà e versioni di uno stesso prodotto, piuttosto che molte varietà o modelli differenti. Questo è fondamentale per mantenere bassi i costi unitari. Grazie allo sviluppo di poche varietà è possibile sviluppare macchinari più specializzati e veloci per cicli produttivi prolungati. Salvatore, op. cit.,

pag. 207

64 Con rendimenti crescenti si intende un assetto produttivo nel quale il prodotto cresce

in misura più che proporzionale rispetto all’incremento che hanno i fattori produttivi.

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rendimenti di scala costanti e il settore è rappresentato da piccole imprese in concorrenza perfetta.

Altre teorie, invece, hanno dato come giustificazione della nascita del commercio internazionale lo sviluppo della tecnologia, ritenendo non generalmente valida l’ipotesi del modello H-O secondo cui i due paesi presi in esame si servono della stessa tecnologia nella produzione. In realtà i paesi utilizzano tecnologie diverse e le stesse tecnologie, nei diversi paesi, possono evolversi in tempi diversi.65

E’ il caso ad esempio della c.d. teoria del gap tecnologico e del ciclo del prodotto, che mettono alla base l’evoluzione della tecnologia nel corso del tempo. Il modello del gap tecnologico, descritto da Michael Posner (1961) sostiene che la diffusione del progresso tecnologico determini i flussi commerciali, indipendentemente dalla dotazione dei fattori produttivi. Alla base c’è l’innovazione, come fattore di successo. Le imprese, per sconfiggere il conflitto competitivo sul mercato interno, creano nuovi prodotti e li esportano sui mercati esteri, fino al momento in cui il nuovo prodotto non venga imitato a livello locale. In questo caso l’interscambio non è caratterizzato dalla dotazione di fattori produttivi, che potrebbe anche essere identica nei paesi interessati, ma dalla novità dei beni scambiati e dalla diffusione dell’innovazione, che nel paese esportatore è sempre superiore.

In tale modello hanno particolare rilevanza due tipologie di ritardo (gap). Il primo è il ritardo nella domanda estera, che misura il periodo che intercorre tra l’introduzione del nuovo prodotto nel paese esportatore e l’inizio del suo consumo nel paese importatore. Il secondo è il ritardo nell’imitazione, che specifica l’intervallo temporale tra l’inizio della produzione nel paese innovatore e l’inizio della produzione nel paese imitatore. L’imitazione può essere eseguita grazie alla ricerca scientifica sviluppata localmente o tramite l’acquisto di brevetti e licenze di produzione. La differenza tra i due ritardi misura il

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37

periodo di tempo in cui il paese innovatore ed esportatore può mantenere i vantaggi del divario tecnologico rispetto al paese che imita ed importa.

Dobbiamo, però, sottolineare che nessuna particolare innovazione produce un flusso costante di esportazioni. Può generare uno stabile volume di esportazioni soltanto un flusso di innovazioni, costante nel tempo e diffuso in diversi settori industriali. A loro volta, i paesi meno attivi nel processo di innovazione possono colmare il deficit nell’interscambio di nuovi beni mediante l’esportazione di prodotti tradizionali. Dunque, la teoria di Posner, cerca di esprimere l’importanza che ha l’innovazione tecnologica come fattore competitivo in generale, qualunque siano la dimensione dell’impresa e l’estensione del mercato.66

Riguardo alla teoria del ciclo del prodotto, essa ha come obiettivo schematizzare le fasi in cui si articola la vita di un prodotto tecnologicamente nuovo. La novità di un prodotto dipende dal fatto che questo si basa su innovazioni che in precedenza non sono state sperimentate nelle attività industriali.

Nella fase introduttiva, in cui è ancora presente il supporto apportato dalla ricerca e dalle sperimentazioni, i costi unitari, ossia il prezzo, sono piuttosto alti, considerando anche le spese per la pubblicità. Nella fase di sviluppo, viene realizzata la produzione standardizzata67 e la diffusione su larga scala, che favoriscono la diminuzione del prezzo del bene. In questo modo, aumenta la concorrenza e il produttore cercherà sbocchi sui mercati esteri, inizialmente mediante l’esportazione, poi, trattando di imprese multinazionali, installerà all’estero le proprie

66 Salvatore, op. cit., pag. 217

67 Grazie alle innovazioni tecnologiche avvenute con la seconda rivoluzione

industriale gli imprenditori mirarono a ridurre i costi di produzione per immettere sul mercato merci a basso prezzo, che potessero essere acquistate anche dai contadini, dagli artigiani e dai ceti meno abbienti. Così nacque la produzione industriale standardizzata che consiste nel realizzare prodotti sempre uguali, fatti in serie, di modo da trasformare la semplicità in velocità di esecuzione.

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fabbriche con lo scopo di ridurre i costi di produzione. Nella fase seguente, detta della maturità, il prodotto è ormai accessibile a tutti dato che il processo produttivo è praticamente standardizzato. Il produttore più competitivo sarà quello in grado di produrre a costi unitari più bassi rispetto alle altre imprese di quello stesso settore. Nell’ultima fase, detta di declino, il prodotto è ormai tecnologicamente superato e risulta difficile commerciarlo nei paesi sviluppati.

Anche la teoria del ciclo del prodotto ha come punto focale la tecnologia nello sviluppo di un prodotto innovativo e l’influenza che essa ha sull’andamento del commercio internazionale.

Figura 1.8: Il modello del ciclo del prodotto

Nella figura 1.8 possiamo notare che nello stadio 1 (intervallo di tempo OA) il bene è prodotto e consumato soltanto nel paese innovatore. Nello stadio 2 (AB) e 3 (BC) la produzione è perfezionata nel paese innovatore e aumenta rapidamente per soddisfare la crescente domanda. Nel frattempo, il prodotto si standardizza e il paese imitatore inizia a produrre il bene per il mercato interno. Nello stadio 4 (CD) il paese imitatore comincia a concorrere con il paese innovatore nei mercati

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