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La «tutela debole» del giudicato nell’ordinamento costituzionale

nostro ordinamento il legislatore ha preso in considerazione il giudicato avuto riguardo a due differenti profili: l’individuazione del momento del passaggio in giudicato (giudicato in senso formale) e la definizione degli effetti connessi all’autorità di giudicato (giudicato in senso sostanziale).

Come è noto, con riferimento al primo dei profili descritti, a norma dell’art. 324 c.p.c., una decisione passa in giudicato quando non è più suscettibile di ricorso ordinario, ossia di regolamento di competenza, appello, ricorso in Cassazione o revisione ordinaria. La previsione di mezzi di ricorso straordinario (revisione straordinaria e opposizione di terzo), invece, non impedisce il passaggio in giudicato di una decisione. Questa regola è applicabile mutatis

mutandis alle decisioni del giudice amministrativo, che passano in giudicato quando il termine

per proporre un ricorso ordinario è spirato.

Quanto all’autorità della cosa giudicata, secondo l’art. 2909 c.c., la sentenza passata in giudicato vincola le parti, gli eredi e gli aventi causa79.

Il vincolo di giudicato è limitato alla causa oggetto di statuizione definitiva, da identificarsi alla luce di tre elementi essenziali: parti, petitum e causa petendi.

77 Si veda la sentenza nella causa Poulton c/ Adjustable Cover and Boiler Block Co. [1908] 25 RPC 529, 534 (High Court); 661,

664 (CA) nonchè, più recentemente, Coflexip c/ Stolt (Court of Appeal) [2004] FSR 34.

78 R. c/ Hutchings [1881] 6 Q.B.D. 300, 303. 79 Si veda in proposito P

UGLIESE, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. Dir., Milano, 1969, 800 e ss. nonché CHIZZINI, Art. 2909, in Commentario breve al codice civile, a cura di Cian e Trabucchi (a cura di), Padova, 2004, 3230; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2005, 146 e ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile - Principi, Milano, 2002, 265 e ss.

Oltre a tali limiti soggettivi ed oggettivi, il giudicato sostanziale incontra anche limiti cronologici, nel senso che esso vincola con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua formazione (c.d. principio del dedotto e deducibile)80.

Il giudicato nel fissare il principio di diritto applicabile nel caso concreto si ritiene partecipi della natura normativa dei comandi giuridici, con applicazione dei medesimi criteri interpretativi e con l’ulteriore conseguenza che la sua erronea interpretazione data dal giudice di merito può essere denunciata in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di norme di diritto81.

La previsione della res judicata ha essenzialmente due obiettivi. Da una parte, il passaggio in giudicato di una sentenza stabilisce un limite alla possibilità di mettere in discussione le decisioni giurisdizionali, impedendo la proposizione di ulteriori motivi di ricorso ordinario. D’altra parte, l’autorità della cosa giudicata connessa ad una sentenza conferisce stabilità alla decisione del giudice sulla controversia, in modo da rendere irrilevante ogni pretesa contraria alla decisione in ordine alla medesima questione o a questioni pregiudiziali82.

L’importanza peculiare attribuita dal legislatore alla stabilità delle decisioni passate in giudicato è confermata dal fatto che l’autorità della cosa giudicata di un giudizio non può essere superata se non attraverso la proposizione di un ricorso straordinario (revisione straordinaria e l’opposizione di terzo83) per i motivi tassativamente individuati dalla legge.

In particolare, la revisione straordinaria può essere domandata:

- se la sentenza è l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra (art. 395, n. 1 c.p.c.);

- se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza (art. 395, n. 2 c.p.c.);

- se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario (art. 395, n. 3 c.p.c.);

- se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (art. 395, n. 4 c.p.c.);

80 Per un approfondimento sui confini del giudicato con riferimento alla causa così definita si vedanoP

UGLIESE, op. ult. cit., 862 e

ss. e CHIZZINI, op. ult. cit., 3232 e ss.

81 In tal senso si cfr. Cass., Sez. Lav., 3 agosto 2007, n. 17078. 82 M

ONTESANO, ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, 2030.

83 Sulla revisione, si vedano, più diffusamente, M

ANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2006, 548 e ss.

Sull’opposizione di terzo, si rinvia a MANDRIOLI, ibidem, 562 e ss.

- se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (art. 395, n. 5 c.p.c.);

- se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato (art. 395, n. 6 c.p.c.).

Invece, secondo l’art. 404 c.p.c., tutti i terzi possono introdurre una domanda di opposizione contro una decisione che causi pregiudizi ai propri interessi. Inoltre la stessa disposizione stabilisce che gli aventi causa e gli eredi delle parti possono introdurre un ricorso in opposizione quando la sentenza sia l’effetto del dolo o della collusione tra le parti.

Anche nel nostro ordinamento è presa in considerazione l’ipotesi del conflitto tra due decisioni passate in giudicato. Devono a questo proposito essere prese in considerazione due situazioni differenti. In proposito, infatti, la dottrina è solita distinguere il conflitto logico dal conflitto pratico di giudicati.

Il conflitto logico tra giudicati si verifica quando interviene un secondo giudizio su una situazione giuridica dipendente da quella che ha costituito oggetto di un primo giudizio84. In

questo caso, poiché le due sentenze riguardano due situazioni giuridiche differenti, ciascuna continuerà a produrre i propri effetti85.

Si ha invece conflitto pratico tra giudicato quando due sentenze riguardano la medesima questione ed offrono nel merito due soluzioni differenti. In questo caso, secondo la dottrina86 e la giurisprudenza87, la decisione successiva dovrà prevale sulla precedente. In effetti, l’adozione di una sentenza contraria ad una decisione che abbia acquisito l’autorità della cosa giudicata è un vizio del giudizio che, ai sensi dell’art. 395, n. 5 c.p.c., può essere eliminato introducendo un ricorso in revocazione ordinaria. Qualora questo vizio non sia fatto valere prima del passaggio in giudicato della decisione, lo stesso sarà assorbito dal passaggio in giudicato della seconda sentenza. Il contrasto sarà allora risolto applicando la regola generale sulla successione nel tempo degli atti giuridici di cui all’art. 15 preleggi: la seconda sentenza prevarrà quindi sulla prima.

Nel nostro ordinamento non è invece contemplata l’ipotesi di revocazione delle sentenze di legittimità per contrasto con precedente giudicato tra le stesse parti ex art. 395 n. 5 c.p.c.88

84 M

ENCHINI, Il giudicato civile, Utet, Torino, 2003, 64 e ss.

85 Per la precisazione secondo cui il precedente giudicato non deve vertere esclusivamente su un antecedente logico, si vedano

Cass., 11 dicembre 1999, n. 13870 e Id., 7 ottobre 1996, n. 8761.

86 Si vedano M

ENCHINI, op. ult. cit., 68 e MONTESANO e ARIETA, Trattato di diritto processuale, cit., 2035.

87 Cass., 26 febbraio 1998, in Foro It., 1999, I, col. 2348. 88 Si cfr. da ultimo Cass., Sez. Un., 30 aprile 2008, n. 10867.

Ai sensi dell’art. 391 bis, infatti, l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa limitatamente al caso di errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4.

In proposito, la questione della legittimità costituzionale di una tale limitazione all’esperibilità del rimedio della revocazione contro le sentenze di legittimità è stata più volte ritenuta manifestamente infondata, sulla base del duplice rilievo che, da un lato, né il diritto di difesa né altri diritti costituzionalmente garantiti risultano violati dalla disciplina delle condizioni e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato e che, dall’altro lato, l’estensione della revocazione delle sentenze della Corte di cassazione può essere operata solo dal legislatore, nell’ambito delle valutazioni discrezionali di sua competenza, alle quali certamente non rimane estranea l’esigenza di evitare che i giudizi si protraggano all’infinito89.

L’esclusione del rimedio della revocazione per le sentenze di legittimità è dunque una scelta discrezionale del legislatore che non appare in contrasto con i principi costituzionali.

Peraltro, come è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, l’impugnazione ex art. 395 c.p.c., n. 5 contro le sentenze della Corte di cassazione, che non contengano anche decisioni di merito, è logicamente e giuridicamente incompatibile con la loro natura: infatti, sulle decisioni di mera legittimità, al momento del deposito, si forma solo il giudicato in senso formale, ma non anche quello sostanziale ex art. 2909 c.c., essendo estraneo all’oggetto di tali sentenze l’accertamento della situazione giuridica, che invece è contenuto nelle pronunce di merito. Un eventuale contrasto tra giudicati potrebbe insorgere solo in sede di giudizio di rinvio conseguente alla sentenza di Cassazione ma, in tal caso, opererebbero comunque gli strumenti preventivi (eccezione di giudicato o impugnazione per revocazione) o successivi (prevalenza del secondo giudicato) previsti dall’ordinamento.

Il carattere cedevole del giudicato fin qui emerso nell’analisi della disciplina positiva rispecchia invero la «debolezza» della sua tutela in sede di costituzionale.

L’art. 104 del Progetto della Costituzione prevedeva che «le sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia e indulto». In Assemblea Costituente prevalse, invece, l’orientamento contrario alla costituzionalizzazione del principio dell’intangibilità del giudicato90.

89 Cassazione, sentenze nn. 2969 del 2001, 3753 del 2000, 2721 del 1993, 5851 del 1987. 90 Si cfr., sul punto, C

ALAMANDREI, Opere giuridiche, Napoli 1968, 111, 217; GROTTANELLI DE’SANTI, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi, Milano 1970, 61; PIZZORUSSO, Riproposizione di decreto legge non convertito, in Giust. civ.,

1984, I, 2581; TARCHI, Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale, Milano, 1990, 434; CAPONI, L’efficacia del

Di fronte a tale lacuna costituzionale, la dottrina, nell’affrontare il tema dei limiti connessi alla retroattività delle leggi di interpretazione autentica91, ha assunto essenzialmente due diverse posizioni92.

Secondo alcuni, malgrado la scelta dei Costituenti, nulla osta alla proclamazione di un principio di intangibilità del giudicato, il quale può implicitamente essere ricavato dalla forma di Stato.

giudicato civile nel tempo, Milano 1991, 868; TARZIA, Leggi interpretative e garanzia della giurisdizione, in Riv. Dir. Pubbl., 1998, 243. In sede di Assemblea costituente venne altresì respinto l’emendamento all’art. 73, proposto dall’On. Codacci Pisanelli, secondo cui «le leggi non potranno avere effetto retroattivo»: in proposito l’On. Tosato, a nome della Commissione, sottolineò l’inopportunità di una norma costituzionale che sancisse l’irretroattività delle leggi, giacché la sua rigidità poteva dar luogo ad inconvenienti, come, per esempio, la difficoltà di assegnare efficacia retroattiva ad aumenti stipendiali. Non venne del pari accolto l’emendamento all’art. 24, proposto dall’On. Dominedò, che opponeva alla retroattività degli atti normativi il limite dei diritti quesiti.

91 Una legge di interpretazione autentica può, infatti, essere irregolarmente utilizzata per dotare di efficacia retroattiva

disposizioni in realtà innovative al fine di realizzare sanatorie ed, appunto, di vanificare il giudicato. Sotto tale profilo, anche a voler ritenere le leggi interpretative una categoria dotata di una propria autonomia concettuale, i limiti che esse incontrano sono quindi gli stessi che si impongono al legislatore retroattivo. Si cfr., in proposito, TARCHI, Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale, cit., 429, CELOTTO, Il controllo sulle leggi di sanatoria: «schemi» di giudizio di uno scrutinio

particolarmente rigoroso, in Giur. Cost., 1999, 127 e ss., nonché, in precedenza, RESCIGNO, Leggi di interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, in Giur. Cost., 1964, 770 e ss. secondo cui «le leggi di interpretazione (…) sono

leggi naturalmente retroattive, a differenza delle altre leggi che sono naturalmente irretroattive. Laddove una legge che voglia essere retroattiva deve dichiararlo espressamente o porre disposizioni tali che non siano interpretabili altrimenti che come norme retroattive, una legge di interpretazione per ciò solo è retroattiva, e se vuole essere irretroattiva deve dichiararlo».

Sui limiti alla retroattività di leggi interpretative che determinino una reformatio in peius di discipline previgenti, che prevedano posizioni giuridiche di favore consolidate, si veda Corte cost., 4 novembre 1999, n. 416 con nota di CARNEVALE, “… Al fuggir di giovinezza… nel doman s’ha più certezza” (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale), in Giur. cost., 1999, 3643 e ss., il quale evidenzia come, dalla giurisprudenza della Corte,

emergano, in tale circostanza, due elementi ostativi alla formazione del legittimo affidamento: da una parte, «il giudice costituzionale ha negato che una pretesa di salvaguardia possa riposare sopra un’interpretazione della legislazione che appaia successivamente frustrata dal legislatore a mezzo di interpretazione autentica, ogniqualvolta quest’ultimo intervenga per dirimere un contrasto esegetico effettivamente esistente fra gli organi della giurisdizione. Ciò in quanto – spiega la Corte – nessun “legittimo affidamento poteva infatti sorgere sulla base di un’interpretazione della norma tutt’altro che pacifica e consolidata ed anzi fortemente contrastata dalla giurisprudenza di merito” (sent. 229 del 1999)»; dall’altra, «analoga funzione interdittiva della nascita di un legittimo affidamento è attribuita al vizio di legittimità costituzionale della norma fondante la pretesa, poiché non è possibile “fondare un’aspettativa legittima sopra una norma costituzionalmente illegittima” (cfr. sent. n. 421 del 1995). In sostanza, secondo la Corte, la legittimità dell’affidamento sopra un determinato trattamento giuridico non può che richiedere la legittimità della norma che lo prevede (o, quantomeno, il verificarsi del vizio posteriormente al suo insorgere), risolvendosi altrimenti l’affermazione della sussistenza dell’affidamento in una vera e propria contradictio in terminis. Quasi, anche qui, ad invocare una sorta di incompatibilità tra consolidamento della pretesa e precarietà esistenziale della legge viziata di illegittimità. Se ne ricava, pertanto, che se la tutela dell’affidamento del cittadino può assumere a limite l’efficacia retroattiva della legge, di contro essa non è in grado di spiegare verun effetto di limitazione nei confronti della c.d. retroattività delle decisioni di incostituzionalità (cfr., ancora, sent. n. 421, cit.)». Si cfr., inoltre, dello stesso Autore con riferimento alla successiva Corte cost. n. 525 del 2000, Legge di interpretazione autentica, tutela dell’affidamento e vincolo rispetto alla giurisdizione, ovvero del

“tributo” pagato dal legislatore-interprete “in materia tributaria” al principio di salvaguardia dell’interpretazione “plausibile”, in Giur. It., 2001, 2415 e ss.

In giurisprudenza, si veda da ultimo la recente Corte cost., 30 gennaio 2009, n. 29 - in tema di proroga di efficacia dei verbali di accordo sull’indennità espropriativa dovuta per la realizzazione di interventi in zone terremotate - nella quale, richiamando il consolidato orientamento in tema di limiti alla retroattività, si ribadisce che «l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (sentenze n. 74 del 2008 e n. 376 del 1995), anche al fine di assegnare a determinate disposizioni un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (sentenze n. 234 del 2007 e n. 224 del 2006). La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenze n. 156 del 2007 e n. 416 del 1999), pur se dettata dalla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o per far fronte ad evenienze eccezionali (sentenza n. 419 del 2000)».

92 La ricostruzione delle riferite posizioni dottrinarie è di L

IBONE, Corte costituzionale e tutela della res iudicata tra illusione e realtà, in Giur. Cost., 2000, 4387.

L’impossibilità per il legislatore interprete di incidere sulle statuizioni contenute in sentenze definitive è stata quindi sostenuta invocando il principio della separazione dei poteri93, che postula l’indipendenza del potere giudiziario, e la “riserva di sentenza”94.

Assai frequente anche il richiamo alla certezza del diritto: canone fondamentale dello Stato di diritto e principio «cardine di un’ordinata convivenza»95, la garanzia della certezza dei rapporti giuridici e, correlativamente, la pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost. “incorporerebbero” per alcuni anche il diritto ad una stabile definizione delle controversie ed alla salvaguardia dei diritti quesiti96, certamente oggetto di violazione nell’ipotesi in cui il legislatore oltrepassi le «colonne d’Ercole» della cosa giudicata97.

Diversamente da quanti conferiscono al giudicato una peculiare forza passiva, che non può essere superata senza per ciò solo vulnerare l’indipendenza della magistratura, o la certezza del diritto o il diritto di difesa, la dottrina maggioritaria propende per una «tutela debole» delle sentenze definitive.

Tra gli argomenti invocati a sostegno di tale posizione vi è innanzitutto quello testuale, relativo, appunto, alla mancanza di una disposizione costituzionale espressa che contempli l’intangibilità delle sentenze definitive.

Molti autori ritengono che, nel silenzio della Costituzione, il rispetto della cosa giudicata si collochi sul piano delle valutazioni di opportunità, costituendo un mero obbligo politico: riposando su disposizioni di legge ordinaria, la resistenza del giudicato allo ius superveniens può essere sempre vinta con un espresso intervento derogatorio del legislatore98.

93 Si tratta, in particolare, della posizione espressa da A

ZZARITI, Il principio di irretroattività della legge e i suoi riflessi di carattere costituzionale, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1955, 622, secondo cui qualora una disposizione retroattiva dovesse

spingersi fino a travolgere le sentenze dei giudici, essa potrebbe ritenersi illegittima, per violazione di quel principio di divisione dei poteri che, sebbene inespresso, può ritenersi fondamentale nel nostro ordinamento costituzionale.

Si cfr., in proposito, anche TARCHI, Le leggi interpretative come strumento di dialogo (o di bisticcio?) fra parlamento e giudici,

in Foro It., 1988, I, 1343.

94Così S

ILVESTRI, voce Poteri dello Stato, in Enc. Dir., Milano, 1983, 706. Si cfr.no, altresì, BARTOLE, A proposito della riserva della funzione giurisdizionale, in Studium iuris, 1995, 163 e SORRENTINO, Le fonti del diritto, Genova, 1992, 59.

95 Si cfr., sul punto, L

ENER, in Foro It. 1982, I , 1662 ss., che ha definito il principio dell’intangibilità del giudicato un

«fondamentale canone dello Stato di diritto», al punto che la sua rimozione ad opera del legislatore determinerebbe un’indebita confusione fra poteri.

96 Si veda BENVENUTI, voce Giudicato (dir. amm.), in Enc. Dir., Milano, 1969, XVIII, secondo cui «il giudice è garante della

conservazione rispetto al mutamento perenne della società e dei fatti giuridici che si verificano nell’ambito dell’ordinamento, e punto id equilibrio in cui si racchiude il significato profondo del giudicato è proprio quello che coglie stabilità e movimento, conservazione e progresso, così da conciliare le due forze e garantire l’effettività dell’ordinamento». Si cfr., inoltre, CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, 367, il quale sottolinea altresì come il richiamo alla certezza del diritto

come definitiva composizione delle liti è tipico dell’esperienza giuridica tedesca ed, in particolare, della giurisprudenza del

Bundesverfassungsgericht.

97 L’espressione è di L

A FARINA. Il giudicato: atto di sovranità o «chiffon de papier»?, in Foro It., 1990, V, 35 e ss., il quale

evidenzia come, laddove la cosa giudicata venga ridotta dal legislatore a mero «chiffon de papier», si determina una pericolosa regressione verso la barbarie giuridica. Si veda, in proposito, anche PUGIOTTO, Il legislatore interprete e le «colonne d’Ercole» del giudicato, in Giur. Cost., 2000, 2667.

98 C

APONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., 271 secondo cui «l’intangibilità del giudicato (…) vale come regola: è

sempre possibile che eccezionalmente la legge retroattiva intenda cancellare l’efficacia delle sentenze passate in giudicato sotto il

Secondo questa impostazione, l’invocato principio della separazione dei poteri non costituisce un idoneo supporto sul quale costruire il principio di intangibilità della res judicata: il legislatore, nell’introdurre una norma dotata di efficacia retroattiva che travolga le sentenze irrevocabilmente decise, si muove infatti su di un piano diverso da quello del giudice, immettendo nell’ordinamento un quid novi che questi è poi chiamato ad applicare99. In questa prospettiva, dunque, lo ius superveniens non vulnera la potestas iudicandi, incidendo sul modello di decisione cui l’esercizio di detta potestà dovrà attenersi.

È stato, infine, osservato come anche l’individuazione del fondamento dell’intangibilità del giudicato nel principio costituzionale non scritto della certezza del diritto non consenta di attribuirle carattere di assolutezza ma anzi, al fronte di un’eventuale legge retroattiva, la espone al bilanciamento del valori.

Questa conclusione è condivisa dalla giurisprudenza costituzionale fin dalle prime pronunce in materia di interpretazione autentica100.

vigore del diritto precedente; questa cancellazione non potrebbe conseguire ad una previsione genericamente retroattiva; occorre invece una disposizione che preveda espressamente la cancellazione degli effetti dei giudicati verificatisi sotto il vigore della legge precedente». Si cfr.no inoltre AMORTH, Leggi interpretative e leggi di sanatoria nei rapporti tra potere legislativo e potere

giudiziario, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1958, 80; GROTTANELLI DE SANTI, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi,

cit., 61; PALADIN, Appunti sul principio di irretroattività, in Foro Amm., 1959, I, 950; TARCHI, Le leggi di sanatoria nella teoria

del diritto intertemporale, cit., 146.

99 In proposito si veda SANDULLI, Il principio di irretroattività delle leggi e la costituzione, in Foro Amm., 1947, II, 73 e ss., ad

avviso del quale un atto legislativo che caduchi gli effetti di un giudicato non può ritenersi lesivo del principio di divisione dei poteri, giacché le disposizioni legislative operano su un piano diverso, parallelo rispetto a quello delle decisioni giudiziali. Si cfr.,

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