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Capitolo Secondo: Il principio della capacità contributiva e la progressività delle imposte

2.2. Indicatori di capacità economica

2.2.1. La variabile economica

Le variabili economiche di riferimento possono essere molteplici e possono assumere diversi valori nel tempo e nello spazio. Quelle prese in considerazione nella prassi sono il reddito, il consumo e il patrimonio. (BALDINI, et al., 2000, pp. 16-17)

 Reddito: esaminando il concetto di reddito possiamo definirlo come il flusso che deriva, in certo intervallo di tempo, da stock di ricchezza. La ricchezza a sua volta può assumere diverse forme:

a. Capitale reale, come case, terreni, beni durevoli, ecc.;

b. Capitale finanziario da azioni, obbligazioni, ecc. che produce reddito attraverso gli interessi, i dividendi e le plusvalenze;

c. Capitale umano derivante da conoscenze di un individuo derivanti dal talento naturale, istruzione e addestramento ricevuti.

Ogni tipo di capitale produce un flusso di reddito sia sotto forma monetaria sia non monetaria. Ad esempio, il capitale umano produce reddito monetario attraverso il reddito da lavoro e reddito non monetario che deriva dall’uso del tempo libero in un certo modo.

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In questo contesto sono emersi in particolare due concetti: il reddito prodotto e il reddito entrata. (BOSI, 2017, p. 50)

Il reddito prodotto assume come punto di riferimento della capacità contributiva i redditi ottenuti come corrispettivo dalla partecipazione ad un’attività produttiva in un determinato periodo di tempo. È calcolabile come somma dei redditi prodotti con l’impiego di lavoro dipendente o autonomo, di capitale fisico, di capitali finanziari e di rendite fondiarie o urbane. Questo modello è stato utilizzato nei sistemi di imposizione diretta del reddito sorti nell’800 e agli inizi del ‘900.

Il reddito entrata è proposta nel 1938 da Henry Simons. In questo caso secondo Simons il reddito è pari alla variazione che si realizza nel patrimonio in un arco temporale (periodo di imposta). Dal reddito entrata possiamo dare una definizione rigorosa, che mette in luce la relazione tra i componenti patrimoniali (stock) e componenti reddituali (flussi); esso è l’ammontare massimo di risorse che può essere potenzialmente consumato in un dato periodo, garantendo alla fine dello stesso la medesima situazione patrimoniale esistente all’inizio del periodo. Può essere considerata una definizione esaustiva in quanto comprende tutte le possibili fonti di reddito; ciò però lo rende di difficile calcolo. Sarebbe necessario, infatti, calcolare guadagni e perdite in conto capitale, fringe benefits, rendite imputate, lavoro non pagato e trasferimenti pubblici in natura.

o Guadagni e perdite in conto capitale: è necessario includere nel reddito misurato tutte le variazioni del valore dello stock di ricchezza, anche se si tratta di variazioni maturate e non realizzate. La cosa non è di semplice realizzazione perché si tratta di un guadagno potenziale e non reale, inoltre per molte fonti di ricchezza non liquide non è facile calcolare la variazione di valore. Spesso il reddito da attività finanziarie viene valutato al costo opportunità, ovvero al tasso di interesse dei titoli di stato, soluzione corretta per il lungo periodo ma che non tiene conto di forti oscillazioni del mercato. (BALDINI & TOSO, 2009, p. 17)

o Fringe benefit: sono tutte le voci addizionali alla retribuzione, corrisposti per lo più con beni o servizi, come i buoni pasto o l’auto aziendale. Questi

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benefici vanno sicuramente compresi nel calcolo del reddito personale. (BALDINI & TOSO, 2009, p. 17)

o Rendite imputate: gran parte dei beni capitali appartenenti ad un individuo gli forniscono un beneficio che non viene rilevato dal mercato, ma che deve essere imputato. Ad esempio, la casa di abitazione di proprietà dà il beneficio pari all’affitto che dovrei pagare se non fosse di mia proprietà. Lo stesso principio va applicato a tutti i beni durevoli, anche se per alcuni non è così semplice e può rivelarsi arbitrario. (BALDINI & TOSO, 2009, p. 18)

o Lavoro non pagato: le attività svolte da ciascun individuo che producono benessere per sé stessi, senza però ricevere una retribuzione per svolgerle. Vanno considerati tutti i lavori domestici fino ad arrivare alla cura dei propri familiari che potrebbero richiedere assistenza. Si tratta di una parte rilevante di lavoro, che pur non producendo reddito, produce benessere. Può essere quindi giusto cercare di calcolare il reddito esteso che comprende una valutazione economica del lavoro domestico, attribuendo a quest’ultimo un valore pari al costo che si dovrebbe sostenere per acquistare il bene o il servizio sul mercato. Oppure si potrebbe attribuire alle attività domestiche un valore pari al reddito a cui si rinuncia dedicando un’ora al lavoro in casa, sotto l’ipotesi che ciascuno di noi possa scegliere quanto tempo dedicare al lavoro domestico o al lavoro remunerato sul mercato. (BOSI, 2015, p. 18)

o Trasferimenti pubblici in natura: il governo può modificare le condizioni economiche dei cittadini non solo attraverso imposte e trasferimenti monetari, ma anche dando loro la possibilità di usufruire di servizi e beni a prezzi inferiori rispetto a valori di mercato. I principali esempi sono la sanità, la scuola e gli altri servizi pubblici. Se aggiungiamo al reddito disponibile il valore dei trasferimenti in natura ricevuti, otteniamo il reddito finale. (BALDINI & TOSO, 2009, p. 18)

 Consumo: molti studi utilizzano il consumo o reddito spesa come elemento per valutare il benessere degli individui. Rispetto alla nozione di reddito prodotto, il fondamento equitativo di questa definizione della base imponibile è che gli

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individui vengano tassati sulla base delle risorse che essi sottraggono al valore prodotto dalla collettività (consumi) e non sulla base del contributo che essi danno alla formazione delle risorse. Si sceglie il consumo, inoltre, per una ragione pratica perché in molti paesi è più facile avere informazioni sul consumo piuttosto che sul reddito. In realtà le indagini rilevano quant’è la spesa e non il consumo, ovvero quante sono le uscite monetarie effettuate. Il consumo non corrisponde alla spesa per il valore dei beni durevoli che vengono utilizzati per un lungo periodo di tempo. Sul piano teorico, il consumo, rispetto al reddito tende ad essere stabile, perché riflette le prospettive reddituali di medio-lungo periodo. Secondo la teoria del reddito permanente di Friedman, una persona sceglie il proprio profilo di consumo tenendo conto dei redditi di tutta la vita, non del reddito corrente.

Avendo un andamento più stabile nel lungo periodo, il consumo può essere considerato come elemento più fedele per il calcolo del benessere medio dell’individuo. Tuttavia, la scelta del consumo come base per il calcolo della capacità economica si fonda sull’ipotesi di libero accesso al mercato dei capitali e sulla perfetta razionalità dei consumatori; tali ipotesi sono prive nella realtà di un robusto fondamento e mettono in discussione la superiorità dell’indice consumo rispetto al reddito. Inoltre, il consumo potrebbe dare risultati forvianti dato che evidenzia le preferenze di spesa e non le concrete possibilità: una famiglia composta da persone anziane con consumi contenuti potrebbe risultare erroneamente come una famiglia con ridotte capacità economiche. (BALDINI & TOSO, 2009, p. 23)

Il reddito, invece, esprime direttamente il potere di disporre di risorse quindi risulta più adatto a descrivere le possibilità di benessere economico individuale.  Patrimonio: il possesso di uno stock di capitale non fornisce benessere economico solo attraverso la realizzazione di un reddito, ma anche attraverso lo status e la sicurezza che fornisce. Il patrimonio viene considerato come un generatore di utilità per l’individuo. Come vedremo in seguito, nel tentativo di considerare, per la valutazione della capacità economica, sia il reddito che il patrimonio è stato adottato l’indicatore di situazione economica equivalente (ISEE). L’ISEE viene utilizzato da molte amministrazioni come metro per

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indicare il benessere economico di una famiglia. (BALDINI & TOSO, 2009, p. 24)