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nell’ordinamento italiano

3.1.2. Limiti quantitativi costituzionali al prelievo fiscale

Nell’ordinamento italiano attualmente non esistono limiti costituzionali quantitativi al prelievo fiscale, anche se sarebbe auspicabile esistessero.

È necessario dare un duplice ordine di precisazioni a questa risposta: in primo luogo, bisogna comprendere quali considerazioni ci portano a pensare che nel nostro ordinamento non possono ritenersi esistenti limiti quantitativi all’imposizione; una seconda riflessione ricercherà i motivi che ci spingono ad apprezzare il “valore costituzionale” della moderazione tributaria, anche a prescindere dalla precisa quantificazione di eventuali limiti costituzionali al prelievo fiscale.

Sui limiti costituzionali quantitativi all’imposizione fiscale è possibile ragionare in modo diverso: in senso oggettivo o soggettivo. Il limite oggettivo, o globale, definisce il massimo quantum dell’imposizione fiscale, con riferimento all’ordinamento giuridico considerato nel suo complesso, inteso come rapporto tra il totale delle entrate fiscale dello Stato ed il prodotto nazionale lordo. I limiti soggettivi, o individuali, riguardano invece il singolo contribuente, ed hanno a che vedere con il quantum del prelievo fiscale cui egli può essere individualmente assoggetto. I limiti quantitativi soggettivi possono essere essenzialmente di due tipologie: si può considerare un limite minimo all’imposizione fiscale, che consisterebbe in quello spazio minimo di ricchezza del contribuente intangibile da parte del Fisco, chiamato anche “minimo vitale”; oppure un limite massimo all’imposizione, che identificherebbe invece una soglia massima al di sopra della quale non si potrebbe spingere il prelievo tributario. (BERGONZINI, 2014, p. 38)

In merito all’esistenza o meno di un limite minimo soggettivo di imposizione fiscale nell’ordinamento italiano, va ricordato che la necessità di escludere dall’imposta i redditi minimi costituisce una delle conseguenze maggiormente riconosciute del principio di capacità contributiva, che trova diverse menzioni e conferme in alcuni passaggi della

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discussione in Assemblea Costituente. Come ebbe modo di precisare l’on. Scoca, in una frase ancora attuale ed efficace: “non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere”55. Da qui l’idea,

che risponde al buon senso comune prima ancora che ai principi giuridici, in base alla quale non possono essere tenuti a partecipare alle spese pubbliche coloro che dispongono di una capacità economica appena sufficiente ad assicurare a sé ed alla loro famiglia un’esistenza libera e dignitosa: primum vivere, deinde contribuere. Esiste una generale convinzione circa la necessità di non assoggettare ad imposta il cosiddetto “minimo vitale”, anche a prescindere dalla concezione della capacità contributiva che si ritiene preferibile. (BERGONZINI, 2014, p. 39)

Ma non esclude l’esistenza di problemi di particolare interesse, specie per quanto riguarda la precisa quantificazione del limite e la sua estensione oggettiva: quali spese devono essere considerate per calcolare quanto è necessario a condurre un’esistenza libera e dignitosa?

Queste domande e problemi assumono rilevanza quando si passa ad esaminare la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di limite minimo. In linea di principio, la Consulta ha sempre riconosciuto la formale esistenza di un limite minimo implicito nel principio di capacità contributiva. Tuttavia, la misura del “minimo vitale” non è mai stato oggetto di un concreto sindacato di costituzionalità dal punto di vista quantitativo, né di quello qualitativo. La Corte ha ritenuto insindacabile la determinazione della misura delle detrazioni o deduzioni concesse dal legislatore per tutelare i contribuenti minimi e le loro famiglie, ma anche la stessa definizione legislativa della tipologia di spese che tali contribuenti effettuano per garantirsi un’esistenza libera e dignitosa56. (BERGONZINI,

2014, pp. 40-41)

Il limite costituzionale minimo all’imposizione fiscale, per quanto sorretto da una consistente e generalizzata giustificazione teorica, che trova conforto nella Costituzione vigente, sul piano concreto non si può considerare effettivo: non sembra essere applicato

55I passaggi fondamentali del discorso dell’onorevole Scoca sulla capacità contributiva possono

essere recuperati in Assemblea Costituente, La costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, Vol. I, Roma, 1970, p. 1925-1926.

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ed osservato in concreto dal legislatore tributario, né dalla Corte costituzionale, tanto che è improbabile che la Consulta possa giungere a dichiarare l’illegittimità dell’attuale legislazione tributaria per violazione del limite minimo. Dopo quest’esamina, si può dire che il limite soggettivo minimo dell’imposizione fiscale sostanzialmente non esiste nel nostro ordinamento.

Per quanto riguarda il limite soggettivo massimo le conclusioni a cui si perviene sono ancora più chiare. In merito all’individuazione di un limite di questo tipo non esiste uniformità di vedute. A differenza di quanto succede per il limite minimo, la possibile giustificazione costituzionale di un eventuale limite massimo soggettivo al prelievo fiscale continua a nutrire un acceso dibattito: mentre il limite minimo consente di far convivere felicemente la concezione solidaristica del principio di capacità contributiva con quella garantistica, le problematiche della limitazione massima soggettiva del prelievo tendono a far collidere queste due concezioni. (BERGONZINI, 2014, pp. 46-47) In sostanza coloro che sono portati ad evidenziare la portata garantistica dell’art. 53 Cost. tendono ad individuare nello stesso un limite massimo al prelievo. In questa prospettiva, un’imposizione quantitativamente eccessiva rischierebbe non solo di condurre il prelievo oltre la capacità contributiva di ciascun soggetto passivo, ma si tradurrebbe anche in un’accettabile comprensione dei diritti economici di quest’ultimo: con effetti potenzialmente espropriativi che rischierebbero di ledere i diritti di proprietà. Diversamente, coloro che sono maggiormente portati ad evidenziare la portata solidaristica dell’art. 53 Cost., difficilmente ammettono l’individuazione di possibili limiti quantitativi massimi. Per questi autori assume, quindi, particolare rilievo l’esigenza di garantire la prevalenza del dovere tributario e dell’interesse fiscale rispetto ai diritti economici individuali.

Secondo la Corte, la determinazione della misura massima del prelievo fiscale è rimessa alla più ampia discrezionalità del legislatore tributario, salvo il controllo sull’assoluta arbitrarietà od irragionevolezza di tale misura57. (GALLO, 2011, pp. 104-106)

Alla luce della diversità di opinioni in argomento e della giurisprudenza costituzionale consolidata, il limite massimo soggettivo del prelievo fiscale non può certo dirsi effettivo nel nostro ordinamento: il limite massimo, anzi, dovrebbe senz’altro ritenersi ancora più “inesistente” ed evanescente del limite minimo. Non dovrebbe apparire strano, quindi,

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che nell’ordinamento italiano il prelievo possa talora spingersi a superare il reddito prodotto dal cespite assoggettato ad imposta, o che siano chiamati a contribuire alle spese pubbliche anche soggetti che non hanno prodotto alcun reddito.