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LA VERITÀ DEL PROVERBIO: UNA PROPOSTA ETIMOLOGICA

I.2. PAREMÌE A CONFRONTO: PROVERBI ED ESPRESSIONI IDIOMATICHE

I.2.4. LA VERITÀ DEL PROVERBIO: UNA PROPOSTA ETIMOLOGICA

Secondo altri studiosi92 si può osservare ancora un tratto che separa i proverbi dalle espressioni idiomatiche; sebbene il significato idiomatico di entrambi possa mantenere un legame più o meno forte con quello composizionale dell’espressione, a variare sarebbe la natura di tale idio- maticità: nelle espressioni idiomatiche il senso figurato non si baserebbe sulla condizione di verità espressa dall’enunciato93; mentre i proverbi introducono nel discorso una verità già nota, di validità generale e per- manente – atemporale, dunque – la cui funzione è di argomentare e comprovare al fine di convincere l’interlocutore. Tale verità risaputa rappresenta la pietra angolare sulla quale si fonda la forza argomentativa e persuasiva del proverbio. Invece l’espressione idiomatica, pur avendo lo stesso aspetto illocutivo, baserebbe la sua capacità persuasiva sulla distorsione della verità. Dunque, per quanto riguarda l’aspetto pragmati- co delle unità fraseologiche in esame, i proverbi pretendono di convince- re l’interlocutore tramite la verità inesauribile basata sull’esperienza, sfrut- tando il loro sigillo di antichità e la loro capacità di mantenere efficacia comunicativa nello spazio e nel tempo. Le espressioni idiomatiche, d’altro canto, aspirerebbero a convincere l’interlocutore cercando di

92 Si veda ad esempio M. GONZALES REY, op. cit., pp. 57-73.

93 Più precisamente, possiamo distinguere con la studiosa spagnola due tipi di espres- sioni idiomatiche: quelle di tipo 1 (derivanti da combinazioni libere arcaiche ormai cadute in disuso o, se ancora vive, provenienti da altri campi lessicali) sono carenti di veridicità tempo- rale o spaziale e giustificano la propria idiomaticità in funzione della devianza d’uso, mentre quelle di tipo 2, che non hanno corrispondenze omografe, sono caratterizzate da idiomaticità generata da una distorsione della realtà, dovuta in primis all’assenza totale di composizionalità (sia interna sia con il contesto) e quindi alla creazione di enunciati letteralmente sorprendenti per non dire assurdi.

impressionarlo, rompendo gli schemi e destabilizzando le sue aspettative, con immagini di forte impatto iconico, svianti dalla realtà e che nulla avrebbero a che fare con la verità empirica su cui invece il proverbio si fonda94.

Varrebbe ora la pena di effettuare una breve indagine etimologica sul termine proverbio e dunque su verbum, nel tentativo di verificare se in qualche modo esso contenga intrinsecamente il concetto di vero e quindi di verità.

Temistocle Franceschi95 ritiene che l’etimo cui si debba ricondurre la parola italiana proverbio sia verbum, nel senso di espressione verbale orale: «E come adverbium “forma applicata a [modificarne] un’altra” si può riportare a verbum ad verbum, così possiamo ricondurre proverbium a verbum pro verbo: costrutto che interpreteremo come “atto verbale che sta a rap- presentarne un altro”, ovvero “modo di dire [qualcos’altro]”». Lo studio- so precisa che «il nostro vocabolo si qualifica come una sequenza di sintagmi costituente un singolo atto verbale. Definizione questa che può corrispondere a modo di dire, idiotismo, espressione idiomatica, ma anche, nel caso più complesso, al significato che oggi si suole riconoscere al termine in oggetto: quello di frase finita con valore di sentenza. Un senso generico del vocabolo si riscontra in effetti fin dalle origini, e tut- tora usiamo dire che “è passata in proverbio” – o “è divenuta proverbia- le” – la pazienza di Giobbe, in riferimento alla locuzione aver più pazienza di Giobbe». Analogamente possiamo citare con Franceschi Ci vorrebbe la

94 Lo stesso concetto è espresso in T. FRANCESCHI, L’Atlante Paremiologico Italiano e la

Geoparemiologia, cit., p. 11: «Proprio su tale intuizione di una “verità universale” noi vediamo

riposare in primissimo luogo la potenza retorica del proverbio». 95 T. FRANCESCHI, La formula proverbiale, cit., p. IX.

memoria di Pico della Mirandola o anche È cosa lapalissiana che, essendo entrate nell’uso tradizionale, prescindono dalla conoscenza che il parlante possa avere della Bibbia o di personaggi storici come Pico o monsieur de la Palisse.

Sebbene altre interpretazioni etimologiche non coincidano con quella proposta da Franceschi, proverbio è sicuramente connesso in qual- che modo a verbum.

Nella letteratura paremiologica esaminata sembra ricorrere un altro nesso costante, rintracciabile in modo particolare nell’interpretazione popolare della parola proverbio96, ma non solo: non sono pochi i pare- miologi che hanno privilegiato nelle proprie definizioni l’aspetto norma- tivo nonché quello mitico che quindi vede nella frase proverbiale un barlume di verità ancestrale97. In sostanza emerge una connessione tra il significato di verbum e quello di vērus che farebbe supporre l’esistenza di un’unica parola progenitrice depositaria del concetto di parola intrisa di verità (cioè vera nel senso di degna di fede), così come accade nel greco λόγος, in cui il senso di parola, di concetto e di verità si trasfondono l’uno nell’altro98.

96 Rimandiamo per ulteriori precisazioni al primo paragrafo di questo capitolo.

97 Tra i tanti si pensi a P.J.L. ARNAUD (op. cit., pp. 5-27) che cita tra le peculiarità distin- tive del proverbio la capacità di esprimere il valore di verità generale; analogo concetto è ravvisabile in M. GONZALES REY,op. cit., pp. 57-73. Si tenga anche presente l’interessante definizione di proverbio di M. Durante, citata da G.R.CARDONA e fino ad allora inedita (op.

cit., p. 166): «Il proverbio è una sequenza grammaticalmente autonoma che si caratterizzi

rispetto al discorso colloquiale per il ritmo fonico (ritmo, allitterazione, etc.) ed eventualmen- te semantico (antitesi, parallelismo, gradazione) ed esprima un contenuto assunto come verità

paradigmatica, cioè tale da adattarsi non soltanto alla situazione in atto, ma altresì a qualunque

situazione dello stesso genere» (corsivo mio). Per ciò che concerne l’aspetto mitico del proverbio, si rinvia al fondamentale contributo di A.J. GREIMAS, op. cit.

98 Si ricordi che la capienza semantica di Logos include il senso di parola, ossia ciò che esprime il pensiero (lat. oratio), ma è anche il pensiero stesso (lat. ratio). Inoltre, tra i tanti (si

Viene da domandarsi se, oltre alla presunta radice etimologica in comune, rinvenibile nell’indeuropeo *u̯er-dho-, radice di parola, e *u̯ēro-s riconducibile a vero, verbum e vērus non condividano anche lo stesso signi- ficato di base99.

A. Ernout e A. Meillet100, trattando la voce vērus nel loro Dizionario Etimologico, forniscono informazioni sulla rintracciabilità di tale parola, per esempio, nell’irlandese fír, oppure nello slavo věra (“croyance”) o nel pehlvi vāvar (“authentique, qui mérite foi”)101 e concludono con un rin- vio: «voir de plus l’article verbum», istituendo un legame stretto tra vērus / verbum che non viene ulteriormente precisato e resta dunque in sospeso. Ad ogni modo, seguendo tale indicazione ed esaminando la voce verbum, si evince che in alcune parole di diverse lingue indeuropee è visibile pensi al significato di discorso e quello di promessa, ma anche di detto, proverbio, massima e ancora quello di rivelazione, oracolo, responso) assume – e traduce – il significato dell’ebraico ‘parola rivelata’, ‘messaggio di Gesù’, ‘parola della verità’, analogamente al latino

Verbum. Sebbene quest’ultima sia un’evoluzione semantica relativamente tarda (infatti è in età

cristiana che si ebbe l’identificazione del concetto di verità con quello di divinità: si pensi in

primis al Vangelo di Giovanni), è evidente che già in partenza la parola contenesse i presup-

posti semantici che hanno consentito l’espansione in tale senso dell’accezione: basti pensare al significato di rivelazione, a quello di oracolo e di responso. D’altro canto anche in latino emerge la sacralità della parola verbum, già prima che si possa parlare di Verbum, se si pensa all’umbro

verfale (‘tempio’; cfr. VARRONE, De Lingua Latina, 7,8: «In terris dictum templum locus augurii aut auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus»), di uguale radice. Si vedano anche: H.G. LIDDEL e R. SCOTT, Dizionario illustrato greco-italiano, a cura di Q. Cataudella, M. Man- fredi, F. Di Benedetto, Casa Editrice Le Monnier, Firenze, 1975, p. 783; F. MONTANARI,

Vocabolario della lingua greca, II edizione, Loescher, Torino, 2004, pp. 1269-1270. Naturalmente

si tenga presente che anche il latino verbum racchiude oltre al significato di parola, quello di proverbio e sentenza: «verum vetus est verbum quod memoratur: ubi amici ibidem opes» (PLAUTO, Truculentus, 885).

99 Per le radici indoeuropee si fa riferimento a J.POKORNY, Indogermanisches etymologisches

Worterbuch, Franche, Bern-Munchen, 1959, vol. I, pp. 1162-1163 e 1176. Cfr. anche V. PISA- NI, Glottologia Indeuropea, Rosenberg & Sellier, Torino, 1961, pp. 466 e 477.

100 A.ARNOUT,A.MEILLET, Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine. Histoire des mots, Librairie C. Klincksiek, Paris, 1932, pp. 1052-1053 (alla voce vērus) e p. 1046 (alla voce ver-

bum).

l’intersecarsi dei due significati di parola e verità: si pensi all’avestico urvāta (prescrizione), allo slavo antico rota (giuramento), e soprattutto al sanscri- to vratam (voto = promessa solenne). A questo punto non si può non pensare all’espressione idiomatica dell’italiano Prendere in parola (o anche Dare la propria parola e Dare la parola d’onore, a seconda del ruolo svolto nell’atto comunicativo) nel senso di attribuire valore d’impegno o di promessa a quanto qualcuno afferma; d’altro canto, con l’atto commissi- vo del promettere, il parlante s’impegna sul fatto che un certo stato di cose si realizzerà nel futuro, dando garanzia che quanto dice è vero e perciò degno di fede.

Dopo questo necessario excursus etimologico è possibile sostenere che il sigillo della verità è inscritto nel DNA della proverbialità.