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LA DIMENSIONE PRAGMATICA DELLE FORMULE PRO VERBIAL

II.1. DALLA SEMANTICA ALLA PRAGMATICA DEL PROVERBIO

6 Si veda C A NDORNO , ibid., p 9 7 Ibid., p 10.

mantica e alla sintassi, che si occupano invece delle proprietà sistemati- che della lingua in quanto codice. In questa prospettiva, la pragmatica non può assurgere a vera scienza linguistica, la quale si occupa esclusi- vamente dei fatti sistematici relativi alla competenza dei parlanti»8. An- dorno procede nella sua disquisizione sulla definizione di pragmatica citando la reazione di Dell Hymes a tale visione limitata della competen- za linguistica dei parlanti (intesa come competenza del codice avulsa dalle sue funzioni comunicative): la replica di Hymes si materializza nella co- niazione del già citato concetto di competenza comunicativa. A sua volta Stephen Levinson, nel primo, e a tutt’oggi usato, manuale di pragmatica, pubblicato nel 1983, propone ed esamina diverse definizioni ritenendo, in ultima analisi, che la più efficace, sebbene non esente da problemi, sia la seguente (così la riporta la studiosa italiana): «La pragmatica è lo studio delle relazioni tra la lingua e il contesto che sono fondamentali per spie- gare la comprensione della lingua stessa da parte degli utenti»9.

Ad ogni modo, alla domanda cosa è la pragmatica il parere degli stu- diosi non è univoco. Carla Bazzanella tenta di rispondere semplificando drasticamente il problema: dopo aver premesso che essa sia «un settore che ha conosciuto un rapido sviluppo nel XX secolo, ma tuttora di diffi- cile definizione», si limita a precisare che «in realtà, più che di una teoria pragmatica (se, con Davis 1987, consideriamo scopo di una teoria il dare una spiegazione di ciò che preteoricamente appaiono [sic] come insieme di fatti correlati tra di loro in modo unitario) a tutt’oggi è meglio parlare di una prospettiva pragmatica, relativamente ad ogni livello e aspetto

8 Ibid. 9 Ibid.

della lingua»10. Anche J.R. Searle, F. Kiefer e M. Bierwisch sottolineano che «pragmatica è una di quelle parole come sociale e cognitivo che danno l’impressione che si stia parlando di qualcosa di molto specifico quando in realtà spesso non hanno un significato preciso»11. Come arginare tale problema? Crediamo che in tale caso per soddisfare i nostri intenti sarà comunque sufficiente riscontrare che esistono diversi modi di concepire la pragmatica, ciascuno dei quali cattura solo alcuni dei fenomeni del logos tipicamente studiati dai pragmatisti. Come sostenuto recentemente anche dall’etnolinguista Alessandro Duranti, la moltiplicazione, a partire dal XX secolo, delle discipline afferenti al linguaggio da un lato ha implementato il «sapere collettivo (oltre che la nostra curiosità) su tutto ciò che ha a che fare col parlare, lo scrivere, il decodificare, il tradurre, il pensare in parole e così via», dall’altro ha però prodotto un pericoloso offuscamento delle nostre capacità di cogliere in maniera sintetica e sistematica gli aspetti fondamentali dell’interazione comunicativa quotidiana. La domanda portante su cui per Duranti deve essere incanalata la ricerca pragmatica è dunque: «Che vuol dire che esiste una forza nel parlare?»12. Di questo è bene tenere conto.

Per quanto concerne un approccio più specificatamente linguistico, se restassimo sul vago, ci potremmo accontentare di sapere che la prag- matica è lo studio dell’uso del linguaggio, della lingua in azione e quindi della lingua in contesto; ma come è evidente si tratta di una definizione

10 Cfr. C. BAZZANELLA,Linguistica e pragmatica del linguaggio. Un’introduzione, Editori La- terza, Roma-Bari, 2008, p. 102.

11 Ibid., p. 102, n. 3.

che palesa una parziale sovrapposizione con quella della semantica. Ciò appare più evidente laddove si concentri l’attenzione sugli effetti che il contesto extralinguistico può avere sul significato di un enunciato13.

Alcuni studiosi hanno tentato di separare la sfera d’influenza della semantica da quella della pragmatica basandosi su parametri contestuali. Secondo Claudia Bianchi si possono infatti distinguere due facies nella nozione di contesto: una semantica e una pragmatica, in base alle quali è possibile parlare di usi pre-semantici, semantici e post-semantici del conte- sto14. Più precisamente, specifica Bianchi, il contesto semantico «fissa l’identità di parlante e interlocutori, il tempo e il luogo del proferimento, e così via: è la nozione che entra in gioco negli usi semantici del contesto», mentre il contesto pragmatico è costituito dall’insieme di credenze, deside- ri, intenzioni, scopi degli interlocutori: si tratta appunto della nozione di contesto che viene mobilitata negli usi pre e post-semantici del contesto15. Tale distinzione fonda e giustifica quella precedentemente citata tra com- petenza linguistica e comunicativa. La filosofa del linguaggio sottolinea come nella semantica tradizionale ogni enunciato ben formato esprima una e una sola proposizione, mentre nei casi pre e post-semantici è come se si avessero “troppi significati”. Riportiamo qualche esempio: tra gli usi pre-semantici del contesto si può citare il caso di Bea ha una vecchia credenza; 13 A tale riguardo si può tenere conto che recentemente i filosofi del linguaggio stanno dedi- cando ampio spazio a ricerche che vedono in primo piano il concetto di contesto; cfr., ad esempio, il contributo di P. Bouquet e F. Delogu e quello di C. Penco, consultabili on line rispettivamente ai seguenti siti: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/biblioteca/lr/public/bouquet_delogu-1.0.pdf e http://www.dif.unige.it/epi/hp/penco/pub/anatra.pdf.

14 Si veda C. BIANCHI, op. cit., pp. 50 e ss.; cfr. anche J. PERRY, Indexicals and demonstra-

tives, in B. Hale and C. Wright (eds.), A companion to the philosophy of language, Blackwell,

Oxford, 1997, pp. 586-612.