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LA RICERCA EMPIRICA

4.2.4 RETI SOCIALI

4.2.5.1 IL LAVORATORE E IL LAVORO DI CARE

Secondo quanto riportano Gori e Da Roit “le capacità relazionali e alcune qualità come l’affidabilità, la disponibilità, l’onestà e la riservatezza sono ciò che più conta perché un caregiver a pagamento sia gradito” (dal punto di vista di anziani e fam iliari)40. “Al contrario -ricordano gli autori- il contenuto tecnico della cura non è generalmente tenuto in grande considerazione ed è assimilato a tutto ciò che una donna sa o dovrebbe saper fare in casa e nell’assistere una persona che ha bisogno di aiut o”41. A questo proposito abbiamo già visto nel primo capitolo la definizione e i contenuti dell’attività di cura; ora verifichiamo dalle parole di alcune intervistate se la situazione è realmente così. Sarah, cingalese, afferma:

Attualmente lavoro come assistente agli anziani, ai disabili…faccio praticamente le stesse cose che fa un’infermiera (lavora per il Comune in una cooperativa

convenzionata; è passata dal fare assistenza 24 ore su 24 al lavoro in cooperativa)

[…] Ti danno da fare terapia, portare in o spedale, andare dal dottore […] Ho sempre fatto lo stesso lavoro […] io sono già infermiera. Quindi ero già abituata;

Mirela, rumena, che racconta la sua giornata tipo:

La mattina mi sveglio alle 7, la lavo (la signora), le cambio il pannolone, la tiro su, la siedo in poltrona, preparo la colazione per la signora e mio figlio, poi lui va a scuola,

40 InGori, 2002b, p. 79.

lavo, faccio un po’ di pulizie, preparo da mangiare, poi la signora a mezzogiorno va a letto, allora io mi riposo o vado fuori, e dopo la signora si alza alle 2 e mezzo, sta in soggiorno fino alla sera alle 6 e mezzo, poi mangia qualcosa e va a letto fino alla mattina dopo;

Natascia, moldava, a proposito del signore che accudiva, sostiene:

Non era autosufficiente, lo lavavo, pulivo, facevo le punture ecc.;

Ghita, cingalese, ha assistito per un certo periodo una signora:

[…] io la lavavo sempre, lei non voleva, urlava, aveva dolore (aveva subito una brutta

caduta). Lei non ricordava della caduta. Noi (Ghita e il fratello della signora) la vestivamo, lavavamo, davamo da mangiare;

Shashila, cingalese, ci racconta di quando era una ragazza poco più che ventenne:

[…] la signora era malata e dovevo farle la doccia tutti i giorni da sola, è molto difficile, e poi la casa era troppo grande, aveva tre piani, e io dovevo fare tutte le pulizie, dovevo fare anche le pulizie oltre all’assistenza […];

In seguito, lavorando presso un’altra signora:

[…] io facevo tanto per loro, io stavo con la signora tutto il giorno e poi si addormentava alle 2, alle 3, e io poi di giorno ero stanca… magari di notte lei voleva andare a fare la pipì, e io poi di giorno dovevo essere sveglia per stare con lei. Ho lavorato lì per quasi quattro anni;

Presso la terza famiglia, le cose non andarono meglio:

[…] anche lei era proprio malata, sono sta ta lì cinque anni, io facevo tutto, le cambiavo i pannolini, la lavavo, anche i capelli, tagliarli, mettere anche il colore […] la doccia una volta a settimana però la signora era molto malata e nervosa, diceva anche brutte parole, però perché lei non capiva niente (aveva l’Alzheimer) […] lavavo la biancheria, proprio come una bambina, lei mangiava, andava a letto, poi lei diceva “Io non ho mangiato” perché lei si dimenticava, allora io andavo a prenderle un po’ di tè, una brioche e le davo da mangiare, allora dormiva […] la signora in cinque anni è stata male tre volte ed è andata all’ospedale, una volta sono stata per un mese, giorno e notte, sempre tutta la giornata con lei;

infine, riguardo a ciò che ha raccontato, fa una considerazione:

[…] sei tanto n ervosa, non è come le pulizie, la mattina ti devi alzare, e poi portarla in bagno, e poi dare il pranzo da mangiare, e poi alle 3 cambiare il pannolino, e poi anche dopo il caffè… poi ogni tanto quando dorme io andavo là, siccome la signora russava sempre, quando lei non russava io avevo paura, andavo a vedere.

Da quest’ultimo lungo racconto possiamo capire che all’interno del lavoro di “cura”, nel momento in cui si instaura un rapporto positivo tra l’anziano, completamente dipendente da estranei, cioè dagli altri, e il caregiver, il coinvolgimento personale ed emotivo diventa inevitabile. Per questo infatti la stessa Shashila dirà:

Dopo che è morta la signora io mi sono sentita male, perché eravamo troppo attaccati a lei […] Per quanti giorni a piangere [ …] perché ti affezioni, sei così vicino […].

A questo punto ritorna il tema “denaro -cura-emozioni-affetti” di cui si è trattato nel precedente capitolo citando le parole di Bimbi, che sottolinea la difficoltà di distinguere con chiarezza ciò che è lavoro, e quindi denaro, da ciò che è coinvolgimento emotivo nel lavoro, che può talora trasformarsi in “missione di cura” perché la componente affettiva prende il sopravvento e si instaura un legame molto forte fra l’assistito e il suo caregiver. Per questo motivo un’assistente familiare seria, affidabile, come la desiderano anziano e familiari, ha un’elevata responsabilità sulle proprie spalle nei confronti del proprio datore di lavoro. Rimane sempre latente il tema della morte, che significa lutto, ma anche perdita del posto di lavoro. Dalle testimonianze appena riportate sui contenuti del lavoro di cura, correttamente identificati da Gori e Toniolo Piva nel primo capitolo, emergono gli aspetti più fragili della condizione umana; non a caso Shashila parla della sua “nonna” come di una bambina bisognosa di cure.

Da parte dell’anziano, soprattutto nei primi tempi, esiste una certa diffidenza a far entrare nella sua vita un estraneo, e soprattutto a farsi curare da una persona che, pur estranea, che tuttavia gli dà da mangiare, lo veste, lo lava, amministra i suoi risparmi per pagare le spese (se questo gli è permesso); a ciò si aggiunge spesso la consapevolezza di non poter più essere autonomo, nemmeno per le cose più intime. La lavoratrice non è dunque una semplice dipendente, spesso prende il posto dei figli all’interno della casa (nel secondo capitolo abbiamo citato la parola “vice -figlia” di Toniolo Piva e di “scambio di ruoli”) per il fatto di vivere per molte ore al giorno a stretto contatto con l’anziano, con i suoi problemi, i suoi pensieri, i suoi bisogni, ecc. Liliana, moldava, la cui esperienza lavorativa non è stata per nulla positiva, dice:

[…] fai tutto quello che, per lei, i suoi figli non fanno […].

Oltre alle caratteristiche di un buon caregiver elencate da Gori e Da Roit ci sono altre caratteristiche che dal punto di vista dell’assistente personale risultano essere essenziali per questo tipo di lavoro; prima fra tutte la pazienza. Tutte le donne ce lo dicono, a partire da Irina, ucraina:

Ci vuole tanta pazienza a fare questo lavoro. Cosa vuoi, bisogna avere pazienza. Non abbiamo scelta;

Gala, anche lei ucraina:

Mi piace questo lavoro. Bisogna avere pazienza. Noi siamo abituate. Tutte prendono pazienza e non cambiano famiglia;

In questo lavoro ci vuole tanta pazienza e tanta forza dentro. Se non hai pazienza e non sei psicologicamente forte, non puoi fare questo lavoro. Gli anziani sono come i bambini: a volte fanno i capricci. Poi si arrabbiano.

Mirela, rumena:

[…] devi fare tutte le cose, li devi lavare, devi cambiarli, poi ti chiamano perché non si muovono e tutte cose così, non è bello. Sto sempre in casa tutto il giorno a fare questo lavoro… e poi c’hai quest’ansia dentro. Pochi farebbero questo lavoro. Ci vuole tanta pazienza. Devi saperti adattare.

Un’altra qualità molto apprezzata in queste donne è la versatilità, perché si sanno adattare alle più diverse condizioni di vita e di lavoro. Shanika, cingalese, dice:

Ho sempre lavorato. Anche se avevo difficoltà non ci pensavo […] ho sempre lavorato, sempre, anche 12, 14 ore al giorno […] ho fatto diversi lavori […] comunque ancora adesso vado da una signora che conosco da anni, vado lì quattro ore.

Le europee che vengono in Italia con l’intenzione di fermarsi per un breve peri odo cercano di ottimizzare il loro tempo utile per guadagnare quanto più denaro possibile e per questo scelgono il lavoro di cura, che per le sue caratteristiche risponde maggiormente alle loro esigenze. Esse devono poi comunque adattarsi al contesto in cui si trovano, come ci spiega ad esempio Marika, moldava, che è alla ricerca di lavoro:

[…] qua in Italia faccio quello che mi capita, va bene tutto […] E’ lo stesso fare la badante o fare le pulizie.

La maggioranza delle donne che arrivano nel nostro Paese non sanno a priori che tipo di lavoro andranno a svolgere; poche sono infatti coloro che giungono già con un’offerta di lavoro di assistenza perché raccomandate da un’amica o per avere pagato qualche intermediario. Anastasia, ucraina, ci dice:

[…] ho trovato un lavoro che io non pensavo mai, di persone malate, di queste cose qua, mai avevo pensato di assistere le persone… perché non è semplice, e dopo una ragazza giovane non è che è tanto abituata a queste cose […] pensavo solo “devo farlo e basta”.

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