2. Un nuovo panorama del mercato del lavoro
2.4. I nuovi rischi emergenti
2.4.2. Lavoratori anziani e rischi: dagli stereotipi alle
L’invecchiamento della popolazione, che come si è detto finora è uno dei processi demografici che sta sempre più caratterizzan-do il cambiamento dei Paesi sviluppati e mostra delle trasforma-zioni anche nei Paesi in via di sviluppo, genera nuovi rischi, cui è bene prestare attenzione per garantire alti livelli di sicurezza e sa-lute tra le persone. Secondo i dati diffusi dall’AGENZIA EURO-PEA PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUL LAVORO, Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età. Promozione di una vita lavorativa sostenibi-le, 2016, p. 4 (reperibisostenibi-le, anche, in salus.adapt.it, alla voce Ri-sks/Occupational Risks/Psycho-social Risks/Risk Assessment), l’innalzamento dell’età pensionabile nella maggior parte dei Paesi membri comporta che numerosi lavoratori debbano affrontare una più lunga attività professionale e una maggiore esposizione ai pericoli occupazionali, oltre ad adattarsi a un mondo del lavo-ro in evoluzione (ad esempio con l’intlavo-roduzione di accordi di la-voro e ambienti di lala-voro flessibili). Per evitare una maggiore in-cidenza dei problemi di salute, l’auspicio è quello di compiere sforzi per garantire condizioni di lavoro sane e sicure durante l’intera vita lavorativa.
Dalla letteratura di riferimento, emerge chiaramente che il pro-cesso di invecchiamento che sta coinvolgendo la popolazione lavorativa comporta un incremento dei problemi di salute e po-tenzialmente un maggiore rischio di assenteismo dal lavoro da parte dei lavoratori più anziani per motivazioni legate all’insorge
di malattie più o meno gravi e invalidanti e alla maggiore inci-denza di infortuni.
A tal proposito secondo E.ROGERS,W.J.WIATROWSKI, Injuries, illnesses, and fatalities among older workers, in Monthly Labor Review, 2005, Ottobre, p. 24, si può osservare che «the nature of the in-jury suffered by an older worker is more severe than that suf-fered by younger workers. Older workers who suffer a work-place injury may experience longer recovery periods than their younger counterparts. And older workers die from workplace injuries at a higher rate than do younger workers».
La EU-OSHA, Workforce diversity and risk assessment: Ensuring eve-ryone is covered, 2009, p. 30 (reperibile, anche, in salus.adapt.it, alla voce Demographic Issues (Gender, Ageing, Diversity)), riporta chiara-mente come da numerosi studi emerge che la partecipazione al lavoro cambia con l’età a causa di un declino delle capacità fisi-che e psicofisifisi-che e per un aumento del tasso di incidenza di molte malattie, ad esempio malattie cardiovascolari, respiratorie, muscoloscheletriche e disturbi ormonali e metabolici.
Secondo J.O. CRAWFORD, R.A. GRAVELING, H.A. COWIE, K.
DIXON, The health safety and health promotion needs of older workers, in Occupational Medicine, 2010, vol. 60, n. 1, p. 185, dalla letteratura disponibile in campo medico si rilevano con l’invecchiamento dei cambiamenti nella capacità fisiche e mentali delle persone che hanno degli impatti diretti e indiretti sulla vita lavorativa. In particolare gli AA. segnalano che numerosi studi segnalano co-me la capacità aerobica negli adulti risulta in calo in entrambi i sessi durante il corso della vita lavorativa. Hanno poi rilevato sia nella ricerca longitudinale sia in quella trasversale anche un pos-sibile aumento dell’indice di massa corporea (IMC), la riduzione dell’altezza e l’aumento del peso, anche se sono variabili che cambiano molto da persona a persona (ivi, p. 186). Nella lettera-tura emergono anche cambiamenti rilevanti in merito al declino della forza muscolare poiché anche se con una costante attività fisica e allenamento si può rallentarne il processo, da numerose
ricerche è stato scoperto che la forza muscolare rimane costante fino a 40 anni e poi si riduce lentamente tra i 40 e i 65 anni (ibi-dem). Gli AA. hanno poi esaminato degli studi che segnalano una maggiore suscettibilità delle persone anziane ai problemi legati al calore. Sembra che la tolleranza al calore diminuisca a causa del cambiamento del sistema cardiovascolare che si modifica con l’età (ivi, p. 188). Anche la capacità di rimanere in equilibrio si riduce con l’età e per questo è bene tenerne conto in ambienti e mestieri che implicano quotidianamente questo aspetto e regi-strano alti rischi.
Anche E. ORDAZ CASTILLO, E.RONDA-PÉREZ, Salud y condicio-nes de trabajo en trabajadores mayores, in Medicina y Seguridad del Tra-bajo, 2015, n. 240, p. 316, evidenziano anzitutto che con l’avanzare dell’età si possa registrare l’insorgenza di carenze nelle funzioni sensoriali, organiche e cognitive, cui si accompagna un deterioramento del sistema muscoloscheletrico (perdita di massa ossea, osteoporosi, perdita di massa muscolare, degenerazione della cartilagine muscolare, artrosi).
L’AGENZIA EUROPEA PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUL LA-VORO, op. cit., in riferimento ai lavoratori anziani, invita a presta-re maggiopresta-re attenzione alle situazioni che possono essepresta-re consi-derate a rischio maggiore, come il lavoro a turni, gli impieghi con un carico di lavoro fisico elevato e il cambiamento repenti-no della temperatura negli ambienti di lavoro. Il report aggiunge che in virtù delle differenze di capacità funzionale e salute tra gli individui, che si ampliano con l’aumentare dell’età, nel processo di valutazione del rischio è dunque necessario tenere conto della diversità, concentrandosi sulla correlazione tra esigenze lavorati-ve e capacità e stato di salute individuali (ivi, p. 14).
Un’ampia letteratura di riferimento (senza alcuna pretesa di esaustività si segnala E. ORDAZ CASTILLO, E. RONDA-PÉREZ, op. cit.; S. VARVA (a cura di), Malattie croniche e lavoro. Una prima rassegna ragionata della letteratura di riferimento, ADAPT University Press, 2014; M.TIRABOSCHI, Le nuove frontiere dei sistemi di welfare:
occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattie croniche, in DRI, 2015, n. 3; R. BUSSE, M.BLÜMEL, D.SCHELLER-KREINSEN, A.
ZENTNER, Tackling chronic disease in Europe. Strategies, interventions and challenges, World Health Organization, 2010; E. NOLTE, M.
MCKEE (a cura di), Caring for people with chronic conditions. A health system perspective, McGraw-Hill, 2008) oltre a segnalare i possibili rischi nei quali possono incorrere i lavoratori più anziani in rela-zione ai regolari declini psico-fisici dovuti all’età, ha segnalato una diffusa e maggiore incidenza delle patologie croniche in questa fascia della popolazione che, come segnalato da M. T IRA-BOSCHI, Le nuove frontiere dei sistemi di welfare: occupabilità, lavoro e tu-tele delle persone con malattie croniche, cit., pp. 683-684, con l’estensione delle carriere lavorative determinerà una maggiore convivenza al lavoro con alcune di queste patologie; convivenza che implica necessariamente limitazioni nelle funzioni lavorative e maggiori tassi di assenteismo. Per malattie croniche si intende come riportato da S.VARVA, P.DE VITA, Quadro definitorio in pro-spettiva interdisciplinare, in S. VARVA (a cura di), op. cit., p. 11, «una malattia che abbia una o più delle seguenti caratteristiche: è per-manente, lascia una inabilità residuale, è causata da una altera-zione patologica non reversibile, richiede una speciale riabilita-zione del paziente ovvero ci si può attendere che richieda un lungo periodo di supervisione, osservazione o cura». Tra il nove-ro delle patologie cnove-roniche, come ricordato da M. TIRABOSCHI, Le nuove frontiere dei sistemi di welfare: occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattie croniche, cit., p. 682, ci sono le malattie cardio-vascolari e respiratorie, disordini muscolo-scheletrici, HIV/AIDS, sclerosi multipla, tumori, diabete, obesità, epilessia, depressione e altri disturbi mentali.
M. TIRABOSCHI, Le nuove frontiere dei sistemi di welfare: occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattie croniche, cit., tratteggia le impli-cazioni, le conseguenze e i rischi di queste malattie sia per i lavo-ratori colpiti, sia per le loro famiglie sia per il sistema sociale e in particolare per la sostenibilità della sanità e welfare statale. Signi-ficativo, secondo l’A. è anche l’impatto sulle «dinamiche
com-plessive del mercato del lavoro e, a livello micro, sulla organizza-zione del lavoro nelle singole imprese chiamate a gestire la pre-senza o il ritorno in attività di una forza-lavoro non solo tenden-zialmente – e inevitabilmente – meno produttiva, ma anche, al-meno secondo recenti studi, maggiormente soggetta al rischio di infortuni e incidenti gravi sul lavoro» (ivi, p. 689). Inoltre, come evidenziato da Tiraboschi, le malattie croniche, «incidono, di conseguenza, anche sulle dinamiche della produttività del lavoro, impattando sia sulla competitività di imprese e sistemi economici nazionali sia su percorsi professionali e di carriera dei singoli la-voratori» (ibidem). Dal momento che nel futuro sempre più pros-simo «la partecipazione al mercato del lavoro di persone affette da malattie croniche diventerà imprescindibile per affrontare il declino dell’offerta di lavoro e la carenza di forza lavoro qualifi-cata» (ivi, p. 685), secondo Tiraboschi saranno sempre più ne-cessari investimenti sulla salute e il benessere delle persone e del-la popodel-lazione economicamente attiva, ad esempio attraverso l’utilizzo di programmi olistici per la salute dei lavoratori. Que-sto implica anche sopperire all’attuale «assenza di figure profes-sionali con le competenze necessarie per (prima) comprendere e (poi) gestire operativamente le problematiche del ritorno in azienda e sul mercato del lavoro dei malati cronici» (ibidem). La presenza di tali figure sarà sempre più necessaria dal momento che, come segnalato da Tiraboschi, il reinserimento del malato cronico nel proprio contesto di lavoro implica questioni delicate e pregiudizi da scardinare come episodi di mobbing, sistemi or-ganizzativi che penalizzano il reinserimento del lavoratore, ma anche blocchi psicologici e insicurezze da parte dei lavoratori stessi.
Un altro elemento problematico, insito nelle relazioni di lavoro e che può penalizzare i lavoratori più anziani, è di natura culturale e risiede nell’ampia diffusione di stereotipi negativi legati all’età.
E.S.W. NG, A. LAW, Keeping up! Older Workers’ Adaptation in the Workplace after Age 55, in Canadian Journal on Aging, 2014, vol. 33,
n. 1, p. 2, chiariscono che «Negative stereotypes such as age-related poor health, an inflexible attitude, resistance to change, and low trainability have come to stigmatize older workers […].
On the part of employers, these stereotypes also call into ques-tion the work motivaques-tion, engagement, and job performance of older workers» ed evidenziano come «older workers continue to face cultural (stereotypes, ageism) and structural barriers to work (discrimination, lack of workplace accommodation)» (ivi, p. 12).
R.A.POSTHUMA, M.A.CAMPION, Age Stereotypes in the Workplace:
Common Stereotypes, Moderators, and Future Research Directions, in Journal of Management, 2009, vol. 35, n. 1, p. 160, hanno passato in rassegna numerosa letteratura e hanno rilevato che la maggior parte degli stereotipi diffusi attribuisce delle caratteristiche nega-tive ai lavoratori anziani. Stereotipi che sono particolarmente diffusi in alcuni settori come la finanza, assicurazione, vendita al dettaglio e informatica/computing (ivi, p. 173). Un primo stereoti-po diffuso e più volte rilevato in numerose ricerche dagli AA. è quello secondo il quale si pensa che i lavoratori anziani abbiano prestazioni lavorative inferiori rispetto ai più giovani (ivi, p. 165).
Inoltre, è anche diffusa la credenza che i lavoratori più maturi abbiano una ridotta motivazione al lavoro rispetto ai lavoratori giovani (ivi, p. 166). Un altro stereotipo massicciamente diffuso è che i lavoratori anziani siano maggiormente resistenti al cam-biamento e che sia più difficile formarli (ivi, p. 168). Per questo si ritiene che i lavoratori anziani abbiano meno potenziale di svi-luppo rispetto ai lavoratori più giovani e perciò, pensando che abbiano una minore propensione a imparare, ricevono meno opportunità di formazione e sviluppo (ibidem). Secondo gli AA. è evidente che a causa degli stereotipi sull’età, i lavoratori più an-ziani con qualifiche o attributi uguali o simili a quelli delle per-sone più giovani ricevono comunemente valutazioni inferiori durante i colloqui e anche nelle valutazioni delle prestazioni e hanno anche maggiori difficoltà a trovare un lavoro e a ottenere promozioni (ivi, p. 171).
E.S.W. NG, A.LAW, op. cit., p. 10, «It has been noted that older workers often perceive a heightened risk of job loss and greater feelings of job insecurity due to the changing nature of work».
Infine, secondo S.CARLO, Giovani anziani e ICT: tra rischi di isola-mento e opportunità di invecchiaisola-mento attivo, in Sociologia e Politiche So-ciali, 2014, n. 3, p. 90, quando si considerano i rischi legati all’invecchiamento della popolazione non si può tralasciare il ruolo ambivalente svolto dalla tecnologia nella vita quotidiana degli anziani, poiché da un lato può offrire agli anziani delle op-portunità di empowerment personale e sociale (ad esempio am-pliamento dei contatti e delle relazioni con i figli, gli amici e i pa-renti) e dall’altro può implicare anche un potenziale rischio di isolamento domestico e relazionale.
E. ORDAZ CASTILLO, E. RONDA-PÉREZ, op. cit., pp. 316-317, puntualizzano come i problemi di salute legati all’età possano es-sere compensati dall’esperienza e la maturità dei lavoratori an-ziani. Abilità e competenze, specialmente quelle relative alla co-municazione organizzativa e alle abilità sociali che maturano solo durante la seconda metà della nostra vita. Il pensiero strategico, lo spirito acuto, la considerazione, la saggezza, la capacità di de-liberare, la capacità di razionalizzare, il controllo della vita, la percezione globale e le abilità linguistiche migliorano con l’età.
3. Una nuova organizzazione tra settori e nuove forme di