• Non ci sono risultati.

I nuovi tempi di lavoro

La letteratura ha affrontato l’impatto della trasformazione tecno-logica e organizzativa del lavoro sulle dinamiche dei tempi di la-voro secondo una molteplicità di dimensioni, con una differente rilevanza in termini di individuazione di nuovi rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

In una prospettiva macro e di sistema, è stato, per esempio, sot-tolineato come i processi di automazione che portano contem-poraneamente la sostituzione di alcune mansioni e un aumento della produttività, dovrebbero essere accompagnate da prospet-tive di riforma nel senso della riduzione dell’orario di lavoro.

Nonostante gli evidenti ed evidenziati effetti della riduzione dell’orario di lavoro in termini di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, le riflessioni dottrinali si sono interessate del rap-porto tra automazione e tempo di lavoro principalmente in con-nessione con i profili relativi ai tassi di disoccupazione e, quindi, nell’ottica delle strategie occupazionali e non, invece, in funzione del miglioramento delle condizioni dei lavoratori (lo sottolinea A.FENOGLIO, Il tempo di lavoro nella New Automation Age: un qua-dro in trasformazione, in RIDL, 2018, n. 4, I, p. 628). Non manca-no, però, riflessioni più ampie dove la dimensione di salute e si-curezza e del benessere lavorativo emerge con maggiore rilevan-za (S. DE SPIEGELAERE, A. PIASNA, The why and how of working time reduction, ETUI, 2017, p. 26). Ancora in una dimensione ma-cro, le trasformazioni economiche e dei modelli organizzativi, guidate dalla globalizzazione e dalla produzione personalizzata, sono stati analizzati nell’ottica della de-standardizzazione degli orari e della diffusione del part-time, ma anche in questo senso, la declinazione in termini di salute e sicurezza del lavoratore, pur rilevante rispetto ai rischi per la salute dell’insicurezza economi-ca, non risulta inquadrata nell’ottica della occupational health and safety (G.DELLA ROCCA, op. cit., passim).

È, invece, nella dimensione delle modalità di svolgimento della prestazione nell’ambito di uno specifico rapporto contrattuale che la dimensione del rapporto tra trasformazione tecnologica e organizzativa e salute e sicurezza del lavoratore ha riscontrato il maggiore interesse dottrinale. Lo ha fatto nel contesto di un framework teorico che risulta efficacemente sintetizzato nella nozione di working anytime, di norma accompagnata dalla dimen-sione temporale del working anywhere (si veda, in particolare, J.

MESSENGER ET AL., op. cit.); afferisce allo stesso framework, l’espressione time- and place-independent working, relativamente alle NewWoW (J. POPMA, op. cit., p. 5). In questo contesto di riferi-mento, le dinamiche di trasformazione della dimensione tempo-rale della prestazione di lavoro sono state declinate in una dupli-ce e divergente dimensione, definita alla stregua di una vera e propria Janus face dei processi di innovazione tecnologica e orga-nizzativa sulla attività lavorativa e, di conseguenza, sul lavoratore (ivi, passim). Emergono, infatti, nella letteratura di riferimento opportunità e rischi relativamente ai nuovi profili temporali della attività lavorativa. Sul fronte delle opportunità, in termini di be-nessere dei lavoratori, connesse alle modalità del lavoro in qual-siasi momento, la riflessione – commentando unitamente anche i profili spaziali di tale flessibilità – sottolinea le potenzialità in termini di conciliazione vita-lavoro.

È stato sottolineato come «La rivoluzione Industria 4.0 non sol-tanto induce a ripensare la quantità del tempo che deve essere dedicata alla prestazione lavorativa dai dipendenti, ma spinge a mettere in campo anche nuove modalità organizzative che con-sentano alle aziende di incrementare la produttività favorendo al contempo una migliore conciliazione vita-lavoro per i dipenden-ti: un binomio che si pone in stretta connessione, considerato che il benessere del lavoratore incide inevitabilmente sulla sua produttività, ma che certamente è di difficile realizzazione. Te-nuto conto che la rivoluzione digitale porta potenzialmente con sé la possibilità di lavorare ovunque e in qualsiasi orario, è infatti chiaro che il cambiamento in corso non può che favorire

l’adozione di moduli orari in grado di attribuire maggiore auto-nomia ai lavoratori» (A.FENOGLIO, op. cit., p. 634; sul punto, tra i molti, G.DELLA ROCCA, op. cit., pp. 256 ss.; P.ICHINO, Le con-seguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro, in RIDL, 2017, n. 4, I, pp. 547-548).

È proprio sui profili di flessibilizzazione degli orari di lavoro e di parziale o totale autonomia di gestione degli stessi a beneficio dei lavoratori, che si concentra la letteratura nel definire gli aspetti positivi del working anytime. Molteplici sono gli studi che, soprattutto nella prospettiva delle prassi di lavoro da remoto di terza generazione (secondo la categorizzazione di J.C. M ESSEN-GER, L.GSCHWIND, Three generations of Telework: New ICTs and the (R)evolution from Home Office to Virtual Office, in New Technology, Work and Employment, 2016, vol. 31, n. 3, pp. 195 ss., si tratta del lavoro non legato ad una specifica localizzazione e svolto nel contesto del c.d. virtual office), riconoscono un collegamento tra trasformazione tecnologica e organizzativa, i parametri sopra-citati e il benessere dei lavoratori collegato ad una migliore ge-stione dei tempi di vita e di lavoro (su tutti J. MESSENGER ET AL., op. cit., p. 24 e, ivi, per l’indicazione degli studi, cui adde S.K.

BOELL, D. CECEZ‐KECMANOVIC, J. CAMPBELL, Telework para-doxes and practices; the importance of the nature of work, in New Techno-logy, Work and Employment, 2016, vol. 31, n. 2, pp. 116 ss.).

D’altro canto, maggiormente analizzati risultano, anche nella prospettiva giuslavoristica, i rischi dovuti ad una declinazione della connettività diffusa e della diffusione dei dispositivi portati-li in termini di reperibiportati-lità costante e confusio-ne/sovrapposizione tra tempi di lavoro e di non lavoro, cui si riconnettono rischi ingenti per la salute del lavoratore: tecno-stress, overworking e dilatazione dei tempi di lavoro, reperibilità costante, ma anche la sempre maggiore incidenza dei disturbi muscolo-scheletrici (ancora J. MESSENGER ET AL., op. cit., pp.

21-41; G.DELLA ROCCA, op. cit., pp. 256 ss.; E. AHLERS, Flexible and remote work in the context of digitalization and occupational health, in

International Journal of Labour Research, 2016, vol. 8, n. 1-2, pp. 85 ss.).

In questo contesto si riscontra una sempre maggiore porosità (É. GENIN, Proposal for a Theoretical Framework for the Analysis of Time Porosity, in IJCLLIR, 2016, vol. 32, n. 3, pp. 280 ss.) o, co-munque, di reciproco riversarsi (spillover; cfr. J.SOK, R.BLOMME, D. TROMP, Positive and Negative Spillover from Work to Home: The Role of Organizational Culture and Supportive Arrangements, in British Journal of Management, 2014, vol. 25, n. 3, pp. 456 ss.) dei tempi di lavoro in quelli di vita e viceversa. In tema, con approccio inter-disciplinare, si veda anche F. LUCIDI, op. cit., pp. 131-134.

È da questo punto di vista che risulta, secondo la riflessione giu-slavoristica, opportuno interrogarsi sugli impatti della trasforma-zione tecnologica e organizzativa sulla attualità delle vigenti de-finizioni di orario di lavoro e di riposo e sulle relative discipline (che afferiscono all’ambito della tutela della salute e sicurezza del lavoro), anche tenendo conto di filosofie manageriali che pro-muovono il passaggio dalla nozione di bilanciamento vita-lavoro a quella di work-life blending (M. WEISS, op. cit., pp. 659-660; T.

USHAKOVA, Del work-life balance al work-career blend: apuntes para el debate, in L. MELLA MÉNDEZ, P. NÚÑEZ-CORTÉS CONTRERAS

(a cura di), Nuevas tecnologías y nuevas maneras de trabajar: estudios de-sde el derecho español y comparado, Dykinson, 2017) e della crescente prassi organizzativa del lavoro non più legata ad orari rigidi, ma a obiettivi e risultati (ancora, tra gli altri, M. WEISS, op. cit., pp.

659-660).

La seconda di queste dinamiche di carattere organizzativo – chiaramente riconnesse anche alla trasformazione tecnologica in atto – viene comunemente ricondotta alla nozione di smart wor-king, come filosofia manageriale, da distinguere, dal punto di vi-sta concettuale da quella di lavoro agile, che ne rappresenta una parziale traduzione normativa nel contesto italiano (sul punto, P.

MANZELLA, F.NESPOLI, op. cit., pp. 23-25, cui adde A.M

ARTO-NE ET AL., Smart working, job crafting, virtual team, empowerment, Ip-soa, 2018, passim).

La letteratura italiana e internazionale che si è occupata di defini-re il fenomeno ha posto in evidenza le caratteristiche di tale filo-sofia manageriale, secondo diverse declinazioni, sottolineando come le possibilità del working anytime, anywhere ovvero quelle del-la flessibilità spazio-temporale deldel-la prestazione si configurino come una mera componente di un più ampio approccio, o me-glio, visione della organizzazione di lavoro. Da tale letteratura emerge come accanto alla dimensione della flessibilità si sviluppi una dimensione della autonomia e della responsabilità, che si solve a livello gestionale, nella organizzazione per progetti e ri-sultati.

In particolare, secondo la definizione fornita dal CIPD, HR: Get-ting smart about agile working, CIPD Research Report, 2014, pp. 3-4, lo smart working si configura come «an approach to organising work that aims to drive greater efficiency and effectiveness in achieving job outcomes through a combination of flexibility, au-tonomy and collaboration, in parallel with optimising tools and working environments for employees».

Gli elementi individuati in questa definizione – flessibilità, auto-nomia e collaborazione, connessi a una ottimizzazione di stru-menti e ambienti di lavoro – caratterizzano anche le altre defini-zioni sul tema, come quella adottata dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, che intende lo smart working nei termini di «una filosofia manageriale, un modo di restituire al lavoratore autonomia e flessibilità chiedendogli una responsabi-lizzazione sui risultati», che impone di agire su diverse leve in maniera sinergica. Si tratta de «le policy organizzative, ovvero le regole e le linee guida relative alla flessibilità di orario (inizio, fi-ne e durata complessiva), di luogo di lavoro e alla possibilità di scegliere e personalizzare i propri strumenti di lavoro; le tecno-logie digitali, che possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, facilitando la comunicazione, la collaborazione e la

creazione di network di relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione; il layout fisico degli spazi di la-voro, che ha un impatto significativo sulle modalità di lavoro e può condizionare l’efficienza, l’efficacia, la flessibilità e il benes-sere delle persone; e i comportamenti delle persone e gli stili di leadership, ovvero aspetti legati sia alla cultura dei lavoratori che al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei capi all’esercizio dell’autorità e del controllo» (M. CORSO, Smart working, in M. SACCONI, E.MASSAGLI (a cura di), Le relazioni di prossimità nel lavoro 4.0. Atti integrati e rivisti del seminario La fine del diritto pesante del lavoro nella quarta rivoluzione industriale, ADAPT University Press, 2016, p. 15).

In termini non dissimili si esprime anche l’analisi sociologica, dove sintetizza il fenomeno affermando che il fenomeno smart working «riconsidera spazi, orari e strumenti di lavoro, in nome di una maggiore libertà e responsabilizzazione dei lavoratori» (G.

CHIARO, G.PRATI, M.ZOCCA, Smart working: dal lavoro flessibile al lavoro agile, in Sociologia del Lavoro, 2015, n. 138, p. 72).

L’approfondimento di ambito manageriale, non soltanto ha veri-ficato una espansione di modelli organizzativi riferibili alla no-zione di smart working all’interno dei diversi Paesi con grado pa-ragonabile di sviluppo tecnologico e organizzativo (S. SARTI, T.

TORRE, Is Smart Working a Win Win Solution? First Evidence from the Field, in T.ADDABBO, E.ALES, Y.CURZI, I.SENATORI (a cu-ra di), Well-being at and through work, Giappichelli, 2017, pp. 231 ss.; R.ALBANO ET AL., DigitAgile: l’ufficio nel dispositivo mobile. Op-portunità e rischi per lavoratori e aziende, Osservatorio MU.S.I.C.

Working Paper, 2017, n. 3, pp. 3 ss.), ma ha anche sottolineato le diverse declinazioni dello stesso modello riconducibili alle no-zioni di “discrezionalità organizzativa” e “autonomia organizza-tiva”, sottolineando come sia la prima declinazione (scelta tra di-verse opzioni predeterminate) a risultare quella maggiormente seguita in ambito aziendale oggi, a discapito della seconda

(auto-nomia anche sull’organizzazione del processo; cfr. R. ALBANO ET AL., op. cit., pp. 7 ss.).

Quanto, invece, alla prospettiva organizzativa si usa distinguere tra la tradizionale nozione di work-life balance, quella di work-life management e, infine, quella di work-life blending. Mentre la prima nozione corrisponde ad una separazione tra le due sfere della vi-ta che debbono tra loro essere bilanciate, la seconda e la terza, in misure diverse, propugnano una diversa interazione tra le due sfere. Nel caso del work-life management la separazione tra le due sfere risulta attenuata prevedendosi una organizzazione dei tem-pi di vita e di lavoro improntata alle nozioni di flexibility, perfor-mance e committment. Le prassi manageriali che si ispirano, invece, al work-life blending sostengono che il miglior modo di conciliare le due sfere sia quello di produrre una amalgama tra le stesse, fa-vorendone una positiva sovrapposizione (per una ricostruzione critica dei profili manageriali e ivi abbondante letteratura, si veda T. USHAKOVA, op. cit.; in tema anche M. MILITELLO, Il work-life blending nell’era della on-demand economy, in RGL, 2019, n. 1, I, pp.

53-54).

La situazione di frantumazione e indeterminatezza delle distin-zioni tra tempi di vita e tempi di lavoro spinge la dottrina, da un lato, a sostenere la necessità di riconsiderare il rapporto tra uo-mo, lavoro e mercato per come configurato nella riflessione economica e giuslavoristica in termini di oggettivizzazione (M.

TIRABOSCHI, Persona e lavoro tra tutele e mercato. Per una nuova ontolo-gia del lavoro nel discorso giuslavoristico, cit., pp. 110 ss.); dall’altro, a riscoprire la fondamentale importanza, ai fini di tutela dei lavora-tori, della nozione di carico di lavoro, che si trova oggi sempre più scollata dalla nozione di durata del lavoro (A. BIDET, J.

PORTA, Le travail à l’épreuve du numérique, in Revue de Droit du Tra-vail, 2016, n. 5, p. 331).

6. Apprendimento, lavoro, innovazione nella IV