3. La “crisi perenne” delle biblioteche pubbliche italiane: analisi storica ed istituzionale
3.3 Le biblioteche come servizi pubblici locali
La riforma istituzionale degli anni Novanta del Novecento ha favorito un modello amministrativo di tipo “municipalista”, come definito da TRANIELLO [2005b p. 59], in quanto in base al principio di sussidiarietà introdotto nell'ordinamento giuridico italiano attraverso il diritto comunitario - e confermato nella distribuzione delle competenze dalle leggi Bassanini59 - i Comuni sono diventati i
diretti responsabili dei servizi pubblici locali ivi compresi i servizi bibliotecari.
In tal senso con la già citata Legge n. 142/1990, successivamente confluita nel Testo Unico n. 267/2000, gli enti locali comunali sono stati investiti di potere statutario con la facoltà di esercitare autonomia gestionale sui servizi pubblici di propria competenza, sempre nel rispetto di criteri stabiliti con legge dello Stato e in coordinamento con la finanza pubblica che impone il pareggio di bilancio [CLEMENTI 1995]. La riorganizzazione dell'assetto istituzionale basato sul riconoscimento di funzioni decentrate è stata ulteriormente ribadita con la riforma del Titolo V della Costituzione che ha modificato l'art. 114 per cui i “Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”60.
In quanto servizi di ente locale, le biblioteche non hanno potuto esimersi dai dettami
59 Sulle “Leggi Bassanini” vedasi, nello specifico: Art. 4, comma 3, Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo
per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, e, Art. 3, comma 2, D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59. In base al principio di sussidiarietà, con il D. Lgs. n. 112/1998 venivano trasferiti agli enti locali settori organici di
competenze, tra cui i servizi alla persona e alla comunità che comprendevano compiti e funzioni relativi alla tutela della salute, i beni e le attività culturali, l'istruzione scolastica, i servizi sociali, la formazione professionale, lo sport.
introdotti dalla riforma ed hanno dovuto fare i conti con il nuovo assetto organizzativo improntato su criteri di tipo imprenditoriale, con particolare riguardo alle forme di gestione sempre più orientate alla privatizzazione del servizio ed aderenti a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, dunque “alla effettiva capacità di raggiungere obbiettivi attraverso una razionale utilizzazione del minimo di risorse necessarie, in un quadro di autosufficienza finanziaria, di equilibrio reale tra costo di servizio e ricavi tariffari. Una ulteriore caratteristica […] è quella dell'effettiva rispondenza dei risultati alla domanda della collettività. Essa deve essere verificata sia mediante la messa a punto di indicatori oggettivi di valutazione, sia attraverso l'accertamento del grado di soddisfazione dei cittadini utenti dando così concreta attuazione ai principi di partecipazione popolare e di diritto di accesso ai contenuti” (CLEMENTI [1995 p. 20]) dell'azione amministrativa.
A partire da questo periodo avanza un nuovo modello di servizio pubblico tale da assegnare ai destinatari del servizio - i cittadini-utenti - un ruolo attivo nell'ambito della relazione fra le forme di gestione dei servizi e gli istituti di partecipazione sociale, quali si possono annoverare la redazione di “carte dei servizi”, l'individuazione di forme di controllo sui servizi e sulle tariffe, un'ampia pubblicizzazione degli atti amministrativi anche attraverso lo strumento della tecnologia informatica (CLEMENTI [1995 p. 32-33]).
Tutto ciò si conforma al riconoscimento normativo di alcuni diritti essenziali del cittadino in relazione ai servizi pubblici, fra i quali si possono annoverare:
• il principio di eguaglianza, che comprende sia la garanzia di accesso al servizio a tutti gli utenti, sia la parità di trattamento tra le diverse aree geografiche e tra le diverse fasce o categorie di utenti;
• il principio di imparzialità, per il quale gli enti devono erogare il servizio con obiettività e giustizia;
• il principio di partecipazione, volto a tutelare i diritti degli utenti mediante una serie di azioni concrete (accesso ai documenti, presentazione di reclami e istanze, formulazione di osservazioni e di suggerimenti per il miglioramento dei servizi), incentivando la collaborazione tra i soggetti erogatori e gli utenti61.
61 Gli organismi di partecipazione dei cittadini all'amministrazione locale, nelle forme disciplinate dai rispettivi statuti, sono stati introdotti con la Legge 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali, e ribaditi anche nell'art. 22, comma 1, della Legge 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi, in quanto tale diritto riconosciuto al cittadino serve ad assicurare la trasparenza
dell'attività della Pubblica amministrazione e a favorirne lo svolgimento imparziale. Relativamente all'erogazione dei servizi pubblici, i principi richiamati sono stati fissati con la direttiva del Presidente del consiglio dei ministri 27 gennaio 1994 nella quale sono stati previsti ulteriori criteri cui gli enti locali devono conformarsi, in particolare l'adozione di standard specifici di qualità e di quantità, nonché la garanzia di una piena informazione agli utenti circa le modalità di erogazione dei servizi.
Come rilevato da ROSA [1995 p. 57], l'impatto di tali misure legislative sul contesto bibliotecario ha messo in evidenza due fondamentali concetti, quali il diritto di informazione per tutti e la centralità dei cittadini nel processo di progettazione, organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici, temi che in parte si possono ritrovare anche nel Manifesto IFLA/Unesco del 1994 seppur non espressamente riferiti alla specifica situazione italiana.
Ciò che emerge nel modello di biblioteca pubblica dell'ultimo decennio del Novecento è dunque un'attenzione sempre maggiore alle istanze del cittadino il quale, rivestendo il duplice ruolo di utente e di elettore, non soltanto esige servizi pubblici di qualità dai propri amministratori ma ha anche l'opportunità di valutarne il livello delle prestazioni. La «biblioteca centrata sull'utente», così come viene definita in letteratura “si basa sull'alleanza tra bibliotecari e utenti esigenti [realizzabile] attraverso l'individuazione, da parte dei bibliotecari, dell'utenza potenziale e dei suoi bisogni” pertanto “è il pubblico a fornire l'input necessario al bibliotecario per la definizione dei compiti, degli obiettivi, delle priorità” [GIORDANO 1992 p. 34]. Ciò comporta un'apertura verso il territorio attraverso l'analisi della popolazione e del rispettivo fabbisogno culturale, l'individuazione della non utenza e dei motivi correlati all'inutilizzo della biblioteca, la misurazione quantitativa e qualitativa dei servizi e l'analisi dei risultati delle prestazioni.
La riforma degli enti locali è stata rilevante per aver posto il cittadino al centro dell'attività amministrativa - a partire dalla pianificazione degli obiettivi sino alla rendicontazione dei risultati - ciononostante sul versante delle biblioteche di base non c'è stato un corrispondente intervento legislativo a livello statale, infatti a tutt'oggi non è stata ancora emanata una legge quadro né è stata accolta la proposta di legge predisposta dall'AIB62.
Nel panorama italiano l'unico intervento relativamente “recente” e rappresentativo di un interesse istituzionale per le biblioteche territoriali è il documento programmatico siglato alla fine del 2003 da Regioni, Province e Comuni, intitolato Linee di politica bibliotecaria per le Autonomie [CAMPIONI 2006]. Benché nei due anni successivi alla sottoscrizione dell'accordo siano stati istituiti gruppi di lavoro che si sono occupati di alcuni temi presenti nel documento - quali la predisposizione di un modello di rilevazione statistica, i profili professionali, le forme di cooperazione territoriale e l'ottimizzazione dei servizi bibliotecari [GALLI 2006 p. 23] - le Linee
62 Nel biennio 1997-98 l'AIB è intervenuta in più occasioni presso le istituzioni statali per promuovere politiche nazionali nel settore delle biblioteche territoriali. In particolare il testo del disegno di legge, intitolato Legge quadro
sulle biblioteche e sui servizi di accesso alla conoscenza, al pensiero, alla cultura e all'informazione, è stato elaborato a
seguito dell'intervento di Alberto La Volpe durante il 43. Congresso nazionale dell'AIB, 29-31 ottobre 1997: in tale sede, infatti, l'allora Sottosegretario ai beni culturali si era preso l'impegno di avviare l'istruttoria per l'emanazione di una legge quadro che avrebbe dovuto ammodernare i servizi bibliotecari italiani allineandoli agli standard già presenti in altri paesi dell'Unione Europea [POGGIALI 1998].
hanno continuato ad occupare una collocazione istituzionale che ROSA [2004] ha definito “debole” poiché sono rimaste bloccate al primo gradino del coordinamento degli enti costituzionali, quando invece gli enti sottoscrittori auspicavano la condivisione di tale documento in sede di Conferenza Stato Regioni e di Conferenza Unificata, in particolare anche per intervenire sulla struttura organizzativa delle biblioteche pubbliche nel loro insieme e, dunque, per eliminare la separazione tipologica tra le “biblioteche pubbliche statali” e le “biblioteche pubbliche degli enti locali”. Se ciò fosse avvenuto si sarebbe trattato sicuramente di un passaggio fondamentale per le biblioteche pubbliche comunali, in quanto il documento delle Regioni e delle Autonomie locali proponeva “linee condivise di intervento con riferimento ai loro compiti, alle loro funzioni e alla loro struttura organizzativa e gestionale sul territorio” (ROSA [2004 p. 55]). Inoltre il “modello di biblioteca che sta alla base dell’intero documento ha un taglio decisamente innovativo ed europeo. […] È opportunamente data enfasi al diritto di accesso per tutti al servizio, ed è senza tentennamenti il riconoscimento che «l’accesso ai servizi essenziali delle biblioteche (informazione, consultazione e prestito) deve essere gratuito»” (ROSA [2004 p. 66-67]).
La revisione normativa a supporto delle biblioteche pubbliche locali, ed in particolare una definizione precisa dell'assetto istituzionale e delle competenze tra Stato, Regioni e Comuni, è ritenuta da ROSA [2012] il presupposto fondamentale affinché si possa delineare un nuovo modello organizzativo di biblioteca “che risponda con maggiore coerenza alle esigenze e alle sensibilità contemporanee […] ribadendo che le biblioteche pubbliche locali sono servizi di prossimità e di base per il cittadino, senza alcuna connotazione specialistica, luoghi aperti a tutti, che facilitano l’aggregazione sociale nel nome della condivisione di interessi culturali, servizi di agevole accesso, finalizzati alla fruizione dei libri e dei materiali editoriali anche in supporto digitale” ( ROSA [2012 p. 301]). Non a caso egli propone l'avvio di una nuova fase di legislazione regionale che dovrebbe partire proprio dalle Linee di politica bibliotecaria per le Autonomie oltre che dai classici documenti internazionali come il Manifesto IFLA/Unesco sulle biblioteche pubbliche, senza tralasciare nemmeno i recenti contributi AIB sulle problematiche delle biblioteche locali, quali il documento programmatico Rilanciare le biblioteche pubbliche italiane63, poiché si prefigge di
63 Il documento programmatico Rilanciare le biblioteche pubbliche italiane richiama proprio le Linee di politica
bibliotecaria per le Autonomie come punto di partenza iniziato nel 2004 e non ancora conclusosi ma meritevole di
essere ripreso per arrivare ad una definizione comunemente accettata di servizio bibliotecario pubblico, corredata da standard minimi e standard obiettivo riconosciuti a livello nazionale. Fra le priorità definite nel documento, l'AIB individua la necessità di un riconoscimento della biblioteca locale non soltanto come “servizio culturale” tradizionalmente inteso perché dedicato alla lettura, allo studio e al tempo libero, ma come un vero e proprio “istituto del welfare”, inteso come sistema diretto a promuovere lo sviluppo socio-economico degli individui e la qualità della vita. L'identificazione del servizio bibliotecario pubblico come un vero “servizio sociale” capace di garantire sia la disponibilità di libri, tecnologie avanzate e spazi per lo studio, sia programmi di attività rivolte alla formazione e al potenziamento delle abilità personali – informatiche, linguistiche, di lettura – lungo tutto l’arco della vita, rappresenta
proporre “soprattutto all’attenzione degli interlocutori istituzionali, un modello di biblioteca pubblica locale che, nel differenziarsi dal modello di biblioteca più tradizionalmente noto, punta ad essere un servizio di base multifunzionale” (ROSA [2012 p. 300]), e Biblioteche e bibliotecari nel 21. secolo [AIB 2012], documento con il quale l'AIB “fornisce una chiara illustrazione dei problemi più cruciali oggi presenti nel sistema bibliotecario italiano e indica le linee di azione che intende perseguire nel breve periodo. Anche qui appare evidente la preoccupazione di pensare ad una reimpostazione profonda di queste istituzioni” (ROSA [2012 p. 300]).