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Le biblioteche di ente locale nell'ordinamento regionale

Nel documento Le biblioteche pubbliche nell'era "social" (pagine 104-109)

3. La “crisi perenne” delle biblioteche pubbliche italiane: analisi storica ed istituzionale

3.2 Le biblioteche di ente locale nell'ordinamento regionale

Da un punto di vista politico-istituzionale la biblioteca pubblica di ente locale è stata introdotta nella Costituzione del 1948. Prima di allora, tra le biblioteche pubbliche governative e le biblioteche popolari, si inserivano le biblioteche civiche dipendenti nella maggior parte dei casi dagli enti locali delle città capoluogo che però non avevano né le finalità né i compiti della public library: spesso queste strutture si trovavano in concorrenza con le biblioteche statali sia per la ricchezza delle raccolte sia per la qualità dei servizi offerti e finivano per caratterizzarsi come vere biblioteche di conservazione con compiti di raccolta di materiali sulla storia e la cultura locali (MONTECCHI [2002 p. 81, 85]).

TRANIELLO [2002a p. 213-214] sottolinea come l'inserimento della biblioteca di ente locale all'interno del dettato costituzionale abbia rappresentato una svolta significativa per questa tipologia di istituto, essendo riuscito a trovare spazio di considerazione nell'ambito dei principi relativi alle attività culturali benché non si sia certamente trattato di una scelta determinata da una riflessione attenta da parte dell'Assemblea Costituente. Infatti nell'ottica statale le biblioteche di ente locale erano considerate come istituzioni di minore importanza e per tale motivo era stato sancito di affidarne la competenza legislativa alle regioni55: “questo atteggiamento di sottovalutazione e di

55 Il testo originario dell'art. 117 della Costituzione sanciva infatti: «La Regione emana per le seguenti materie norme

legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni: […] Musei e biblioteche di enti locali; […].

Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

A seguito della Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e delle modifiche successivamente operate dalla Legge cost. 20 aprile 2012, n.1, le disposizioni contenute nel presente articolo sono state sostituite con il testo seguente: «[…] Sono materie

di legislazione concorrente quelle relative a: […] valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali […]. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà

disinteresse in materia di biblioteche era abbastanza radicato in buona parte della classe politica del tempo, nonostante il vasto dibattito sui temi di carattere culturale che aveva attraversato il paese dopo la caduta del fascismo” (TRANIELLO [2002a p. 214]).

In ogni caso bisognerà aspettare gli anni Settanta prima che le istituzioni locali promuovano la nascita e lo sviluppo delle strutture bibliotecarie per tutti, per lungo tempo definite anche biblioteche di pubblica lettura. Alla base di questo ritardo vi sono diverse ragioni, prima fra tutte quella legata al fattore istituzionale dal momento che l'attuazione delle regioni a statuto ordinario è avvenuta soltanto all'inizio degli anni Settanta con l'approvazione delle prime norme relative al trasferimento delle funzioni amministrative di competenza regionale56.

Ulteriori ragioni derivano da fenomeni sociali e culturali che hanno inciso indirettamente sulla nascita della biblioteca pubblica in Italia, quali il processo di scolarizzazione e i movimenti di contestazione di fine anni Sessanta. L'espansione della “scuola di massa” e soprattutto “l'esistenza di una larga mobilitazione ideologica e politica a sostegno dell'estensione generalizzata dell'istruzione e della cultura nel paese, costituirono per i sostenitori del Servizio nazionale di lettura e per i propagandisti della public library altrettanti stimoli a riprendere con maggior vigore e rinnovate speranze la loro ormai decennale battaglia” (BARONE – PETRUCCI [1976 p. 142]). Inoltre “l'assenza di un vero e proprio sistema di biblioteche scolastiche, che non è mai stato realizzato in Italia e, nel contempo, la proposta di un rinnovamento del metodo didattico che avrebbe dovuto essere molto più centrato sull'apprendimento attivo e, conseguentemente, sull'attività di ricerca, hanno determinato, insieme a quell'espansione della pratica della lettura conseguente a quella dei consumi culturali, il riversarsi sulle biblioteche pubbliche locali di una larga utenza studentesca, alle esigenze della quale le biblioteche hanno cercato di rispondere potenziando i propri servizi di informazione e di consultazione” (TRANIELLO [2002a p. 231]).

Anche i movimenti di contestazione giovanile di fine anni Sessanta e inizio Settanta hanno contribuito ad affrancarsi dal modello cattolico della società italiana allora esistente e a sviluppare anche nelle istituzioni locali proposte e servizi culturali garanti di un modello più laico (TRANIELLO [2002a p. 231]).

A partire dal 1970, dunque, le Regioni a statuto ordinario cominciarono ad emanare leggi

legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».

56 Per un confronto diretto sul trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni vedi le seguenti normative: - Legge 16 maggio 1970, n. 281, Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario.

- Decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 3, Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle

funzioni amministrative statali in materia di assistenza scolastica e di musei e di biblioteche di enti locali e dei relativi personali ed uffici.

specifiche per indirizzare e sostenere i Comuni ad aprire le biblioteche pubbliche di base, tuttavia non si trattò di uno processo omogeneo su tutto il territorio nazionale: si legge infatti che le Regioni nelle quali il governo locale era nelle mani dei partiti di sinistra (prime fra tutte la Toscana e l'Emilia-Romagna) o nelle quali l'influenza socialista era notevole (vedi la Lombardia) furono le più pronte a rivendicare i loro diritti, mentre le altre, e in particolar modo quelle ove la Democrazia Cristiana deteneva una vera e propria egemonia politica, si rifiutarono di procedere all'emanazione di leggi specifiche di applicazione o lo fecero con estremo ritardo (BARONE – PETRUCCI [1976 p. 174]).

Nello specifico, TRANIELLO [2005b p. 44-58] suddivide due distinti periodi relativi al rapporto tra le Regioni e le biblioteche nel periodo compreso fra il 1970 e la riforma delle autonomie locali del 1990. Essi sono:

1. 1972-1977: le leggi bibliotecarie di prima generazione

Durante le prime due legislature, le neonate Regioni cominciarono a definire l'assetto normativo ed istituzionale delle biblioteche di ente locale in virtù delle competenze loro attribuite dalla Costituzione e a seguito dell'effettivo decreto di trasferimento del 1972. In questa prima fase la normativa si è focalizzata sull'istituzione e sulla gestione dei servizi bibliotecari, sull'organizzazione territoriale dei servizi, sull'individuazione delle attività regionali in tale ambito, ma in particolare sulla stessa fisionomia dell'istituto che, stante alla denominazione presente nel decreto del 1972 così come nella correlata legislazione regionale, non è mai stato definito come “biblioteca pubblica” bensì come “biblioteca di ente locale o di interesse locale”57. La Lombardia si è contraddistinta per

l'emanazione di una legge58 che negli anni immediatamente successivi è stata assunta come modello

dalle altre Regioni. Non a caso l'iter legislativo è stato preceduto dai lavori di una commissione tecnica rappresentata anche da bibliotecari, grazie alla quale sono stati inseriti principi e standard elaborati a livello internazionale e recepiti anche dall'AIB quali il principio della gratuità dei servizi e l'adesione ad un sistema bibliotecario territoriale coordinato dalle Province. Fin dalla prima fase dell'attuazione dell'ordinamento regionale, la biblioteca di ente locale è stata concepita come un servizio istituito e gestito dal Comune, almeno nella maggior parte dei casi. Tuttavia non mancano le biblioteche appartenenti alla Provincia, seppur meno diffuse e in genere caratterizzate da una rilevanza “civica” in riferimento al comune capoluogo [TRANIELLO 2005b p. 47]; non esistono

57 Vedi Art. 7, comma a), DPR 14 gennaio 1972, n. 3, Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni

amministrative statali in materia di assistenza scolastica e di musei e di biblioteche di enti locali e dei relativi personali ed uffici.

58 Legge regionale (Lombardia) 4 settembre 1973, n. 41, Norme in materia di biblioteche di enti locali o di interesse

invece biblioteche pubbliche direttamente afferenti alle Regioni a statuto ordinario.

I risultati di questo primo impulso legislativo hanno evidenziato aspetti positivi e negativi. Da una parte si è registrata una distribuzione capillare delle biblioteche nel territorio: basti pensare che nel solo periodo 1973-1977 vi è stato un incremento notevole pari a 1.744 strutture di nuova istituzione in tutto in territorio nazionale, contro le 1.180 biblioteche nel periodo 1961-1972 [TRANIELLO 2005b p. 50]; inoltre l'attribuzione di funzioni amministrative alle Province, concernenti in particolare quelle del coordinamento tra i Comuni per il funzionamento dei sistemi bibliotecari e per la formazione e l'aggiornamento del personale, ha rappresentato un significativo passo avanti nella delineazione di un assetto organico delle biblioteche nel territorio.

La nomina dei comitati di gestione in qualità di organismi deputati al controllo del funzionamento degli istituti è stata invece un tema molto dibattuto nei rapporti fra gli amministratori e i bibliotecari, almeno fino all'inizio degli anni Novanta; in seguito la presenza di tali comitati si è progressivamente esaurita. Spesso i bibliotecari hanno recepito i comitati di gestione come un'ingerenza nei confronti della propria professione se non addirittura come un nuovo strumento adottato dalle amministrazioni locali per controllare ed indirizzare ideologicamente le attività della biblioteca. Se TRANIELLO [2005b p. 48] rileva che l'intervento dei comitati di gestione sia stato direttamente proporzionale all'interesse politico delle amministrazioni locali nei confronti delle proprie biblioteche, interesse peraltro diminuito laddove questi istituti non sarebbero più stati percepiti come mezzi di accaparramento del consenso, VECCHIET [2013 p. 31] vi attribuisce invece il merito di aver introdotto il tema della partecipazione dei membri della comunità alla gestione della biblioteca pubblica, tentando di modellarne il funzionamento in base alle esigenze del proprio territorio, nonché “per aver spesso supplito con personale volontario, in una fase in cui la professione del bibliotecario di piccolo ente era ai suoi albori o addirittura inesistente, alla gestione stessa della biblioteca” (VECCHIET [2013 p. 31]).

2. 1978-1990: le leggi bibliotecarie di seconda generazione

Il periodo intercorrente tra la fine degli anni Settanta e il decennio successivo è stato contrassegnato da una crescente burocratizzazione dell'apparato amministrativo regionale, con interventi legislativi “principalmente caratterizzati dall'intenzione di condurre l'esercizio dell'autonomia locale in campo bibliotecario entro un quadro complessivo determinato dalla Regione e attuabile, con la partecipazione fondamentale della provincia in qualità di ente intermedio, mediante piani di sviluppo e di coordinamento sia regionali che provinciali” (TRANIELLO [2005b p. 56]).

Il riconoscimento della biblioteca come centro di informazione, lettura e documentazione di base ha fornito la premessa per promulgare, nel corso degli anni Ottanta, una seconda tornata legislativa avente il merito di aver introdotto standard biblioteconomici di servizio vincolanti per l'ente locale, relativi ad esempio ad orari di apertura, reclutamento del personale, dotazioni librarie, adozione di cataloghi. Ciononostante TRANIELLO [2005b] rileva una sostanziale incongruenza, nelle leggi di quasi tutte le Regioni a statuto ordinario, fra gli intenti delle politiche bibliotecarie e la concreta capacità di supportare gli enti locali con finanziamenti adeguati ad avviare e a sviluppare il nuovo assetto delle biblioteche di base. Escludendo le Regioni “virtuose” come la Lombardia e l'Emilia-Romagna che si sarebbero contraddistinte per essere state tra le prime, fra quelle a statuto ordinario, ad aver definito nelle rispettive leggi la realizzazione di un vero sistema integrato di servizi bibliotecari su tutto il territorio regionale, prevedendo altresì interventi strutturali di ampio respiro da realizzarsi in ambito locale in concerto con i centri di coordinamento provinciali, TRANIELLO [2005b p. 58] non manca di però sottolineare come il vero sviluppo delle biblioteche pubbliche italiane sarebbe in realtà iniziato soltanto a partire dagli anni Novanta, conseguentemente a quel complesso di riforme che avrebbe consentito agli enti locali sia l'autodeterminazione di obiettivi da conseguire mediante piani di previsione annuali e pluriennali, sia mediante la definizione di risorse finanziarie locali su cui fare affidamento e da destinare espressamente a tali programmi.

In totale disaccordo con Traniello risulta invece VECCHIET [2013] il quale rivendica il fondamentale ruolo propulsivo delle Regioni per la nascita del sistema bibliotecario pubblico in Italia, in quanto i Comuni avrebbero cominciato a prendere in considerazione l'idea di istituire le proprie biblioteche territoriali soltanto a partire dalle leggi regionali degli anni Settanta-Ottanta. Inoltre Vecchiet riconosce alle Regioni importanti meriti a supporto delle politiche bibliotecarie comunali, che vanno dai contributi finanziari per l'accrescimento della cooperazione intersistemica fra enti locali, al patrocinio di convegni e corsi di aggiornamento professionale del bibliotecario, ai progetti di sviluppo delle biblioteche per ragazzi e delle sezioni locali, ai rapporti di collaborazione con le sezioni AIB regionali, oltre ovviamente ad attribuire alle Regioni il merito di aver colmato il vuoto legislativo dello Stato con l'emanazione di leggi specifiche per la biblioteca pubblica. Secondo la tesi di VECCHIET [2002b], dunque, il periodo più “florido” per le biblioteche pubbliche italiane corrisponde sostanzialmente al trentennio 1970-2001 in cui la potestà legislativa in materia di “musei e biblioteche di enti locali” è stata di diretta competenza regionale come stabilito dall'originario art. 117 della Costituzione, pur riconoscendo che l'assenza dell'emanazione

di una “legge cornice” da parte dello Stato – come egli la definisce – abbia fornito alle Regioni il presupposto per accreditare alle biblioteche pubbliche lo status ambizioso e generico di centro di promozione ed elaborazione culturale anziché di centro eminentemente informativo come oggi viene riconosciuto a questi istituti. Logica conseguenza di un'interpretazione così estensiva sarebbe stata, pertanto, una produzione normativa volta a caricare la biblioteca di ente locale di competenze non rigorosamente biblioteconomiche, spesso maggiormente affini all'organizzazione di attività culturali e, di fatto, penalizzandola “da una crescita caotica e incontrollata, senza parametri e requisiti, che alla fine l’ha di molto allontanata dalla propria identità istituzionale” (VECCHIET [2002b p. 34]).

Nel documento Le biblioteche pubbliche nell'era "social" (pagine 104-109)