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Le caratteristiche della definizione di Andrea Cappellano.

Prima di entrare nel merito della questione e di indagare i testi alla ricerca di un possibile influsso del De amore nella poesia sveva, è utile chiarire, ai fini del nostro discorso, le caratteristiche essenziali della definizione amor est passio che Andrea colloca agli esordi della sua esposizione, e di altre questioni dottrinali che sembrano avere avuto un seguito nella letteratura italiana delle Origini.

La definizione dell’amore, più di ogni altro elemento dottrinale cappellaniano, sembra avere esercitato un larghissimo influsso sulla letteratura italiana delle Origini407. In Italia la lirica d’arte del XIII secolo e soprattutto la poesia sveva, paga com’è noto un forte tributo alla tradizione cortese occitana dalla quale trae tutto il proprio corredo tematico. L’ampio corredo delle tematiche cortesi tuttavia non è assunto senza una rivisitazione critica e senza un processo selettivo che muta in base alle esigenze e ai contesti. Per esempio il carattere definitorio della poesia italiana delle Origini, riscontrabile soprattutto nelle tenzoni, aveva un antecedente nella letteratura provenzale, ma in Italia i rimatori operano una sintesi delle tradizioni precedenti e sviluppano la tematica con maggiore approfondimento critico e pseduo-scientifico. Ovviamente la definizione fornita da Andrea Cappellano

407

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può essere considerata come una fonte scientifica autorevole, ma non era l’unica definizione e non possiede nozioni talmente innovative tanto da non poter essere rintracciate nella cultura filosofica e scientifica dell’epoca. Pertanto, rimanendo fedeli al nostro assunto metodologico di partenza, nel prendere in esame i possibili influssi cappellaniani sulla letteratura italiana delle origini, non possiamo accontentarci di somiglianze superficiali perché come tali possono essere riscontrate sia nel sostrato scientifico comune a tutto il sapere occidentale sia nella tradizione letteraria occitana. Dal momento che le nozioni scientifiche utilizzate dai poeti per definire la natura d’amore non sono esclusive del De amore di Andrea Cappellano, non possono essere considerate probanti nella ricerca di un influsso diretto del trattato su un autore o su una intera scuola poetica. Nel quadro specifico della storia ricettiva del libro di Andrea abbiamo visto che alla stessa altezza cronologica degli esordi della Scuola siciliana, solo l’interpretazione moralistica ha avuto maggiore seguito e risonanza laddove invece la storia letteraria e la critica filologica attestavano prima di tutto un influsso o un riuso letterario.

Don Alfred Monson408 si è occupato specificamente di analizzare la definizione di Andrea Cappellano tenendo in considerazioni che l’opera, complessivamente, è un prodotto scolastico che usa gli strumenti analitici forniti dalla formazione accademica. Molti prima di lui si sono chiesti se questa definizione sia da considerarsi come un’ironica allusione alla Scrittura, ai Padri o alla tradizione medica409. Secondo Monson invece il De amore organizza la materia della trattazione secondo i tre vettori fondamentali del trivio, ars-scientia-sapienza, in un costante processo dialettico in cui si mettono a confronto le varie opinioni sull’amore (clericale, classica-ovidiana, letteraria-cortese, teologica, giuridica e sociale). Egli crede, dunque, che la definizione di Andrea sia scolastica, radicata cioè nella tradizione filosofica medievale e provvista di nozioni che erano facilemente accessibili nell’ambito del sapere occidentale e che si stavano definendo attorno

408

Cfr. D.A.MONSON, 2005, pp. 169-197, già affrontato in D.A.MONSON, 1994, pp. 197-214.

409 Cfr. A.K

ARNEIN, 1981, pp. 215-221; D.W. ROBERTSON, 1962, pp. 84-84. D.W.ROBERTSON, 1953, pp.

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all’incipiente procedimento gnoseologico di stampo scolastico. Ecco il testo latino della definizione:

Amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris praecepta compleri410.

Monson ricorda che il metodo della definizione era fondamentale nell’argomentazione dialettica, ne avevano parlato largamente Cicerone e poi Boezio nel commentare quest’ultimo411. Mario Vittorino412 aveva scritto un trattato sulla definizione che avrebbe a sua volta influenzato gli enciclopedisti medievali come Cassiodoro e Isidoro di Siviglia. Di conseguenza la definizione aveva un’importanza capitale nel modus tractandi, perché permetteva di suddividere una questione in segmenti interdipendenti e singolarmente analizzabili. Secondo Boezio la definizione unisce un genere o classe, alle relative differenze cioè le caratteristiche che distinguono i generi all’interno di una specie. Attraverso la definizione si arriva alla quidditas di un deternimato oggetto cioè, in termini aristotelici, si arriva all’essenza di quella cosa413. Andrea comunque non si ferma alla sola definizione ma come era costume medievale la fa seguire da una glossatio ovvero dalla spiegazione di tutte le sue parti.

Il motore della definizione ma anche ciò che costituisce l’essenza dell’amore è la parola passio. Amore è passio. Nel pensiero aristotelico la passio è l’ultima delle dieci categorie – nel medioevo chiamate preadicamenta - ovvero le classi universali entro cui tutte le cose possono essere ricondotte o gli attributi che possono essere

410 DA, 1.1.1 411

MARCO TULLIO CICERONE, Topica, 26-29, cfr. T.REINHARDT, 2003, pp. 126-129, e ANICIO MANLIO

SEVERINO BOEZIO, In Topica Ciceronis, PL, 64: 1090-1108.

412 M

ARIO VITTORINO, De deffinitione, PL 64: 891-910. 413

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predicati di un soggetto414. Passio ha due significati: in un caso è ciò che il soggetto subisce, nell’altro caso può essere il terzo dei quattro sottogeneri della categoria qualità, cioè le passiones e le passibiles qualitates, che indicano la qualità introdotte in una sostanza da una passione. Le passiones sono transitorie e di breve durata mentre le passibiles qualitates sono di più lunga durata e danno alla sostanza una vera e propria determinazione. Nella definizione di Andrea amor è la specie in considerazione, ed è una passio ovvero, in accordo alla decima categoria, qualcosa che il soggetto subisce, ma in senso qualitativo l’amore è una delle passiones perché costituisce una qualità transitoria del soggetto. Nulla, infatti, impedisce di attribuire un oggetto a più categorie: Socrate è padre per relazione ma uomo per sostanza, così l’amore è passio come sostanza ma appartiene alle passiones come qualità. Il resto della definizione è costituito dalle differenze che separano questa specie dalle altre dello stesso genere, perché, oltre l’amore umano esistono vari tipi di amore.

Che l’amore sia passione era un luogo comune sia nel mondo classico, da dove ha origine, sia nel medioevo che accoglie la lezione classica la cui origini sembrerebbe da rintracciare nell’Etica di Aristotele. Dalla fonte aristotelica l’amore- passione passerà al pensiero tomista in cui l’amore sarà considerato come effetto subito da un soggetto: tale effetto è capace di alterare la sostanza del soggetto in quanto rimpiazza le naturali qualità con qualità aliene alla sostanza stessa. Considerata in questi termini la passio aveva spesso un influsso negativo, il più delle volte essa era causa di sofferenza, malattia e dolore415. Nel medioevo l’amore, osservato e studiato in tutte le sue forme, era spesso associato alla sofferenza, era addirittura curabile come malattia fisica, e lo stesso Andrea sembra considerarlo in questa accezione fisiologica. L’amore produceva frustrazione, timore, malinconia, disperazione, e quindi aveva a che fare con i principali sentimenti che si originavano dalle facoltà sensoriali: paura, speranza, gioia e dolore416.

414 Le categorie aristoteliche sono. 1) sostanza 2) quantità 3) qualità 4) relazione 5) luogo 6) tempo 7)

posizione 8) stato 9) azione 10) passione.

415

TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, 1a 2ae, 26.2, vol. IX, pp. 79-80; e TOMMASO D’AQUINO In quattuor libros Sententiarum, 3.15.2., vol. V, pp. 799-807.

416

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Che l’amore-passione di Andrea sia conforme alla lezione aristotelica delle categorie è spiegato più avanti. Andrea, infatti, afferma che questa passio è innata perché non è originata da nessuna azione, ma procede solo dalla cogitatio417 innescata nella parte razionale dell’anima in seguito alla vita di un oggetto piacevole. In verità le passiones devono essere originate necessariamente da azioni, come afferma Pietro Abelardo nella sua Dialectica418, tuttavia anche la cogitatio può essere considerata come azione. Nella scolastica avanzata, per esempio in Tommaso d’Aquino419, si distinguono due tipi di azione: la factio, che procede da un agente verso un oggetto, come riscaldare o bagnare, e l’actio cioè l’azione che resta nell’agente. La cogitatio è dunque un’azione che resta nel soggetto agente. Nel pensiero di Andrea Cappelano, invece, cogitatio ed actio, sono opposte, paradosso dovuto probabilmente non soltanto all’imperizia filosofica di Andrea ma anche alla improprietà terminologica tipica della prima scolastica. Più avanti Andrea userà la parola actus per designare sia un’azione che procede dall’agente sia la reazione a un’azione420.

L’amore-passione di Andrea Cappellano mette in moto gli appetiti. Nella

Summa Theologiae Tommano d’Aquino, seguendo l’ipse dixit di Aristotele, afferma

che l’amore-passione ha come primo effetto sull’intelletto l’appetitus, mosso da un oggetto desiderabile e che a sua volta spinge l’appetito verso l’oggetto. Lo scopo del movimento degli appetiti è il possesso dell’oggetto421. Con Tommaso si arriva alla

417 DA 1.1.8: «Quod autem illa passio sit innata, manifesta tibi ratione ostendo, quia passio illa ex

nulla oritur actione subtiliter veritate inspecta; sed ex sola cogitatione quam concipit animus ex eo quod vidit passio illa procedit. ».

418 P

IETRO ABELARDO, Dialectica, edizione a cura di L.M.DE RIJK, 1970, p. 108: «Omnes autem passiones ex actionibus necesse est inferri nec potest esse passio quam non sua generet actio. Neque enim potest esse qui ametur nisi et ille fuerit qui amet».

419 T

OMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, 1a 2ae, 57.4, vol. X, pp. 145-155

420 DA 1.1. 10 per il primo caso e DA 1.1.11 per il secondo caso. 421

TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, 1a 2ae, 26.2, vol. IX, pp. 79-80: «Respondeo dicendum quod passio est effectus agentis in patiente. Agens autem naturale duplicem effectum inducit in patiens, nam primo quidem dat formam, secundo autem dat motum consequentem formam; sicut generans dat corpori gravitatem, et motum consequentem ipsam. Et ipsa gravitas, quae est principium motus ad locum connaturalem propter gravitatem, potest quodammodo dici amor naturalis. Sic etiam ipsum appetibile dat appetitui, primo quidem, quandam coaptationem ad ipsum, quae est complacentia appetibilis; ex qua sequitur motus ad appetibile. Nam appetitivus motus circulo agitur, ut dicitur in III de anima, appetibile enim movet appetitum, faciens se quodammodo in eius intentione; et appetitus tendit in appetibile realiter consequendum, ut sit ibi finis motus, ubi fuit principium. Prima ergo immutatio appetitus ab appetibili vocatur amor, qui nihil est aliud quam

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più alta espressione del metodo scolastico, ma le similarità con la definizione di Andrea, vergata decenni prima, non lasciano dubbi sulla natura scolastica di questa definizione. Anche in Andrea il desiderio è ciò che spinge verso l’oggetto amato nel tentativo di ottenerne il possesso (super omnia cupit alterius potiri amplexibus).

Andrea afferma che l’amore è una passione innata. Il termine innatus indica una qualità che si possiede dalla nascita, ma l’amore, così come descritto prima, non può essere innato perché nasce nell’appetito come effetto esercitato da un oggetto esterno. Innata potrebbe essere la capacità (potentia) di amare, la possibilità presente nell’appetito di dare origine all’amore. Anche la potentia

passonis faceva parte del corredo definitorio scolastico e faceva parte del secondo

genere della qualità ovvero potentia naturalis vel impotentia. Ma l’amore, per Andrea, non è una potentia bensì una passio per cui anche in questo caso egli commette un errore categoriale, perché l’amore può essere predicato solo per accidente non per sostanza perché nasce dalla visio e dalla cogitatio e agisce sulla sostamza. Nei teorici dell’amore letterario, come Dante o Cavalcanti, questo concetto è molto più chiaro che in Andrea. Dante dice espressamente che l’amore è

uno accidente in sustanzia422 e Cavalcanti, un accidente… ch’è chiamato amore423.

L’unico modo per rendere compiuta e sensata la formula di Andrea è quello di dare alla parola innatus il senso letterale ed etimologico di “nato dentro” (in-natus). In questo caso Andrea si starebbe riferendo alla distinzione tra passiones exteriores, cioè provocate dalla percezione sensitiva, e passiones interiores, cioè le emozioni. Nella formulazione classica le prime sono passiones corporis, le seconde passiones

animi. L’amore per Andrea è dunque non solo passio in senso categoriale, ma

appartiene anche a un sottogenere di questa categoria cioè le passiones interiores. Che Andrea si riferisca a questo tipo di interpretazione è deducibile dalla successiva glossa (ed ex sola cogitatione quam concipit animus ex eo quod vidit passio illa

complacentia appetibilis; et ex hac complacentia sequitur motus in appetibile, qui est desiderium; et ultimo quies, quae est gaudium. Sic ergo, cum amor consistat in quadam immutatione appetitus ab appetibili, manifestum est quod amor et passio, proprie quidem, secundum quod est in concupiscibili; communiter autem, et extenso nomine, secundum quod est in voluntate».

422

D.ALIGHIERI, Vita nuova, 25. Cfr. G.BÀRBERI SQUAROTTI,1965, pp. 56-59, la citazione a p. 56.

423 G.C

AVALCANTI, Donna me prega, vv. 2-3: d’un accidente – che sovente – è fero / ed è sì altero –

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procedit), già presa in considerazione per il fatto che Andrea erroneamente crede

che le passioni non nascano da nessuna azione, contravvenendo a un assunto della dialettica e ignorando che anche la cogitatio può essere assimilata ad un azione. I traduttori volgari424 si mantengono fedeli a questa interpretazione privilegiando cioè la causa psicologica (cogitatio) rispetto a quella fisica (visio): Jean de Meug425 parla di maladie de pensee, Drouart la Vache426 traduce con passions o maladie

dedans nee, i volgarizzamenti italiani427 restituiscono la traduzione passione dentro

nata (nella versione riccardiana, in quella romana del codice Barberiniano latino

4086 si dice passione naturale indicando probabilmente la disposizione naturale all’amore428), Antonio Pucci429 traduce una passione nata dentro dell’anima, un commentario all’Echecs amoureux dice une passion ou affection de l’ame, Angelo Ambrosini traduce desiderio ò vogliamo dire affettione d’animo430.

Un’altra questione scolastica nascosta all’interno della definzione dell’amore di Andrea Cappellano è la causalità aristotelica, una categoria filosofica che cominciava proprio alla fine del XII secolo ad essere adottata come teoria della conoscenza, grazie alle traduzioni della Fisica e della Metafisica di Aristotele. Il Filosofo stabiliva quattro cause per la nascita di un dato fenomeno: causa formale, efficiente, finale e materiale. In Andrea Cappellano la causa formale è la passio, abitualmente associata alla specie o come qui al genere. La causa materiale è indicata dalla parola innata perché si riferisce alla sostanza affetta dalla passio, in questo caso è la mente o l’anima, ovvero una sostanza immateriale. Visio e

immoderata cogitatio indicano la causa efficiente, cioè i fattori che causano il

cambiamento, infine la cupiditas amplexium costituisce la causa finale, cioè lo scopo dell’amore. In accordo con la scolastica medievale le prime due cause sono intrinseche, le ultime due sono estrinseche. D. A. Monson nota che la causalità aristotelica è facilmente riscontrabile nel trattato e quindi ben conosciuta da

424

Su questo argomento cfr. D.A.MONSON, 2005, pp. 155-168.

425 Cfr. F. LECOY, 1965-1970, vol I, p. 134. (v. 4348) 426 Cfr. R.B OSSUAT, 1926b, vv. 138-139. 427 Cfr. S.BATTAGLIA, 1947, p. 5. 428 Cfr. G.RUFFINI, 1980, p. 7. 429 Cfr. A.V ARVARO, 1957, p. 275. 430 Cfr. A.KARNEIN, 1985b, p. 212 e 237.

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Andrea. Nell’ottavo dialogo, per esempio, dibattendo intorno ai piaceri della parte alta e della parte bassa del corpo, la donna, che preferisce quelli della parte bassa, afferma che all’uomo impotente manca la causa efficiente che gli permette di accedere a quel tipo di piacere. L’uomo, che preferisce i piaceri della parte alta, afferma che i piaceri carnali sono la causa finale dell’amore431.

Secondo Andrea dunque l’amore è il risultato di due diverse passiones: una del corpo, cioè i sensi - il corpo, infatti, patisce le percezioni che provengono dai seni - e una dell’anima ovvero un’emozione. La passio corporis è determinata dalla vista (visio) mentre la passio animae è determinata dal pensiero (cogitatio). Entrambe sono cause efficienti dell’amore. Una tradizione simile si trovava già in Giovanni di Salisbury solo che egli parla più genericamente di sensus anziché di visio e di imaginatio anziché di cogitatio432. Nella psicologia medievale, desunta dal De

anima di Avicenna, tradotto proprio a partire da quel periodo433, cogitatio e

imaginatio sono due termini che designano fenomeni differenti ma strettamente

correlati, infatti, la vis cogitativa e la vis imaginativa sono due sensi interni che fanno parte dell’anima sensitiva. Entrambi sono coinvolti nella manipolazione delle percezioni sensoriali: l’immaginazione a un livello immediato, il pensiero a un livello astratto. Insieme sono un collegamento indispensabile tra i sensi e l’attività razionale o intelletto. Spesso, considerando la definizione di Andrea, i due termini sono stati dati per equivalenti434. In realtà la distinzione tra le due vires esiste già in Andrea. Egli dice che l’amante post modum muliebri incipit cogitare facturas, et eius

distinguere membras suosque actus imaginari435. Ciò significa che l’amante usa la vis

imagitativa per immagazzinare e combinare fra loro le immagini che provengono

431 DA 1.6.540-544. La donna dice: «Sed et si homo sit frigidus vel alias impotens ad Veneris opera

peragenda repertus, nullas affectat carnis delectationes assumere, quia efficiens amoris causa in eodem defecisse cognoscitur, quae in parte procul dubio regnat inferiori. Causa enim efficiente remota eius merito cessabit effectus». L’uomo risponde: «Quamvis enim ad inferioris partis solatia quilibet principaliter tendat amator, et ibi sit amoris causa finalis, turpis tamen et inepta videtur nimis gestio corporis et plurimum feminae verecundum, inferiora sine superioribus solatiis exercere». D.A.MONSON,2005A, p. 185.

432 Cfr. G

IOVANNI DI SALISBURY, Metalogicon, PL, 199: 921 433

Cfr. M.T.D’ALVERNY, 1982, pp. 421-462, qui 444-445.

434

Cfr. B.NARDI, 1942, p. 6, e NARDI B., 1959, pp. 517-542; M.F.WACK, 1986, p. 101. Nardi traduce cogitatio con immaginazione.

435

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dai sensi, ma poi usa la vis cogitativa436 per distinguere le immagini, cioè le membra

dell’amata.

La caratteristica principale della cogitatio è che essa è immoderata, cioè eccessiva, persistente, continua. Per alcuni il termine immoderatus indicherebbe in Andrea la condanna della cupiditas perché il desiderio diventa cupiditas quando è eccessivo, per altri invece sarebbe un accenno alla contemporanea scienza medica che aveva individuato con esattezza, proprio nei secoli ossessionati dalla speculazione intorno alle species amoris, i sintomi e le cure per quella patologia che era definita come amor hereos o heroicus, traducibile con malattia d’amore437. Il termine immoderatus tuttavia, può anche significare illimitato, senza misura, cioè un’accezione morale più neutra usata spesso per descrivere i fenomeni naturali già in Ovidio e nella tradizione classica438. Che Andrea usi questo termine nell’accezione ora considerata sembra essere confermato dalla glossa che segue la definizione. Andrea scrive: «Est igitur illa passio innata ex visione et cogitatione. Non quaelibet

cogitatio sufficit ad amoris originem, sed immoderata exigitur; nam cogitatio moderata non solet ad mentem redire, et ideo ex ea non potest amor oriri». Se si

intende bene il senso, Andrea afferma che non qualsiasi cogitatio fa nascere l’amore ma solo quella immoderata, perché questa sola questa ritorna spesso alla mente. Questo pensiero immoderato è dunque un pensiero esclusivo intenso ed ossessivo, sinonimo di assiduo (assiduus), un altro termine che Andrea usa spesso per indicare gli stessi concetti439. Chi ama è tormentato dal pensiero esclusivo dell’amata cioè da un pensiero immoderatus. I traduttori volgari rendono questo termine, nella maggior parte dei casi, col significato di eccessivo, ma alcuni lo

436 La cogitatio non è per Andrea una funzione dellintelletto ma pertiene alla vis cogitativa che come

la fantasia e l’immaginazione è un senso interiore. È su questa immaginazione che si innesta la letteratua amorosa cortese la quale descrive una passione immoderata e senza appagamento. È l’amante che con l’aiuto dei sensi e con la vis cogitativa si crea il suo oggetto d’amore. In Andrea la definizione tuttavia non è letteraria perché il fine del processo eziologico dell’amore è l’atto sessuale.

437

M.F.WACK, 1986, p. 108, e M.F.WACK, 1990, pp. 182-185. Cfr. ancheJ.W.BALDWIN,1991, p. 808, eJ.W.BALDWIN,1994, pp.141-144.

438

PUBLIO OVIDIO NASONE, Epistulae ex Ponto, 4.15.31, cfr. edizione J.A.RICHMOND, 1990, p. 114.

439

Assidua imaginatio (2.8.44, reluga amoris XXX), assidua dielctio (Praefactio, 1), assidua cogitatio (1.2.2; 1.6.198.280) assidua conmplatione (1.6.326) assisua et immoderata cogitazione (1.6.559; 2.6.2).

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traducono con “grandissimo” (versione Barberiniana)440, par penser aprés

profondamente et continuelment (Commentario all’Eches amoureux del

manoscritto BNF 24295) e consideration… si fort fichee et imprimee en son cueret en

sa pensee (Commentario all’Eches amoureux del manoscritto BNF 9197)441. Nella versione catalana, sebbene la definizione sia andata perduta, più avanti il senso dato a immoderatus è bon pensament e in altri casi grand442. Drouart la Vache,