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Nonostante la buona identificazione dell’autore proposta da Karnein, lo

status sociale di Andrea, rispetto a quello di Gautier figlio, risultamolto meno chiaro. Della famiglia di Gautier sappiamo che era di umili origini e che, grazie all’intraprendenza dei suoi membri, abbia poi scalato la piramide sociale fino a conseguire le più alte cariche dello Stato, quelle che di solito erano riservate ai membri dell’alta nobiltà o ai familiari del re. Dunque una carriera laica confermata dall’evento delle nozze avvenute nel 1186. Di Andrea, subalterno prima di Gautier padre e poi verosimilmente di Gautier figlio, non sappiamo nulla. Tuttavia nell’incalzarsi di ricerche documentarie, ipotesi e smentite, emerge chiaramente che la probabilità che Andrea fosse un chierico è altissima, perché l’impianto scolastico dell’opera e il continuo rimando ad opere patristiche, scritturistiche e filosofiche non può che condurre al mondo dei magister accademici o comunque al mondo della cultura clericale. Certo è del tutto plausibile che un laico avesse la stessa formazione di un chierico, specie se destinato ad alti incarichi amministrativi, ma è un dato assolutamente inequivocabile che l’intera tradizione manoscritta, e lo stesso trattato, siano univoci nel conferire ad Andrea il titolo di capellanus, un termine che indicava un chierico ordinato.

La questione di sapere quale status sociale ricoprisse Andrea è stata sottovalutata. Karnein non affronta questo problema che invece ricopre un ruolo di primo piano nel quadrodi una corretta comprensione dell’opera e della sua intentio. La critica tradizionale afferma, infatti, che il trattato proviene dal mondo cortese, dunque da un retroterra laico e che, in contrapposizione allo strapotere della cultura

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clericale, l’intentio dell’opera sarebbe quella di affermare l’autonomia e il diritto a esistere della letteratura cortese e dei valori dell’aristocrazia feudale. Se invece consideriamo l’ipotesi che l’autore del trattato possa essere stato un chierico di formazione accademica, l’orizzonte della nostra ricerca cambia radicalmente, perché il De amore non sarebbe più un prodotto del mondo cortese ma, nella migliore delle ipotesi, un ‘esercizio’ argomentativo di tradizione ovidiana con argomento attuale, o, nella peggiore delle ipotesi, una rassegna dissacrante dell’amore cortese che ha come unico fine la condanna della letteratura amorosa delle corti laiche e dei valori che essa veicola.

Le ricerche intorno all’identità storica dell’autore del De amore, a cominciare

dalle identificazioni tradizionali diVigneras, di Mahoney e di Benton, per arrivare a quella di Karnein, non possono escludere il dato sancito dalla tradizione: Andrea era

capellanus. Nei documenti champenois, Andrea è sempre associato a una mansione

ecclesiastica, infatti viene registrato con gli appellativi di canonicus, clericus,

capellanus, sacerdos, che rimandano tutti a uno stato clericale. I documenti reali invece parlano di un Andrea cambellanus, un ruolo laico che tuttavia poteva essere ricoperto anche da un chierico, come spesso accadeva. In entrambi i casi non sappiamo che tipo di chierico fosse, se cioè fosse ordinato o se possedesse soltanto gli ordini minori. Limitatamente ai documenti provenienti dalla Champagne, John Benton, pur non condividendo l’identificazione di Andreas de Lueriis con Andrea Cappellano, confermava la tesi che emerge dagli atti e cioè che Andreas e Lueriis era un prete ordinato, perché vigeva l’usanza giuridica di elencare come testimoni prima i chierici e poi i laici e tra i chierici prima quelli ordinati e poi quelli che possedevano solo gli ordini minori: se Andreas de Lueriis era citato per primo, ciò dimostrerebbe il suo rango sacerdotale, in seguito e in altri contesti, menzionato con gli appellativi più generici di clericus, capellanus o canonicus.

È meglio restare legati alla tradizione manoscritta e chiedersi dunque quali significati poteva assumere il termine capellanus. Claude Buridant96, che nota l’incongruenza tra le testimonianze storiche della corte di Champagne e la tradizione

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manoscritta97, crede, fuori da ogni dubbio, che si tratti di un chierico. Ciò spiegherebbe il ricorso continuo alle fonti della latinità classica e cristiana e l’argomentazione tipicamente scolastica dell’opera. Però, come afferma Iolanda Insana, se si tiene conto del fatto che la differenza ortografica tra capellanus e

cambellanus si riduceva moltissimo nelle rispettive abbreviazioni (capellan e cabellan)98, non si può scartare del tutto l’ipotesi di una tradizione corrotta, ipotesi che neanche Karnein si sentiva di escludere completamente. Andrea era dunque cappellano, cioè un chierico con funzioni di cura animarum o era un ciambellano? E perché non tutti e due, dal momento che spesso gli unici uomini adatti a ricoprire cariche così importanti erano tonsurati? Questa differenza è frutto di una forma di corruzione del testo, sempre possibile, o di una promozione? Iolanda Insana, associandosi alla tesi di Felix Schlösser99 e Graziano Ruffini100, sostiene che l’Andrea attestato alla corte di Filippo Augusto tra il 1190 e il 1201101 potrebbe essere lo stesso di quello attestato alla corte di Champagne qualche anno prima, solo che nella corte comitale era un semplice cappellano e in quella reale, beneficiando di una promozione, ricopriva il ruolo di ciambellano102. Andrea Cappellano dunque sarebbe arrivato a Parigi attraverso la mediazione della sorellastra del re, Maria di Champagne. Come abbiamo visto, questa ipotesi non sembra piacere a Karnein, che

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«Nam ea caecus continenter et amens, quos ab amoris curia penitus esse remotos amatoris Andreae, aulae regiae capellani, evidenter nobis doctrina demonstrate», cfr. DA 1.6.385. Come già abbiamo avuto modo di ricordare, in alcuni casi Andrea è menzionato come cappellano del papa Innocenzo IV, papa del 1243 al 1254, e noto per i suoi profondi dissidi prima con l’imperatore Federico II (scomunicato nel 1245) e poi col figlio naturale Manfredi. Si tratta comunque di un errore di identificazione. L’Andrea, cappellano del papa, è autore per ironia della sorte di un De dissuasione uxoritatis. 98 Cfr. I.INSANA,1992, p. 184. 99 Cfr. F.S CHLÖSSER, 1960-1962, p. 49. 100 Cfr. G.R UFFINI,1980, pp. X-XVI. 101

La segnalazione è stata fatta da A.KARNEIN, 1978, pp. 1-20, citato in P.BOURGAIN, 1986, pp. 30, nota 7.

102

Cfr. I.INSANA, 1992, p. 184. Ipotesi già sostenuta da P.RAINA, 1889, p. 255. Secondo Rajna inoltre l’autore del trattato potrebbe aver usato uno pseudonimo perché un chierico avrebbe dovuto giustificare la scrittura di un’opera così immorale come il De amore. Rajna riporta questa ipotesi ma non la condivide, perché la corte di Filippo Augusto era molto liberale, e soprattutto perché la presenza della Reprobatio, che Rajna giudica non sincera, fu associata ai primi due libri contemporaneamente o poco dopo la stesura della prima parte proprio per motivi etici. È la presenza della Reprobatio che convince il Rajna dell’ipotesi che Andrea fosse realmente un chierico e per di più cappellano del re di Francia.

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preferisce considerare privi di relazione l’Andrea dei documenti champenois e quello dei documenti della Cancelleria reale.

Se dunque i termini capellanus o cambellanus ci dicono poco, non possiamo non ricavare, dalla veste linguistica, dall’impianto scolastico, dal ricorso a nozioni filosofiche, teologiche, scritturali, che l’autore del De amore non fosse un chierico, e non certo un chierico di campagna, come fa notare Benton, perché una scuola locale non avrebbe potuto fornire al presunto autore del De amore gli strumenti necessari per costruire l’impianto scolastico dell’opera. Andrea dunque doveva essere un chierico colto che si era formato presso una Università e non presso una semplice scuola cattedrale o abbaziale. Ci possiamo chiedere, tuttavia, a quale grado dell’ordine sacro Andrea appartenesse. Secondo il Neiermeyer103, nel Medioevo il termine “cappellano” indicava, in origine un chierico legato ad una cappella reale o signorile, incaricato del culto divino, quindi un sacerdote ordinato. Tuttavia, non sempre il termine capellanus indicava un chierico ordinato, perché poteva anche avere un significato più generico ovvero clericus cuiusdam gradus vel dignitatis, associato a curie secolari, abbaziali, laiche, e solo raramente definito de presbiteris

ecclesiis singuli attinentibus104. Del resto è attestato l’uso dell’appellativo capellanus come sinonimo di secretarius, notarius o cancellarius, tutti termini che rimandano ad un ufficio laico curiale e non ecclesiastico, ma l’uso comune permetteva che questi ruoli fossero spesso ricoperti da membri del clero105.

Dal momento che il termine capellanus non è univoco possiamo prendere in considerazione alcuni passi del De amore in cui si elogia, si preferisce si raccomanda lo stato clericale come forma più alta di esistenza. Già Rajna aveva notato molti

103 Cfr. J.F.N

EIERMAYER, 1984, pp.132-132. Neiermeyer riporta molte fonti in cui il capellanus è legato alla corte reale o a una corte signorile: «Unum vel duo episcopos cum capellanis presbiteris princeps secum habeat»; «P. presbitero et capellano domni imperatoris»; «Dicti sunt primitus capellani a cappa b. Martini, quam reges Francorum od adjutorium victoriae in praeliis solebant secum habere, quam ferentes et custodientes cum ceteris sanctorum reliquiis clerici capellani coeperunt vocari». - «Militia clericorum in palatio, quos capellanos vulgo vocant».

- «Donationis promissionem… Carulus Francorum rex ad scribi jussit per Etherinum religiosum ac prudentissimum capellanum et notarium suum».

104

Cfr. P.LEHMANN-J.STROUX, 1999, pp. 205-207.

105

C.BURIDANT,1974-2002,p. 8; per queste accezioni Cfr. C.DU CANGE DU FRESNE, 1954, pp. 118-121: «Capellanos vero dictos scribas, secretaries, et amanuenses regios constat… Archicapellani et summi Cancellarii in aula Palatina, dignitates mineris et officii affinitate conjunctissimae fuerunt».

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passi che difendono la causa del chierico106 e in seguito è stato Schlösser a sottolineare la grande enfasi con cui l’autore esalta i grandi privilegi che Dio ha accordato ai preti, privilegi che superano senza misura la nobiltà di qualsiasi sovrano107. Per esempio nel capitolo VI del libro I, Qualiter amor acquiratur et quot

modis, Andrea ricorda a Gualtieri la distinzione sociale delle donne e degli uomini

affermando che gli uomini possiedono un grado in più, quello nobilissimo, che è lo stato clericale108. Più avanti, nel dialogo Loquitur plebeius nobiliori feminae, il plebeo chiede alla donna più nobile di istruirlo sui requisiti che l’amante deve possedere per aspirare all’amore di una dama. Tra questi precetti due riguardano la religione e i chierici e cioè il rispetto assoluto dovuto a Dio, ai santi, ai membri del clero e ai luoghi sacri109. Il richiamo al rispetto verso la Chiesa e i suoi ministri è una costante nell’insegnamento dei Padri fin dall’epoca apostolica110. Un passo come questo fa emergere tutta la contraddizione che il De amore presenta all’interno della sua struttura: l’elogio dell’amore umano e il totale apprezzamento della donna, nella prima parte del trattato, contro la violenza e l’invettiva della

Reprobatio del terzo libro, che condanna la donna e l’amore umano con toni più

acerbi ed esasperati rispetto all’intera tradizione misogena medievale. Un esempio della contraddizione che il trattato presenta al suo interno è evidente nell’ultimo dialogo Loquitur nobilior nobiliori, il più lungo e complesso. L’uomo esordisce affermando che Dio ha dato alle donne il privilegio di essere la fonte di ogni bene e di ogni grazia (quando invece sappiamo bene che nel Medioevo la misogenia aveva le sue radici bibliche nel peccato di Eva tanto che la figura di Maria, nuova Eva della grazia, era quasi dimenticata), ma la donna pur apprezzando tale esordio afferma

106

Cfr. P.RAJNA, 1889, p. 254. Soprattutto per l’impostazione dell’opera e le citazioni bibliche.

107 Cfr. F.S

CHLÖSSER, 1960-1962, p. 141.

108 DA 1.6.20: «Praeterea unum in masculis plus quam in feminis ordinem reperimus, quia quidam

masculus nobilissimus invenitur ut puta clericus».

109

DA 1.6.151-161: «Et Deum vel sanctos suos nullo debet blasphemare sermone… Contra Dei clericos vel monachos sive contra religiosae domus quamque personam iniuriosa non debet vel turpia sive irrisoria verba proferre, sed eis totis viribus totaque mente eius gratia, cuius funguntur officio, semper et ubique debitum honorem impendere. Ecclesiae frequenter debet limina visitare ibique assidue officia celebrantes libenter audire divina, licet quidam fatuissime credant se satis mulieribus placere si ecclesiastica cuncta despiciant».

110

Cfr. Didachè IV, XI; Clemente Romano ai Corinti LVII, Ignazio di Antiochia agli Efesini IV-V; ai Tralliani II-III; ai Filadelfesi V; agli Smirnesi VIII-IX, sostenuti dall’autorità evangelica: Mt 10, 40; Gv 3,20; 1Pt 5,5. I testi indicati si trobano in A.QUACQUARELLI, 1998.

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che dare il proprio amore a qualcuno implicherebbe offendere Dio111. L’uomo, citando san Paolo (1Cor, 7), ammette che gli uomini di Chiesa devono abbandonare i piaceri del mondo, ma amando non si reca grave offesa a Dio perché «quod natura

cogente perficitur, facili potest expiatione mundari» (DA 1.6.417, BATTAGLIA, p. 188). Il dialogo procede tra molte contraddizioni. Si scopre che l’uomo è sposato e che, non potendo trovarsi amore dentro il matrimonio, come aveva affermato Maria di Champagne nella sua lettera (nel dialogo Loquitur nobiolior nobili), ed essendo l’amore una necessità naturale, è costretto a trovarlo altrove. Più avanti si scopre che è un chierico, uomo come gli altri e soggetto al peccato, il cui amore tuttavia è da preferire a quello del laico perché il chierico ha maggiore controllo grazie alla sue conoscenze bibliche e scientifiche. La donna non è da meno: prima dice di essere vedova e poi di essere vergine e in età ancora poco adatta a governare la barca d’amore. A chi non bastassero questi riferimenti, consideri il Libro III, summa misogena di stampo clericale quale non si era vista dopo l’Adversus Jovinianum di Girolamo e consideri che solo un chierico avrebbe potuto sfoggiare tutta la misogenia che vi è contenuta. Un laico avrebbe dovuto possedere delle conoscenze bibliche, teologiche, patristiche amplissime e sospette dal momento che tali insegnamenti erano previsti solo per chi si preparava alla carriera ecclesastica. Sebbene la nobiltà derivi dalla gentilezza e dalla comune origine adamitica il chierico possiede una nobiltà direttamente infusa da Dio attraverso l’ordine sacro112. L’esaltazione dello stato clericale è messa in bocca proprio ad una donna. Nell’ultimo dialogo la donna rifiuta l’amore dell’uomo, che si è rivelato essere un

111 DA 1.6.411: «Amorem autem exhibere est graviter offendere Deum, et multis mortis parare

pericula».

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Tale concezione è espressa nel breve capitolo VII, De amore clericorum, del Libro I. Il chierico è considerato nobilissimo perchè possiede l’Ordice Sacro «Clericus ergo nobilissimus iudicatur ordinis praerogativa sacrati… Clerico igitur nobilitatem non sanguinis propinat origo, nec saecularis valet removere potestas, sed ex Dei gratia tantum concessa probatur et eo ministrante largita, et a Deo solo huiusmodi possunt nobilitatis pro sui tantum excessibus privilegia denegari». Ma proprio per questo il chierico (e qui si torna a confutare quanto sostenuto nel dialogo precedente), non può sottomettersi all’amore umano perché milita sotto altra cavalleria cioè, l’amore divino. Tuttavia poiché anche il prete è un uomo, qualora voglia cimentarsi nell’amore di una donna può comportarsi come tutti gli altri: «Quia vix tamen unquam aliquis sine carnis crimine vivit, et clericorum sit vita propter otia multa continua et ciborum abundantiam copiosam prae aliis hominibus universis naturaliter corporis tentationi supposita, si aliquis clericus amoris voluerit subire certamina, iuxta sui sanguinis ordinem sive gradum, sicut superius edocet plenarie de gradibus hominum insinuata doctrina, suo sermone utatur et amoris studeat applicari militiate» DA 1.7.4.

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chierico, proprio perché il chierico deve occuparsi dei doveri ecclesiastici dal momento che a lui sono stati accordati il rango e la grazia di consacrare il corpo e il sangue di Cristo e di assolvere i peccati. Lei che è donna, non vuole contaminare tale carne consacrata perché Dio vuole che i suoi ministri siano casti e puri113. Questa serie di rimandi allo stato clericale fa pensare che l’autore sia non soltanto un chierico, ma un prete, cioè un ecclesiastico ordinato. Non è impossibile che Andrea pensasse alla sua stessa condizione di chierico quando ha impostato l’ultimo dialogo del primo libro. Del resto egli stesso ammette un certo autobiografismo. L’autore del trattato ammette di essere stato coinvolto nelle maglie dell’amore carnale e scrive all’amico proprio con l’intento di dissuaderlo dal cadere in trappola anche lui, perché non conviene ad un saggio di perdere tempo in simili pastoie.114 Che nel trattato si caldeggi la vita stessa dell’autore, è opinione condivisa da molti studiosi115 perché anche lui toccato dall’amore116, ma parte l’esperienza personale, possiamo chiederci come mai un chierico, che molto probabilmente svolgeva le sue mansioni all’austera corte reale, conoscesse così profondamente i generi, le tematiche e l’ideologia cortese. Le risposte possibili sono due: o proveniva realmente da una corte feudale, come poteva esserlo quella dello Champagne, o si era accostato privatamente a queste letture nonostante il suo status e la sua funzione. È pur vero che la letteratura feudale non era ufficialmente gradita a corte ma non è pensabile che i generi della letteratura cortese non circolassero e trovassero spazio neanche nella vita privata e negli svaghi personali dei membri della corte.

113 «Ab omni enim debet delectatione alienus exsistere et suum prae omnibus corpus immaculatum

Domino custodire, quum tanta fuerit a Domino dignitatis et ordinis praerogativa concessa ut eius carnem et sanguinem propriis mereatur manibus consacrare, et suis sermonibus peccantium crimina relaxare…. Non est ergo mulieribus tutum illos carnis contagio maculare quos Deus sibi elegit ministros, et puros voluit in cunctis atque castos suis obsequiis conservare» DA 1.6.478, BATTAGLIA p.

214).

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«Novi enim et manifesto esperimento percepi, quo, qui Veneris servituti obnoxius, nil valet perpensius cogitari, nisi ut aliquid sempre valeat suis actibus operari, quo magis possit ipsius illaqueari catenis…» DA Praefatio 3, BATTAGLIA p. 2.

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Cfr. C. BURIDANT, 1974-2002, p. 8 il quale riprende il concetto già ribadito da F.SCHLÖSSER, 1960- 1962, p. 32.

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«Nam et nos excellentissimi amoris concitamur aculeis, quamvis inde nullum sumpsimus nec speramus assumere fructum. Nam tantae altitudinis cogimur amore languescere quod nulli licet exprimere verbo, nec supplicantium audemus iure potiri, et sic demum compellimur proprii corporis sentire naufragia» DA 2.6.23.

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