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Abbiamo visto fin qui che il processo ricettivo e la storia dell’influsso del De

amore di Andrea Cappellano sulla letteratura volgare non è un processo lineare né

privo di complessità. Il libro di Andrea non ha avuto quella posterità che la critica letteraria e filologica ha finora creduto di riscontrare nella produzione letteraria successiva alla composizione del trattato. Nella maggior parte dei casi e per tutto il XIII secolo il De amore è stato letto ed utilizzato attraverso florilegi o compilazioni parziali e la comprensione che i letterati hanno dimostrato di averne è quasi esclusivamente moralistica come accade in Italia con Albertano da Brescia e Geremia da Montagnone. Il quadro della situazione non muta per la Francia, il grande vivaio della letteratura cortese, dove i poeti ignorano la dottrina cappellaniana e dove soltanto alla fine del XIII il De amore è recepito in accezione moralistica dalla letteratura allegorica, come testimonia la seconda parte del Roman

de la rose e l’opera di Nicole de Margival399. Allo stesso modo anche nella letteratura didattica amorosa il De amore sembra avere lasciato solo lontanissimi echi tanto che la lontananza tematica sembra suggerire una totale estraneità. In generale, per i secoli XII e XIII, si osserva una completa ignoranza del De amore nella poesia volgare di tutta l’area romanza.

Per l’area italiana si ammetteva tradizionalmente un largo riuso letterario della dottrina cappellaniana, la quale avrebbe dovuto supplire l’assenza di una elaborazione dottrinale autonoma. Ma i poeti italiani, come del resto i loro colleghi europei, avrebbero avuto la reale necessità di apprendere la dottrina cortese da un trattato latino, che poneva problemi di interpretazione già ai suoi contemporanei, quando l’intera penisola, da Nord a Sud, era impegnata in un continuo e ricco

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scambio culturale e letterario con la prestigiosa letteratura occitana? Non circolavano forse numerosi canzonieri provenzali, vidas, razos, romanzi cortesi, poemi allegorici e didattici dai quali desumere una dottrina che ormai, vecchia di generazioni, aveva mutato aspetto più d’una volta? Le recenti scoperte di Alfredo Stussi400 dimostrano che la letteratura cortese era penetrata profondamente e precocemente nella cultura italiana, tanto da lasciare intendere l’esistenza di una tradizione sommersa che precede ed apre la via alla successiva sperimentazione sveva e toscana401. Nel XIII il De amore non poteva ancora rappresentare ciò che invece avrebbe rappresentato nel secolo successivo, ovvero un testo che ormai lontano dalla sua originaria significazione morale, teologica e anticortese, riesce a rievocare come attendibile testimone, un aristocratico e sacrale passato impregnato dai valori della cortesia. Solo a questa altezza temporale la complessità strutturale del trattato, la sua coesistenza e mescolanza di generi, il suo apparato definitorio ed analitico, può essere interpretato come una organica e utile rappresentazione della dottrina cortese. I letterati lo studiano, lo citano, riusano il suo materiale narrativo, di certo promuovono i numerosi volgarizzamenti che sono giunti fino a noi e che attestano la massiccia presenza di questo trattato nell’Italia centrale e soprattutto nell’area toscana. Il De amore diviene per la letteratura volgare del primo umanesimo italiano, un testo altamente rappresentativo di un’epoca letteraria che con il suo sistema di valori rivaluta l’uomo e la sua naturalità. Ammettere un influsso talmente invasivo della dottrina cappellaniana prima degli inizi del XIV secolo, cioè nel momento generativo della nostra letteratura, significa voler evidenziare un dato poco probabile e difficilmente verificabile a causa dell’ampia diffusione dei topoi cortesi avvenuta attraverso la normale e fitta circolazione delle più comuni fonti letterarie e dunque dall’estrema somiglianza di temi, contenuti e generi che non necessariamente devono provenire da libro di Andrea.

Per continuare la nostra ricerca sull’influsso che il De amore avrebbe esercitato sulla Scuola siciliana e sui continuatori Siculo-toscani è indispensabile la

400

Cfr. A.STUSSI, 1999, pp. 1-69; A.CASTELLANI, 2000, pp. 524-536; V.FORMENTIN, 2007, pp. 139-177; M. S.LANNUTTI, 2004-2005, pp. 157-197; D.SABAINO, 2004-2005, pp. 85-122; M.LOCANTO, 2004-2005, pp. 123-156; C.GIUNTA, 2006, pp.653-656.

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consapevolezza che il Libro di Andrea nel XIII secolo aveva un ruolo molto marginale nella diffusione dell’ideologia cortese, come dimostra la tendenza ricettiva che abbiamo già delineato nella prima parte di questo lavoro, parlando della diffusione del De amore nella letteratura europea. Gli studi e le ricerche lo dimostrano. Se i siciliani avessero considerato il De amore come un avantesto della loro stessa poesia ciò comporterebbe l’ammissione di una controtendenza nella recezione del trattato proprio in quel secolo che invece leggeva il libro di Andrea in senso prevalentemente morale. Cosa avrebbe spinto i siciliani a questa precoce interpretazione cortese? Nell’ambito della cultura federiciana il latino aveva assunto un ruolo predominante402 e sono noti e ben documentati gli scambi e gli influssi, soprattutto a livello linguistico, tra la cultura latina della Magna Curia e “l’esperimento cortese” dei funzionari regi che la frequentavano403. Tuttavia la produzione lirica in volgare mantiene le caratteristiche di un’attività privata che si rivolgeva allo strumento linguistico latino per dare consistenza e lustro al volgare siciliano, invece, a livello tematica e ancor più a livello linguistico, i testi di riferimento restavano quelli provenzali, che costituivano un immenso repertorio tematico, metrico, dottrinale, difficilmente sostitubile o intercambiabile con un testo latino come il De amore che non avrebbe avuto pochissime chances di essere interpretato in senso cortese. Qualora si ammettesse la presenza del De amore in Sicilia all’inizio del XIII secolo, si dovrebbe considerare la possibilità che il trattato fosse letto in senso scientifico, cioè come un complesso ragionamento sulla natura, gli scopi, la psicologia, gli effetti sociali e morali dell’amore, un testo aderente al carattere definitorio della poesia siciliana. Ma anche questa eventualità non è facilmente dimostrabile perché nella complessa cultura federiciana non era difficile rintracciare quel sapere medico, scientifico e filosofico che meglio del De amore poteva giustificare le attenzioni scientifiche della poesia sveva in merito al fenomeno amoroso.

402

Cfr. A.DE STEFANO, 1954 p. 92; G.RESTA, 1973, pp. 7-26; G.BOTTARI, 1980, p. 161; F.BRUNI,1990, pp. 213-221.

403

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A questo scopo possiamo esaminare le presunte interferenze del libro di Andrea in un dato contesto considerando la maggiore forza di trasformazione a cui un dato materiale può andare incontro quando viene riutilizzato in ambito strettamente lirico. Anche questo è un lavoro pericoloso perché la somiglianza di temi, contenuti e affermazioni tra il De amore e tradizione cortese, è talmente stretta che non si può con certezza definire una filiazione, a meno che non ci siamo riferimenti mot pour mot. A. Karnein porta a questo proposito un esempio tratto dalla poesia francese che potrebbe essere applicato a tutta la tradizione italiana. Egli cita il commento di I. Frank a una strofa di un anonimo troviere:

A touts amans ki vuellent maintenir Loiaus amorsm vuel je andoctrineir

.III. mout biaus (us): l’uns est de bien covrir Por mesdisant(z), ke ne puisent grevier; Li secons est de saigement ovrer; Et li liesx est, ce sachiez sans dotance, Sou ke l’uns vuet covient que l’autre cranes, Ou autrement ne peut l’amors dureir404.

Queste tre regole somigliano molto a quelle che si trovano nel De amore (II, XIII, XXV)405, ma si tratta di regole di una tale generalità che è difficile fare un preciso riferimento al libro di Andrea. Il fatto che queste tre regole siano simili a quelle contenute nel De amore non significa che si debba presumere una qualche dipendenza. Si potrebbe pensare meglio alle regole di amicizia o di amore che si trovano largamente diffuse in tutta la letteratura antico-francese406. Come si può essere sicuri di avere trovato una dipendenza dal De amore quando non si conoscono le fonti di questo trattato che potrebbero essere le stesse usate dai poeti cortesi? Se rivolgiamo la stessa problematica ai siciliani che leggevano i testi

404 Cfr. I.F

RANK, 1952, pp. 174. 405

DA 2.8.44, regola II: «Qui non zelat amare non potest» (ma anche nella lettera della contessa di Champagne DA 1.6.399); regola XIII: «Amor raro consuevit durare vulgatus»; e regola XXV: «Verus amans nil bonum credit nisi quod cogitat coamanti placere».

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provenzali in lingua originale, la questione si ripresenta ancora più urgente perché le non si spiegano altrimenti le continue riprese e i puntuali riferimenti ai testi trobadorici a cui la poesia sveva fa continuamente riferimento. Il modello dei siciliani sono i trovatori, la loro poesia è oggetto di una continua rilettura e di un incessante riadattamento alle esigenze culturali della cultura federiciana. Avendo a diposizione un modello autorevole e in lingua oirginale, come quello trobadorico, nulla lascia intendere che i siciliani abbiano avuto la necessità di attingere la stessa dottrina da una fonte diversa e meno che mai da un trattato latino dalla incerta significazione.