5. Aspetti metodologici
6.2. Le narrazioni sul commissariamento dell’area archeologica
Si individuano due principali narrazioni rispetto alla vicenda del commissariamento dell’area archeologica di Napoli e Pompei.
La prima – la narrazione ministeriale - è quella sostenuta dal Ministro della cultura in carica in quel periodo e dal secondo Commissario.
La seconda – la narrazione di opposizione - è quella condivisa dall’ex Soprintendente di Pompei Pietro Guzzo, dall’ex direttore per le antichità e membro della commissione di indirizzo e coordinamento, dal sindacato UIL e da Italia Nostra.
Ogni narrazione è caratterizzata dal fatto di essere omogenea rispetto all’interpretazione degli obiettivi, delle decisioni prese dal Commissario e dei risultati raggiunti.
Va ricordato che non è stato pertanto possibile includere nella ricerca il punto di vista dei funzionari della Soprintendenza poiché l’attuale Soprintendente non ha permesso che durante le interviste fossero approfondite questioni direttamente legate alla vicenda del commissariamento. Questo rafforza ulteriormente, semmai ce ne fosse bisogno, il giudizio negativo riguardo alla trasparenza dell’intera operazione.
La narrazione ministeriale
La narrazione ministeriale è caratterizzata da una significativa discontinuità interna. Se all’inizio della vicenda il commissariamento viene ricondotto alla necessità di intervenire per contrastare il degrado dell’area e per migliorare i servizi per i visitatori, dopo la fine dello stato di emergenza e a
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seguito dei crolli verificatesi nell’area archeologica lo stesso intervento viene inquadrato ex post come un’iniziativa mirata alla messa in sicurezza dell’area archeologica.
Per quanto riguarda la sotto-narrazione relativa al “degrado”, si è già avuto modo di presentare la lettera del prefetto di Napoli citata a giustificazione dello stato di emergenza, che descriveva una situazione “priva di infrastrutture adeguate”, sprovvista di “sufficienti aree di parcheggio”, senza rete fognaria (Corte dei Conti 2010: 27). In una successiva intervista rilasciata ad un quotidiano il Ministro affermava che, nonostante grazie alla Soprintendenza “le attività di scavo e restauro sono proseguite” non è stato possibile rendere accessibili al pubblico decine di domus perché mancano “persone in grado di applicare i modelli di gestione e valorizzazione delle aree archeologiche o museali” (Feltri 2008). Quindi nonostante le soprintendenze avessero “un'insostituibile funzione di tutela del patrimonio”, la valorizzazione turistica “non può essere svolta dai sovrintendenti, perché richiede professionalità manageriali del tutto particolari” (Feltri 2008). La nomina del Commissario per il Ministro andava allora intesa in due sensi. Da un lato dimostrava “che il governo non intende restare passivo di fronte al degrado di una delle aree archeologiche più importanti del mondo”, dall’altro confermava “la volontà di tutelare il patrimonio storico e culturale, e di volerlo valorizzare per lo sviluppo turistico” affiancando al Soprintendente figure maggiormente propense a questa modalità di utilizzo del sito culturale (Feltri 2008). Il commissariamento in questa prima fase viene quindi interpretato dal Ministero come uno strumento di supporto al Soprintendente per quelle attività inerenti alla sfera dei servizi e della valorizzazione turistica.
Successivamente al crollo della Schola Armaturarum, avvenuto nel novembre 2010, il Ministro dovette difendersi in Parlamento dall’accusa di avere responsabilità dirette nel collasso. In quell’occasione il Ministro rivendicò la scelta della nomina di un Commissario straordinario. Grazie a questo intervento, dichiarò,
“Sono stati investiti oltre 79 milioni di € […] l'83 per cento è stato destinato alla messa in sicurezza dell'area archeologica (per un ammontare di 65 milioni di €), consentendo la manutenzione, il restauro e l'apertura al pubblico di un numero considerevole di edifici” (Camera dei Deputati 2010b).
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Nella stessa circostanza il Ministro sostenne che il problema di Pompei non era tanto quello delle risorse, che erano abbondanti ma restavano a giacere nella cassa della Soprintendenza23, quanto “quello di assicurare una gestione capace di utilizzare al meglio le risorse esistenti” (Camera dei Deputati 2010b). Le risorse infatti erano presenti a Pompei ma non venivano utilizzate adeguatamente restando a giacere nella cassa. Proprio per questo,
“L'unico modo per affrontare alla radice il problema di Pompei è quello di lasciare ai sovrintendenti il compito della tutela mentre quello della gestione e dell'applicazione dei progetti di manutenzione e di restauro predisposti dai sovrintendenti debba essere assegnata a nuove figure professionali e a nuove forme di gestione” (Camera dei Deputati 2010b).
Un discorso simile viene sostenuto anche dal secondo Commissario nella sua relazione conclusiva. Secondo il Commissario, la messa in sicurezza del sito ha rappresentato la priorità assoluta degli interventi commissariali. Pompei infatti,
“Richiedeva e richiede, paradossalmente e pur nell’emergenza, una rigorosa attività di programmazione d’interventi quotidiani che in questi anni per diverse ragioni sono mancati” (MIBAC 2010a).
Questo è stato dovuto all’incapacità di spesa della Soprintendenza che,
“Si è purtroppo tradotta nella mancanza di indispensabili interventi di manutenzione puntuale e quotidiana che si dovevano e potevano realizzare” (MIBAC 2010a).
Sempre secondo il Commissario Fiori ci sono precise responsabilità dietro alla cattiva gestione. Per Fiori non si può infatti dimenticare come,
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“Nel 2002 le giacenze di cassa a fine anno ammontavano a 52 milioni di €; nel 2003 a 58 milioni di €; nel 2004 a 66 milioni di €; nel 2005 a 75 milioni di € e via di questo passo fino ai 43 milioni di € del 2008 e ai 25 milioni di € del 2009”(Camera dei Deputati 2010b).
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“L’ex Soprintendente Guzzo sia stato ininterrottamente in carica dal 1994 al 2009 e che durante la sua gestione siano state accumulate ingentissimi residui di risorse non spesi” (MIBAC 2010b).
In sintesi la narrazione ministeriale attribuisce all’intervento commissariale due obiettivi diversi. Al momento della dichiarazione dello stato di emergenza l’obiettivo è quello di far fronte al degrado dell’area archeologica di Pompei. Il degrado riguarda la carenza dei servizi ai visitatori (bagni, ristorante, guide turistiche, commercio abusivo) e il decoro dell’area (segnaletica, cani randagi, prostituzione). Dopo le polemiche che hanno caratterizzato il 2010, su tutte quella del crollo della Schola Armaturarum, il commissariamento viene inquadrato invece come un intervento mirato alla messa in sicurezza, alla manutenzione e al restauro delle sito, e, solo secondariamente all’aumento dei servizi. Stando a questa seconda narrazione il commissariamento rappresenta un’inversione di tendenza rispetto alla passata gestione, incapace di spendere le risorse a disposizione per la manutenzione ed il restauro. Il cambiamento nella narrazione si può notare in particolare osservando come varia l’ambito di competenza delle figure manageriali auspicate dal Ministro Bondi: se nel 2008 i manager necessari al sito sono quelli con competenze nel campo della valorizzazione, nel 2010 gli stessi manager diventano indispensabili per la “gestione dei progetti di manutenzione e restauro” (Camera dei Deputati 2010b).
La narrazione di opposizione
Secondo questa narrazione, la dichiarazione dello stato di emergenza a Pompei è stata completamente pretestuosa, tanto da rendere necessaria la ricerca e l’esplorazione delle “cause remote” dell’operazione.
“Come dire…la motivazione era pretestuosa. Perché … l’articolo di giornale del Corriere è stato il pretesto del commissariamento …” (Int. n. 43).
“Quindi appunto secondo me ci sarebbe da capire bene quali sono le cause remote di queste cose al di là delle cause prossime che sono casuali e più o meno costruite” (Int. n. 32).
Per quanto riguarda le cause remote, per l’allora Soprintendente Pietro Guzzo il commissariamento si inserisce in un generale atteggiamento del governo orientato verso
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l’indebolimento di tutte quelle istituzioni che si occupano della tutela del territorio, al fine di consentirne uno sfruttamento più intensivo.
“Cioè tra condoni e cose varie questi governi hanno campato su quel tipo di illegalità: l’uso del territorio. Perché la vera risorsa è il territorio. Se tu lo usi in un certo modo a parte che fai soldi e poi conformi la società in una certa maniera” (Int. n. 32).
Anche per Italia Nostra l’obiettivo remoto è legato ad uno sfruttamento più intensivo delle risorse del territorio. Secondo l’associazione infatti, a causa dei tagli imposti dal Ministero dell’Economia, il Ministro dei Beni culturali avrebbe deciso di puntare su alcune grandi eccellenze sperimentando su di queste una gestione puntata alla valorizzazione abbandonando però al tempo stesso il patrimonio minore nell’ipotesi di un trasferimento di competenze alle Regioni. Questo spiegherebbe, secondo Italia Nostra, i commissariamenti dei tre siti culturali più visitati d’Italia: l’area archeologica di Roma, quella di Pompei e la Galleria degli Uffizi di Firenze.
Nella narrazione di opposizione sono la figura e le scelte del secondo Commissario ad essere fortemente criticate. Secondo l’ex Soprintendente a Pompei il secondo Commissario imposta “un programma di pura facciata”, incoerente con le necessità del sito. Come afferma l’ex Soprintendente:
“Quando hai mezzo milione di metri quadri da tenere in piedi non butti i soldi per fare una nobilissima cosa [un concorso letterario] … però insomma, c’è una gerarchia negli interventi. Cioè, tutta immagine!” (Int. n. 32)24.
Allo stesso tempo, secondo i sostenitori della narrazione di opposizione, il Commissario avrebbe trascurato la manutenzione implementando degli interventi ad una velocità non sostenibile date le caratteristiche strutturali del sito. Secondo Italia Nostra “per questioni di fretta [sono state usate] all’interno degli scavi procedure assolutamente improprie” (Int. n. 49). Il crollo avvenuto nell’area della Domus dei Casti Amanti nel gennaio 2010 sarebbe stato causato dall’utilizzo di un bobcat all’interno della struttura, unitamente alla fretta di finire l’intervento in tempo per
24 “Fiori […] ha fatto questi fuochi di artificio (cani randagi, casti amanti) ho visto guardando il bilancio che ha fatto
premio letterario per giovani scrittori su Pompei” (Int. n 32).
“Questi fenomeni [crolli] sono sempre avvenuti. Però prima [si facevano le] canalizzazioni, gli scoli. Oltre a
manutenzioni su vegetazione e grondaie. Questo è stato tenuto a latere perché obiettivo commissario era di altro tipo: eventi, iniziative” (Int. n. 49).
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un’iniziativa prevista per San Valentino. Peraltro attorno a questo incidente, così come per gli altri interventi commissariali, vi è stata la più totale mancanza di trasparenza, come afferma Italia Nostra,
“Noi non avremmo saputo del crollo della casa dei Casti Amanti se qualcuno non avesse parlato. C’era un clima molto pesante. Indicazioni di non parlare. Sequestrate macchine fotografiche, foto” (Int. n. 49).
Un clima di intimidazione confermato anche da un rappresentante sindacale, il quale afferma che “chi non era d’accordo veniva minacciato ripetutamente” (Int. n. 48).
Un ulteriore aspetto che emerge dalla narrazione di opposizione è l’interpretazione del commissariamento come l’ennesimo intervento incomprensibile ed insensato calato dall’alto su Pompei. Secondo questa narrazione, il Ministero avrebbe condizionato negativamente le capacità operative della Soprintendenza attraverso una serie di interventi normativi incoerenti e fallimentari: il prelievo di 30 milioni di € dalle casse della Soprintendenza nel 2006, che costrinse a cancellare una serie di interventi già programmati e a rimodulare le attività, l’abolizione del city manager, ovvero della figura che avrebbe dovuto assicurare l’efficacia amministrativa, la fusione della Soprintendenza di Pompei con quella di Napoli nel 2008, effettuata senza il supporto di un piano di fattibilità e senza indicazioni per omogeneizzare le pratiche amministrative25. La causa dello stallo amministrativo della Soprintendenza non sarebbe quindi da ricercare nell’incapacità gestionale del Soprintendente, così come sostiene la narrazione ministeriale, quanto nelle decisioni prese a livello centrale che hanno limitato, indebolito e bloccato le attività ordinarie della Soprintendenza. Come afferma Italia Nostra,
“Pompei doveva essere l’esperimento dell’autonomia, poi contraddetto dallo stesso Ministero che non c’ha investito nulla, più per inettitudine che scientemente” (Int. n. 49).
In sintesi, secondo la narrazione di opposizione il Ministero utilizza l’argomento dell’emergenza in modo pretestuoso per perseguire invece in modo non trasparente il tentativo di
25 “Uno dei problemi che c’è stato a Pompei è che la Soprintendenza nasce autonoma. Poi lì uno dei drammi più grandi
l’ha fatto Rutelli quando ha accorpato Pompei e Napoli. Li sono cominciati i problemi” (Int. n. 48).
“E in più c’è stato nel 2006 sono stati tolti 30 milioni. Allora tu che sei del mestiere cambiami un bilancio a metà corsa quando ti tolgono 30 milioni. Come esercizio di gestione. Ti trovi con le cose a metà” (Int. n. 32).
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indebolire il sistema di tutela e di incrementare lo sfruttamento economico dei beni culturali. Gli interventi del secondo Commissario sarebbero inoltre inutili se non dannosi per il sito, dove il commissariamento risulta essere un intervento che va a ridurre ulteriormente le capacità operative della Soprintendenza.
6.3. Una valutazione complessiva del commissariamento tra narrazioni ed eventi