5. Aspetti metodologici
6.3. Una valutazione complessiva del commissariamento tra narrazioni ed eventi
interpretazioni sull’intervento di commissariamento differiscono rispetto a vari aspetti, in particolare per quanto riguarda la nozione di emergenza, gli obiettivi del Commissario, le sue azioni e i risultati raggiunti. In questo paragrafo si metteranno a confronto le versioni illustrate in precedenza perseguendo due finalità principali: la prima è di valutare la coerenza dei discorsi presentati rispetto ai fatti ricostruiti. La seconda è quella di trarre una prima valutazione di merito e di metodo sull’utilizzo dello strumento commissariale nelle aree archeologiche di Napoli e Pompei.
Tab. 11: Narrazioni a confronto: aree archeologiche di Napoli e Pompei
1. Narrazione ministeriale 2. Narrazione di opposizione Narratore Ministero, secondo Commissario Ex Soprintendente, sindacati,
associazioni Interpretazione
dell’emergenza Reale Pretestuosa
Interpretazione degli obiettivi del
Commissario
2008: Superamento dell'emergenza legata al degrado nei servizi.
2010: Messa in sicurezza; salvaguardia delle strutture; servizi.
Valorizzazione del sito archeologico
Interpretazione delle azioni del
Commissario
2008: focalizzate sui servizi 2010: focalizzate sulla tutela
Interventi di valorizzazione non necessari e pericolosi per le strutture
Interpretazione dei risultati e dimensioni di perfomance considerate
Risultati positivi: aumento dei servizi; aumento della messa in sicurezza; aumento della spesa
Risultati negativi: diminuzione della manutenzione; crolli; ennesimo intervento incoerente con logica dell’autonomia
Il primo punto di divergenza tra la narrazione ministeriale e quella di opposizione è costituito dalla nozione di emergenza. Il Ministero legittima il suo intervento sostenendo che l’assenza dei servizi a Pompei rappresenti un’effettiva emergenza. La narrazione di opposizione ritiene invece che l’emergenza sia un pretesto utilizzato dal Ministero per portare avanti un progetto di maggiore sfruttamento economico dell’area archeologica.
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Per quanto riguarda la narrazione ministeriale, è osservabile a riguardo uno ‘slittamento semantico’ dalla nozione di disastro naturale a quello che può essere più verosimilmente considerato un disastro organizzativo e gestionale (il decreto stesso, come sottolineato da Ferri e Zan 2011 sembra un esercizio di copia e incolla dalle ordinanze dedicate agli eventi sismici). Che la carenza di servizi nell’area archeologica di Pompei non rappresentasse un intervento da Protezione Civile è stato dimostrato poi dal punto di vista formale dalla Corte dei Conti con la sentenza dell’agosto 2010. A supporto di ciò si può anche ricordare che a rendere palese l’emergenza sono un articolo di un quotidiano e una lettera del prefetto che descrivono problematiche già conosciute da anni e ben documentate in passato (Oriani 1998; Guzzo 2003; Zan 2002).
Una volta scartato per via analitica il framing emergenziale, emerge un secondo conflitto tra le due versioni che fa riferimento a due visioni diverse di politica culturale, una maggiormente orientata alla valorizzazione, qui sostenuta nella narrazione ministeriale, e una focalizzata sulla tutela, sostenuta invece nella narrazione di opposizione. Piuttosto che entrare nel merito della diatriba tra valorizzazione e tutela, si può osservare come gli interventi di ‘valorizzazione’ e ‘promozione’ portati avanti dai commissari – e in particolar modo dal secondo – abbiano avuto una natura effimera. Si consideri ad esempio la spesa per la realizzazione di un sito internet che non viene più aggiornato dalla fine dell’emergenza o ancora l’acquisto di bici per il progetto ‘Friendly Pompei’ che, una volta scaduta la convenzione con il gestore, rischiano di rimanere ad arrugginire in un deposito. Per rendere efficace una strategia di valorizzazione e promozione del sito sarebbe invece stata necessaria una prospettiva di lungo periodo, di fatto inesistente a causa della temporaneità dell’’emergenza’. Difficile pensare infatti che nell’ordinario le iniziative di promozione del sito (concorsi letterari, spettacoli ecc…) verranno portate avanti in futuro su base continuativa o che questi interventi siano tra le priorità di una Soprintendenza che deve gestire un patrimonio archeologico esteso da Baia fino alla penisola di Sorrento. E’ chiaro a questo punto che un Ministero che avesse voluto agire in profondità nei confronti della valorizzazione e della promozione, legittimamente peraltro, avrebbe dovuto farlo con altri mezzi e prefiggendosi altri tempi per il raggiungimento dei risultati.
Il Ministero, come si è visto, cambia drasticamente l’inquadramento dell’intervento dopo il crollo della Schola Armaturarum, sostenendo che il commissariamento sia stato orientato principalmente alla messa in sicurezza e alla salvaguardia delle strutture, aree di intervento oggetto di “un ammontare di 65 milioni di €”, stando alla dichiarazione del Ministro in Parlamento (Camera dei Deputati 2010b). Questo dato non trova tuttavia conferma se guardiamo i singoli impegni di spesa nei due anni di commissariamento: in questo caso il conteggio svolto in questa sede si ferma a
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quota 46 milioni di €, pari a poco più della metà del totale dei fondi a disposizione dei commissari. In particolare durante il mandato del secondo Commissario la maggior parte delle risorse viene dedicata alla ‘valorizzazione’, palesando un’ulteriore incoerenza tra il dichiarato e l’agito. A questa incoerenza la narrazione ministeriale accompagna anche un’operazione di blame-shifting nei confronti della Soprintendenza, accusata di non aver speso le sue risorse negli anni precedenti e di essere, seppur indirettamente, responsabile del crollo della Schola Armaturarum. Non è compito di questa tesi attribuire le responsabilità del disastro, sul quale peraltro sta indagando la magistratura. Si può tuttavia affermare che altri avrebbero potuto essere gli interventi coerenti con una strategia mirata alla tutela. Come si è visto infatti, tutti gli interventi di manutenzione e restauro effettuati dai commissari erano già inseriti nella programmazione ordinaria della Soprintendenza. I commissari non si sono quindi occupati della progettazione bensì dell’espletamento amministrativo delle fasi di bando e gara. Se c’era quindi un deficit da parte della Soprintendenza per quanto riguarda gli aspetti di tutela questo non era tanto relativo alle capacità tecniche - archeologiche o architettoniche - quanto alle capacità amministrative, le stesse peraltro che non avevano reso possibile la spesa negli anni precedenti (si veda Ferri & Zan 2011). Attraverso l’intervento commissariale si sono invece ‘staccati’ alcuni progetti dalla programmazione della Soprintendenza senza agire in modo duraturo sui quei fattori che ne rendevano difficile l’avanzamento nelle procedure ordinarie.
La narrazione ministeriale fa emergere quindi due tipi di incoerenze:
- la prima tra ciò che viene dichiarato e ciò che si verifica di fatto: la carenza di servizi non è un emergenza e l’intervento di commissariamento non è stato principalmente orientato alla tutela, come i dati qui presentati dimostrano;
- la seconda riguarda invece le finalità dichiarate dell’intervento, una volta depurate dell’etichetta emergenziale, e il modo in cui è stato utilizzato lo strumento: né gli interventi di valorizzazione né quelli di tutela sono stati infatti mirati ad apportare dei cambiamenti duraturi e sostenibili alla gestione ordinaria.
Vista in un’ottica di più lungo periodo - e riprendendo un’argomentazione della narrazione di opposizione - il commissariamento risulta incoerente rispetto al disegno dell’autonomia tracciato a Pompei fin dal 1997. L’intervento commissariale va infatti ad alterare quel processo di decentramento e responsabilizzazione sulle risorse che la riforma provava ad introdurre. Come affermano Ferri e Zan (2011) il commissariamento può essere quindi considerato l’unhappy end dell’esperimento dell’autonomia e dimostra l’incapacità del sistema ministeriale nell’introdurre e nel supportare i processi di decentralizzazione.
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