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I contesti di svolgimento della ricerca

2.2 Le normative nazionali e regionali sulle aree protette

Come abbiamo appreso, prima del 1991, l’Italia non aveva una normativa quadro sulle aree protette. Le prime leggi sull’istituzione di parchi furono quelle del Parco Nazionale del Gran Paradiso nel 1922 e del Parco Nazionale d’Abruzzo. Ma è interessante ripercorrerne brevemente la storia, anche internazionale, per comprendere come si è arrivati a queste istituzioni, e cosa sia successo in seguito per portare in meno di un secolo l’Italia da due a quasi mille aree protette, oggi il più importante strumento per la conservazione della biodiversità nel nostro paese (Tallone, 2007). Sono gli Stati Uniti il luogo dove possiamo individuare le prime Aree Protette di cui abbiamo notizia: nel 1832 nell’Arkansas con un atto ufficiale del Congresso fu posto sotto tutela il territorio corrispondente alle sorgenti termali Hot Springs (Tomasin, 1990) e nel 1964 l’intera valle dello Yosemite viene dichiarata, assieme al Meripese Greve, “area protetta”. Il governo della California, un secolo dopo, assumerà la competenza del territorio con un provvedimento così motivato:

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“per conservare, mostrare al pubblico, usare e offrire al beneficio dell’umanità questo territorio”. Nel 1872 vede la luce il primo Parco Nazionale, quello di Yellowstone, che si estende oggi per quasi un milione di ettari nel nord ovest del paese. Il paradigma di queste aree protette è semplicissimo: delimitare, e confinare, un’area nella quale la proprietà è della Nazione e nella quale ogni attività umana, con l’esclusione del “public enjoyment”, della fruizione turistica, è interdetta. Nei parchi americani, che con questo modello hanno fatto scuola nel mondo, la progettazione delle infrastrutture per la fruizione e l’interpretazione diventa una scienza (Hornback e Eagles, 1999), e tutto è finalizzato a massimizzare questo obiettivo. La gestione degli ecosistemi nei parchi nazionali americani è prevalentemente conservativa, con l’idea di mantenere gli “equilibri naturali”.

Anche nel pensiero dei parchi nazionali italiani questo modello ha avuto molta fortuna in passato, e tra i “padri storici” delle aree protette nel nostro paese c’è chi l’ha percorso con vigore come, ad esempio, Renzo Videsott, spesso individuato tra i fondatori del pensiero sulla protezione della natura in Italia. L’idea che ne esce è quella, sopra richiamata, dei parchi come “natura allo stato assoluto” da difendere contro gli attacchi dell’uomo (Pedrotti, 1996). Videsott oltre che con i suoi scritti ha applicato questa idea con la sua opera nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, di cui è stato per molti anni Direttore Sovrintendente, e non stupisce quale fosse la sua visione non solo per i riferimenti culturali che all’epoca erano disponibili, ma anche perché nell’immediato dopoguerra si trovò a difendere gli stambecchi del parco da un vero e proprio assalto, utilizzando ex partigiani ed ex militari per contrastare il bracconaggio che minacciava pericolosamente questa specie. In anni recenti anche il sistema dei parchi americani ha iniziato a ripensare il proprio modello, alla luce dell’evoluzione della società e del contesto nel quale essi si trovano ad operare.

Al centro della riflessione, così come esplicitato dal un documento strategico, tradotto in Italia da Federparchi (NPS, 2001) troviamo il concetto di stewardship: un tentativo di creare un ponte tra i parchi e la popolazione, non solo in termini di fruizione turistica ma soprattutto di condivisione di vision e obiettivi. Il modello su cui poggiano i parchi storici italiani -come detto- è quello dei parchi nazionali americani, e dei primi parchi nazionali europei. Il concetto fondante era quello di avere grandi distese di natura “incontaminata”, non toccata dall’azione umana. Un modello sostanzialmente simile fu adottato nella realizzazione, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, delle Riserve Naturali dello Stato da parte del

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Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, e in particolare dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali e del Corpo Forestale dello Stato (ASFD). Anche in queste riserve il modello seguito fu quello delle “riserve di natura”, con una sostanziale estromissione delle attività umane, resa possibile anche dall’acquisizione al patrimonio pubblico delle aree. Le complesse vicende di regionalizzazione di parte delle competenze dell’ASFD, che fu anche nominalmente disciolta ma continua ancora oggi a operare come UTB – Uffici Territoriali Biodiversità del CFS- portarono ad una serie di incertezze sul destino di queste aree, che comunque in gran parte andarono a costituire il cuore di molti dei nuovi parchi nazionali istituiti tra il 1988 e il 1991 (Aspromonte, Dolomiti Bellunesi, Foreste Casentinesi, Gargano, Gran Sasso, Maiella, Valgrande). L'istituzione delle Regioni a statuto ordinario avvenne nel 1970 e nello stesso anno, con legge delega n. 281, si concretizzò il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni. I decreti di trasferimento delle materie indicate all'art. 117 della Costituzione, e in particolare il DPR 616 del 24 luglio 1977, attribuirono nuove competenze alle Regioni e in particolare, la possibilità di istituire parchi regionali e riserve. Dalla fine degli anni Settanta agli anni Ottanta, vennero istituiti circa 60 parchi regionali (il primo fu il Parco Regionale Lombardo del Ticino, nel 1974) e numerose riserve (la prima fu la Riserva Regionale di Tevere Farfa nel Lazio). Nel 1986 con la legge 439 vide la luce il Ministero dell'Ambiente dando nuovo impulso alla politica delle aree protette, in quanto tra le sue competenze fu inserita la elaborazione di proposte di nuovi parchi nazionali. Come abbiamo appreso, gli anni Novanta si aprirono con l’emanazione della legge quadro sulle aree protette, n. 394/91. Questa dettava norme certe circa: l'istituzione degli enti parco, l'elaborazione di un piano per il parco, l'emanazione di un regolamento disciplinante le attività consentite nell'area nonché la redazione di un piano pluriennale finalizzato a promuovere, nel rispetto delle esigenze di tutela del territorio, ogni iniziativa di sviluppo economico-sociale a favore delle collettività residenti all'interno o nelle zone limitrofe del parco. In particolare l'ente parco, previsto dalla legge, è non solo un ente gestore del parco ma, soprattutto, ente normativo che emana la disciplina cui si deve sottoporre il relativo territorio, sotto il profilo sia urbanistico che paesistico-ambientale. I beni oggetto della speciale tutela e gestione sono i territori ove sono presenti le formazioni fisiche, geologiche e biologiche o gruppi di esse, di rilevante valore naturalistico e ambientale. Le finalità da perseguire sono la conservazione di specie animali e vegetali, di associazioni vegetali e forestali, di

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comunità biologiche, di formazioni geopaleontologiche, di biotipi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici; l'attuazione di metodi di gestione o di restauro ambientale atti a concretizzare una integrazione fra uomo e ambiente naturale anche per mezzo di una particolare tutela dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali; la promozione di attività educative, di formazione e di ricerca scientifica nonché di attività ricreative compatibili; la difesa e la ricostruzione degli equilibri idraulici e idrologici. Le aree naturali protette sono classificate come: parchi nazionali; parchi naturali regionali; riserve naturali. Queste ultime, in base all'importanza degli interessi presenti possono essere statali o regionali.

La categoria dei parchi regionali nasce in Francia nel 1967 (Decreto I marzo 1967, n. 67/158) come strumento di competenza dello Stato, trasferita poi alle Regioni nel 1975, data in cui vengono introdotti gli strumenti di piano costituiti dalla Charte Costitutive con annesso Plan du parc (Scarabotti, 1997). In Italia la facoltà di istituire parchi regionali viene disposta con il DPR del 15/1/1972, n.11, laddove si attribuiscono alle Regioni poteri di protezione della natura "non contrastanti con quelli dello Stato". Il decreto suscitò però molte polemiche che furono sedate con il successivo DPR 616/77.

Con il trasferimento delle competenze in materia di aree protette dallo Stato alle Regioni e con la conseguente istituzione da parte delle stesse dei Parchi Naturali, si interrompono decenni di inattività normativa e organizzativa. I parchi naturali regionali, oltre ad aumentare sensibilmente la complessiva superficie di territorio nazionale protetto, hanno dato l'avvio a una stagione di dibattito e di innovazione concettuale sui temi della forma e della gestione delle aree protette. In particolare le aree protette regionali, sulla base delle analoghe esperienze condotte in altri Paesi europei, hanno saputo adattare il primitivo modello di parco nordamericano alla complessa realtà dell'antropizzato mondo italiano. La novità apportata da questi parchi è stata quella di aver cercato di coniugare la conservazione delle risorse naturali con l'uso sociale delle stesse e con la ricerca dello sviluppo compatibile per le popolazioni insediate. I parchi si sono così proposti come laboratori di sperimentazione ecologica permanente, dove, con un nuovo approccio culturale ed economico, si riesca a definire un modello di gestione territoriale da estendere al resto del Paese.

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