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Le operazioni di “chirurgia normativa” del 2012

Sezione II: Il regime dei costi illeciti

3. Le operazioni di “chirurgia normativa” del 2012

Il legislatore, con l’articolo 8 del d.l. 16/2012 ha inteso riformulare la disciplina dei costi illeciti tentando di risolvere le problematiche emerse in quasi 10 anni di applicazione della disciplina del comma 4bis, dell’art. 14.

L’articolo in esame si compone di 3 commi di cui il primo si occupa di riscrivere il comma 4bis dell’articolo 14 della l. n. 537/1993, il secondo è dedicato alle ricadute dell’indeducibilità dei costi sul regime delle fatture per operazioni inesistenti, mentre il terzo reca la disciplina transitoria. Si procederà con l’analisi del I comma dell’articolo 8 per poi proseguire con gli altri due commi.

Come accennato sopra, il comma I art. 8 modifica il comma 4bis dell’art. 14 e, la nuova norma, così recita:

“4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della

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causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”.

Nella tabella qui in basso si mettono a confronto le due fattispecie:

DISCIPLINA PREVIGENTE DISCIPLINA ATTUALE

Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attivita' qualificabili come reato, fatto salvo

l'esercizio di diritti costituzionalmente

riconosciuti.

Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attivita' qualificabili come delitto non colposo per il quale il

pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilita' in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi

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Facendo un primo e sommario raffronto con la disposizione previgente, emerge che le due norme sono profondamente diverse, e balza all’occhio che la nuova formulazione, lungi dall’essere un mero ritocco della disciplina dei costi illeciti, sia un vero e proprio restlyling del tema ivi in esame. In particolare, le modifiche hanno ad oggetto la parte della norma sopra evidenziata. Elementi assolutamente innovativi sono innanzitutto, la diretta utilizzazione del costo o della spesa per il compimento del reato, che – ed è questo altro elemento di novità – deve essere di natura non colposa, e per il quale si stata esercitata l’azione penale, oppure sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere. Il comma, nella parte finale, prevede la possibilità per il contribuente di ottenere il rimborso della maggiore imposta, qualora sopravvenga una sentenza di assoluzione o proscioglimento per cause diverse dalla prescrizione. Viene meno inoltre la clausola di salvaguardia circa l’esercizio dei diritti costituzionalmente riconosciuti. Di seguito verranno analizzati i nuovi aspetti della diciplina contenuta al comma 4bis dell’art. 14, l. 537/1993.

a) Diretto utilizzo del costo ai fini del reato non colposo

Il primo requisito previsto dalla norma è il diretto utilizzo dei costi per la commissione dei reati di natura dolosa. Con l’espressione

diretto utilizzo il legislatore restringe l’ambito di applicazione della

disciplina dei costi illeciti119: si passa dall’indeducibilità dei costi da reato, all’indeducibilità dei costi del reato120. Questo apparente gioco di

parole segna il confine e le differenze tra la disciplina previgente e quella attuale. Ed infatti i costi da reato sono il “sacrificio patrimoniale

diretta conseguenza di atti penalmente illeciti”, mentre i costi del reato

119 Cfr. O. DI GIOVINE, op. cit.

120 Come fa mirabilmente notare G. FRANSONI, Indeducibilità dei costi da reato ed

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costituiscono il “sacrificio patrimoniale conseguenza di atti strumentali

alla realizzazione della condotta penalmente illecita”121. Nell’ambito

della prima tipologia di costi rientrerebbero anche le sanzioni, dal momento che la categoria in esame è suscettibile di contenere sia i costi antecedenti alla commissione del reato, sia quelli conseguenti al medesimo. Mentre nell’alveo della seconda categoria di costi rientrerebbero solo quelli strumentali alla commissione del reato. È indubbio – e sembra pacifico in dottrina – che la disciplina dei costi illeciti nella formulazione previgente, prevedesse i costi da reato122, divenendo così indeducibili un novero consistente di elementi negativi del reddito, poiché ai fini della indeducibilità bastava la mera

riconducibilità del costo al delitto ed essa rappresenta un parametro

abbastanza lasco in cui si può far rientrare qualsiasi costo o spesa. Le modifiche legislative apportate con la riforma del 2012, invece, richiedono la diretta utilizzazione del costo per la commissione del reato e, quindi, una vera e propria funzionalizzazione del bene e del servizio, cui il costo si riferisce, al reato123. Questa scelta del legislatore comporta che eventuali costi illeciti destinati ad attività lecite, non rientrino nell’ambito di applicazione del comma 4bis dell’art. 14124. L’analisi

circa la diretta utilizzazione del (bene cui si riferisce il) costo per la commissione del reato, si basa su un giudizio ex post ed ha ad oggetto i fattori produttivi utilizzati per la commissione del reato, in questo modo andrebbero esclusi i costi preparatori rispetto alla commissione dell’illecito, così come le somme date a titolo di sanzione e, parimenti, gli esborsi per così dire, (per beni) “promiscui”, ovverosia in parte leciti ed in parte illeciti.

121 Cfr. G. FRANSONI, op. cit.

122 Vedi G. FRANSONI, op. cit; AA. VV., op. cit., pag. 139 e ss; M. PROCOPIO, la

cd riforma dei costi illeciti e la sua aderenza ai principi di capacità contributiva, in Diritto e pratica tributaria, 3/2012, pag. 10531.

123 Cfr. A. CARINCI, La nuova disciplina dei costi da reato, in Rassegna Tributaria,

6/2012, pag. 1459.

124 Vedi AA. VV., op.cit.; Circolare 32/E dell’Agenzia Entrate, in Bollettino

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Altro punto di novità risiede nella rilevanza, ai fini dell’indeducibilità, dell’elemento soggettivo del reato, dal momento che la norma si applica ai soli costi direttamente utilizzati per il compimento di reati non colposi, dunque il coefficiente soggettivo in questione rileva per la commissione del reato e non per la realizzazione delle attività afferenti all’illecito125. Secondo Di Giovine, la scelta del legislatore non sarebbe priva di fondamento giacché la strumentalità, a livello oggettivo, del costo rispetto al reato, avrebbe delle ricadute sul piano soggettivo, e, dunque, non sarebbe immaginabile un costo in vista di un reato colposo poiché mancherebbe la finalizzazione del costo all’attività illecita126. Criticabile è apparsa in dottrina, la scelta di escludere le contravvenzioni dalle ipotesi di indeducibilità, per riservare la disciplina in questione solo ai delitti. Le contravvenzioni, come risaputo, possono essere imputate indifferentemente per dolo o per colpa e, nonostante la scarsa afflittività della pena, vi sono delle contravvenzioni che esprimono un disvalore non indifferente. In questo caso alcuni Autori127 in dottrina hanno rilevato che il legislatore avrebbe potuto estendere la fattispecie dell’indeducibilità alle sole contravvenzioni imputate in forma dolosa. L’amministrazione finanziaria, nella circolare 32/E, fa notare che nel caso di reato doloso omissivo, potranno ritenersi deducibili i costi sostenuti nel corso dell’attività d’impresa. La medesima circolare, inoltre, sostiene che l’indeducibilità debba essere riconosciuta anche per quelle componenti negative che riguardano l’ordinaria attività d’impresa, ma che siano stati strumentali alla commissione del delitto non colposo, pur non essendo sostenuti esclusivamente per la commissione del reato, nonché quei costi che afferiscono alla “regolare” attività d’impresa ma che purtuttavia, siano

125 Cfr. A. CARINCI, op. cit.

126 Così si è espressa l’Amministrazione Finanziaria con la circolare 32/E del 2012. 127 Cfr. A. CARINCI op. cit; O. DI GIOVINE op. cit.

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stati dirottati al compimento del reato, ampliando l’ambito della disciplina.

b) L’esercizio dell’azione penale come condizione dell’indeducibilità e gli effetti della sopravvenuta assoluzione

Innanzitutto sembra opportuno iniziare rammentando che l’onere della prova circa l’indeducibilità del costo spetta all’Amministrazione Finanziaria, quest’ultima deve, in particolare, dimostrare il diretto utilizzo del costo (del bene) nella commissione del reato, mentre é onere del contribuente – come statuito dalla Corte di Cassazione128 in una sua sentenza – la prova contraria, che si sostanzia in una vera e propria

probatio diabolica.

Per quanto concerne la qualificazione dell’illecito come reato, è significativa la differenza rispetto al regime normativo previgente. Infatti, quest’ultimo, nulla prevedeva circa l’Autorità deputata alla qualificazione dell’illecito come penalmente rilevante cosicché, nel silenzio del legislatore, si era sviluppata una prassi amministrativa atta ad attribuire tale compito all’Amministrazione Finanziaria129, la quale

riteneva idonea, ai fini dell’indeducibilità, la mera trasmissione della

notitia criminis al Pubblico Ministero, senza attendere un primo vaglio

giurisdizionale. Per garantire una maggior rispondenza ai principi garantisti che informano il nostro ordinamento, è intervenuto il legislatore il quale inteso “ritardare” il momento in cui si realizza l’indeducibilità subordinandola ad un primo controllo di natura giurisdizionale consistente nel:

- Esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero; - Emissione decreto che dispone il giudizio;

128 Corte di Cassazione, sez. trib. 30 dicembre 2010 n. 26480, in CED Cassazione

2010.

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- Sentenza di non luogo a procedere in caso di prescrizione del reato.

Nel primo caso l’indeducibilità del costo scatterà nel momento in cui il Pubblico Ministero riterrà di avere gli elementi idonei per sostenere l’accusa in giudizio, e quindi formula l’imputazione. La seconda ipotesi, riguarda l’emanazione del decreto che dispone il giudizio. La dottrina si è chiesta quando essa possa assumere una rilevanza autonoma rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal P.M. Si ritiene che questa ipotesi entri in gioco nel momento in cui, il Giudice dell’Udienza preliminare, ritenga di conferire al fatto, imputato dal Pubblico Ministero, una qualificazione giuridica diversa che rilevi ai fini dell’indeducibilità130. Altro caso di autonomia del decreto che dispone il

giudizio, rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio, si potrebbe verificare nel caso di imputazione coatta131 (409, comma 5 c.p.p132), vale a dire nell’ipotesi in cui il GIP, non intendendo accogliere la richiesta di archiviazione proposta dal Pubblico Ministero, dispone che quest’ultimo formuli l’imputazione. L’indeducibilità poi è riconosciuta – ipotesi finale prevista dalla disposizione – nel caso in cui intervenga una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, come riportato nella più volte citata circolare, in questo caso, l’indeducibilità del costo dipenderebbe dal fatto che non è stata accertata l’estraneità al fatto da parte del reo/contribuente, quest’ultimo potrebbe però rinunciare alla prescrizione (come sancisce l’articolo 157 c.p.p), chiedendo un giudizio nel merito e, laddove ne uscisse vittorioso, potrebbe richiedere il rimborso della maggiore imposta versata.

130 Circolare 32/E 2012; AA. VV., op. cit., pag. 161. 131 Vedi A. CARINCI, op.cit.

132 5. Fuori del caso previsto dal comma 4, il giudice, quando non accoglie la

richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l'imputazione. Entro due giorni dalla formulazione dell'imputazione, il giudice fissa con decreto l'udienza preliminare. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 418 e 419.

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L’amministrazione finanziaria rileva, però, che i medesimi effetti prodotti dai provvedimenti citati dal comma 4bis, sarebbero cagionati dagli atti che dispongono i procedimenti speciali di cui al libro VI del codice di procedura penale. Vale a dire che l’indeducibilità opererebbe anche nel caso in cui il Pubblico Ministero abbia formulato la richiesta di giudizio immediato, di applicazione della pena su richiesta, di decreto penale di condanna, di decreto di citazione diretta in giudizio, di giudizio direttissimo.

La modifica occorsa al comma 4bis dell’articolo 14 l. n. 537/1993, risolve un altro punto di incertezza che caratterizzava la disciplina prima in vigore, vale a dire il destino delle somme non dedotte nel caso di sopravvenienza di una sentenza di assoluzione che riconosca l’estraneità ai fatti da parte dell’imputato. Come già visto nei paragrafi precedenti la circolare 45/E aveva cercato di risolvere le perplessità in merito riconoscendo al contribuente la possibilità di richiedere il rimborso delle maggiori imposte versate; si trattava però di una prassi. Dunque il legislatore, cogliendo l’occasio della riforma, ha disciplinato in maniera chiara cosa accade nell’ipotesi sopra prefigurata. Il diritto al rimborso segue al sopraggiungere di:

- Sentenza definitiva di assoluzione ex articolo 530 c.p.p.133;

- Sentenza definitiva di non luogo a procedere ex 425 c.p.p134., per

motivi diversi dalla prescrizione;

133 Art. 530. Sentenza di assoluzione 1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha

commesso, se il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato ovvero se il reato e' stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, e' insufficiente o e' contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato e' stato commesso da persona imputabile. 3. Se vi e' la prova che il fatto e' stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilita' ovvero vi e' dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.

134 Art. 425. Sentenza di non luogo a procedere 1. Se sussiste una causa che estingue

il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non e' previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta

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- Sentenza definitiva di non doversi procedere ex 529 c.p.p135. Nel caso in cui dovessero verificarsi le condizioni elencate sopra, il contribuente potrà inoltrare alla P.A. istanza di rimborso nei termini previsti dalla legge, che decorrono dal verificarsi delle suddette. Tuttavia, come fa notare certa dottrina136, vi sono ulteriori casi non disciplinati dalla legge, oltre al proscioglimento sopravvenuto, in cui sarebbe legittimo e possibile richiedere il rimborso. Si tratta ad esempio dell’ipotesi in cui il Pubblico Ministero, su sollecitazione del Giudice dell’Udienza Preliminare, muti l’imputazione, come previsto dall’art. 423 c.p.p.137, con effetti rilevanti sotto il profilo di indeducibilità: ad esempio si disconosce il dolo optando per un’imputazione colposa del reato. Inoltre, grandi assenti, sono le ipotesi in cui l’azione penale viene meno senza mai giungere a processo, perché, ad esempio il giudice ha restituito gli atti al Pubblico Ministero, e quest’ultimo ha deciso di archiviare. In quest’ultima ipotesi – in particolare – con la restituzione degli atti al PM, il giudice si spoglia del potere di decidere e questo travolge l’azione penale caducandone gli effetti precedenti. Quelle appena elencate sono tutti casi che possono comunemente verificarsi nel corso di un procedimento penale e che sono idonei ad incidere sui presupposti dell’indeducibilità. Carinci, propone di estendere

evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non imputabile o non punibile per qualsiasi altra causa il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo.

135 Art. 529. Sentenza di non doversi procedere 1. Se l'azione penale non doveva

essere iniziata o non deve essere proseguita, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilita' e' insufficiente o contraddittoria.

136 A. CARINCI, op. cit, pag. 1480 e ss., AA.VV., op.cit, pag 186- 187.

137 Art. 423. Modificazione dell'imputazione 1. Se nel corso dell'udienza il fatto

risulta diverso da come e' descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non e' presente, la modificazione della imputazione e' comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione. 2. Se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi e' il consenso dell'imputato.

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analogicamente a queste ipotesi la disciplina dell’indeducibilità, considerandole cause che permettono la deducibilità dei costi, pena la disparità di trattamento, e conseguentemente, una violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Particolare è poi la situazione in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione che non è motivo fondante istanza di rimborso. Le ragioni dell’esclusione devono rinvenirsi nel fatto che essa è una

causa di improcedibilità sopravvenuta, legata al passare del tempo dal momento in cui è stato consumato (o tentato) il reato138, non a caso, nonostante la prescrizione, l’imputato è tenuto a risarcire il danno non patrimoniale prodotto dal reato – come previsto dall’art. 198 c.p. – ed è possibile subire la confisca ai sensi dell’art. 236 c.p.

Il comma 4bis, art. 14 l. n. 537/1993, non menziona le conseguenze derivanti dall’intervento delle altre cause di estinzione del reato quali la morte del reo, l’amnistia, la remissione della querela;, queste sono ipotesi in cui lo Stato rinuncia all’esercizio dell’azione penale. In questo caso parrebbe di dover estendere la disciplina espressamente riservata alla prescrizione, tuttavia, come fa notare la dottrina139, sarebbe più idoneo prevedere il rimborso anche nei casi

sopra menzionati, giacché la norma esclude la deducibilità dei costi e delle spese solo in caso di prescrizione, e quindi, se il proscioglimento si fonda sulle altre ipotesi è possibile richiedere il rimborso.

La fattispecie, tuttavia, fa riferimento solo alle maggiori imposte trascurando la disciplina delle somme versate a titolo di sanzione. Secondo l’Agenzia entrate si tratta di una dimenticanza del legislatore dal momento che la ratio della nuova disposizione, fa propendere per un onere di restituzione inerente anche alle sanzioni140.

138 Così afferma PAGLIARO, come citato da A. CARINCI, op. cit., pag. 1482. 139 A. CARINCI, op. cit, pag. 1483.

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c) Regime sanzionatorio

Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’indeducibilità dei costi e delle spese relative ai reati non colposi comportano l’applicazione delle sanzioni in materia di dichiarazione infedele, pari ad una somma compresa tra il 100 e il 200 percento della maggiore imposta. Tuttavia il