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La tassazione dei proventi del reato di usura e i rapporti con la

Sezione III: Profili applicativi della tassazione dei provent

3. La tassazione dei proventi del reato di usura e i rapporti con la

Prima di trattare la questione circa la tassazione (rectius tassabilità) dei proventi da usura, occorre fare brevemente un cenno sul reato in questione tratteggiandone brevemente il percorso storico.

Innanzitutto v’è da dire che la disciplina attuale del reato di usura risale al 1996, anno in cui il legislatore ha provveduto ad un “restyling” del reato de quo inasprendo la pena e rendendolo più idoneo a reprimere il fenomeno. Il reato in questione venne per la prima volta introdotto nel

173 Cfr. E. MASTROGIACOMO, “Tangenti”, fatture false ed indeducibilità del

costo, in Fisco, 27/2001, pag. 1392; G. SCHIAVO, Indeducibili le somme versate per evitare accertamenti fiscali, in Corriere Tributario, 6/2002, pag. 521.

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nostro ordinamento, col codice del 1930, all’art. 644 dello stesso, mentre era assolutamente assente nel codice Zanardelli174. Tuttavia, la

fattispecie era caratterizzata da limiti edittali abbastanza lievi e da requisiti abbastanza difficili da dimostrare175, che la rendevano del tutto inefficace. Per questo motivo il legislatore intervenne sulla materia prima nel 1992 ed, infine, nel 1996 con legge 7 marzo, n. 108. La fattispecie di cui all’art. 644 c.p. recita:

“Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o

promettere, sotto qualsiasi forma, per se'o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilita', interessi o altri vantaggi usurari, e'punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5. 000 a euro 30. 000. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilita' facendo dare o promettere, a se'o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresi' usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalita' del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilita', ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficolta' economica o finanziaria. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla meta': 1) se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attivita'

174 Vedi M. BELLACOSA, Usura, (voce del) Digesto delle discipline penalistiche,

UTET, Torino, 1999, pag. 145.

175 Quali l’approfittamento dello stato di bisogno da parte da parte dello “strozzino”,

nonché la consapevolezza di quest’ultimo circa lo status in cui versava il soggetto passivo del reato.

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professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprieta' immobiliari; 3) se il reato e'commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno; 4) se il reato e'commesso in danno di chi svolge attivita' imprenditoriale, professionale o artigianale; 5) se il reato e'commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui e'cessata l'esecuzione. Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, e'sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilita' di cui il reo ha la disponibilita 'anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”.

Come si è più volte ricordato in precedenza, ai fini della tassazione dei proventi da reato sono necessari due requisiti, uno positivo ed uno negativo. L’elemento positivo risiede nella possibilità di inquadrare il provento nelle categorie reddituali ex art. 6 T.U.I.R. e, da questo punto di vista, pare che non vi siano grossi problemi nel ritenere che i proventi da usura possano rientrare nella categoria dei redditi da capitale176, definiti dalla legge come “quei proventi che il contribuente è

suscettibile di ritrarre, in costanza di rapporto, da un attuale o potenziale impiego produttivo, del proprio capitale”177.

Posto che non vi siano problemi dal punto di vista dell’inquadramento reddituale, maggiori difficoltà desta la questione inerente ai rapporti con la confisca penale, la quale, come si è già avuto

176 Vedi L. DEL FEDERICO, Proventi da attività illecite ed imputazione del reddito

tra soggetto interposto ed effettivo possessore, in “Il Fisco”, n. 44/1998, pag. 14336.

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modo di vedere, paralizza la pretesa impositiva dello Stato nei confronti del reo/contribuente. Dalla lettura dell’ultimo comma dell’art. 644 c.p. emerge che la confisca del profitto di usura debba essere sempre disposta dal giudice, potendosi così ravvisare un’ipotesi di confisca obbligatoria dello stesso. Nulla questio se il provvedimento ablatorio è stato disposto dal giudice penale perché da questo punto di vista la lettera della legge è chiara; ma che dire se il provvedimento, pur previsto dalla legge come obbligatorio, non viene disposto dal giudice?

Secondo Cardone e Verri178, la mera previsione normativa della confisca sarebbe di per sé idonea ad impedire qualsivoglia pretesa di natura fiscale nei confronti del reo/contribuente. Tuttavia, tale soluzione sarebbe da escludere per una motivazione di natura meramente fattuale, ovverosia, se di fatto il provvedimento non è intervenuto per qualsiasi ragioni, non v’è motivo di escludere a priori la tassazione del provento e questo perché, come visto qualche paragrafo addietro, presupposto dell’imposizione è il possesso del reddito. La confisca ed il sequestro penale impediscono la tassazione sol perché privano il soggetto attivo del reato del possesso del provento e non per altre ragioni. Dunque se il provvedimento ablatorio non interviene il contribuente rimane nel possesso del reddito che può essere tassato.

La stessa Corte di Cassazione non esclude la possibilità di poter tassare i redditi da usura nella sentenza n. 1416/2008179. La pronuncia riguardava la possibilità per la P.A. di poter ricorrere ad accertamento induttivo del reddito nei confronti di una contribuente che esercitava, a

latere dell’esercizio di un’impresa, anche l’attività di prestito ad usura.

Nella massima della Corte si legge infatti: “in tema di imposte sui

redditi, ove un soggetto esercente attività individuale di impresa di

178 Vedi V. CARDONE, F. VERRI, La tassazione dei proventi derivanti dal reato di

usura: rapporti con i nuovi reati tributari, in Il fisco, 18/2002, pag. 2829.

179 Corte di Cassazione, sez. trib. 23 gennaio 2008 n. 1416, in GT, Rivista di

giurisprudenza tributaria, 4/2008, con commento di M. PROCOPIO, Legittimità del ricorso all’accertamento induttivo basato su indici di spesa ed investimenti patrimoniali, pag. 331.

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commercio, espleti anche, “a latere”, attività di prestito di denaro ad interesse, i proventi di questa seconda attività sono soggetti a tassazione, insieme a quelli dichiarati in ordine all’attività d’impresa ufficiale, sia che essi costituiscano il frutto di un illecito, sia che non sussista alcuna illiceità”.

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Capitolo IV:

PUNTI DI CONTATTO TRA MATERIA PENALE E

TRIBUTARIA: UN CRINALE DI DIFFICILE

COMPOSIZIONE

SOMMARIO:

SEZIONE I. Rapporti tra processo penale e tributario: 1. Obblighi di comunicazione reciproci tra autorità giudiziaria ed amministrazione finanziaria – 2. Gli intricati rapporti tra processo penale e tributario – 3.L’utilizzabilità degli elementi di prova raccolti in sede penale all’interno del processo tributario – 4. Gli effetti del provvedimento del giudice penale e del patteggiamento. SEZIONE II. Proventi illeciti e (presunti) oneri dichiarativi: 1.Considerazioni preliminari - 2. Brevi cenni sul reato di omessa dichiarazione - 3. L’omessa dichiarazione dei proventi illeciti.

V postulato di Euclide

Se una retta taglia altre due rette determinando dallo stesso lato angoli interni la cui somma è minore di quella di due angoli retti, prolungando indefinitamente le due rette, esse si incontreranno dalla parte dove la somma dei due angoli è minore di due angoli retti.

Sezione I: Rapporti tra processo penale e tributario

1. Obblighi di comunicazione reciproci tra autorità giudiziaria ed amministrazione finanziaria

La questione dell’imponibilità dei proventi illeciti e dell’indeducibilità dei relativi costi, ha posto degli interrogativi circa il raccordo tra gli organi di polizia giudiziaria, che ricevono le notitiae

criminis dei reati (i quali potrebbero comportare la pretesa tributaria da

parte dell’Erario e la summenzionata indeducibilità) e gli Uffici finanziari. Sul versante delle comunicazioni delle notizie di reato da

parte dell’Agenzia entrate e Guardia di finanza al Pubblico Ministero, affinché eserciti l’azione penale, pare che non vi siano

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incertezze, almeno nella teoria. Tuttavia qualche Autore1 ravvisa delle difficoltà di comunicazione tra autorità giudiziaria penale ed un ente, quale l’Agenzia delle Entrate, poiché sarebbero delle istituzioni tra loro diverse ed incompatibili. Di parere opposto, e più condivisibile, è altra dottrina2, che dissente per due ragioni:

- La prima di natura sistematica, dal momento che l’Agenzia Entrate, la Guardia di Finanza e la Procura della Repubblica sarebbero state create dal legislatore per tutelare dei beni giuridici rilevanti. La Guardia di Finanza trasmette i processi verbali di constatazione all’Agenzia delle Entrate per consentirle di operare le fasi successive dell’accertamento. La stessa Guardia di Finanza, poi, trasmette le notizie di reato alla Procura della Repubblica ai sensi dell’art. 347 c.p.p. Dal canto loro anche i funzionari dell’Agenzia delle Entrate hanno un onere di comunicazione all’autorità giudiziaria per i fatti che possono costituire reato. L’autorità giudiziaria delega la Guardia di Finanza per le indagini che richiedono la competenza di questa, oppure può avvalersi della consulenza dell’Agenzia Entrate per verificare, nel caso di reati tributari, che siano state superate le soglie di punibilità previste per i medesimi.

- Ragione ultronea deriverebbe, inoltre, dalla novella disciplina sui costi da reato che ne subordina l’indeducibilità all’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, ovvero dall’emanazione di una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, oppure da un decreto che dispone il giudizio. In questo nuovo contesto normativo sarebbe inevitabile la collaborazione tra i tre soggetti sopra citati.

1Cfr. R. NISI, Costi da reato e redditi illeciti, sistematicità della disciplina è difficile

convivenza nel sistema penal-tributario, in Profili critici del diritto penale tributario, a cura di R. BORSARI, Padova University Press, Padova, 2015.

2 AA.VV., L’impresa illecita. Profili tributari e contrasto patrimoniale, Giuffrè

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Anche la circolare 32/E 2012 dell’Agenzia delle Entrate, ha inteso in questo senso i rapporti tra autorità giudiziaria, Guardia di Finanza ed Agenzia delle Entrate. Il documento appena citato infatti afferma: “La circostanza che l’ufficio possa contestare l’indeducibilità

di tali costi solo qualora sia noto l’esercizio dell’azione penale, pone un problema di formale conoscenza della stessa da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Pertanto, al fine di realizzare un effettivo coordinamento tra l’Autorità giudiziaria e l’Amministrazione finanziaria, è necessario che le Direzioni Regionali provvedano alla definizione di idonee forme di collaborazione con le Procure dei territori di competenza, al fine di coordinare e raccordare l’operato con quello degli organi giurisdizionali”.

Sulla base di tali dichiarazioni sono state siglate a livello locale delle convenzioni e protocolli tra le Procure, uffici locali dell’Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, per standardizzare ed automatizzare il flusso di comunicazioni tra tali enti.

Diversa è invece la situazione per quanto concerne la

comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria (nella specie il Pubblico Ministero) all’Agenzia delle Entrate circa la commissione

di reati da cui possano derivare proventi illeciti suscettibili di imposizione. In questo senso è intervenuta la l. n. 208/2015 con l’art.1 comma 141 che ha introdotto, al comma 4 dell’art. 14 della l. n. 537/1993, un nuovo periodo che stabilisce: in caso di violazione che

comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art.331 c.p.p. per qualsiasi reato da cui possa derivare un provento o un vantaggio illecito, anche indiretto, le competenti autorità inquirenti ne danno immediatamente notizia all’Agenzia delle Entrate, affinché proceda al conseguente accertamento”. La norma richiama l’art. 331 c.p.p. che afferma: “1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di

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ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.

2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.

3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.

4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

Il presupposto della norma è “qualsiasi reato” perseguibile d’ufficio di cui abbia avuto notizia un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio, ovvero un giudice nel corso di un procedimento civile o amministrativo. Si deve trattare di un illecito non tributario, in quanto se non lo fosse verrebbe segnalato dagli uffici finanziari all’autorità giudiziaria nell’ambito della loro attività di controllo. La novità della norma consiste, secondo Corso3, nell’anticipazione della comunicazione del procedimento penale in corso, dal momento che non si attende l’esercizio dell’azione penale, esigendo invece una simultaneità tra inizio delle indagini ed informazione agli uffici finanziari. La disposizione avrebbe maggiore applicazione – secondo lo stesso Autore – nel caso in cui la notitia criminis emerga dall’attività esercitata da amministrazioni diverse da quella finanziaria, dal momento che la polizia tributaria non è l’unica a poter conoscere dei reati tributari. Infatti l’art. 32 della l. n. 4/19294 sancisce che: “gli ufficiali ed agenti della polizia ordinaria, i quali vengano a notizia di un reato pel cui accertamento la legge designa ufficiali ed agenti di polizia tributaria, debbono avvertire senza indugio tali ufficiali ed

3 Vedi P. CORSO, Obbligo per il P.M. di segnalare all’Agenzia delle Entrate i

proventi illeciti suscettibili di imposizione fiscale, in Corriere tributario, 5/2016, pag. 325.

4 Rubricata “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi

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agenti e provvedere frattanto a che nulla sia mutato nello stato delle cose”.

Il nuovo periodo di cui all’art. 14, comma 4 l. n. 537/1993, ha il limite di riferirsi ai soli reati, o meglio solo ai proventi derivanti da quest’ultimi, tralasciando il riferimento alle altre forme di illecito che l’ordinamento giuridico conosce. Inoltre il riferimento alle competenti

autorità inquirenti induce ragionevolmente a ritenere che esso sia

rivolto al Pubblico Ministero il quale possiede la signoria delle indagini preliminari. La comunicazione ha ad oggetto i reati da cui possa derivare, direttamente o meno, un provento o vantaggio illecito; l’informativa nei confronti degli uffici finanziari, è, inoltre, doverosa come emerge dal tenore letterale (“ne danno immediatamente notizia

all’Agenzia delle entrate”) della disposizione ivi esaminata.

Particolare ed interessante è l’ipotesi in cui venga commesso un reato da cui derivino dei proventi illeciti per i quali è possibile disporre sequestro o confisca: in questo caso parrebbe pretenzioso ed irragionevole imporre che il P.M. comunichi all’Agenzia Entrate la presenza di un provento che non è sottoponibile ad imposizione per il verificarsi (o per la verificabilità) di una condizione ostativa al prelievo.

Alla luce dei summenzionati oneri di comunicazione, risulta alquanto dissonante la vigenza degli artt. 33 del D.P.R. 600/1973 e 63 del D.P.R. 633/1972 che consentono al P.M. di non autorizzare l’uso di documenti e notizie processuali penali all’interno del processo tributario, durante le indagini preliminari5. La novella del 2016 pare smentire quest’assetto normativo ancora vigente.

La dottrina non ha accolto con molto entusiasmo la disposizione introdotta, recentemente, dal momento che non avrebbe innovato in maniera sensibile la situazione anteriore. Addirittura

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Caraccioli6 ritiene che la norma non rappresenti una novità, poiché la regola della comunicazione all’Agenzia entrate era prevista già all’art. 36 del D.P.R. 600/1973, nonostante esso si riferisse ad un soggetto diverso, vale a dire al comando della Guardia di Finanza. Difatti, la disposizione di cui si discute recita: “I soggetti pubblici incaricati

istituzionalmente di svolgere attivita' ispettive o di vigilanza nonche' gli organi giurisdizionali, requirenti e giudicanti, penali, civili e amministrativi e, previa autorizzazione, gli organi di polizia giudiziaria che, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalita' stabilite da leggi o norme regolamentari per l'inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l'eventuale documentazione atta a comprovarli”. Di diverso avviso, invece, è

Corso il quale ha sostenuto che nonostante la presenza dell’art. 36, su citato, la norma non sarebbe del tutto inutile poiché l’Agenzia entrate diventerebbe la destinataria privilegiata della comunicazione, tuttavia essa avrebbe una portata ridimensionata.

2. Gli intricati rapporti tra processo penale e tributario

Come si è già avuto modo di dire, i rapporti tra procedimento penale e tributario, sono molto controversi; essi possono essere rappresentati tramite il V postulato della geometria euclidea secondo cui: “se una retta taglia altre due rette determinando dallo stesso lato

angoli interni la cui somma è minore di quella di due angoli retti, prolungando indefinitamente le due rette, esse si incontreranno dalla parte dove la somma dei due angoli è minore di due angoli retti” . Ed

infatti, entrambi i processi ricordano le due rette menzionate dal matematico greco: esse sono apparentemente parallele e destinate a

6 Cfr. I. CARACCIOLI, Segnalazione dei proventi illeciti all’Agenzia delle entrate,

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non incontrarsi ma, se esse vengono tagliate da una retta trasversale, vi è un punto, all’infinito, in cui esse si incontrano all’avverarsi di talune condizioni. Nel nostro caso i due processi (alias le rette) si incontrano quando viene commesso un fatto (la retta trasversale) rilevante per entrambe le giurisdizioni. Queste ultime sono molto diverse tra loro ed è difficile trovare dei punti di contatto senza che si sollevino delle problematiche. In particolare, la giurisprudenza di legittimità si è più volte trovata ad affrontare due elementi di criticità che si manifestano nel momento in cui i sistemi (quasi chiusi7) – quello penale e quello tributario – si trovano a dover comunicare tra loro:

- L’utilizzabilità, ai fini fiscali, degli elementi di prova raccolti durante le indagini preliminari anche senza la previa autorizzazione del Pubblico Ministero, come prevedrebbero gli artt. 33 del D.P.R. 600/1973 e l’art. 63 del D.P.R. 633/1972. - Gli effetti del giudicato penale e del patteggiamento all’interno

del processo tributario.

Passiamo, a questo punto, ad analizzare i due profili problematici.

3. L’utilizzabilità degli elementi di prova raccolti in sede penale all’interno del processo tributario

La regolamentazione circa l’utilizzabilità delle prove emerse in sede penale è contenuta, come accennato sopra, agli artt. 33, 3 comma del D.P.R. 600/1973 e 63 del D.P.R. 633/1972; pare utile, quindi, riportarne il contenuto.

Art. 33, comma 3 del D.P.R. 600/1973:

“La Guardia di finanza coopera con gli uffici delle imposte per l'acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell'accertamento dei redditi e per la repressione delle violazioni delle

7 Si è fatto riferimento ai sistemi chiusi analizzati dalla termodinamica. Essi sono

definiti come sistemi che consentono un flusso di energia con l'ambiente esterno, attraverso il loro confine, (tramite calore e/o lavoro e/o altra forma di energia), ma non di massa. Si è voluto fare questo parallelismo perché i processi penale e tributario, comunicano tra loro in maniera limitata.

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leggi sulle imposte dirette procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici secondo le norme e con le facolta' di cui all'art. 32 e al precedente comma. Essa inoltre, previa autorizzazione dell'autorita' giudiziaria, che puo' essere concessa anche in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, utilizza e trasmette agli uffici delle imposte documenti, dati e notizie acquisiti,