• Non ci sono risultati.

Le ricadute sul regime delle fatture per operazioni inesistenti

Sezione II: Il regime dei costi illeciti

4. Le ricadute sul regime delle fatture per operazioni inesistenti

L’emissione o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo) rappresenta una delle modalità più utilizzate per evadere le imposte. Secondo la circolare n. 1/2008142 della Guardia di Finanza, le parti in gioco in queste operazioni sono essenzialmente due:

a) le imprese emittenti, vale a dire quelle imprese che emettono la fattura falsa. Esse possono essere di tre tipi. Vi sono le imprese fantasma (o cartiere) che esistono solo dal punto di vista formale, hanno una partita IVA, ma la loro attività non è volta alla produzione di beni e servizi (manca un’organizzazione volta a far ciò), bensì all’emissione delle fatture in esame. Poi vi sono le imprese “inconsapevoli”, che operano regolarmente e risultano emittenti di fatture inesistenti nonostante la loro estraneità ai fatti; questo accade poiché la loro denominazione e la loro partita IVA sono state usate da altri in maniera indebita, quasi come se fosse un “furto d’identità” subito dall’impresa. Infine vi sono le imprese operative, cioè esse producono beni e servizi e, di tanto in tanto, emettono fatture per operazioni inesistenti.

b) le imprese utilizzatrici, esistenti ed operanti sul mercato, che si giovano di queste fatture false per beneficiare della detrazione di costi mai sostenuti ed esporre risultati reddituali inferiori a quelli reali.

Dopo aver identificato quali sono le parti interessate in questo illecito scambio, è giunto il momento di evidenziare che la falsità della fattura può avverarsi da un punto di vista sia soggettivo che oggettivo. Sono fatture per per operazioni oggettivamente inesistenti quelle che attengono a delle operazioni mai effettuate da parte delle imprese, mentre sono soggettivamente inesistenti quando l’operazione economica riportata è stata effettivamente realizzata ma tra soggetti diversi da quelli emergenti dai registri contabili. Nel primo caso si

144

abbatte il reddito con un costo inesistente, nel secondo si occulta la controparte del negozio giuridico, per svariate ragioni.

Questa differenza era, ed è, molto rilevante per quanto riguarda il regime di accertamento di questi costi. La circolare 271/ E 1997 del ministero delle finanze, affermava che in caso di inesistenza oggettiva era necessario riprendere a tassazione le spese inesistenti, mentre in caso di inesistenza soggettiva sarebbe stato opportuno procedere con accertamento induttivo per poter individuare i costi effettivamente sostenuti e determinare il reddito imponibile “reale”. La Corte di Cassazione con sentenza 19353/2006143 ha affermato il principio di diritto secondo cui, se alcuni costi contabilizzati e dedotti sono presenti in fatture ritenute irregolari dall’amministrazione finanziaria, il contribuente deve provare che l’operazione sia stata effettivamente sostenuta. In caso di prova positiva il costo contabilizzato ed imputato al conto profitti e perdite, deve essere dedotto. In tal modo la Corte affermava l’orientamento già consolidato in giurisprudenza, secondo cui sarebbe possibile dedurre i costi per fatture soggettivamente inesistenti, in quanto il loro scopo consisterebbe nel nascondere la vera controparte contrattuale, senza intaccare il merito dell’operazione che è oggettivamente ottenuta. Per converso non sarebbe possibile dedurre costi per fatture oggettivamente inesistenti per l’inesistenza del rapporto economico sottostante.

Come interviene in questo panorama il d.l. 16/2012? La riforma incide sul regime della deducibilità dei costi nel caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, giacché nel vigore della disciplina previgente, la giurisprudenza era solita riconoscere l’indeducibilità dei costi nonostante fossero stati effettivamente sostenuti144. In particolar modo era esclusa la deducibilità poiché essi

143 Corte di Cassazione, sez. trib. 8 settembre 2006 n. 19353, in Corriere Tributario

45/2006.

145

erano privi dei requisiti di certezza e determinatezza perché, per l’appunto, si trattava di operazioni fittizie, nonostante il costo fosse effettivamente sopportato.

Tuttavia, la portata restrittiva del comma 4bis, fa sì che si possano dedurre i costi per fatture soggettivamente inesistenti se essi non sono stati utilizzati per la commissione di un reato non colposo. Precedentemente la giurisprudenza era indotta a disconoscere l’indeducibilità dei costi poiché, ai fini della stessa, era necessario che il costo fosse riconducibile al reato, rientrando così in questa dizione anche il novero dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti.

La novella legislativa consente di sostenere che i costi delle fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili a condizione che sussistano i requisiti di certezza, inerenza, competenza, determinatezza o determinabilità dei costi145. Queste conclusioni sono avallate dalla giurisprudenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano che è intervenuta sul tema con la sentenza 133/67/12146 del 2012, nonché la Corte di Cassazione con sentenza 10167/2012147. La prima delle due pronunce citate si occupava di un caso di frode carosello, vale a dire un meccanismo volto a realizzare attività economiche fittizie per ottenere un credito d’imposta, lucrando profitti ingenti e vantaggiosi. Nel caso delle frodi carosello, un imprenditore italiano che vuole importare merci nel Paese per poterle rivendere, si troverà gravato da IVA nel momento della rivendita del bene; la frode carosello si realizza tramite la creazione e l’uso di società di comodo, che hanno residenza in un paese estero, in modo tale da sfruttare il meccanismo delle cessioni intracomunitarie allo scopo di evadere l’imposta sul valore aggiunto. Il bene poi viene rivenduto in Italia “oberato” dell’IVA dovuta allo Stato

145 Vedi AA.VV., op.cit.

146 Commissione Tributaria regionale Milano, 18 giugno 2012 n. 133/67, in Il fisco

38/2012.

147 Corte di Cassazione, sez. trib. 20 giugno 2012 n. 10167, in GT, Rivista di

146

italiano148. Ritornando al caso oggetto della sentenza in commento, si trattava di una frode commessa nell’ambito del commercio intra comunitario di autoveicoli che vedeva la partecipazione di due c.d. cartiere. La Commissione Regionale ha affermato che in questo caso la società aveva effettivamente venduto delle automobili acquistate da terzi, anche se questi erano diversi dai fornitori che risultavano dalle scritture ufficiali. Dal momento che i costi erano reali ed inerenti all’attività esercitata dalla società, essi, anche se contenuti in fatture soggettivamente false, erano deducibili in forza della normativa sopravvenuta. Per quanto concerne invece la giurisprudenza di legittimità, la Cassazione si è espressa sulla questione con sent. 10167/2012, che riguardava, anche qui, un’ipotesi di frode carosello nell’ambito della rivendita di autoveicoli. La Corte si è espressa in merito alla questione della deducibilità affermando che “occorre tener

conto della modifica apportata alla disposizione [si riferisce al comma

4bis dell’art. 14, l. 537/1993] con l’articolo 8, comma 1, del D.L. 2

marzo 2012, n. 16”, il quale prevede l’indeducibilità dei costi

direttamente sostenuti per la commissione del delitto non colposo. Dunque, ove il costo sia “testimoniato” da fatture riferibili a soggetti diversi rispetto a quelli che hanno posto in essere l’operazione economica, il costo è deducibile. Nel caso di specie inoltre il comma 4bis novellato verrebbe applicato retroattivamente in forza del comma 3, art. 8 D.L. 16/2012, che prevede la possibilità di una applicazione retroattiva della disciplina dei costi illeciti quando questa sia più favorevole al reo/contribuente. La Corte ha cassato con rinvio sancendo il seguente principio di diritto: nell’ambito delle imposte sui redditi sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti perché sostenuto nell’ambito delle frodi carosello, a meno che non siano costi che, a norma del TUIR, sono in

148 Per un maggiore approfondimento vedi, R. RAZZANTE, M. BARBETTI, “Frodi

147

contrasto coi principi di effettività, inerenza, competenza, certezze, determinatezza o determinabilità. Su questa stessa scia si pongono altre sentenze della Cassazione149, tra cui la 12503/2013150 la quale, ribadendo quanto affermato dalla precedente pronuncia, offre importanti spunti di riflessione per quanto concerne l’onere della prova in capo all’Amministrazione Finanziaria e al contribuente, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti. I giudici hanno affermato che spetta agli Uffici finanziari dimostrare, anche in via presuntiva ed indiziaria, che l’operazione posta in essere sia soggettivamente inesistente, mentre spetta al contribuente la dimostrazione della sua inconsapevolezza circa la falsità dell’operazione. L’onere probatorio in merito non viene assolto limitandosi a dimostrare l’effettivo ottenimento della merce, né il versamento del corrispettivo: il primo elemento è insito nella fattispecie della frode carosello, il secondo è un dato di fatto inidoneo.

Diversa è invece la questione per quanto riguarda le fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, per le quali l’art. 8 comma 2 del d.l. 16/2012 dispone:

Ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell'ammontare delle spese o altri componenti

149 Per citarne qualcuna, si tratta della Corte di Cassazione, sez. VI civ. 11 febbraio

2013 n. 3258, in banca dati Fisconline; Corte di Cassazione, sez. trib. 15 ottobre 2013 n. 23314, in Fisco 41/2013, pag. 6394; Corte di Cassazione, sez. VI civ. 29 gennaio 2014 n. 2016, in Il Foro italiano 2014.

150 Corte di Cassazione, sez. trib. 22 maggio 2013 n. 12503, in Corriere tributario,

29/2013 pag. 2312.

148

negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione e' riducibile esclusivamente ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

La norma in esame non consente la deducibilità dei costi per fatture oggettivamente inesistenti, poiché, appunto, non è stata realizzata l’operazione finanziaria. V’è da chiarire che i documenti attestanti le operazioni inesistenti dal punto di vista oggettivo, non sono solo le fatture, ma anche ricevute e scontrini fiscali, autofatture nonché ogni documento che riporta le suddette operazioni151. L’indeducibilità in questione, tuttavia, trascende dall’applicazione del regime del comma 4bis, art. 14 l.n. 537/1993, poiché essa deriva dall’applicazione delle regole ordinarie di determinazione del reddito ai fini delle imposte sul medesimo152. Ricadono però nella disciplina della indeducibilità dei costi, la “commissione” spettante alla società emittente, la c.d. cartiera, per la predisposizione di fatture false. In questo caso il costo in questione è direttamente sostenuto per la commissione di atti, fatti, attività qualificabili come delitto non colposo e, nella fattispecie, si tratta di del reato di dichiarazione fraudolenta ex d.lgs 74/2000. Infatti, devono tenersi distinte le due ipotesi, giacchè da un lato l’inserimento di elementi positivi o negativi, all’interno del reddito, può alterarlo – e quindi si risponderà del reato di dichiarazione infedele – mentre dall’altro vi sono ipotesi in cui il reddito imponibile non viene alterato da questi artifizi.

Il comma 2, art. 8 del D.L. 16/2012, inoltre, prevede il regime sanzionatorio per le operazioni oggettivamente inesistenti, al fine di reprimere in maniera efficace il disvalore sotteso a tali condotte. La

151 AA.VV., op.cit, pag. 179.

149

norma prevede una sanzione amministrativa dal 25 al 50 percento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi illecitamente dedotti. La sanzione è irrogata tramite atto di contestazione ex art. 16153 D.Lgs 472/1997, il quale deve essere motivato in relazione alla fattispecie contestata e alla quantificazione delle sanzioni dovute. La sanzione è commisurata all’ammontare dei costi non sostenuti portati in detrazione, dopo che sia stata sancita la non imponibilità dei componenti positivi afferenti ad essi. Nel caso in cui non vi siano componenti positivi afferenti ai costi (indeducibili) si applicheranno le ordinarie sanzioni per infedele dichiarazione154. Assonime, nella circolare 14/2012, sostiene che la norma sia dettata per soggetti che attuano delle

153Art. 16 Procedimento di irrogazione delle sanzioni 1. La sanzione amministrativa

e le sanzioni accessorie sono irrogate dall'ufficio o dall'ente competenti all'accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono. 2. L'ufficio o l'ente notifica atto di contestazione con indicazione, a pena di nullita', dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entita' nonche' dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne' ricevuto dal trasgressore, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. (1) 3. Entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni piu' gravi relative a ciascun tributo. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie. (1) (4) (13) 4. Se non addivengono a definizione agevolata, il trasgressore e i soggetti obbligati in solido possono, entro lo stesso termine, produrre deduzioni difensive. In mancanza, l'atto di contestazione si considera provvedimento di irrogazione, impugnabile ai sensi dell'articolo 18. (1) (4) 5. L'impugnazione immediata non e' ammessa e, se proposta, diviene improcedibile qualora vengano presentate deduzioni difensive in ordine alla contestazione. 6. L'atto di contestazione deve contenere l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine previsto per la proposizione del ricorso, con l'indicazione dei benefici di cui al comma 3 ed altresi' l'invito a produrre nello stesso termine, se non si intende addivenire a definizione agevolata, le deduzioni difensive e, infine, l'indicazione dell'organo al quale proporre l'impugnazione immediata. 7. Quando sono state proposte deduzioni, l'ufficio, nel termine di decadenza di un anno dalla loro presentazione, irroga, se del caso, le sanzioni con atto motivato a pena di nullita' anche in ordine alle deduzioni medesime. Tuttavia, se il provvedimento non viene notificato entro centoventi giorni, cessa di diritto l'efficacia delle misure cautelari concesse ai sensi dell'articolo 22. (4) ((7-bis. Le sanzioni irrogate ai sensi del comma 7, qualora rideterminate a seguito dell'accoglimento delle deduzioni prodotte ai sensi del comma 4, sono definibili entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, con il pagamento dell'importo stabilito dal comma 3.))

150

triangolazioni fittizie allo scopo precipuo di dare rilevanza ai fini

impositivi, al solo margine di guadagno del soggetto fittiziamente interposto per la prestazione resa. Si tratta generalmente di società che

rimangono in vita solo per periodi brevi, che sono prive di qualsivoglia solidità e stabilità economica ed organizzativa.