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La tassabilità delle tangenti

Sezione III: Profili applicativi della tassazione dei provent

2. La tassabilità delle tangenti

Come si è potuto vedere dai paragrafi precedenti, l’art. 14 l. 537/1993, ha permesso di riprendere a tassazione i proventi derivanti da attività qualificabili come reati, purchè rientranti nel novero delle categorie reddituali ex art. 6 T.U.I.R. Si è anche detto che non tutti i proventi da reato sono idonei a rientrare nelle suddette categorie, nonostante l’intervento del legislatore nel 2003. In questo senso le c.d.

tangenti hanno posto delle difficoltà, sia in ordine all’inquadramento

nelle categorie reddituali del T.U.I.R., sia in riferimento al possesso temporaneo della somma di danaro. Di queste problematiche si è occupata la Cassazione, Sezione Tributaria, con sentenza 1058/2008165.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, un contribuente aveva fatto da intermediario in una “transazione”, che vedeva come protagonisti un politico ed un imprenditore. A seguito di un accertamento da parte degli uffici finanziari, era stata calcolata una maggiore imposta al soggetto per il solo fatto di aver trattenuto, anche se temporaneamente, la tangente che era destinata al partito politico. Il

164 Corte di Cassazione, sez. II civ. 18 settembre 2009 n. 20258, in Il Foro italiano

2010, vol. I, pag. 2148.

165 Corte di Cassazione, sez. trib. 18 gennaio 2008 n. 1058, in Rassegna Tributaria,

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primo punto da analizzare è l’inquadramento reddituale delle tangenti. È indubbio che il possesso dei redditi sia condizione necessaria ai fini del prelievo fiscale ma, tuttavia, non è condizione di per sè sola sufficiente perché il nostro sistema tributario richiede l’appartenenza del provento ad una categoria individuata dalla legge. Di questo il legislatore era ben consapevole quando ha introdotto la fattispecie, di cui all’art. 14, comma 4, l.n. 537/1993, la quale esige che il provento illecito, per essere tassato, debba essere ricondotto alle più volte menzionate categorie reddituali. Poichè la questione era stata tralasciata in secondo grado dalla Commissione tributaria Regionale (che aveva ritenuto bastevole il mero possesso del reddito per poterlo assoggettare a prelievo fiscale), essa è stata affrontata dalla Suprema Corte, la quale ha ritenuto di dover ricondurre le c.d. tangenti nell’ambito dei redditi di cui all’art. 81, 1 comma, lettera l)166, dunque nella fattispecie dei redditi diversi, ed in particolare tra quelli derivanti dall’assunzione di obblighi

di fare, non fare, promettere. In tal caso, secondo gli Ermellini, si sarebbe trattato di un “obbligo di fare assunto, in conseguenza

dell’accordo criminoso per cui, ricevuto il denaro, diveniva attuale adoperarsi per il compimento di quanto prestabilito, allo scopo di favorire, in qualsiasi modo, le parti interessate”. Se, da questo punto di

vista, la sentenza pare non destare critiche rilevanti, è un altro punto a suscitare qualche perplessità, vale a dire quello inerente all’imputazione del reddito illecito. Ed, infatti, quest’ultimo è stato attribuito all’intermediario del “negozio illecito” e non al percettore effettivo della somma, poiché egli aveva assunto un obbligo di fare consistente nel riversare il danaro percepito al politico che aveva preso parte al pactum

sceleris. La disponibilità, anche provvisoria, della somma di denaro è

bastevole a rendere tassabile il provento in capo all’intermediario: il percettore temporaneo del provento ne subisce il prelievo fiscale. La Suprema Corte riteneva che fosse di scarsa importanza il requisito del

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possesso dei redditi (nel senso che non si preoccupava di individuare chi fosse il reale ed effettivo possessore della tangente), ma mirava la propria attenzione sulla necessità di comprendere se la tangente fosse provento tassabile, propendendo per la risposta affermativa. La ragione posta a sostegno di questa decisione risiedeva nel fatto che, essendo l’operazione complessiva di natura illecita, l’ordinamento non avrebbe potuto realizzare situazioni giuridicamente protette dal punto di vista soggettivo. Questa soluzione lascia insoddisfatta la dottrina; Muraro167 nel commentare la sentenza in questione, ritiene che la Corte abbia colto l’occasione per poter emettere una condanna esemplare che faccia da monito a tutti coloro che si accingano a porre in essere negozi illeciti. Beghin168, commentando la sentenza ivi analizzata, afferma che lo scopo precipuo della pronuncia sia quello di mettere in luce che nel mondo

dell’illecito, la distinzione tra possesso, disponibilità e detenzione, non ha peso. [...] Detto con altre parole, il soggetto cui è stato notificato l’avviso di accertamento avrebbe assunto la titolarità di un reddito fiscalmente rilevante per il mero fatto di essere entrato in contatto con le somme costituenti “tangente”. Secondo Nussi169, invece, il motivo

della decisione della Corte va ricercato nella confusione ingenerata dallo stesso legislatore il quale, nella stessa legge 537/1993, equipara il provento al reddito nonostante il primo rappresenti solo una parte del secondo, e, precipuamente, la componente positiva dello stesso. Di conseguenza rileva, sia per il legislatore che per la giurisprudenza, il provento ed in particolare la volontà da parte del soggetto di riceverlo, anche temporaneamente, non essendo importante il fatto che esso sia destinato a terzi. L’Autore ritiene che in sostanza, mutando il presupposto oggettivo dell’imposizione (in tal caso il provento),

167 M. BEGHIN, D. MURARO, Tassabili ai fini IRPEF le <<tangenti>> destinate a

partiti politici, in Corriere Tributario, 14/2008, pag. 1131.

168 Ibidem.

169 M. NUSSI, Proventi illeciti, tangenti e riferibilità soggettiva del presupposto

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cambierebbe anche il referente soggettivo dello stesso, il soggetto passivo, che, in ipotesi quali la concussione o la corruzione, non può che essere rappresentato dai soggetti che prendono parte al pactum sceleris, e non dall’effettivo percettore, dal destinatario ultimo della somma di danaro, come accadrebbe se si prendesse in considerazione come oggetto dell’imposta il reddito.

Questo orientamento, poco attento alla corretta riferibilità soggettiva del provento, nasce già intorno agli anni 2000 ed, infatti, una pronuncia della Cassazione affermava che la stessa legge escludesse l’imponibilità solo in presenza di provvedimenti ablatori, dunque “il

mero programma di ablazione o restituzione del provento non è di per sè rilevante”170. La sentenza pare confondere, con esiti devianti171, il piano oggettivo e quello soggettivo dell’imposizione. Innanzitutto solo un provvedimento ablatorio di natura penale – come accennato nella I sezione – è idoneo a paralizzare il prelievo fiscale sul provento, mentre i provvedimenti restitutori o riparatori non hanno questo effetto impeditivo. Fatta questa breve annotazione, v’è da sottolineare che il provvedimento ablatorio di natura penale incide sul profilo oggettivo della disciplina, ossia sull’an della tassazione, non essendo riferibile al profilo soggettivo dell’imposizione.

2.1. I profili inerenti alla deducibilità dei costi

Interessante pare la questione inerente alla deducibilità, o meno, delle somme costituenti tangenti.

La Cassazione con una sentenza del 2001172 ha statuito che il contribuente, il quale al fine di occultare la tangente, predisponga una fattura attestante un’operazione inesistente, non possa dedurre il costo,

170 Corte di Cassazione, sez. trib. 11 dicembre 2000 n. 15567, in Giustizia civile

1/2001, pag. 2171.

171 Cfr. M. NUSSI, op.cit.

172 Corte di Cassazione, sez. trib. 19 aprile 2001, n. 5796, in Il Foro italiano, 2002,

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né detrarre l’IVA, a prescindere dal reato commesso. Nel caso di specie un imprenditore era stato compulsato dalla Guardia di Finanza a pagare una somma di denaro per evitare che la sua impresa fosse sottoposta ad un lungo e paralizzante accertamento. Nonostante il caso in esame fosse sussumibile sotto la fattispecie di concussione, il giudice penale ha ritenuto di qualificare il caso di specie come corruzione. Il contribuente adduceva come motivo di ricorso il fatto che, trattandosi di concussione e non di corruzione, il costo per la tangente fosse deducibile in quanto sostenuto conseguentemente ad un’ intimidazione della Guardia di Finanza, e dunque inerente all’attività di impresa. Il ricorso dell’imprenditore non è stato accolto, dal momento che il caso era già stato qualificato come corruzione da parte del giudice penale, e in ragione del fatto che il contribuente aveva emesso una fattura per un’operazione oggettivamente inesistente al fin di occultare il pagamento della tangente.

Pare condivisibile la decisione della Cassazione giacché l’indeducibilità del costo, nel caso di specie, sarebbe da riferire non alla tangente ma all’operazione inesistente documentata nella fattura173.

3. La tassazione dei proventi del reato di usura e i rapporti