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In tutti i paesi, lo Stato interviene nell’economia, seppur in misura differente, per modificare l’allocazione delle risorse determinata dal mercato. Il “Welfare State” rappresenta una delle più importanti istituzioni finalizzate a tale obiettivo. Nei paesi socialisti, l’intervento pubblico ha storicamente preso la forma di un completo controllo dell’allocazione delle risorse, associato all’assenza dei mercati e dell’istituto della proprietà privata. Nelle economie di mercato, l’intervento dello Stato è risultato più moderato ed ha assunto forme meno estreme: esso ha sempre dato luogo a problematiche complesse. La prima – e fondamentale – domanda è se gli individui possono credere nel governo; in secondo luogo, anche volendo credere nelle buone intenzioni del governo, c’è da chiedersi se sia di fatto possibile attuare delle politiche economiche “Paretiane”, ovvero che garantiscano il miglioramento del benessere per almeno alcuni cittadini, senza ridurlo per nessuno. Quasi tutti i programmi presenti nei sistemi di welfare contengono forti elementi redistributivi, che consentono un miglioramento del benessere di alcuni individui, ma a scapito del benessere di altri gruppi di cittadini.

La dimensione dello Stato, misurata attraverso la spesa pubblica, il gettito fiscale, il consumo e gli investimenti pubblici, rappresenta un primo indicatore per comprendere l’entità dell’intervento pubblico nell’economia. La dimensione e la composizione del welfare state identificano con maggior dettaglio gli interventi di carattere redistributivo, mentre le normative del mercato del lavoro e la regolamentazione del mercato dei prodotti caratterizzano l’intervento legislativo dello Stato in ambito economico.

Per ben comprendere il ruolo che ricopre lo stato italiano nelle politiche di welfare, è necessario analizzare gli ambiti di servizio in cui essa interviene. L’intervento pubblico in questi campi trova giustificazione nella meritorietà dei beni e servizi che essi hanno ad oggetto, nel fatto che migliori servizi di welfare hanno effetti positivi sulla collettività (crescita economica, minore tensione sociale, etc.) e per il superamento delle asimmetrie informative (spesso in servizi di questo tipo gli utenti sono in condizione di forte deficit rispetto ai fornitori del servizio).

SANITÀ

Assistenza di base Spesa farmaceutica

Assistenza specialistica e ospedaliera

PUBBLICA ISTRUZIONE Istruzione obbligatoria Istruzione secondaria Istruzione universitaria ABITAZIONI POPOLARI --- AMMORTIZZATORI SOCIALI Cassa integrazione Indennità di disoccupazione Assicurazione infortuni sul lavoro Assicurazioni malattia e maternità

SISTEMA PENSIONISTICO

Pensioni di vecchiaia Pensioni di anzianità Pensioni per i superstiti

ASSISTENZA

Assegni per i figli Pensione sociale

Pensioni e rendite per handicap Pensioni per invalidi civili

ASSISTENZA SANITARIA

La legge 23 dicembre 1978 n. 833 istituisce il Servizio nazionale sanitario (SSN), termine ispirato ai servizi nazionali sanitari del Regno Unito. Il SSN nasce come sistema pubblico ed universale per garantire cure mediche a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito. Successivamente, tuttavia, la situazione finanziaria ha reso necessaria l'introduzione di un ticket a carico degli utenti, sulla base di tariffe definite dalle Regioni e parametrate al costo delle prestazioni per gli esami e dei medicinali ed al reddito. Oggi il Servizio sanitario nazionale è finanziato sia dalle imposte dirette che dai ricavi delle aziende sanitarie locali, derivanti dai pagamenti parziali o totali sui servizi erogati. Le prestazioni sanitarie sono erogate dalle aziende sanitarie locali. Il Ministero della sanità riveste, invece, un ruolo di pianificazione degli interventi in ambito sanitario.

PUBBLICA ISTRUZIONE

In Italia l'istruzione è gratuita e obbligatoria tra 6 e 16 anni. Vi sono inclusi cinque anni di scuola primaria, tre anni di scuola secondaria inferiore e due anni di scuola secondaria superiore. In alternativa alla scuola secondaria superiore, esistono percorsi di Formazione professionale di competenza regionale. Durante la scuola primaria sono previsti contributi per i libri di testo mentre dall'età di 12 anni i costi dei libri, del trasporto e le tasse per la frequenza delle scuole secondarie superiori sono a carico delle famiglie, pur essendo previsti contributi da parte degli enti locali, in base al reddito (a titolo esemplificativo, la cessione dei libri di testo in comodato d'uso gratuito). Le Università sono sia pubbliche che private. Le università pubbliche sono principalmente finanziate dallo Stato, hanno tasse d'iscrizione basate sul reddito e, in virtù del Diritto allo studio universitario, prevedono l'erogazione di benefici agli studenti a basso reddito.

ABITAZIONI POPOLARI

Il problema di abitazioni salubri ed economiche per la popolazione a basso reddito porta all'approvazione nel 1903 della legge Luzzati, che prevedeva la costituzione di locali istituti per le case popolari a carattere pubblico e senza scopo di lucro allo scopo di costruire ed affittare gli appartamenti per soddisfare le esigenze di una popolazione urbana in aumento; tali agenzie vengono riformate nel 1938. Nel 1962, la Legge n.167 incoraggia l'acquisto da parte degli enti locali di terreni da usare per le case popolari; anche se questo intervento ha attenuato l'esigenza di alloggi popolari, ha condotto tuttavia alla costruzione di quartieri dormitorio senza servizi residenziali, finendo per restare tagliati dal resto delle città, tanto da imporre fin dal 1978 politiche di riqualificazione. Nel 1978 la Legge sull'Equo Canone introduce un tetto massimo ai canoni d'affitto delle proprietà residenziali e contratti di durata quadriennale. L'importo massimo del canone veniva incrementato molto più lentamente del tasso d'inflazione e non ha aderito ai cambiamenti nella popolazione urbana. Ciò ha condotto i proprietari a preferire la vendita all'affitto o ad accordarsi autonomamente con il locatore; ciò, a sua volta,

ha condotto ad una limitazione nel mercato locativo. Nel 1998, soltanto il 20% del mercato degli alloggi in Italia era locativo; le famiglie medie e con reddito elevato hanno preferito acquistare la loro casa, mentre famiglie a basso reddito che non possono comprare sono soggette ad alti affitti. La Legge affitti del 1998 ha provato a ravvivare i contratti locativi liberalizzando i canoni e permettendo che i contratti d'affitto fossero regolati dalle organizzazioni degli inquilini e dei proprietari. La graduatoria per ottenere un alloggio popolare ed il relativo canone d'affitto dipende dal reddito ed è aperta agli immigrati.

AMMORTIZZATORI SOCIALI

Lo stato di disoccupazione è affrontato in Italia con contributi statali, sotto forma di prestazioni a sostegno del reddito, chiamato indennità di disoccupazione. Hanno diritto a tale contributo, pari ad un massimo del 40% degli stipendi precedenti, i lavoratori con due anni di anzianità assicurativa e che hanno versato i contributi previdenziali per almeno 52 settimane durante questi due anni. Il periodo di indennità di disoccupazione è generalmente di 12 mesi. Per poter continuare a beneficiare delle indennità, il lavoratore non può rifiutarsi di partecipare ad un corso di formazione, o di svolgere un lavoro simile con un salario di oltre il 90% di quello precedente e deve comunque comunicare al locale Centro per l'impiego di aver trovato un'occupazione. Gli alti tassi di disoccupazione che l'Italia ha affrontato negli anni 80 hanno portato le indennità di disoccupazione a diventare il primo fattore di aumento nelle spese di previdenza sociale ed hanno contribuito all'aumento del debito pubblico italiano. Nel 1947 viene istituita la cassa integrazione guadagni, consistente in una prestazione economica in favore di lavoratori che siano stati sospesi o che lavorino a tempo ridotto a causa di difficoltà provvisorie delle loro aziende. Questo istituto è finalizzato a sostenere le aziende in difficoltà finanziarie, alleviandole dai costi della manodopera inutilizzata, al tempo stesso sostenendo i lavoratori che perderebbero parte del loro reddito. Gli operai ricevono l'80 % dei loro stipendi precedenti, nell'ambito di un tetto massimo stabilito dalla legge ed i loro contributi pensionistici sono considerati versati (si

parla di contributi figurativi). Insieme alla cassa integrazione guadagni, dal 1984 aziende possono chiedere la stipulazione di un contratto di solidarietà: dopo una trattativa con i sindacati locali, l'azienda può stipulare contratti con tempo di lavoro ridotti, per evitare di allontanare la manodopera in eccedenza . A quegli operai sarà versato il 60% dello stipendio precedentemente percepito. Tali contratti possono durare fino a quattro anni oppure cinque, nelle zone meridionali italiane. Dal 1993, i contratti di solidarietà possono essere stipulati anche dalle aziende non rientranti nella cassa integrazione guadagni. Se la cassa integrazione non consente alla società di ristabilire una situazione finanziaria buona, i lavoratori possono avere diritto a indennità di mobilità, se hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato e sono state impiegate nei precedenti dodici mesi. Sono forniti incentivi alle aziende per la loro eventuale assunzione.

SISTEMA PENSIONISTICO

La storia delle pensioni in Italia risale alla istituzione nel 1898 della Cassa nazionale di assicurazione per invalidità e invecchiamento (CNAS), una assicurazione volontaria che riceveva contributi da Stato e dai datori di lavoro, divenuta obbligatoria nel 1919. L'Agenzia è stata ribattezzata Istituto nazionale fascista della previdenza sociale nel 1933, per poi assumere nel 1943 l'attuale denominazione. Nel 1939 venne introdotta l'assicurazione contro la disoccupazione, l'assicurazione contro la tubercolosi, le pensioni di vedovanza e gli assegni familiari, con le prime forme di cassa integrazione guadagni; l'età della pensione venne abbassata. Nel 1952 le pensioni vennero riformate ed introdotta la pensione minima. Nel 1968 – 69 il sistema contributivo venne sostituito da quello retributivo, basato sul salario percepito. Nuovo misure vennero introdotte in favore dei lavoratori e dei datori di lavoro per affrontare le crisi produttive. Dal 1980 è l'INPS ad occuparsi del pagamento dell'indennità di malattia e della riscossione dei relativi contributi, e nel 1989 è passata attraverso una riforma amministrativa. I disordini finanziari dei primi anni 1990 hanno portato ad un aumento di età pensionabile nel 1992 e all'introduzione dei sistemi volontari di assicurazioni

private l'anno successivo. La riforma, al fine di ridurre sia la frammentazione e la spesa pubblica, è stato completato dalla Legge Dini del 1995 e introdotta una pensione flessibile tra i 57 e i 65 anni nonché ristabilito il sistema contributivo. Nel 1996 venne approvata la copertura previdenziale per i nuovi lavoratori flessibili. Nel 2004 la legge Maroni ha cercato di riformare in modo restrittivo il sistema pensionistico a partire dal 2008. Ulteriori riforme sono state approvate nel 2009 e ancora nel 2011.

ASSISTENZA

L’evoluzione del settore dell’assistenza in Italia mette in evidenza come a un nucleo originario di interventi considerati assistenziali (volti cioè a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari a tutela della sopravvivenza fisica di individui e famiglie) si siano via via aggiunti nuovi interventi mirati a garantire alla persona una condizione di vita più umana nelle sue diverse componenti per tutto l’arco della vita. Gli interventi assistenziali hanno contemplato con gli anni anche l’area sanitaria, scolastica e previdenziale richiedendo una forte necessità di coordinamento tra le varie aree.

Grafico 10: WELFARE ITALIA. Ripartizione degli investimenti nel sistema di protezione sociale16

16 Elaborazione su dati delle Relazioni CNEL 2011-2012 (“Rapporto sul welfare 2012 – 2013”, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Commissione istruttoria Politiche sociali e della Pubblica Amministrazione (V), Linea di lavoro Welfare, pag.: 32)

Come si può ben vedere, in Italia l’ambito di applicazione del welfare pubblico è molto vasto e, di conseguenza, la spesa pubblica a copertura di tali servizi richiede la presenza di fonti capienti, derivanti dal ricorso al debito oppure, in prima istanza, dal gettito fiscale. Risulta sempre più evidente che tale copertura non sia più sufficiente a coprire tutte le necessità delle famiglie italiane, sia che l’esigenza sia la copertura di un ticket sanitario piuttosto che un sostegno nei confronti della disoccupazione.

In generale, però, il protrarsi della crisi ha accentuato alcuni aspetti di più lunga deriva del rapporto degli italiani con il welfare:

 la valutazione negativa del suo funzionamento, sia come qualità dei servizi e interventi (che dal sanitario al socio – sanitario al socio – assistenziale al formativo e alla scuola sono considerati in netto peggioramento) sia come capacità di contenere le disuguaglianze sociali e territoriali;

 la convinzione che nel prossimo futuro la copertura pubblica si contrarrà in misura rilevante, com’è già accaduto nella previdenza e nel socio –

assistenziale e come sta accadendo per la formazione e la sanità. Ne consegue che gli italiani sono ancora più convinti che si dovrà contare sugli strumenti dell’autotutela costruiti con risorse proprie;

 la stanchezza per le tante, troppe, riforme annunciate come decisive e risolutive e poi o rimaste sulla carta o trasformatesi in tagli secchi delle tutele sociali. Il disincanto verso le riforme dall’alto alimenta forme di neo

– conservatorismo sociale che d’istinto si trincerano nella difesa di ogni pezzo di welfare non ancora intaccato, anche laddove esso è evidentemente obsoleto e penalizzante per alcuni gruppi sociali.

È questo il clima generale formato dall’intreccio di sentiment, scelte e comportamenti sociali dei cittadini rispetto alle tutele dai grandi rischi e / o dagli eventi imprevisti. Esso si innesta su contraddizioni di più lunga deriva che già minavano il welfare dall’interno come, in particolare, l’asimmetria tra bisogni e matrice dell’offerta di copertura con tante vulnerabilità semplicemente lasciate a se stesse e la conseguente inappropriatezza nell’uso delle risorse che fa convivere alta spesa e copertura insufficiente.

Non a caso l’Italia ha una spesa per la protezione sociale pari ad oltre un quarto del Pil ma al contempo il sociale appare come oscuro e minaccioso, con bisogni sociali poco e malcoperti o, ancora, nuove povertà e ineguaglianze stridenti. E il paradosso è che mentre gli italiani, non da oggi, si dichiarano convinti che così com’è il sistema di welfare, la sua componente pubblica in particolare, non va, (perché costa troppo per quel che produce) tanto che aumenta di molto la loro esposizione finanziaria.

Dalla sanità alla formazione dei figli, le proposte di modifica che sono portate dall’alto provocano reazioni di rigetto perché incapaci di offrire risposta al bisogno primo a cui si rivolge il welfare: la sicurezza sociale, la percezione di avere le spalle coperte rispetto a quegli eventi di vita che da soli, con le proprie risorse, si è certi di non riuscire ad affrontare. Così anche nella prima fase della crisi, in fondo, ci si è adagiati sulla capacità di reazione del welfare reale tipicamente nostrano, quello fatto da un mix di ammortizzatori sociali formalizzati (con un’efficace mobilitazione dal centro al livello locale) e altrettanti ammortizzatori impliciti, fondati sulle reti informali, dalle famiglie alla responsabilità sociale diffusa; per un periodo il meccanismo ha retto bene, tanto che in Italia gli effetti sociali della crisi, le ricadute negative su occupazione e reddito erano state meno drammatiche che altrove.

Ma il protrarsi della crisi sta cambiando le variabili in campo, perché le risorse familiari sono ormai sovraesposte, l’economia sociale risente duramente delle restrizioni di bilancio e le risorse pubbliche sono oggetto di tagli draconiani; sul piano del welfare, questo significa che l’asse della copertura si sposta di molto verso i bilanci familiari, già ora sovrasollecitati, tanto che è facile evidenziare pesanti conseguenze sul piano dell’equità, come mostrano i dati sulla diversa capacità di costruire autotutela in relazione alla condizione socio – economica. È un quadro complesso forse come mai prima d’ora e tuttavia è al suo interno che occorre leggere le diverse dinamiche sociali che coinvolgono gruppi sociali

specifici. Storicamente il welfare in Italia, almeno nei suoi comparti chiave, dalla sanità alla previdenza al socio – assistenziale sino alla scuola, si è consolidato come statuale e a monopolio pubblico ed è poi transitato in una fase pluralista con un pilastro centrale pubblico, ma con una notevole articolazione di providers e ampi spazi di scelta per la domanda: quel sistema, ora più che mai, traballa, perché costa troppo e copre troppo poco, e soprattutto non abbastanza chi più ne avrebbe bisogno.

Questo apre una sorta di fase costituente che non necessariamente è un processo verticale da assemblea costituente, ma piuttosto un percorso sociale in cui i tanti soggetti che operano nel sociale sono sfidati a portare idee, proposte, pratiche capaci di rigenerare sicurezza sociale in modalità sostenibili. Non ci sarà alcuna grande riforma risolutiva, ma solo un lungo, lento, lavorio di ridefinizione delle tutele sociali che, per alcuni aspetti è già in atto e che se vuole garantire il valore supremo della coesione comunitaria e sociale non può solo significare spostamento di rischi e costi dal pubblico al privato; perché questo processo, nelle forme più virtuose, è in atto da molto tempo e se accentuato ulteriormente, senza introdurre innovazioni efficaci, rischia solo di spezzare la necessaria percezione diffusa di sicurezza sociale, senza la quale non potrà mai esserci crescita.