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Le posizioni seguenti all'introduzione della l. 45/01

5. Il contributo della dottrina

5.3. Le posizioni seguenti all'introduzione della l. 45/01

Se le posizioni della dottrina sin qui analizzate hanno carattere eminentemente storico e/o possono essere utili per fornire uno sguardo critico rispetto alle modalità con cui il legislatore ha normato inizialmente questa materia, diverse considerazioni possono essere svolte rispetto ai contributi successivi all'emanazione della l. 45/01.

In questo caso siamo infatti di fronte a una disciplina tutt'ora in vigore e rispetto alla quale può essere molto utile comprendere i dubbi e le riserve degli studiosi, soprattutto nell'ottica di una futura possibile nuova legge di modifica.

Molti sono gli spunti di riflessione che sono stati offerti al dibattito giuridico grazie alle analisi e ai commenti provenienti da più parti.

Variegati sono, anche in questo caso, i punti di vista; ciascun autore, in base alla propria sensibilità, ha focalizzato l'attenzione su differenti elementi e ha espresso la propria opinione.

Se per alcuni di essi l'impianto normativo è complessivamente positivo, altri tendono maggiormente a mettere in evidenza i profili di criticità della disciplina, non mancando di esprimere delle riserve.

Come è ovvio, non è possibile in questa sede esaminare esaustivamente tutte le posizioni della dottrina; si cercherà di rendere una panoramica dei pareri

105 Tale proposta va inserita tenendo conto del dato normativo allora vigente, in base al quale ‘momento tutorio’ e ‘momento penitenziario’ erano strettamente connessi. Tale connessione, come noto, è stata superata con la l. 13 febbraio 2001, n. 45.

106 Questa proposta fu presa in considerazione dal legislatore, che infatti la introdusse con la la novella del 2001.

più rilevanti, al fine di lasciare delle suggestioni e di rendere l'idea del numero e della complessità dei profili che potrebbero essere presi in considerazione.

Vediamo ora alcuni di questi contributi.

5.3.1. L'analisi critica di Carlo Ruga Riva

Tra gli autori che con maggior forza argomentativa hanno espresso dubbi sull'attuale assetto normativo si può certamente annoverare Carlo Ruga Riva.

Confrontando la disciplina vigente con quella dettata con la ‘decretazione d'emergenza’ egli constata la presenza di alcuni elementi di merito, che vengono, però, oscurati da una regolamentazione in sostanziale continuità con quella originaria.

Se viene riconosciuto il pregio di aver finalmente distinto il ‘momento

tutorio’ rispetto a quello ‘penitenziario’107 (l'applicazione di misure speciali di

sicurezza non è più prerequisito rispetto alla concessione dei benefici in fase esecutiva), l'autore evidenzia dall'altra parte il perdurare di determinati limiti, insiti in un approccio errato alla materia.

Vale qui la pena citare un suo passaggio: “La premialità penitenziaria sembra utilizzata dal legislatore italiano soprattutto per scopi diversi da quelli che le sono connaturati: più che assurgere a stimolo o a ricompensa per l'avvenuto progresso risocializzativo, essa viene strumentalizzata a fini processuali, di acquisizione di nuovo materiale probatorio, ovvero sostanziali, di

prevenzione di offese future”108.

Come già messo in luce precedentemente da altri autori109, i maggiori

dubbi riguardano l'aver predisposto una serie di istituti premiali in fase esecutiva spacciandoli per strumenti con finalità rieducativa.

Ruga Riva esprime le proprie perplessità anche con riferimento alla non contrarietà della disciplina in esame rispetto al fondamentale principio di uguaglianza sancito dall'art. 3, comma 1, della Costituzione.

In particolare egli si pone il quesito se sia compatibile con suddetto principio prevedere, per i soli collaboratori di giustizia, il venir meno dei limiti temporali per l'applicazione dei benefici penitenziari previsti in via generale per

gli altri condannati110 e se sia conciliabile con i principi cui si ispira il nostro

ordinamento l'idea per cui “si premia per punire altri”111.

107 RUGA RIVA C:, Il premio per la collaborazione processuale, cit., p. 341. 108 RUGA RIVA C., Il premio per la collaborazione processuale, cit., p. 359.

109 Si veda quanto espresso da Alessandro Bernasconi e riportato nelle pagine precedenti. 110 Nello stesso senso già Pulitanò: PULITANÒ D., Rigore e premio nella risposta alla

criminalità organizzata, in CNPDS (a cura di), I reati associativi, Milano, 1998.

111 Queste e altre simili considerazioni sono presenti in: RUGA RIVA C., Il premio per la

5.3.2. Il commento di Fabio Fiorentin

Di avviso diverso sono, ancora una volta, numerosi esponenti della magistratura.

Tra i tanti pareri, viene qui proposto quello di Fabio Fiorentin, noto giudice di sorveglianza, che nel commentare la l. 45/01 compie osservazioni contrastanti con quelle di un accademico come Carlo Ruga Riva.

Se questo autore aveva infatti posto l’accento su una premialità ‘generosa’, connotato sia della ‘decretazione d’emergenza’ che della riforma del 2001, Fiorentin non è del medesimo parere e ravvisa nella rinnovata disciplina elementi di particolare rigore, soprattutto dal punto di vista penitenziario, che pure hanno “contribuito a rimuovere dalla normazione premiale in esame un profilo distonico rispetto all’esigenza costituzionalmente prevista che la pena (e dunque le sue concrete modalità di espiazione) siano orientate alla

rieducazione del reo”112.

Il contributo di questo autore consiste, a parere di chi scrive, nell’aver evidenziato i punti di forza della legge di riforma sotto il profilo della special-prevenzione.

Ricollegato al pregio di aver separato ‘momento tutorio’ e ‘momento penitenziario’, peraltro riconosciuto unanimemente dalla dottrina, la legge del 2001 ha il merito di aver razionalizzato il sistema, “atteso che la decisione sui benefici penitenziari in rapporto alle esigenze retributive e rieducative del caso concreto è sottratta alla pesante ipoteca della sussistenza, o no, dello speciale

programma di protezione”113.

La normativa emanata non contiene più, dunque, quei profili di criticità che avevano portato a dibattere della necessità di una legge di modifica.

Non è corretto quindi affermare che l’ordinamento conceda ora con troppa facilità l’accesso ai benefici penitenziari o al programma di protezione, in quanto questi due aspetti sono posti su piani separati.

Inoltre le caratteristiche che devono avere le dichiarazioni rese dagli aspiranti collaboratori (importanza, tempestività, genuinità, attinenza alle fattispecie penali tassativamente indicate dal legislatore) rendono ancor più rigorosa la disciplina.

Il legislatore si è mosso nella direzione opposta a quella di chi afferma che il sistema premiale avrebbe maglie troppo larghe, in quanto “appare evidente la

contrazione della premialità insita nel nuovo dettato legislativo”114, la quale

sarebbe finalizzata all’esigenza di ricalibrare la portata dei benefici concessi a chi comunque si sia macchiato di delitti di grave allarme sociale.

112 FIORENTIN F., I benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia: alcune annotazioni alla

luce della prima applicazione della legge n. 45/01, aprile 2003, www.diritto.it.

113 FIORENTIN F., I benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia, cit. 114 FIORENTIN F., I benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia, cit.

Coerente con un’impostazione special-preventiva sarebbe, dunque, l’aver introdotto tra i presupposti da valutare ai fini della concessione dei benefici penitenziari l’avvenuto ravvedimento del condannato (nuovo art. 16-nonies del d.l. 8/91), prima richiesto solo con riferimento alla liberazione condizionale.

Un miglioramento rispetto alla l. 82/91 è allora riscontrabile nel superamento della prospettiva meramente mercantilistica e nell’aver prestato maggiore “considerazione al principio rieducativo costituzionalmente imposto da ogni esecuzione di pena”115.

Semmai, se una censura può essere mossa, si dovrebbe far notare che la l. 45/01 impone la prova del ravvedimento del reo anche per accedere a benefici (in particolare permessi-premio e detenzione domiciliare) che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, non presuppongono la resipiscenza del soggetto, ma solo un grado di pericolosità sociale limitato e, dunque, compatibile con l’applicazione di tali provvedimenti favorevoli.

5.3.3. Conclusioni

Le riflessioni in merito alla generale configurabilità di previsioni premiali per i collaboratori di giustizia sembrano ora avere valore storico e, pur fornendo un interessante sguardo critico, appartengono a una prospettiva superata; nessuno, o quasi, mette più in discussione la necessità di benefici: ciò di cui ancora si discute è semmai il piano su cui tali benefici si debbano concedere e se sia possibile migliorare la disciplina in esame, rendendola quanto più possibile coerente con i principi dell’ordinamento.

A venticinque anni dall’introduzione di tale normazione (modificata nel

2001) i ‘pentiti’ sono un “male necessario”116, di cui si vorrebbe fare a meno, ma

non si può fare a meno.

È bene allora prendere atto che la collaborazione di giustizia serve e deve essere incoraggiata; la discussione non riguarderà quindi il se della collaborazione, ma il come.

Conseguentemente il recente dibattito non verte sull’utilità generale di tale istituto quanto sulle modalità con cui esso dovrebbe essere disciplinato, soprattutto in ragione della funzione della pena che maggiormente deve essere valorizzata, ovvero quella special-preventiva, secondo le indicazioni fornite dalla recente giurisprudenza costituzionale.

Le prospettive di riforma più interessanti riguardano, peraltro, il superamento dei limiti all’accesso alle misure penitenziari; per tale disamina si rinvia, dunque, al prossimo capitolo.

115 FIORENTIN F., I benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia, cit.

116 DI MARTINO C., Il difficile connubio tra funzione rieducativa della pena e benefici