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3. La prima formulazione della norma

3.2. La 'struttura a fasce'

Introdotto dall’art. 1 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, l’articolo era rubricato “Accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”.

Le parole in grassetto sono particolarmente rilevanti e sono state, quindi, poste in evidenza.

Ecco, dunque, la disposizione originaria: “1. L'assegnazione al lavoro

all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione

previste dal capo VI159 possono essere concessi ai condannati160 per delitti

commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti di cui agli articoli 416-bis e 630 del codice penale e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, solo se sono stati

acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva. Quando si tratta di condannati per i delitti

di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e all'articolo 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo

157 DELLA CASA F., Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario, cit., p. 91.

158 Argomenta in tal senso, oltre a Franco Della Casa: IOVINO F. P. C., Legge penitenziaria e

lotta alla criminalità organizzata, cit., p. 439, secondo cui: "L'introduzione nel capo I del titolo

I, tra i principi, è indicativa della volontà del legislatore di modificare non già i parametri trattamentali in sede di esecuzione, bensì le stesse direttive che presiedono al governo penitenziario". Allo stesso modo: CESARI C., GIOSTRA G., Divieto di concessione dei

benefici, cit., p. 52; secondo i due autori conferisce centralità al dettato normativo sulle

preclusioni penitenziarie il suo inserimento nel capo dedicato ai "Principi direttivi", fino a quel momento incentrato su "garanzie, diritti ed interventi promozionali riferibili al condannato".

159 Si tratta, ovviamente, del Capo VI della l. 26 luglio 1975, n. 354, nota come legge sull’ordinamento penitenziario.

160 Si ritiene che la dizione "condannati" debba essere interpretata alla lettera, per cui "per questi reati il vincolo associativo deve risultare accertato in sentenza senza nessuna possibile valutazione di merito da parte del giudice di sorveglianza". Così in: COMUCCI P.,

80, comma 2, del predetto testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, i benefici suddetti possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.

2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.”

Come si evince a una prima lettura dell’articolo, la comprensione delle disposizioni in esso contenute non è affatto agevole.

La norma deve essere necessariamente scomposta nei tre commi originari per essere analizzata; il comma 1 è oggetto dei prossimi due paragrafi, mentre ai commi 2 e 3 saranno dedicate le pagine immediatamente successive.

Il comma 1, il più discusso, racchiudeva in sé disposizioni di diversa portata e si articolava, a sua volta, in due parti; ciascuna di esse stabiliva le modalità attraverso cui si sarebbero potuti concedere i benefici penitenziari e le misure alternative, modalità che erano diverse in base alla tipologia di reato.

É questa la c.d. ‘struttura a fasce’161, propria dell'articolo 4-bis o.p. e sua

cifra caratteristica anche nelle successive formulazioni:

- la ‘prima fascia’ comprendeva delitti di sicura riferibilità alla criminalità organizzata o eversiva e in relazione a tali tipologie delittuose la concessione veniva subordinata all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità dei collegamenti; rientravano in questo elenco: le condotte commesse alle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p., il reato di associazione a delinquere di

161 La dizione 'struttura a fasce' è stata coniata dalla dottrina subito dopo l'emanazione della norma ed è stata unanimemente adottata anche dal mondo giurisprudenziale. L'idea di graduare i reati in 'fasce' nasce dall'idea di approcciarsi in maniera diversa in base alla gravità del fatto commesso; da tale elemento viene infatti dedotta la presunta pericolosità sociale del soggetto, che, secondo quanto stabilito dal codice penale all'art. 203, si sostanzia concretamente nella "probabilità di recidiva in qualsiasi forma di delitto". Tale definizione è tratta da: IOVINO F. P. C., Legge penitenziaria e lotta alla criminalità

stampo mafioso (art. 416-bis c.p.), il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) nonché quello di associazione finalizzata al traffico

illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope ( art. 74 TU stupefacenti)162;

- la ‘seconda fascia’ comprendeva, invece, quei delitti non direttamente riferibili alla criminalità organizzata, in relazione ai quali la regola probatoria funzionava al contrario; per queste fattispecie di reato la concessione era ammessa, salvo che fossero accertati elementi tali da far ritenere sussistenti i collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva. In questa ulteriore categoria erano, dunque, ricompresi: il reato di omicidio (art. 575 c.p.), il reato di rapina aggravata (art. 628, comma 3, c.p.), il delitto di estorsione aggravata (art. 629, comma 2, c.p.) e, infine, la fattispecie di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope (art. 73 TU, limitatamente all’ipotesi

aggravata dell’art. 80 del medesimo TU)163.

Come è facilmente evincibile, l’interesse suscitato dall’art. 4-bis o.p. riguardava soprattutto la parte iniziale del comma 1, ovvero la disciplina dell’onere della prova per i reati della ‘prima fascia’.

L'analisi del paragrafo successivo si focalizzerà, dunque, su tale profilo, in quanto strettamente attinente al tema delle strategie di contrasto al crimine mafioso.

3.2.1. Il regime probatorio per i reati di 'prima fascia'

In maniera inflessibile, il legislatore previde per la 'prima fascia' di reati

elencati dall'art. 4-bis o.p. una regola probatoria particolarmente severa: la necessità di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, che si concretizzava anche in un giudizio prognostico di comportamento basato sugli elementi di cui disponevano le autorità competenti.

La mancanza di elementi tali da far presumere la contingenza di relazioni con l’associazione criminale di riferimento rappresentava l’unica via attraverso cui la magistratura di sorveglianza avrebbe potuto concludere positivamente per la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione: era richiesta, dunque, una prova negativa, che si concretizzava nei

fatti in un'inversione dell'onere probatorio in capo alla difesa164, e perciò poco

coerente con i principi del rito accusatorio di recente introduzione.

162 IOVINO F. P. C., Legge penitenziaria e lotta alla criminalità organizzata, cit., p. 440. 163 IOVINO F. P. C., Legge penitenziaria e lotta alla criminalità organizzata, cit., p. 440. 164 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, Milano, Giuffrè, 2002, p. 470.

Si trattava nei fatti di una vera e propria probatio diabolica165, che lasciava ai soggetti interessati spazi difensivi piuttosto marginali e annullava la discrezionalità del giudice dell’esecuzione.

Come evidenziato da autorevole dottrina, se un siffatto regime probatorio pone notevoli difficoltà in termini generali, ciò era ancor più vero con riferimento a tale contesto; esemplificando, "l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata non è un qualcosa di ben definito e circoscritto (come potrebbe essere, ad esempio, l'assenza dal luogo del delitto), a cui si possa arrivare, fornendo la prova positiva di uno o più fatti risolutivamente incompatibili con ciò

che deve essere dimostrato"166.

Con ciò si vuole affermare che un ulteriore elemento di ostacolo a sfavore del detenuto o internato era costituito dal fatto di dover fornire la prova non tanto di un singolo elemento, ma di una molteplicità di elementi, che nel loro convergere rendessero tangibile la mancanza di collegamenti con l'associazione di provenienza e una radicale soluzione di continuità rispetto al mondo di provenienza.

Introducendo il summenzionato regime probatorio il legislatore stabiliva, dunque, un trattamento penitenziario deteriore per talune tipologie di condannati, etichettati sine die come soggetti pericolosi e in relazione ai quali lo Stato decideva di abbandonare qualunque proposito rieducativo.

3.2.2. Il regime probatorio per i reati di 'seconda fascia'. Considerazioni

La ‘seconda fascia’ di reati, pur essendo anch’essa caratterizzata da una previsione rigorosa, comportava, però, meno problemi, dal momento che per essi il legislatore aveva introdotto un onere della prova classico, che non sfavoriva la posizione del soggetto interessato e che sembrava coerente con

l’assetto di valori imposto dalla Costituzione167.

165 IOVINO F. P. C., Legge penitenziaria e lotta alla criminalità organizzata, cit., p. 440; si riporta qui un breve passaggio del contributo: “Si richiede di dimostrare non se una persona ha collegamenti attuali con la criminalità organizzata, ma se ciò possa essere escluso; non se una circostanza esiste, ma se possa essere esclusa. In concreto, risulterà praticamente impossibile per i condannati per uno dei delitti indicati fornire la prova della cessazione di rapporti risalenti ad anni prima o di rapporti addirittura mai provati”. Dello stesso avviso: DELLA CASA F., Le recenti modificazioni dell'ordinamento penitenziario, cit., p. 102; l'autore argomenta infatti: "Che la prova di un fatto storico negativo sia un' operazione gnoseologica estremamente problematica, ai limiti, per l'appunto dell'impossibilità, è un dato pacifico". Ricorda Della Casa nel medesimo passaggio il brocardo latino negativa non sunt probanda, attraverso cui in tempi passati si dirimeva la diatriba in merito alla configurabilità o meno di una prova negativa. Nello stesso senso anche: GUAZZALOCA B., Differenziazione

esecutiva, cit. p. 133; ESPOSITO G., Le nuove norme in materia penitenziaria, in 'Archivio penale', 1992, p. 133; COMUCCI P., Lo sviluppo delle politiche penitenziarie, cit., p. 40.

166 DELLA CASA F., Le recenti modificazioni dell'ordinamento penitenziario, cit., p. 103.

167 Si trattava della c.d. prova positiva in opposizione alla prova negativa richiesta per i reati di 'prima fascia'; IOVINO F. P. C., Legge penitenziaria e lotta alla criminalità organizzata, cit., p. 440.

Per tali fattispecie delittuose, valutate come meno rilevanti dal punto di vista del procurato allarme sociale, erano le autorità competenti a dover eventualmente dimostrare la sussistenza di collegamenti con la criminalità

organizzata o eversiva168.

Tale prova sarebbe stata ostativa rispetto alla possibilità di concedere i benefici penitenziari e le misure alternative, altrimenti generalmente ammissibili. Il criterio seguito dal legislatore nell'articolare diversamente le due 'fasce', per quanto discutibile dal punto di vista concettuale, appariva allora chiaro.

Argomentava molto bene ciò Paola Comucci, che, nell'illustrare il ragionamento seguito nel differenziare il regime probatorio in base al titolo di reato, affermava: "Mentre in quest'ultimo caso (i.e. per i reati di 'seconda fascia') i collegamenti, non potendo che essere presunti, costituiscono delle preclusioni solo in quanto siano provati effettivamente, nel primo caso (i.e. per i reati di 'prima fascia'), risultando provata la loro esistenza, per quanto riguarda il passato, dal titolo stesso del reato, quei collegamenti operano ostativamente, a

meno che non venga provato il loro attuale superamento"169.

Con ciò l'autrice intendeva chiarire che, mentre per i reati ostativi elencati nel primo periodo del comma 1 dell'art. 4-bis o.p. i collegamenti con la criminalità organizzata erano stati accertati con sentenza definitiva di condanna (di qui la necessità di assicurarsi la rottura dei vincoli omertosi), non altrettanto si poteva affermare con riferimento alle condotte elencate nella seconda parte del comma 1, spesso configurabili come episodi slegati ed autonomi e solo più raramente inquadrabili all'interno di un disegno della malavita organizzata.

3.3. Il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. La