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Capitolo 2. Le categorie spaziali

2.3 Le preposizioni spaziali

La classificazione delle parti del discorso non è un procedimento esente da problemi: da qui la difficoltà nel descrivere la categoria delle preposizioni, la cui definizione rimane vaga e varia a seconda della teoria linguistica adottata. La maggior parte delle grammatiche italiane classifica la preposizione come una parte del discorso invariabile che istituisce delle relazioni tra i componenti della frase. Riportiamo alcune definizioni11:

 “le preposizioni sono parole invariabili che servono a collegare e a raccordare tra loro i costituenti della proposizione […] o a raccordare tra loro due o più preposizioni”(Dardano e Trifone, 1985: 263);

 “la preposizione è quella parte invariabile del discorso che si premette a un elemento della frase (nome, pronome, verbo all’infinito, avverbio) per metterlo in relazione con altri elementi della frase o con altre frasi” (Sensini, 1990: 334);

 “elemento invariabile del discorso che ha la funzione di porre in relazione tra di loro i costituenti sintattici della frase” (Marotta, 2004:600-601).

La pre-posizione, come indica il termine stesso, si posiziona davanti un sintagma nominale che viene retto dalla preposizione stessa. La classe delle preposizioni comprende tre sotto-categorie fondamentali (cfr. Rizzi 1988):

le preposizioni proprie dette anche monosillabiche o primarie, vengono impiegate esclusivamente con funzione preposizionale (eccetto la preposizione “su” che può avere valore avverbiale: “vado su”).

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Corrispondono alle preposizioni semplici delle grammatiche scolastiche: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra; alcune di esse (di, a, da, in, su) quando precedono l’articolo determinativo si fondono dando luogo alle preposizioni articolate (dai, nel, sugli);

le preposizioni improprie dette anche polisillabiche o secondarie, possono avere sia funzione preposizionale che aggettivale o avverbiale: “Lucia abita accanto” è un chiaro esempio di preposizione impropria che occorre senza complemento;

le locuzioni preposizionali, infine, sono forme sintattiche più complesse risultanti dall’unione di due preposizioni, solitamente la prima impropria e la seconda propria (accanto a, sopra a) oppure di un elemento nominale e una o più preposizioni (in mezzo a, di fronte a). Le differenze che intercorrono tra questi gruppi non si riflettono tanto nella funzione e nel ruolo che possono assumere, quanto nella portata semantica che veicolano. Dal punto di vista semantico, si è ritenuto per molto tempo che le preposizioni fossero parole relazionali prive di significato. In realtà, esiste una «gradualità del carico semantico» che impone un ordine gerarchico: vi sono preposizioni che veicolano un significato più grammaticale (di, a), altre che hanno un significato più concreto (locuzioni preposizionali) e altre che sono più polisemiche e presentano maggiore versatilità. Nel caso delle preposizioni proprie, in particolare, ad un minore significato corrisponde una maggiore polivalenza e di conseguenza una frequenza d’uso superiore. Si noti a tal proposito il caso della preposizione di che può introdurre diversi complementi: denominazione, specificazione, provenienza, argomento. Si vedano a tal proposito gli esempi seguenti:

- La città di Milano

- La bambola della bambina - Miguel è di Madrid

- Parlare di sé

Per esprimere le relazioni spaziali con le preposizioni, la lingua italiana si avvale del sistema topologico e proiettivo. Il primo, come abbiamo visto, distingue un sottospazio interno (a), uno di intorno (b) e uno esterno (c):

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a) la collocazione di un’entità nel sottospazio interno di un RELATUM è simboleggiata dalla preposizione in o dalle locuzioni preposizionali dentro a e all’interno di;

b) le locuzioni preposizionali come vicino a, accanto a, a fianco di indicano invece il sottospazio di intorno;

c) il sottospazio esterno è espresso dalla preposizione fuori o dalle locuzioni fuori di/da o all’esterno di.

Oltre ai sottospazi indicati, l’italiano può mettere in relazione due entità senza specificarne la posizione reciproca. E’ il caso dell’espressione «at place» spesso espressa con la preposizione a o qualche volta con la preposizione in; scrive Meini (2009: 50): “Ci pare ipotizzabile che la preposizione in, a differenza di a, assuma tale funzione unicamente in presenza di RELATA concettualizzata come spazi chiusi”.

Per ciò che concerne il sistema proiettivo, la lingua italiana utilizza le locuzioni preposizionali per gli assi sagittale (1), verticale (2) e laterale (3):

1. locuzioni come davanti a e di fronte a indicano relazioni spaziali sul semi-asse frontale, mentre dietro a e alle spalle di denotano relazioni sul semi-asse posteriore;

2. le relazioni sul semi-asse superiore sono indicate mediante le locuzioni sopra a, su e mediante l’avverbio in alto; per le relazioni sul semi asse inferiore l’italiano utilizza la locuzione sotto a, e l’avverbio giù;

3. le locuzioni a destra di/a sinistra di denotano infine le relazioni spaziali sull’asse laterale.

La realizzazione del sistema spaziale attraverso i mezzi linguistici che ne indicano la relazione differisce da lingua a lingua. Infatti, “we know that when trying to learn a second language, people usually struggle with the correct use of preposition” (Marotta e Meini 2012:290).

Nell’apprendimento di una seconda lingua, l’apprendente può essere avvantaggiato o svantaggiato dal grado di convergenza o divergenza tra la lingua source e la lingua target. Ad esempio, per quanto riguarda le relazioni topologiche:

“major differences exist between languages that assign a central role to the concept of place and those which instead provide for a

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subspace-specification in terms of the interior subspace and the boundary” (Becker e Carroll 1997: 31).

Tuttavia, anche se la struttura spaziale della prima e della seconda lingua di un discente corrispondono, “languages can have different restrictions concerning the application of a locative to a specific constellation”. Infatti, il sottospazio interno di una lingua può essere idealizzato come confine in una seconda lingua. E’ il caso della lingua italiana che non possiede mezzi linguistici adeguati per collocare un TEMA nel sotto-spazio del confine, a differenza dell’inglese, e la preposizione su può essere tradotta on, up o above a seconda della relazione che intercorre tra le entità coinvolte nella scena. Si vedano gli esempi di seguito:

 The book is on the table (Il libro è sul tavolo)

 The plane is flying above the Alps (L’aereo sta volando sulle Alpi)

La differenza tra le due frasi è rappresentata dalla relazione tra le entità. Infatti, nel primo caso tra il libro e la superficie del tavolo c’è un contatto fisico, a differenza della seconda frase dove non intercorre una relazione di contatto tra l’aereo e le Alpi.

La maniera in cui un parlante descrive una scena spaziale stabilisce pertanto quali caratteristiche fisiche delle entità coinvolte vengono messe in evidenza. “Talvolta le possibilità a disposizione del parlante per concettualizzare una determinata scena spaziale sono vincolate dalle restrizioni imposte dalla propria lingua” (Meini 2009: 117). Un esempio che riprendiamo da Herskovits (1986: 43) riguarda la frase “The bird is in the tree” che viene tradotta in italiano con “L’uccello è sull’albero”: la lingua inglese per descrivere la scena mette in primo piano la chioma dell’albero, che funge da contenitore, mentre l’italiano mette in primo piano i rami dell’albero, a cui viene assegnata la funzione di supporto (cfr. Meini 2009). Di conseguenza, la concettualizzazione dell’entità da descrivere è fortemente correlata alla preposizione spaziale che la codifica e cambia col variare della lingua. Per questo motivo, le differenze di localizzazione nello spazio complicano l’apprendimento delle preposizioni della seconda lingua.

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Riteniamo che il ruolo delle preposizioni nella lingua parlata e scritta sia di grandissima importanza: basti pensare alla loro frequenza d’uso, alla loro flessibilità di applicazioni nelle strutture più disparate e soprattutto alle sottilissime distinzioni (spesso diverse da lingua a lingua) che esse permettono di esprimere. Scrive Brondal a tal proposito: “né l’apprendimento, né la pratica di una lingua possono progredire apprezzabilmente senza il possesso di questo delicato strumento” (Brondal 1967:21). Il bambino comincia soltanto verso il diciottesimo mese a servirsi delle preposizioni ed è noto quanto sia arduo anche per gli adulti appropriarsi delle sfumature nell’uso delle preposizioni in un ambiente straniero.

La conoscenza di come gli apprendenti di italiano L2 acquisiscono le preposizioni è oggetto di recenti studi di linguistica acquisizionale; esse infatti rappresentano un elemento considerevole quando si vuole individuare un processo di acquisizione linguistica. In particolare, identificare la funzione di una preposizione utilizzata da un apprendente e individuarne la copertura semantica che può coincidere totalmente o parzialmente con la lingua d’arrivo sono alla base della spiegazione dei meccanismi acquisizionali. Vari studi (Becker e Carroll 1997, Bernini 1987, Bagna 2004) dimostrano che l’apprendimento delle preposizioni, analogamente a quanto accade nello sviluppo della morfologia nominale e del sistema verbale, procede secondo determinate sequenze implicazionali. In particolare, Bernini in Le preposizioni nell’italiano lingua seconda (1987) analizza lo sviluppo dell’uso delle preposizioni nei processi di apprendimento spontaneo dell’italiano L2, mettendone in luce le fasi principali. Nella fase iniziale le preposizioni sono assenti: si tratta del fenomeno della semplificazione che riguarda tutti gli elementi funzionali liberi, ad esclusione di quelli che si presentano in locuzioni fisse come ad esempio a casa, in giro, da solo, la maggior parte delle quali sono espressioni quasi idiomatiche, che possono funzionare come unità lessicali. Secondo Bernini, le omissioni di preposizione riflettono le proprietà strutturali degli enunciati tipici di questa fase dell’apprendimento “caratterizzati dall’assenza di legami sintattici espliciti (quali appunto le preposizioni) che possono essere recuperati dal contesto o dal senso delle parole impiegate” (Bernini, 1987:135). In particolare, negli stadi iniziali di apprendimento la relazione spaziale che si instaura tra l’entità e il RELATUM

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(che nella lingua d’arrivo è espressa sul sintagma nominale del RELATUM tramite una preposizione) spesso non viene espressa come si nota nell’esempio tratto dalla banca dati del progetto di Pavia sull’acquisizione dell’italiano come L2:

- MK: io vengo Asmara Sudan *on foot* (sono andato a piedi dall’Asmara fino al Sudan)

Nell’esempio l’ordine lineare vede al primo posto l’apprendente in prima persona che funge da controllore dell’evento “secondo il principio semantico del controller first” (Bernini 2005:8); all’ultimo posto invece continua Bernini “vi è l’informazione più rilevante in quel contesto in cui è avvenuto l’espatrio dell’apprendente, in base al principio pragmatico del focus last”. Tra questi due componenti compaiono la parola che lessicalizza il cambiamento di stato - cioè il movimento del controllore – e il luogo di partenza e di arrivo, ma non è espressa alcuna relazione spaziale.

Questo chiarirebbe anche la ragione per cui le preposizioni spaziali vengano omesse anche in fasi più avanzate dell’apprendimento; esse, continua Bernini, “possono risultare ridondanti con nominali dotati del tratto [luogo], soprattutto in quei contesti dove c’è anche un verbo di moto o di stato”.

Le prime preposizioni appaiono in sintagmi fissi, come abbiamo visto, e a tal proposito consideriamo l’esempio tratto ancora una volta dalla banca dati del progetto di Pavia:

- MK: sì c’è a casa (in) Cinque Giornata (sì, abbiamo una casa in Piazza Cinque Giornate)

In questo caso “a casa” è utilizzato al posto del solo nominale (cfr. Bernini 2005). Dopo aver memorizzato espressioni idiomatiche come formule fisse e non analizzate, gli apprendenti che hanno preso parte allo studio di Bernini producono le prime locuzioni preposizionali che sono dotate di valore semantico pieno (vicino, fino a), che non servono ad esprimere relazioni grammaticali, piuttosto rispondono ai bisogni comunicativi degli apprendenti. Le costruzioni sintattiche rette da preposizioni emergono secondo un ordine preciso che rispecchia il loro grado di marcatezza nella lingua d’arrivo. Inizialmente le produzioni dei discenti riguardano la preposizione con (comitativo e strumentale), la preposizione per (significato generico di fine) e la preposizione di (significato di specificazione e di possesso).

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Se in un primo momento la ricostruzione del sistema preposizionale avviene mediante l’uso di strategie che evitano la polisemia e mirano all’univocità del ruolo semantico per preposizione, con il progredire dell’apprendimento, le preposizioni ampliano le proprie funzioni fino a raggiungere quel grado di polisemia che caratterizza molte preposizioni italiane.

Solo in un momento successivo si colloca la comparsa delle preposizioni in e a in contesti locativo-direttivo e successivamente anche temporali, anche se la distinzione nell’uso di ciascuna delle due si rimanda a fasi di apprendimento più avanzate. Le prime preposizioni spaziali ad essere apprese sono quelle che specificano relazioni più salienti nel contesto del discorso come la preposizione in per esprimere collocazione all’interno di un RELATUM:

- C’è tanto collegio Le Sale in Messaua (il collegio Le Salle è a Messaua)

La preposizione in viene impiegata per esprimere la locazione del collegio (l’esempio è tratto dalla banca dati del progetto di Pavia).

L’ultimo gruppo di preposizioni include da che, a causa della sua polisemia, viene sostituita frequentemente da di anche in apprendenti di livello più avanzato. Essa sembra apparire dapprima in espressioni temporali, di provenienza e infine con nomi di persona per indicare stato o moto.

Sulla base di quanto detto, lo studio di Bernini porta ad ipotizzare che l’apprendimento delle preposizioni in italiano L2 è regolato da principi funzionali riconducibili a principi di natura cognitiva. Tale ipotesi è avanzata anche da Parisi e Castelfranchi (1970) secondo i quali “il significato di una voce lessicale è una configurazione di componenti semantici” (Parisi e Catelfranchi, 1970: 328). Da una prospettiva cognitiva i componenti semantici sono classificazioni attuate dal parlante sulla realtà: le strutture semantiche (cioè i componenti semantici e le relazioni che si instaurano tra loro) sono “parte delle strutture cognitive del parlante, parte delle strutture che l’uomo impone alla realtà per conoscerla” (Parisi e Castelfranchi, 1970: 329). I due autori hanno condotto un’analisi semantica dei locativi italiani, la quale è costituita dall’analisi dei componenti semantici delle espressioni che indicano luoghi. In particolare, l’analisi fornisce una descrizione semantica degli oggetti che entrano in relazione con i locativi: infatti, un luogo è sempre identificato in

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riferimento ad un oggetto (cfr. Meini 2009). Ad esempio la preposizione a, classificata come “locativo elementare”, è classificata come quella preposizione che “richiede il minimo di strutturazione semantica dell’oggetto e di conseguenza identifica nel modo più generico il luogo” (Parisi e Castelfranchi 1970: 336). Inoltre, tutte le altre preposizioni si rifanno a tale locativo elementare, che esprime la coincidenza tra luogo e oggetto, “aggiungendo specificazioni in merito alla relazione tra il luogo e l’oggetto” (Meini 2009: 104): ad esempio, la preposizione da è formata dal componente espresso da a più un componente di provenienza.

Nell’acquisizione delle relazioni spaziali italiane, quindi, deve esserci una certa sequenza implicazionale che procede da locativi elementari (a) a preposizioni che esprimono più componenti semantiche (da) e che risultano di conseguenza più difficili da acquisire.

Nonostante la difficoltà di padroneggiare perfettamente tali elementi dal ruolo talvolta enfatizzato talvolta minimizzato dagli studi che se ne sono interessati, le preposizioni risultano uno strumento essenziale nella lingua italiana. Il principale problema nella realizzazione delle preposizioni come scrive Bagna (2004:51) “è la relazione che si instaura tra la preposizione scelta, gli altri elementi del cotesto e il senso veicolato dalla combinazione che ne scaturisce”. Il suo studio ha come principale obiettivo l’analisi degli usi delle preposizioni in apprendenti quasi bilingui/quasi nativi di italiano L2 e si concentra soprattutto sugli errori prodotti. Tale approccio ricorda l’analisi degli errori di Corder, che confronta sistematicamente le produzioni linguistiche di un apprendente L2 e corrispondenti enunciati dei nativi e studia successivamente le differenze che si osservano, quindi gli errori prodotti dagli apprendenti. In particolar modo afferma Bagna (2004: 94):

“spesso la scelta errata della preposizione ricade in un cotesto in cui vi è un’espressione di spazio o di tempo. Proprio in questo caso la distinzione tra concettualizzazione dello spazio in L1 e i relativi mezzi linguistici per esprimerlo e le regole della L2 si scontrano o si incontrano creando le condizioni di accettabilità/adeguatezza o non accettabilità/non adeguatezza degli usi.”

Alla luce di quanto finora espresso, riteniamo che la componente cognitiva sia fondamentale nell’acquisizione delle relazioni spaziali e che la difficoltà

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nell’uso del linguaggio spaziale sia dovuta alla diversa concettualizzazione dello spazio nelle varie lingue. Il cognitive style con il quale ogni individuo realizza le relazioni spaziali cambia da cultura a cultura e Levinson afferma che (1996: 356) “cognition is the intermediate variable that promises to explain cultural propensities in spatial behavior and language may offer us more than just privileged access to it”.

Crediamo, inoltre, che l’ordine di acquisizione delle espressioni spaziali da parte di apprendenti di italiano L2 dipenda dalle caratteristiche dell’entità di riferimento: da una parte vi sono le espressioni di localizzazione statica, dall’altra le espressioni dinamiche. Per quanto riguarda la localizzazione statica, i primi mezzi acquisiti per descriverla sono le relazioni topologiche che, come abbiamo visto nel sottocapitolo 2.2, si realizzano per mezzo di poche preposizioni che esprimono contiguità, contatto e inclusione. Le relazioni topologiche risultano più semplici da acquisire dato che il parlante situa l’entità indipendentemente dalla sua posizione di osservatore. Gli apprendenti, così come i bambini, “learn these notions earlier than other kinds of spatial vocabulary at least in those European languages whose acquisition has been intensively studied” (Levinson 1996: 363). In un secondo momento l’apprendente straniero acquisisce i mezzi che fanno riferimento agli assi di coordinate e le espressioni dinamiche, costituite dall’entità in movimento e la direzione del movimento. Becker e Caroll (1997) sostengono che:

“Expressions acquired to express dynamic relations (left, right, front) are not immediately available for use in static relations. Similarly, these means are used to express direction along the co- ordinate axes in the expression of loco-motion but not in the context of causative motion during the initial stages.”

Inoltre, se un primo momento gli apprendenti tendono a ricostruire il sistema preposizionale mediante l’uso di preposizioni che ricoprono un solo ruolo semantico, piano piano durante le fasi di apprendimento più avanzate, essi abbandonano tali strategie improntate verso l’univocità, a favore del grado di polisemia che caratterizza le preposizioni italiane. Infatti, la funzione semantica delle preposizioni è determinata dal verbo o dall’intorno sintattico in cui si trovano. Per esempio il da agentivo, il da locativo e il da di provenienza

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delle frasi seguenti sono sintatticamente distinti e assumono significati diversi sulla base di proprietà contestuali (cfr. Rizzi 1988):

 Marco è stato chiamato da Luca

 Giacomo è andato da Angela

 Michele proviene da questa città

Riprendendo la distinzione tra preposizioni proprie, improprie e locuzioni preposizionali, possiamo affermare che le preposizioni proprie hanno un carattere generico e introducono relazioni assai diverse che vengono apprese solo nelle fasi più avanzate dell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua. Tuttavia, la preposizione di presenta un comportamento eccezionale: pur essendo una delle preposizioni più polisemiche è una delle prime preposizioni ad apparire e addirittura ad essere sovraestesa al dominio semantico di altre preposizioni. Si vedano gli esempi seguenti, tratti dal nostro studio:

Vengo di Germania (Vengo dalla Germania)

Parto di aeroporto di Milano (Parto dall’aeroporto di Milano)

In particolare, gli esempi sono ricavati da alcuni apprendenti di livello A1 (livello base): nonostante la preposizioni di sia una preposizioni polisemica, è una delle prime preposizioni ad essere appresa e utilizzata spesso anche tra principianti assoluti di italiano L2.

Nel capitolo successivo tratteremo dell’analisi della nostra ricerca e verificheremo quali principi linguistici governano l’organizzazione delle preposizioni spaziali nelle varietà di apprendimento.

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