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Capitolo 2. Le categorie spaziali

2.1 Percezione e spazialità

Alla base di ogni apprendimento c’è sempre la percezione dell’oggetto (cosa o concetto) da apprendere. La percezione è intesa dalla psicologia come esperienza di oggetti capaci di stimolare i nostri organi di senso, ed è frutto di un’elaborazione mentale (cfr. Pichiassi 2009): la percezione quindi è un processo cognitivo e non solo puramente sensoriale.

La capacità di percepire in modo preciso i segnali linguistici è fondamentale per l’apprendimento di una lingua, “ed è strettamente connessa alla produzione del linguaggio” (Pichiassi, 2009:19): l’una e l’altra si presuppongono.

A partire dalla metà del secolo scorso, gli scritti di Noam Chomsky hanno delineato un paradigma forte all’interno del quale inquadrare le relazioni tra fenomeni linguistici e processi cognitivi. Il «cognitivismo» - continua Pichiassi (2009:15) - “non considera la mente come recettore passivo delle informazioni che giungono dai sensi, ma come un elaboratore attivo che opera sui dati che ha a disposizione tramite i processi cognitivi che sono in parte innati in parte appresi attraverso l’esperienza”.

Il riconoscimento del ruolo attivo della mente umana nei processi cognitivi si fonda sull’idea di embodiment: le capacità cognitive sono condizionate dalle dimensioni fisiche corporee dell’essere umano. La linguistica cognitiva (LC) assume che non vi sia separazione tra mente e corpo e che anzi la dimensione mentale sia radicata nella dimensione fisica, poiché ritiene che il nucleo essenziale del sistema concettuale scaturisca direttamente dall’esperienza corporea. La mente, quindi, non è qualcosa di astratto e

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separato dal corpo ma embodied: è “un tutt’uno con la dimensione fisica dell’essere umano” (Gaeta e Luraghi, 2003: 20).

La LC evidenzia l’importanza del ruolo della semantica come ponte tra facoltà cognitiva umana e capacità linguistica. In particolare, gli studiosi Langacker e Lakoff affermano che esiste un continuum fra grammatica e lessico. Ciò significa che le forme grammaticali (affissi, ma anche le cosiddette «parole vuote», come articoli, preposizioni, ausiliari) sono dotate di significato, e che esso non è qualitativamente diverso da quello delle forme lessicali, ma semplicemente più astratto. In altre parole, il significato originario delle forme grammaticali è rintracciabile, almeno diacronicamente, e motiva la loro estensione da un’originaria funzione significativa più «piena» a uno specifico significato grammaticale. Da metafore spaziali7 derivano i significati di molte forme grammaticali. Spesso la base di partenza è offerta da sostantivi che denotano parti del corpo: per esempio fronte nell’avverbio e preposizione di fronte (a).

Infatti, la conoscenza dello spazio avviene attraverso il corpo e per sua mediazione; d’altra parte la dimensione corporea è la prima dimensione fisica accessibile all’essere umano.

“In questa prospettiva il corpo umano riveste un ruolo cospicuo: la cognizione dipende in modo essenziale da esso e dalle sue particolari proprietà percettive e motorie, nonché dal tipo di esperienze che quel corpo fa, e dalla sua interazione con l’ambiente e con il mondo.” Violi (2003:58)

ll diretto collegamento tra mente e mondo tramite il corpo è basato sulla percezione che è sempre contestualizzata e costruita:

“il mondo viene percepito essenzialmente come opportunità per l’azione finalizzata a un certo scopo, da parte di uno specifico organismo che agisce con determinate finalità, all’interno di una data interazione” (Violi 2003: 70).

In questo modo la percezione è direttamente connessa all’azione e a loro volta percezione e azione sono legate alla cognizione.

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La teoria della metafora viene elaborata da Lakoff e Johnson in vari lavori a partire dal 1980 e rappresenta la connessione tra la semantica astratta e la base cognitiva che informa la nostra conoscenza. Cfr. Gaeta e Luraghi (2003: 20).

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Il nesso azione-percezione-cognizione è forse il nucleo più caratterizzante delle ricerche sulle basi corporee del linguaggio nel campo del cognitivismo contemporaneo. Tutte le teorie che si rifanno all’embodiment rifiutano l’idea di percezione come passiva registrazione di informazione; la percezione è invece vista come immediatamente legata alle possibilità per l’azione.

“Ciò implica un’altissima integrazione fra percezione e cognizione che non sono più pensabili come moduli rigorosamente separati e indipendenti, ma divengono processi sempre più integrati e sovrapposti.” (Violi, 2003: 71).

Il campo della spazialità nel linguaggio è divenuto negli ultimi anni oggetto di moltissimi studi che includono le rappresentazioni del movimento, gli schemi di orientamento, le metafore temporali a base spaziale. Le categorie spaziali che esprimono relazioni spaziali, sia statiche che dinamiche, sono state esaminate nelle varie lingue, ma soprattutto nel campo dell’acquisizione linguistica:

“In research applied to L2 acquisition, the topic has been examined with special reference to the role that L1 constraints may play in L2 learning. The long term debate about the need for a universal grammar has often taken the aspect of a struggle between cognitive principle, normally assumed as universal since biologically based, and functional principles, more anchored to historical and social as well as cultural constraints.” (Marotta e Meini 2012: 291).

In particolare, esistono due diversi approcci nello studio del linguaggio spaziale: un nativistic approach, (Jackendoff 1983; Landau 1994; Talmy 2000) secondo il quale esiste una lista ristretta di nozioni innate e universali che possiedono tutti gli esseri umani e codificate per mezzo di adposizioni e un relativist/functionalist approach (Lakoff 1987; Vandeloise 1991: Levinson 2003) secondo cui “spatial language is conditioned in different ways and to different degrees by cultural conventions, and reflects representations created by exposure to spatial words relative to one’s native language (Marotta e Meini 2012:290).

Nella nostra ricerca assumiamo un punto di vista esperienzialista e cognitivo, tenendo in considerazione che la L1 esercita un’influenza sul processo di apprendimento: in particolare, i parlanti seguono dei principi

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cognitivi generali nello studio del linguaggio spaziale, ma allo stesso tempo dei principi specifici legati alla lingua madre. Riteniamo, inoltre, che il linguaggio umano rifletta la realtà fenomenica in base all’esperienza umana cioè attraverso le proprietà percettive e motorie del corpo umano e i processi mentali che organizzano lo stimolo percettivo (cfr. Meini 2009). Di fatto, le proprietà spaziali del mondo reale sono essenziali per la cognizione umana e costituiscono la base di partenza dei nostri processi cognitivi; la relazione tra il linguaggio e la cognizione spaziale è molto significativa: “spatial cognition is at the heart of our thinking” (Levinson, 2003: xvii Preface).

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