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Le valutazioni e le aspettative degli imprenditori

Nel documento NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ITALIANE (pagine 127-130)

7. Strategie di sviluppo percorribili in futuro

7.1 Le valutazioni e le aspettative degli imprenditori

Prima di affrontare le questioni annunciate dal titolo di questo capitolo, può essere utile proporre il quadro delle valutazioni e delle aspettative fornite dagli imprenditori italiani sull’andamento dell’economia nazionale in generale e della propria azienda in particolare, così come emerge dalle rilevazioni del febbraio 2014 dell’Osservatorio congiunturale sulle imprese italiane71.

Innanzi tutto c’è da dire che nel corso del 2013 e con maggiore accentuazione negli ultimi due trimestri dell’anno, il sentiment degli imprenditori italiani sembra volgere verso una moderata fiducia circa l’andamento generale dell’economia italiana, e se l’andamento della loro attività nell’ultima parte del 2013 non subisce miglioramenti, questo può essere interpretato come una prima timida svolta positiva rispetto ai continui deterioramenti collezionati nei precedenti trimestri.

Tuttavia, questo dato nasconde una realtà più complessa e certamente preoccupante perché, se le risposte degli imprenditori del Nord sono effettivamente orientate a un cauto ottimismo, gli imprenditori del Centro e del Mezzogiorno continuano a giudi-care negativo l’andamento sia dell’economia italiana nel suo insieme che della pro-pria azienda in particolare.

D’altronde, dopo un timido segnale di ripresa registrato nel terzo trimestre del 2013, i ricavi nell’ultimo trimestre dell’anno sono di nuovo in fase declinante in tutto il Paese (anche se nel Nord, solo nel Nord, le imprese mostrano fiducia per l’immediato futuro) e l’emorragia di posti di lavoro sembra essersi arrestata, tranne che nel Mez-zogiorno dove però le imprese prevedono un incremento del numero di occupati. Ad allargare di nuovo la forbice fra imprese del Nord e imprese del Centro-sud sono i dati relativi all’andamento dei prezzi praticati dai fornitori e all’andamento dei tempi di pagamento dei clienti, entrambi in calo in tutto il Nord e in crescita nel Centro-sud.

Come si vede, quindi, a voler analizzare l’impatto della crisi sul tessuto produttivo nazionale o provare a leggere le “contromosse” adottate dalle imprese per far fronte

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al mutato scenario economico non si può non considerare che fra gli effetti più evi-denti della crisi c’è proprio l’ulteriore divaricazione fra economia del Nord ed econo-mia del Mezzogiorno, con il Centro Italia che assomiglia sempre più spesso al secon-do.

7.1.1 I punti di forza individuati dalle aziende

In base all’opinione espressa dagli stessi intervistati, quasi i 2/3 delle imprese del campione fonda la propria capacità competitiva sulla professionalità e sulla qualità delle risorse umane, per il 44% è l’orientamento al cliente ad essere il suo punto di forza, mentre per percentuali che oscillano intorno al 34-37% lo sono la specializza-zione produttiva e la qualità del prodotto, la capacità organizzativa e manageriale e il forte legame con il territorio.

Tutto ciò, tuttavia, ha consentito di raggiungere una posizione di prestigio solo a 1 impresa su 4 (24,2%) e ad ancora meno imprese (il 10,4%) una posizione di leader-ship nel settore di appartenenza, forse anche perché solo il 15,1% del campione si ri-conosce una certa capacità di innovare e di anticipare i cambiamenti del mercato. Evidentemente, i ridotti spazi di manovra lasciati dalla crisi hanno indotto una scarsa propensione al rischio (solo il 5% del campione lo considera un proprio punto di for-za) e hanno scoraggiato processi di integrazione interna (la solidarietà fra impresa e lavoratori è un punto di forza per il 21,2% del campione) e produttiva (far parte di una filiera è un punto di forza dichiarato dal 4,3% degli intervistati). La scarsa dispo-nibilità di risorse finanziarie (solo per il 3,7% del campione è un punto di forza) sem-bra una conseguenza inevitabile delle condizioni di operatività delle imprese del campione.

In base alla loro ubicazione, gli scostamenti più evidenti dalla media nazionale si ri-scontrano:

• nelle imprese del Mezzogiorno che godono in maggior misura di prestigio e di un legame forte con il territorio, mentre sono meno orientate al cliente e hanno una minore capacità di innovazione;

• nelle imprese del Centro che sono più deboli sul piano dell’innovazione e dell’organizzazione manageriale e sono penalizzate da una minore propensione al rischio;

• nelle imprese del Nord-est, meno orientate al cliente e meno solidali con i propri lavoratori;

• nelle imprese del Nord-ovest, penalizzate da un legame con il territorio meno forte, ma che godono di una maggiore solidarietà dei propri lavoratori.

A proposito dell’importanza riconosciuta alla partecipazione ad una filiera produtti-va, può essere utile ricordare i risultati di uno studio sui contratti di rete sottoscritti fino a dicembre 2014 (Unioncamere, 2015). Considerando, infatti, l’enfasi posta nel nostro Paese sull’idea di fare rete per conseguire più elevati livelli di competitività, i contratti di rete sottoscritti erano 1.884 e 9.812 le imprese coinvolte su un totale di oltre 6 milioni di imprese. Nelle quattro ripartizioni territoriali, il numero di soggetti coinvolti si distribuisce in maniera quasi uniforme, intorno al 23-24%, e solo nel Nord-ovest si riscontra una leggera maggiore concentrazione di casi, fino al 28%. In

Strategie di viluppo percorribili in futuro 129 relazione ai settori di appartenenza dei soggetti che hanno aderito ai contratti di re-te, invece, quelli più rappresentati sono le costruzioni e la bioedilizia, e i servizi avan-zati di supporto alle imprese.

7.1.2 Gestione delle risorse umane: le strategie percorribili

Con riferimento alle strategie di gestione delle risorse umane che le imprese inten-dono adottare nei prossimi 3 anni, emerge che:

• la riduzione del personale, inserito in qualsiasi posizione funzionale, è una possi-bilità che esclude il 94,2% delle imprese, mentre più incerta è la possipossi-bilità che le stesse mantengano stabile la propria occupazione (in generale il 75,4%); • anche la possibilità di sostituire i dipendenti più anziani con altri più giovani è

esclusa da circa il 96,8% delle imprese considerate;

• invece, un intervento sull’organizzazione del lavoro è un obiettivo che persegue più del 29,4% delle imprese intervistate.

Di particolare interesse ai fini del presente lavoro è un’altra opzione pure suggerita dal questionario, che riguarda lo sviluppo delle carriere e l’aggiornamento delle competenze, obiettivo dichiarato da appena il 7,6% del campione (più nel Nord-est e nel Mezzogiorno che nel Nord-ovest e nel Centro).

Eppure, il tasso di incidenza delle imprese (con almeno 10 dipendenti) che nel 2012 hanno investito in formazione aziendale è pari al 50,2% (55% nel Nord-est e 37,3% nel Sud) (Isfol, 2015b) e quasi i 2/3 delle imprese del nostro campione fonda la pro-pria capacità competitiva sulla professionalità e sulla qualità delle risorse umane. Una tale divaricazione di comportamenti e valutazioni da parte delle imprese, ancor-ché rilevati in contesti di studio diversi, probabilmente si può giustificare conside-rando che nelle piccole e piccolissime imprese (che costituiscono la grande parte del tessuto produttivo nazionale) effettivamente quelle umane sono la principale risorsa disponibile per competere sui mercati (i 2/3), mentre la scarsa capacità manageriale che affligge le stesse imprese probabilmente è alla base della mancanza di strategie e percorsi strutturati per valorizzare tale risorsa (il 7,6%), così che la formazione azien-dale finisce per appiattirsi su quanto la legge impone (il 50,2%).

Fra l’altro, che le attività di formazione siano appannaggio soprattutto delle imprese di maggiori dimensioni viene confermato dal fatto che il tasso di incidenza (il 50,2% totale) delle imprese che partecipano ad attività di formazione è pari al 45,8% in quelle della classe di 10-49 addetti e cresce costantemente fino al 95,7% nelle im-prese con almeno 500 addetti.

7.1.3 Le opinioni sulle riforme del mercato del lavoro e delle pensioni In questo contesto, le misure introdotte nel mercato del lavoro in ordine all’inte-grazione lavorativa degli ultracinquantenni trovano, fra le imprese intervistate, una accoglienza abbastanza diversificata.

Intanto c’è da dire che non tutte le misure contenute nella Legge Fornero (Legge n. 92/2012) sono conosciute nello stesso modo, sicché gli incentivi all’esodo dei lavora-tori più anziani e l’istituzione dei fondi di solidarietà (bilaterali e residuali) sono ben più conosciuti degli altri punti della legge, al punto che la riforma della cassa

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grazione straordinaria non è conosciuta da 1 impresa su 3 (e ciò accade, come per tutte le altre misure, più spesso nel caso di imprese di piccole dimensioni). In ogni caso 1 impresa su 4-5 non sa dire se ciascuna delle misure contenute nella Legge Fornero sia una opportunità o una criticità.

Nel dettaglio:

• sono considerati una opportunità da un 30-38% del campione l’istituzione dei Fondi di solidarietà, gli incentivi alle assunzioni degli over 50 ma anche gli in-centivi all'esodo dei lavoratori più anziani; apprezzamento che cresce in percen-tuale al crescere della dimensione aziendale. Le imprese del settore delle costru-zioni considerano come una opportunità, in percentuale maggiore delle altre, gli incentivi all’assunzione degli over 50 mentre quelle di servizi ad alto valore ag-giunto apprezzano meno delle altre l’istituzione dei Fondi di solidarietà;

• scende a percentuali comprese fra il 10 e il 20% il giudizio positivo espresso sull’abrogazione del contratto di inserimento, sulle modifiche ai contratti di la-voro occasionale, alla CIG straordinaria (un po’ più apprezzata dalle imprese del settore delle costruzioni), alla disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, e all’abrogazione della mobilità;

• la riforma del sistema previdenziale, infine, appare una criticità a 2 imprese su 3, anche in una prospettiva di medio periodo (è considerata una opportunità solo dall’11,4% delle imprese, percentuale che si abbassa ulteriormente fino al 9,5% in una prospettiva di 5 anni);

• l’apprezzamento o meno delle diverse misure contenute nella c.d. Legge Fornero, infine, sembra omogeneo da Nord a Sud.

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