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Strumenti e strategie adottati per affrontare il cambiamento

Nel documento NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ITALIANE (pagine 57-61)

3. Le caratteristiche delle imprese rispondenti e l’impatto della crisi

3.2 Le conseguenze della crisi

3.2.2 Strumenti e strategie adottati per affrontare il cambiamento

In questo quadro difficile, le imprese hanno adottato strategie e attivato strumenti diversi e, come si diceva, tali strategie non sono uniformi ma sembrano condizionate dall’ubicazione, dalla dimensione o dal settore di appartenenza, ma anche dalla loro collocazione nel mercato e da altre condizioni, interne ed esterne, già ricordate. In estrema sintesi, si confermano come elementi che in qualche modo selezionano le imprese fra quelle che sono costrette a subire la crisi e quelle che invece hanno risor-se per adottare un atteggiamento “proattivo”, anticipando in qualche modo scelte strategiche dai contenuti più o meno innovativi, la dimensione, l’ubicazione, il setto-re di appartenenza e il mercato di riferimento.

Entrando nel dettaglio:

• il contenimento dei costi generali è stato l’obiettivo dell’84,7% delle imprese in-tervistate (dato uniforme in tutto il Paese);

• se nel 2013 quasi 4 imprese su 5 hanno realizzato attività formative per i propri addetti, la formazione e il miglioramento delle competenze professionali è con-siderata come una opzione strategica per affrontare il nuovo scenario economi-co “solo” dal 54,3% del campione (economi-con una forbice di oltre 10 punti percentuali fra Nord-est, con il 60,2%, e Mezzogiorno, con il 49,4%). Inoltre, incrociando questo dato con il settore di appartenenza delle imprese, sembrerebbe che sono quelle delle costruzioni ad attribuire alla formazione e all’aggiornamento pro-fessionale un valore meno strategico. Questo dato, fra l’altro, appare coerente con il fatto che quasi i 2/3 delle imprese del campione fonda la propria capacità competitiva sulla professionalità e sulla qualità delle risorse umane e fra queste quelle del settore dei servizi (a basso e alto valore aggiunto) sono le più convinte (7 su 10), al contrario delle imprese dell’industria che invece sono le meno con-vinte. Anche nel 2012 la percentuale di imprese che ha investito in formazione raggiungeva il 50,2% di un campione che comprendeva però anche

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zioni con più di 250 addetti (Isfol, 2015b) e con una differenziazione ancora più marcata fra imprese del Nord-est (55%) e imprese del Mezzogiorno (37,3%); • la ricerca di nuovi mercati o l’ampliamento di quelli già occupati è stato, con il

45,9% delle imprese che lo hanno indicato, un altro degli elementi fondamentali delle politiche adottate per far fronte alla crisi (anche questo dato è abbastanza uniforme in tutto il Paese). Questa percentuale, pur rimanendo significativa, ri-sulta tuttavia inferiore a quella rilevata nella ricerca Isfol di cui sopra, sugli inve-stimenti intangibili delle imprese, da cui risulta che le imprese che hanno adot-tato questa strategia anti-crisi sono addirittura il 65,7% di quel campione. Biso-gna sottolineare, però, che in quest’ultimo caso il campione si estende fino a comprendere le imprese con oltre 250 addetti ed è proprio la più spiccata pro-pensione delle imprese di maggiori dimensioni a misurarsi con nuovi e più ampi mercati a determinare lo scarto fra le due rilevazioni;

• il ricorso al credito è stato per il 41,4% del campione il rimedio adottato per al-leviare le tensioni finanziarie generate dalla crisi (più per le imprese del Mezzo-giorno che per quelle del Nord-ovest), mentre la ricerca di capitale di rischio e il ricorso ad agevolazioni pubbliche sono strade seguite rispettivamente nell’8% e nel 15,4% dei casi. Nel Nord-est si rileva la percentuale minore di imprese che hanno ricercato capitale di rischio e la percentuale maggiore di imprese che in-vece hanno attivato finanziamenti pubblici. Giusto il contrario di quello che è avvenuto nel Mezzogiorno, anche se i dati sono comunque piuttosto allineati. Rimanendo in questo ambito, si nota anche una maggiore capacità di accedere alle diverse fonti di finanziamento considerate in relazione al mercato geografi-co di riferimento, geografi-così che le percentuali di accesso a capitale di rischio, piutto-sto che al credito o alle agevolazioni pubbliche è massimo per le imprese che hanno internazionalizzato e minima per quelle che operano su un mercato loca-le. Questo è vero per tutti i settori, tranne che per quello dei sevizi a basso valore aggiunto, dove prevale invece l’appartenenza al contesto territoriale regionale (in questo settore infatti le percentuali più alte si riscontrano fra le imprese che operano nel mercato regionale);

• alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà ha fatto ricorso 1 impresa su 3 (il 34,3%), con una leggera prevalenza del dato relativo al Centro Italia, men-tre prepensionamenti, mobilità, licenziamenti e mancato rinnovo dei contratti a termine sono scelte adottate dal 28,2% del campione (dato in costante incre-mento man mano che ci si sposta verso il Sud);

• il 28,3% delle imprese intervistate ha individuato nell’innovazione e/o nello svi-luppo dei propri prodotti e servizi la strategia per operare con successo nel nuo-vo scenario economico generato dalla crisi, mentre il 22,4% ha puntato sull’in-novazione di processo (sul fronte dell’insull’in-novazione, ad essere più dinamiche sono le imprese del Nord-est);

• la ricerca di nuovi partner e/o la sottoscrizione di accordi di rete è stata la scelta del 23,7%, con una maggiore frequenza nel Nord-est e una minore frequenza nel Nord-ovest;

Le caratteristiche delle imprese rispondenti e l’impatto della crisi 59 • infine, l’internalizzazione di funzioni e servizi è un provvedimento adottato

dall’11,8% del campione, al contrario, l’esternalizzazione dal 5,3% (fenomeni diffusi in modo uniforme fra tutte le imprese del Paese). Quest’ultimo dato si di-scosta sensibilmente da quello rilevato nella ricerca, sempre condotta di Isfol, sugli investimenti intangibili delle imprese da cui risulta che nel triennio 2011-2013 le imprese che hanno esternalizzato attività produttive sono state il 16% del campione, campione che comprende, è bene ricordare per comprendere la divergenza dei dati, anche le imprese con più di 250 addetti. Per questo si può ipotizzare che ad esternalizzare siano in maggior misura le imprese più grandi, il che, al di la di qualsiasi altra considerazione sulla competitività del sistema Ita-lia, è anche facilmente comprensibile se non altro per il fatto che in esse convi-vono molte fasi e attività e magari alcune di esse, in un ipotetico processo di ra-zionalizzazione produttiva, possono essere più facilmente affidate a terzi; • a conferma della maggiore dinamicità delle imprese che si misurano con un

mercato internazionale, si deve registrare il fatto che queste ultime hanno adot-tato, con più frequenza delle altre che invece operano su un mercato nazionale, regionale o locale, tutta la gamma delle opportunità offerte sia per arginare gli effetti della crisi che per sostenere processi di sviluppo (la cassa integrazione e i contratti di solidarietà nella misura del 37,0% contro il 33,5%; ricerca di nuovi mercati 62,7% contro il 41,4%; innovazione di processo 35,1% contro 19,1%; innovazione di prodotto 40,6% contro 25,0%). In questo, si può osservare come tali imprese abbiano trovato una maggiore attenzione sia sul versante pubblico (accesso alle agevolazioni pubbliche per il 20,4% contro 14,1%), sia nei mercati finanziari (ricerca di capitale di rischio, 9,9% contro 7,5%) che presso gli istituti di credito (ricorso al credito 45,0% contro il 40,5%).

Questi dati possono essere integrati da quelli rilevati dalla più volte citata indagine Isfol sugli investimenti intangibili delle imprese, che mostra come per contrastare la crisi il 35,5% delle imprese ha cercato di acquistare nuovi macchinari o introdurre innovazioni, altre hanno cercato di rafforzare aspetti di marketing, affacciandosi an-che sui mercati internazionali, altre ancora hanno cercato di migliorare i processi produttivi, sostituendo i macchinari ormai obsoleti e quindi puntando tanto sull’in-novazione dei prodotti quanto sull’abbattimento dei costi di produzione. Apprezzabi-le infine è la quota di imprese che ha investito in intangibili in funzione anticrisi: cir-ca 1/5 ha investito in R&S, mentre il 28,7% in formazione.

Da tutto ciò, emerge un quadro in cui sembra che le imprese abbiano assunto un at-teggiamento di attesa e di difesa: non si riduce il personale; non lo si ringiovanisce; si riducono i costi e si alleggerisce la struttura, anche esternalizzando funzioni e atti-vità prima svolte in casa; nonostante le tensioni finanziarie, si tende a non chiedere un prestito in banca. E un tale atteggiamento lascia spazio solo a limitati interventi sulla organizzazione del lavoro e sull’aggiornamento/sviluppo delle competenze. For-se l’elemento di maggiore dinamicità sta in quel 50-60% di impreFor-se che punta a rin-novare il proprio prodotto/servizio e cerca di entrare in nuovi mercati o di accrescere la propria quota in quelli in cui è già presente.

L’invecchiamento della forza lavoro nelle PMI 61

Nel documento NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ITALIANE (pagine 57-61)