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Legge Rodia

Nel documento L'avaria comune (pagine 47-52)

Si può affermare che, dopo la prima Guerra Punica, quando il commercio marittimo diventò un’attività importante, crebbe il bisogno di un campo normativo74

e fu possibile che Roma avesse ricevuto le leggi dai Rodii, essendo essi il popolo più esperto nel campo marittimo.

Il primo riferimento significativo è il titolo nel Digesto dedicato alla Legge Rodia e, così rilevante fu la sua importanza nel Diritto Romano, che i giuristi in tempi diversi tempi si sono impegnati nella ricerca del modo in cui i Romani assimilarono questa legge.

Si è discusso molto intorno all’esistenza di una ricezione diretta della Legge Rodia nel Diritto Romano. Sebbene essa rappresenti una forma utile per regolamentare i conflitti derivati dell’avaria comune, solo due menzioni di questa legge sono presenti nel Digesto.

Esistono teorie poco recenti che riconoscono una ricezione diretta della Legge Rodia nel Diritto Romano.

HUVELIN accetta la ricezione delle norme, dal momento che esse godevano già di un’accettazione funzionale75, mentre W. TARN e G.T. GRIFFITH sostengono che la

Legge Rodia sia da ricondurre al periodo degli Antonini76 in cui ebbe luogo

l’accettazione di queste leggi nel Diritto Romano.

74 DI LAMPORO E., De lege rodia de jactu (14.2), in Archivio Giuridico Serafini Pisa, XVII, 1881, p.330, “La

lege Rodia de jactu è un interessante non solo dal punto di vista giuridico, quale portato dell’equit ( ius aequum) carattere predominante del diritto commerciale, di fronte al ius strictum nazionale dei romani…”

75 « Nous ignorons, il est vrai, quelle était la technique de la contribution dans la coutume rhodienne à

l'époque où elle fonctionnait dans un milieu exclusivement grec et avant sa rèception dans le droit romain » HUVELIN P., op.cit., p.185.

76 ROUGE J., Recherches sur l’organisation du commerce maritime en méditerraneé sous l’empire romain, Paris, 1966, p.407, nt.1.

PARDESSUS ritiene invece che: “è un fatto incontrovertibile che i Romani hanno presso in prestito dai Rodi, se non è tutta la legge marittima, al meno quella riferente al getto e la contribuzione: Titolo II del libro XIV del Digesto, come prova sta il titolo : De Lege Rhodia de Jactu77”.

La teoria più recente non riconosce questa ricezione del Diritto Rodio nel Diritto Romano. Ad esempio, KRELLER78 ritiene che la legislazione romana elaborò norme di

diritto marittimo universalmente rispettate nel Mediterraneo, che in età Ellenistica erano designate col nome di Lex Rhodia79.

KRUGER afferma che i Romani non avevano bisogno della Lex Rhodia, in quanto essi avevano trattato in modo autonomo il diritto marittimo80.

Per ottenere maggiori approfondimenti sulla ricezione e la regolamentazione dell’avaria comune, occorre esaminare i riferimenti alla Legge Rodia nel Digesto nel Titolo 14.2 De Lege Rhodia de Jactu e nei passi 14.2.1 e 14.2.9.

Il Titolo 14.2. “De Lege Rhodia de Jactu” deriva dal titolo “Ad legem Rhodiam” dalle Sentenze di Paolo libro II, titolo Settimo.81

Il passo D.14.2.1 riporta la seguente frase: “Nella legge rodia si ordina, se che

per alleggerire la nave si fece il getto delle merci, ciò che per tutti fu dato, si risarcirà con contributo su di tutti”.

Questo frammento, che fa esplicito riferimento alla Legge Rodia, è derivato delle sentenze di Paolo che riportano il titolo 2.7.1: “Lavandae navis gratia iactus cum

mercium factus est, omnium intributione sarciatur, quod pro omnibus iactum est”82.

Dal confronto del testo delle sentenze di Paolo con il Digesto emergono alcune ma importanti differenze.

77 PARDESSUS J. M., op.cit., Paris, 1828, p.28.

78 KRELLER, Lex Rodia. Untersuchungen zur Quellengeshichte des rÖm Seerechts.Zt,Handelsrecht, 85, 1921, p. 258 ss. Citato da DE MARTINO, op. cit., p.4, nota 2.

79 DE MARTINO F., op.cit., p.4.

80 KRUGER H., op.cit., citato da DE MARTINO, op. cit. p. 16, nt.1. 81 BIANCHI FOSSATI VANZETTI M, Pauli sententiae, Padova, 1995, p.31. 82 BIANCHI FOSSATI VANZETTI M., op.cit., p.31.

Nelle sentenze di Paolo manca la frase iniziale lege rhodia cavetur, ut che è invece riportata nel Digesto. Secondo KRELLER questa nota indica un’interpolazione del passo83. Allo stesso modo, nella parte finale del frammento il Digesto parla di

datum est, a differenza delle sentenze di Paolo che riportano iactum est.

Il D.14.2.9, scritto in greco e tradotto in latino, proviene da un’opera di Volusio Meciano “ex lege Rhodia” di cui si conoscono pochi riferimenti. In particolare, l’Indice Fiorentino84 non menziona quest’opera di Volusio Meciano, riportando come sue

opere solamente “quaestionum de fideicommissis”85 e“iudiciis publicis”86 libri XVI e

XIV rispettivamente87.

Queste considerazioni fanno pensare che questo testo non fosse stato aggiunto dai compilatori88.

Alcuni giuristi segnalano che questo frammento appartiene ad un protocollo ufficiale di Meciano, quando formava parte del Consilium principis89. Il punto più

rilevante di questo frammento è l’autorizzazione a far riferimento alla Legge Rodia inclusa nello stesso frammento. Il caso appena menzionato contiene il riconoscimento di un’altra legislazione da parte dal imperatore Antonino, col precedente che l’imperatore Augusto l’aveva già autorizzato90.

Tuttavia, l’aspetto rilevante da evidenziare è l’applicazione della Legge Rodia come statuto locale in quel tempo. Il proprio rescriptio d’Antonino è una conferma di una cosa che nella pratica si stava già verificando, e non solo alla vicenda del naufragio di Eudemonie91, ma a tutto ciò relativo al diritto marittimo.

In merito all’avaria comune, questo frammento nel commento non doveva essere collocato sotto il titolo “De Lege Rhodia de Jactu”, dal momento che non menziona nulla relativamente al getto. Appare più opportuno la sua collocazione nel titolo

83 KRELLER, op.cit., p.259 ss. 84 DE MARTINO, op. cit., p.13

85 LENEL, op.cit., n. 1-53, pp.575-587. 86 LENEL, op.cit., n. 54-57, pp.587-588

87 ATKINSON K. M. T., op.cit., p.54; crede nella possibile omisione nella trascizione dei compilatori da una possibile opera di Maecianus, in relazione alla Legge Rodia.

88 DE MARTINO F, op.cit., p.9.

89 KRUGER, op.cit., p.315. citato in ZAMORA MANZANO, op. cit., p.128. 90 PARDESSUS J. M., op.cit., p.29.

91 MANFREDINI A. D., op.cit., p.382. Menziona che: nel periodo del Impero Romano d’Oriente, si riconosce alla legge rodia, “ Nautica omnia et quaecumque circa mare in iudicium veniunt, ex Rodia deciduntur lege

…”, con la stessa limitazione a quella raccolta nel testo di Meciano, anche se in questa l’autore vede

l’incidente marittimo come una occasio legis;cfr. Fonte PARDESSUS, op. cit. I., p. 196, dentro dell

Synonpsis Basilicorum Minores, cap. XIV De nauticis legibus, testo citato di maniera integra in materia di

relativo al naufragio. DE MARTINO ritiene che ci sia stato un errore sistematico e che i commissari, nella fretta con la quale lavorarono, adoperano una compilazione sulla

Lex Rhodia che doveva essere diffusa nelle scuole, ed accogliendola in tutto o in

parte nei Digesti, non rilevarono che il frammento era fuori posto. DE MARTINO nutre inoltre anche una serie di dubbi circa l’esistenza dell’opera Ex Lege Rhodia, in quanto non si giustifica il motivo per cui i compilatori avrebbero dovuto leggerla tutta ed estrarre solo un frammento92.

Sempre in relazioni alla Leggi Rodia, nella parte finale del prologo dello Ius

Navale Rhodiorum, si ritrova una frase simile a quella del 14.2.9 del Digesto:

“Quin et Antoninus deprecanti respondit: Ego quidem mundi sum dominus, lex vero maris. Lege Rhodia res nauticae disceptentur, quatenus ei nulla nostra lex adversatur. Idem sacratissimus Augustus respondit”.93

Sebbene i due testi appaiono molto simili, sussiste una differenza importante: il Digesto utilizza il termine divus, mentre il Ius Navale Rhodiorum utilizza la parola

sacratissimus. Tale differenza fa pensare che la legge Rodia fu utilizzata come

statuto locale di una provincia, autorizzata per primo dall’Imperatore Augusto94, che

riconosceva ufficialmente questa legge che nella pratica era già utilizzata. Posteriormente fu riconosciuta da altri imperatori95.

In merito a tale frammento, Cujas ritiene “come dice la legge 9 di questo

titolo(D.14.2.9, secondo Volusius Mœcianus) era dell’idea che l’arte e i negozi navali furono decise della stessa forma che le leggi Rode, li dove le leggi del popolo romano mancavano, dello stesso modo che nostri principi hanno stimato che le controversie diventavano regole secondo il diritto civile romano quando il diritto civile specificava quello che mancava”.96

92 DE MARTINO F., op.cit., p.14

93 PARDESSUS J.M., op.cit., p.232. Il frammento, redatto da diversi manoscritti del medioevo, conferma l’applicazione di numerose disposizioni del diritto rodio, dove si trovano delle differenze col proprio Digesto.

94 RICCOBONO, op.cit., segnala che il primo a consentire l’applicabilità del diritto Rodio fu Octavio Augusto.

95 MANFREDINI A. D., op.cit., p.379.

Il commento anteriore di questi due passi può far pensare che sia esistita una ricezione letterale, come riferisce DE MARTINO97, se consideriamo che il frammento

14.2.9 presenta errori sistematici, perché non regola il getto, potremmo supporre che i romani non avevano nessun regolamento per l’avaria comune e per la contribuzione; di conseguenza acquisirono questo frammento e lo sistemarono nel 14.2 del Digesto. Dal punto di vista formale, al di là dei numerosi riferimenti generali della Legge Rodia nelle fonti letterarie98 che dimostrano la conoscenza del Diritto

Rodio nel mondo romano, queste sono insufficienti a spiegare il fatto che le norme romane che regolano il getto abbiano solamente origine nel diritto rodio.

Si può quindi concludere che i giuristi più radicali abbiano criticato l’interpolazione, cercando di risolvere i dubbi sul origine greca di questa legge relativa all’avaria comune e hanno riconosciuto nel D.14.2. una creazione a posteriori operata dai compilatori fra cui punto di conclusione il nomos Rodion náuticos redatto nel secolo VIII della nostra era .Il diritto classico romano avrebbe quindi sviluppato un diritto marittimo autonomo, senza ricevere regole straniere, come ipotizzato da KRELLER che nega la ricezione diretta del Diritto Rodio nel Diritto Romano, ma solo in certa misura, giacché, anche se il problema della contribuzione fu regolato con mezzi giuridici romani, non si può negare l’influenza greca che proviene dalle loro abitudini marittime.

L’altra parte della dottrina accetta la ricezione della legge nel Diritto Romano nel periodo classico come una ricezione semplice d’una regola straniera all’interno Diritto Romano, come un complesso di norme pratiche del commercio marittimo, diffusae nel Mediterraneo Orientale, ricevute nel mondo romano col nome di Lex Rhodia99.

Un elemento concreto circa l’esistenza della legge Rodia è stato portato alla luce grazie ad una recente scoperta. In occasione di lavori di ristrutturazione del porto di Rodi, è stata rinvenuta una colonna in marmo bianco databile al II-III sec. D.C., contenente un'epigrafe che menziona la Lex Rhodia, citando il noto testo di Paolo, tratto dal secondo libro dell'opera Sententiae, proprio come frammento d'inizio del titolo del Digesto De lege Rhodia de Jactu “Lex Rhodia cavetur ut si levandae navis

97 ASHBURNER W., op.cit., p.74.

98CICERONE, De inventione. I, 47, ”Nam si Rhodiis turpe non es portorium locare…”; II,87, “Rhodii

quosdam legarunt Athenas..”, II, 98,”Rhodius ut, si qua rostrata in portu navis deprehesa sit, publicetur”.

gratia iactus mercium factum est omnium contributione sarciatur quod pro omnibus datum est”. Si evidenzia nell'epigrafe la variante testuale "sarcitur", invece di

"sarciatur" della Florentina e l'assenza della lettera acca in "Rodia". E' inoltre interessante osservare che "sarcitur" è emendato dagli editori delle Sententiae di Paolo in "sarciatur" e si riscontra in tutta la letteratura latina in un solo testo del giurista Ermogeniano, proprio nel titolo De Lege Rhodia (D. 14.2.5). Sulla Scuola Italiana a Rodi cfr. Petrucioli, Archeologia e mare nostrum100.

A mio avviso, una ricezione della Legge Rodio nel Diritto Romano non è avvenuta in forma completa, in quanto l’azione per cui si risolve e la ripartizione dei danni sono regolati attraverso metodi tecnici romani.

L’accettazione della Legge Rodia é un chiaro esempio dell’abilità che avevano i Romani di integrare principi giuridici stranieri e di perfezionarli.

Nel documento L'avaria comune (pagine 47-52)