• Non ci sono risultati.

La leggenda dell’uccello senza zampe: Days of Being Wild (A Fei Zhengzhuan, 1991)

5. LA TRILOGIA LATINA

5.1 La leggenda dell’uccello senza zampe: Days of Being Wild (A Fei Zhengzhuan, 1991)

“Per me la cosa più importante riguardo la sceneggiatura è conoscere lo spazio in cui è ambientato. Lo spazio ti dice chi sono i personaggi, perché sono lì, e così via.” Sono le parole dette da Wong Kar-wai in un’intervista con Laurent Tirard nel 2002 riguardo al suo secondo lavoro, Days of Being Wild 阿飞正传.63 “Questo è il film con cui Wong Kar-wai diventa Wong Kar-wai, il più romantico, il più influente e il più passionale della Seconda Nuova Ondata”.64

Il film era concepito come un dittico, data la sua lunghezza. La prima parte, con Leslie Cheung protagonista, era ambientata nel 1960, la seconda parte, con Tony Leung, era ambientata nel 1966 (il 1967 era l’anno della sommossa filocinese a Hong Kong, rievocata poi in 204665), il quale appare alla fine del film. Inizialmente era previsto anche un prologo dedicato alla famiglia di Yuddy e ambientato in un villaggio di pescatori negli anni Trenta. La pianificazione di una seconda parte del film, dimostra il profondo interesse che Wong Kar-wai aveva per la rappresentazione a episodi, che risale ai tempi del silenzio cinematografico e che era la base della letteratura. La seconda parte non è mai stata realizzata, nonostante il regista avesse già girato per il seguito molte sequenze nelle Filippine. Quello che si può notare sono i personaggi che rispecchiano quelli del primo film del regista: Yuddy, Su Lizhen e l’amico di Yuddy in Days of Being Wild si rifanno rispettivamente a Wah, Ngor e Fly in As Tears Go by. Quest’ultimi vanno indietro nel tempo, senza mai entrare in contatto con il presente. La narrazione del film era chiaramente destinata a estendersi                                                                                                                

63 “To me, the most important thing about the script is to know the space it takes place in. The space

tells you who the characters are, why they're there, and so on”, Laurent Tirard, Moviemakers’ Master Class, Faber and Faber, 2002, cit. in Sean Axmaker, “Turner Classic Movie”, http://www.tcm.com/this-month/article.html?isPreview=&id=770340%7C715173&name=Days-of- Being-Wild (consultato il 15 gennaio 2014).

64 John Hoberman, “As Years Go by – A Very Wong Engagement: Time-travelling between an

Imaginary Past and an Eternal Now”, The Village Voice, http://www.villagevoice.com/2004-11- 09/film/as-years-go-by/, 9 novembre 2004 (consultato il 23 settembre).

65 La sommossa filocinese del 1967 a Hong Kong fa riferimento ai disordini di sinistra contro il

dominio coloniale britannico. I manifestanti si scontrarono violentemente contro le forze di polizia di Hong Kong e, istigati dagli eventi della Rivoluzione Culturale nella Repubblica Popolare Cinese, diedero vita a scioperi e manifestazioni organizzate. Questi scontri diventarono ancor più violenti quando la sinistra attuò degli attacchi terroristici, mettendo delle bombe vere e finte nella città e uccidendo alcuni operatori della stampa.

ben oltre la sua struttura, ma il tempo continuo del finale rimanda a un’altra storia che non si è materializzata, trasmettendo un senso di mancanza di una forma di tempo eterna.

Days of Being Wild è ambientata in una Hong Kong del 1960. È la storia di

un giovane ribelle, disilluso, Yuddy (interpretato da Leslie Cheung 张国荣), che si fa mantenere dalla madre adottiva Rebecca (interpretata da Rebecca Pan 潘迪华), una ex prostituta, la quale gli dà tutto, tranne la cosa di cui lui ha più bisogno, ovvero l’identità della sua vera madre. Questo porta Yuddy a comportarsi in modo cinico e indolente con le altre persone, soprattutto con le figure femminili: inizialmente seduce una ragazza solitaria che lavora come barista, Su Lizhen (interpretata da Maggie Cheung), che si innamora di lui. Quando Yuddy rifiuta di sposarla, la lascia. In cerca di altre relazioni, il giovane si imbatte in una ballerina di un nightclub, Lulù, chiamata anche Mimi (interpretata da Carina Lau), anche quest’ultima innamorata di Yuddy, ma con la stessa sorte di Su Lizhen. Di Lulù, invece, si innamora l’amico d’infanzia Zeb (interpretato da Jacky Cheung), ma la ragazza non lo ricambia. Su Lizhen, non riuscendo a dimenticare Yuddy, si aggira per le strade di Hong Kong, trovando conforto in un giovane poliziotto, Tide (interpretato da Andy Lau), il quale coltiva il desiderio di diventare un marinaio. Dopo una furiosa lite con la madre adottiva Rebecca, Yuddy riesce finalmente ad avere informazioni riguardo la madre naturale. Subito decide di partire per le Filippine, luogo d’origine della donna, senza avvisare nessuno. Disperata, Lulù viene a sapere da Zeb che il suo Yuddy è partito. Zeb vende l’auto che gli era stata regalata dall’amico, offrendo così i soldi del ricavato alla ragazza, in modo che potesse raggiungere il suo amato. Nel frattempo Yuddy è riuscito a rintracciare la casa della madre, ma quest’ultima si rifiuta di incontrarlo. Il giovane si ferma a Manila, dove conosce Tide, il poliziotto che è diventato marinaio e che ben presto lo coinvolgerà nei suoi guai. Prima di morire Yuddy capisce di aver amato Su Lizhen più di ogni altra. Lulù, ignara della sorte del giovane, è arrivata nelle Filippine per cercarlo. Su, invece, tenta di mettersi in contatto con Tide, non sapendo che il giovane ha lasciato Hong Kong. Nell’ultima sequenza, un personaggio misterioso, mai visto per tutto il film, esce da un piccolo appartamento, dopo essersi messo in tasca del denaro, un mazzo di carte e un fazzoletto.

È un film caratterizzato da storie che si intrecciano, da personaggi inseguiti dai ricordi, tipico del cinema di Wong Kar-wai Un’altra caratteristica presente nel film è

la componente gangster, intesa in modo diverso da quella tipica dello “hero-movie” che troviamo in As Tears Go by. Infatti, la storia è ambientata negli anni ’60, dove la rappresentazione della violenza e dell’eroe con la pistola in mano non era di moda. Al contrario, la variante gangster del periodo era il genere Ah Fei, popolare nel cinema cantonese, che è apparso in seguito al suo successo di James Dean nel film Rebel

Without A Cause (Gioventù Bruciata) del 1955 di Nicholas Ray.66 Infatti, Days of

Being Wild ricorda quella gioventù bruciata in preda all’angoscia, all’ansia per l’età

adulta. Ah Fei è un’espressione cantonese con cui negli anni Cinquanta e Sessanta si indicava un giovane nullafacente, delinquente, teppista. Letteralmente Fei significava

volare, metafora riferita a quei “giovani maturi” che non volevano sottostare al

controllo dei genitori e che si sentivano oppressi dalla società, l’unico desiderio che avevano era quello di abbandonare la città. All’inizio del film, infatti, si vede il paesaggio di una foresta tropicale, un’immagine fuori dalla realtà hongkonghese, che apparirà prima della morte di Yuddy.

Metaforicamente Yuddy allude ad Ah Fei, ricordando all’inizio del film in voce over la leggenda dell’uccello senza zampe che può atterrare una volta solo nella vita, ossia quando muore: “Ho sentito dire che in questo mondo c’è un uccello senza gambe. Può volare e volare e quando è stanco, si addormenta nel vento. Atterra solamente una volta nella sua vita, quando muore.” Ciò che colpisce di più è che l’uccello non ha le zampe. La relazione tra l’uccello e Yuddy è già evidente nella prima parte del film, vale a dire che il “volo obbligato”, come lo definisce Silvio Alovisio67, consiste nel ripetere con donne diverse la ricerca di qualcosa che non riuscirà mai ad avere. Tuttavia il termine Ah Fei è anche simbolo del suo tempo, come l’uso della musica latina, che accompagna Yuddy nella danza, subito dopo aver pronunciato il monologo.

La memoria

Con Days of Being Wild, Wong Kar-wai vuole rievocare gli anni Sessanta, il

mood di quell’epoca. Non fa una semplice riflessione sulla storia del suo paese, né

una ricostruzione filologica del passato. Il regista ha un feeling speciale con la Hong Kong degli anni Sessanta. Nel 1963, infatti, egli arriva nella città insieme alla sua                                                                                                                

66 Il titolo cinese A Fei Zhengzhuan era anche il titolo cinese per Rebel Without A Cause di Nicholas

Ray del 1955, distribuito a Hong Kong.

famiglia. La visibilità del passato è filtrata dai ricordi di un bambino curioso e solitario. Per fare un esempio, il prevalere della memoria sulla ricostruzione è confermato anche dalla scelta di musiche latine, dal ritmo tropicale, che sono caratteristiche per l’atmosfera emotiva del film. Questa scelta deriva da fattori autobiografici e affettivi, ma è anche giustificata da un punto di vista storico. Secondo il regista, queste musiche latine erano un riferimento temporale nel film. Negli anni Sessanta, infatti, le sonorità latine erano molto popolari a Hong Kong, perché molti musicisti attivi nella colonia provenivano dalle Filippine, dove l’influenza ispanica era molto forte.68

La memoria di Wong Kar-wai riguardo a quel periodo è impressa nella sua mente. È l’epoca che rappresenta la sua adolescenza e la sua giovinezza e per questo può essere considerata come un tempo puro, in cui il passato è filtrato dai ricordi di un bambino. La sua purezza si può notare, per esempio, nella scena in cui la signora delle pulizie sta strofinando l’orologio appeso nel corridoio dell’appartamento di Yuddy, come se lo stesse “accarezzando”, apprezzandone il tempo e il trascorrere dei minuti. I personaggi nel film prevalgono sulla storia e rispecchiano un mood nostalgico e melanconico, proprio come nell’esempio citato poco sopra.

Un altro esempio di memoria e d’identità si può riscontrare in uno degli ultimi conflitti di Yuddy, in cui, abbandonato dalla madre naturale, è ossessionato dal desiderio di ritrovarla e di conoscerla. Il protagonista è alla ricerca della memoria e dell’amore, più che alla ricerca di una donna che non ha mai visto prima. Quando, finalmente, Yuddy arriva alla casa della madre naturale nelle Filippine, questa ricerca della memoria e dell’amore finisce con il dolore del giovane che viene respinto dalla madre. Ecco che la macchina da presa lo riprende da dietro mentre cammina, senza mai voltarsi verso una meta indistinta. La voce over, una tecnica distintiva del cinema di Wong Kar-wai, lo accompagna con queste parole: “Quando me ne stavo andando via, sapevo che lei mi stava guardando. Però io ero determinato a non girarmi, lei non mi aveva dato l’opportunità di vederla, di conseguenza, non volevo fare la stessa cosa.” (figg. 1-2).

                                                                                                               

1 2

Il continuo accanimento verso la madre adottiva, da cui cerca di carpire più informazioni possibile riguardo alla madre naturale, porta lo spettatore a credere che Yuddy abbia una propria idea riguardo l’amore della madre che lo ha abbandonato per delle cattive ragioni. L’ironia è che, alla fine, la realtà viene sopraffatta e la memoria svanisce. La madre non vuole rivedere il figlio perduto, e altrettanto Yuddy le risponde negandole l’opportunità di vederlo: “Lei non mi aveva dato l’opportunità di vederla e io feci la stessa cosa con lei.” Tuttavia, lo spettatore non può essere sicuro se questo è davvero ciò che sta accadendo, come la voce over non conferma davvero i pensieri del personaggio, mettendo, così, in confusione lo stesso spettatore. Per esempio, nel monologo già citato sopra risentiamo questa voce over ripetuta verso la fine del film. Potrebbe essere interpretata come il monologo di Yuddy e come Yuddy che incarna l’uccello senza zampe, dato che non ha mai lavorato o non si è mai impegnato seriamente con Su Lizhen o Mimi (Lulù). Ciononostante, Yuddy continua con insistenza a cercare la madre.

Le sequenze del paesaggio umido e nebbioso delle Filippine rafforzano l’idea del torpore della natura e del dolore personale, con la voce over che rende il protagonista in uno stato di trance. Anche in questo caso lo spettatore non sa mai con certezza se quello che nel monologo viene detto è reale o meno, e non sa neanche se è il personaggio che sta narrando in quel momento oppure è una riflessione in un tempo distante.

Una volta Wong Kar-wai ha detto, a proposito della memoria: “Memory is actually about a sense of loss – always a very important element in the drama. We remember things in terms of time: ‘Last night I met…’ ‘Three years ago, I was…’”.69 È evidente che per Wong la memoria non può essere separata dalla perdita. Il tempo                                                                                                                

69 “La memoria in realtà nasce dal senso della perdita, dal sentimento della mancanza, che è sempre

un elemento molto importante all’interno del dramma. Ricordiamo ogni situazione in termini di tempo: La notte scorsa ho incontrato…, Tre anni fa ero…”. Queste parole fanno riferimento all’intervista con Jimmy Ngai, cit. in Leonardo Gliatta, Wong Kar-wai, Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 109.

passato è il tempo perduto e l’amore irrecuperabile costituisce l’essenza della memoria. Per prima cosa non importa se la memoria sia vera o meno, ciò che importa è che una persona la deve avere. In secondo luogo la memoria è fondamentalmente una cosa immaginaria, vale a dire che se davvero aveva una foto scattata con la madre all’età di cinque anni, non importava il ricordo di quando era stata scattata. Nel film, anche se la memoria “costruita” di Yuddy riguardo la sua vera madre e la possibilità di ricongiungersi a essa alla fine viene frantumata, la narrazione viene incentrata sulla vita di Yuddy prima che la sua memoria venga distrutta. La memoria di Yuddy della madre interessa non solamente lui stesso, ma anche tutti gli altri personaggi del film, come quando, parlando con la sua ragazza, dice che un giorno lascerà Hong Kong per ritrovare la sua vera madre. A un certo punto nel film inizia a raccontare la storia dell’uccello senza zampe come se fosse determinato a non impegnarsi né in alcuna delle sue relazioni né con la città di Hong Kong. L’identificazione di Yuddy con l’uccello senza zampe scatena una serie di drammi attorno a lui. Egli lascia Su Lizhen e seduce Mimi. Più tardi nel film, Mimi scopre che Yuddy se n’è andato e affronta Su Lizhen nella speranza di trovarlo. Dopo essersi reso conto che Su Lizhen non ha più avuto interesse nel prendersi cura di lui, Mimi corre a cercarlo nella casa della madre naturale. L’ultimo tentativo che fa è quello di andare direttamente nelle Filippine a cercarlo. I due terzi degli avvenimenti che accadono nel film sono ambientati a Hong Kong e quasi tutti i personaggi che stanno intorno a Yuddy conducono una vita lenta e stabile, prima dell’apparizione di questo personaggio Ah Fei.

La memoria immaginaria è un elemento che risuona nella mente del regista stesso. Wong Kar-wai è cresciuto a Shanghai fino all’età di cinque anni, quando, insieme alla sua famiglia, si è trasferito a Hong Kong. Inizialmente Wong voleva ambientare il film nel 1963, l’anno in cui arrivò nella città, successivamente decise di tornare indietro al 1960, l’anno in cui fu eletto John F. Kennedy. Il regista è molto abile nel ricreare la Hong Kong degli anni ’60 attraverso una serie di scelte stilistiche e tecniche cinematografiche. La Hong Kong degli anni‘60 è costruita attraverso immaginazione e memoria. Benché collocato in quegli anni, in Days of Being Wild non si vedono foto vecchie e vecchi telegiornali e mancano le immagini che identificano lo spazio urbano di quel periodo, come la vecchia stazione dei treni, i vecchi uffici postali, il Victoria Peak, e così via.

Anche se il film viene considerato un film nostalgico, in Days of Being Wild non troviamo nessuna vicenda significativa che ci riporti all’epoca del 1960. Ecco che

quell’epoca ritorna alla memoria sul piano dello stile, in cui la storia viene costruita attraverso l’arte e gli oggetti tipici degli anni ‘60. Per esempio, lo stesso personaggio di Yuddy, considerato un Ah Fei, si avvicina a questo immaginario, ma con aspetti propri del presente. Non è semplicemente un teppista degli anni ‘60, ma la sua figura viene arricchita dalla memoria e dall’immaginazione del presente. Il giovane Yuddy passa molto tempo davanti allo specchio a pettinarsi, come fosse un narcisista innamorato di se stesso; soffre di sbalzi di umore che a volte sfociano in attacchi di violenza, come accadde, per esempio, con l’amante della madre adottiva; rifiuta di avere una relazione stabile e a lungo termine. L’espressione “teppista” degli anni ’90, diversamente da quella degli anni ‘60 intesa in modo più negativo, suggerisce un’immagine che è resa più nobile grazie anche all’aspetto nostalgico per il passato. L’Ah Fei di oggi possiede un’esperienza di vita in più e vive una crisi d’identità, che porta, in questo caso, Yuddy nelle Filippine a ritrovare le proprie origini.70

Un’altra tecnica stilistica è quella in virtù della quale non troviamo quasi mai gruppi di persone inquadrate insieme (tranne la scena del Queen Café, in cui sullo sfondo vengono inquadrate alcune persone), ma la macchina da presa si focalizza su primi piani, al massimo di tre personaggi, come se Hong Kong fosse una città deserta. La scena con Su Lizhen che lavora al bar non ci fa vedere nessun cliente, a parte Yuddy, l’unica prova che dimostra l’esistenza di altre persone è data dalle bottiglie vuote di Coca Cola che hanno lasciato. Con questo metodo, Wong cerca di rafforzare il sentimento di frustrazione che invade la mente dei personaggi.

Una novità strutturale risiede nel ritmo del film. È un ritmo più lento e più esteso rispetto al suo film d’esordio, As Tears Go by. Days of Being Wild è caratterizzato da momenti molto lenti a improvvise accelerazioni, come nel caso del litigio tra Yuddy e Lulù, l’aggressione del giovane all’amante della madre adottiva, la rissa nel bar di Manila, ecc. L’uso dell’inquadratura in Wong Kar-wai è fondamentale per dare un ritmo al film: il regista, attraverso l’utilizzo di questa tecnica, vuole ricreare il ritmo della Hong Kong degli anni Sessanta, percepito nei ricordi d’infanzia di Wong come un tempo della lentezza. Per esempio, le inquadrature su uno spazio vuoto dopo che i personaggi hanno abbandonato la scena; sguardi misteriosi e prolungati al nulla, agli specchi, ai muri, o, meno frequente, alla macchina da presa (gli sguardi di Yuddy e di Rebecca che segnano la loro definitiva separazione in figg.                                                                                                                

70 Per l’espressione Ah Fei si veda Stephen Teo, Wong Kar-wai, London, British Film Institute, 2005,

3-4-5); lunghe pause tra una battuta e l’altra, scandite dal ticchettio di un orologio; frequenti campi lunghi sull’attore, per esempio il primo piano sul monologo di Su o quello di Tide, nel suo ultimo dialogo con Yuddy oppure il pianto di Lulù al tavolo del bar (fig. 6).

3 4

5 6

Il film dà molta importanza ai personaggi, anche minori, al loro modo di comportarsi, alle loro relazioni umane, ai loro stati d’animo. Sono persone che provengono dalla classe media, intrappolati in un mondo che non appartiene loro, e il passare del tempo rende ancor più difficile la loro esistenza. La scelta delle voci over date ai personaggi complica la struttura, moltiplicando i punti di vista, indebolendone uno unico e coerente. Le voci over in Days of Being Wild sono, più che altro, dei commenti che i personaggi rivolgono a loro stessi. Ad esempio, Su Lizhen quando ripensa ai giorni passati con Yuddy (“Avrà ricordato quel minuto a causa mia? Non lo so”), il ricordo di Tide dopo l’ultima volta che ha rivisto Su (“Non ho mai sperato che mi chiamasse, ma ogni volta mi fermavo ad aspettare davanti al telefono”). È, anche, attraverso questa tecnica che il tema del tempo della memoria è presente, come la voce di Yuddy che ricorda il suo incontro mancato con la madre biologica.