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La lettera g-sexies dell’art 44 del Tuir e l’orientamento della circolare

La finanziaria 2007 aveva introdotto, con l’art. 1 comma 75, nell’art. 44, comma 1 del Tuir, la lettera g-sexies) secondo la quale costituiscono redditi di capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti”.

Il principio introdotto, si ricorda, consiste, nel fatto che nel momento dell’imputazione del reddito ai beneficiari, questo viene riqualificato in capo ad essi come reddito di capitale e viene di conseguenza tassato secondo le regole previste per tale categoria di reddito.

La suddetta riqualificazione riguarda essenzialmente i beneficiari che non siano imprese commerciali residenti, cioè le persone fisiche residenti che non svolgono attività d’impresa commerciale, le società semplici, gli enti non commerciali, nonché i soggetti non residenti per l’attività non imputabile alla stabile

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organizzazione nel territorio dello Stato. Con riferimento, invece, ai beneficiari del trust che siano impese commerciali residenti, il reddito deve essere qualificato e tassato come componente del reddito d’impresa secondo quanto disposto dall’art. 81 del Tuir.

Il dato letterale del suddetto articolo ha sollevato però diversi dubbi incentrati soprattutto sul significato da attribuire alla locuzione “anche se non residenti” e secondo autorevole dottrina107 dalla norma si presumerebbe che la stessa dovrebbe delineare il trattamento tributario di quei casi che l’art. 73 comma 2 del Tuir, combinato con l’art. 23, non disciplinerebbe e che questi casi produrrebbero un’ingiustificata contrazione della materia imponibile.

In seguito l’Amministrazione finanziaria è intervenuta con un’altra circolare, la n. 61 del 27 dicembre 2010108, nella quale viene chiarito che: “l’espressione “anche se non residenti” non può che intendersi riferita ai trust, posto che la finalità della norma è quella di rendere il beneficiario residente individuato soggetto passivo con riferimento ai redditi ad esso imputati dal trust, a prescindere dalla residenza di quest’ultimo e fermo restando, comunque, quanto in precedenza chiarito circa l’ipotesi in cui il trust abbia già autonomamente sottoposto a tassazione in Italia i redditi imputati al beneficiario”, la circolare poi continua concludendo che “in definitiva il reddito imputato dal trust ai

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G. Genta, Op. Cit., in Rassegna tributaria¸2011, fasc. 4 pag. 937-938: “Le maggiori incertezze si concentrano sul significato da attribuire alla locuzione anche se non residenti posta in chiusura alla lettera g-sexies del citato art. 44, che, si presume, dovrebbe assolvere il compito di delineare il trattamento tributario di quelle fattispecie che il semplice rimando all’art. 73 del Tuir – combinato con i criteri di localizzazione dei redditi di cui all’art. 23 del Tuir – non disciplinerebbe. Il riferimento a <<…i redditi imputati ai beneficiari di trust ai senti dell’art. 73 comma 2…>> del Tuir permetterebbe, infatti di regolare solamente il trattamento tributario delle seguenti fattispecie di trust trasparenti: a) trust residente con beneficiari residenti, b) trust residente con beneficiari non residenti, c) trust non residente che realizza redditi in Italia con beneficiari residenti. L’art. 73, comma 2, del Tuir, fa infatti riferimento ai trust che presentano un legame con il territorio dello Stato rappresentato dalla residenza o al luogo di produzione del reddito. Rimarrebbero tuttavia non disciplinate le ulteriori ipotesi: d) del trust trasparente non residente che realizza redditi in Italia con beneficiari non residenti, e) del trust trasparente non residente che non realizza redditi in Italia, ma i cui beneficiari sono ivi residenti. Con riferimento all’ipotesi d) mancherebbe il criterio di collegamento con il territorio dello Stato: ai sensi dell’art. 23 del Tuir, infatti, affinché un soggetto non residente realizzi un reddito di capitale in Italia occorre che tale reddito sia corrisposto da un soggetto residente o dalla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente. Essendo, in questo caso, il trust non residente non sarebbero imponibili in Italia i redditi imputati a un beneficiario non residente. Relativamente all’ipotesi e), non sarebbero imponibili in Italia in capo al beneficiario ivi residente i redditi realizzati all’estero da un trust trasparente non residente, per mancanza di un’esplicita previsione normativa in tal senso”.

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beneficiari residenti è imponibile in Italia in capo a questi ultimi quale reddito di capitale, a prescindere dalla circostanza che il trust sia o meno residente in Italia e che il reddito sia stato prodotto o meno nel territorio dello Stato”.

Il chiarimento fornito permette di disciplinare una fattispecie imponibile che prima non lo era e che è quella dei redditi di un trust estero attribuiti per trasparenza ad un beneficiario residente in Italia.

La dottrina109 ha, però, evidenziato che nonostante il chiarimento fornito non vengono individuate norme che permettano di determinare il reddito in questione. Altra perplessità scaturisce poi nell’inciso “e fermo restando, comunque, quanto in precedenza chiarito circa l’ipotesi in cui il trust abbia già autonomamente sottoposto a tassazione in Italia i redditi imputati al beneficiario”, dove sembra che si escluda la trasparenza quando il trust ha già assoggettato a tassazione i redditi in Italia.

Per autorevole dottrina110 sembrerebbe che emerga una tesi secondo cui i trust sono comunque trasparenti se l’opacità non ha determinato un assoggettamento all’Ires in Italia e che tale tesi prosegua nella circolare 61/2010 quando si afferma che il reddito imputato dal trust ai beneficiari residenti è imponibile in Italia in capo a questi ultimi quale reddito di capitale, a prescindere dalla circostanza che il trust sia o meno residente nel territorio dello Stato.

La stessa dottrina poi afferma che l’Agenzia, nel prosieguo della circolare, abbia ipotizzato una nuova forma di trasparenza e ciò si desumerebbe dal fatto che

109 G. Genta, Op. Cit., in Rassegna tributaria¸2011, fasc. 4 pag. 941: “Nel sistema delle imposte sui redditi a ogni norma di qualificazione ne corrisponde una di quantificazione; essendo fiscalmente rilevanti in Italia i redditi ovunque prodotti da soggetti ivi residenti e i redditi ivi localizzati realizzati da non residenti, non vi è di regola alcuna norma che disciplini la quantificazione di redditi realizzati all’estero da non residenti, in quanto non rilevanti in Italia. […] Il parallelismo con le società di persone potrebbe nuovamente fornire una soluzione a questa lacuna. L’art. 44, comma 1, lett. e) del Tuir prevede, infatti, che siano imponibili in Italia gli utili corrisposti, tra gli altri, da società di persone non residenti ai soci residenti, a prescindere da eventuali meccanismi di imputazione per trasparenza del reddito previsti nello stato di residenza della società. In analogia a quanto previsto per le società di persone, ciò che rileverebbe ai fini della tassazione del beneficiario non sarebbe tanto il reddito prodotto all’estero dal trust non residente, ma quanto effettivamente corrisposto dal trust avente natura reddituale[…] dando rilevanza a quanto effettivamente corrisposto dal trust non sarebbe più necessario effettuare un ricalcolo periodico del reddito realizzato dal trust estero, ma occorrerebbe individuare dei criteri con cui qualificare la natura delle distribuzioni ricevute, tenendo distinti i flussi aventi natura reddituale da quelli rappresentanti distribuzioni al beneficiario delle somme o dei beni destinati in trust, analogamente a quanto avviene per le società di persone per distinguere tra distribuzioni di utili e restituzioni di capitale”. 110 E. Vial, op. cit., pag. 109

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viene affermato che “il regime proposto evita il conseguimento di indebiti risparmi di imposta che potrebbero essere conseguiti, ad esempio, nell’ipotesi di trust opachi costituiti in giurisdizione straniere a regime fiscale agevolato”. Secondo l’Agenzia, “in tal caso, alla tassazione ridotta in capo al trust corrisponderebbe, comunque, l’imposizione in capo al beneficiario residente secondo il regime dell’art. 44 comma 1 lettera g-sexies del Tuir”. La trasparenza, in questo caso, prescinderebbe dall’esistenza di un diritto soggettivo alla percezione del reddito da parte del beneficiario. Affinché poi operi questa trasparenza è necessario che ci sia comunque una imputazione del reddito in capo al beneficiario.

Si riporta di seguito un esempio chiarificatore della dottrina: il trust Alfa è italiano con beneficiari italiani. Dall’atto istitutivo emerge un potere discrezionale in capo al trust circa l’attribuzione dei frutti, che lo rende di conseguenza un trust opaco. Nel 2010 il trust percepisce due canoni di locazione, uno da un immobile sito in Italia, l’altro da un immobile sito all’estero. Entrambi i canoni di locazione saranno tassati rispettivamente come redditi da fabbricati e come redditi diversi in capo al trust scontando l’Ires. A fine 2010 il trust attribuisce una parte dei frutti ai beneficiari che verranno bonificati a inizio 2011. Questi frutti attribuiti ai beneficiari non sconteranno alcuna tassazione in capo a quest’ultimi.

Ora supponiamo che il trust sia non residente (il trustee in questo caso è un soggetto estero) ma che l’atto istitutivo sia nella sostanza analogo. Il trust è discrezionale e quindi opaco. Alla luce dei chiarimenti forniti nella Circolare 61, tuttavia, l’opacità sembra operare solo per gli affitti italiani. Per gli affitti esteri, invece, nasce questa nuova forma di trasparenza che prescinde dall’esistenza di un diritto soggettivo alla percezione dei frutti da parte dei beneficiari. Questi, tuttavia, pur dichiarando tale reddito per competenza e non per cassa, non dovrebbero considerare la maturazione o percezione in capo al trust ma solo l’attribuzione da parte del trustee a loro stessi.

La circolare n. 61/2010 termina poi con un paragrafo in cui viene analizzato e chiarito il caso di beneficiari non residenti di trust italiani trasparenti o misti.

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Essa afferma che, in questi casi, il reddito imputato ai beneficiari non residenti, va considerato prodotto in Italia ai sensi del principio generale sancito dall’art. 23 lettera b) del Tuir.

La norma citata prevede, l’imponibilità nei confronti di soggetti non residenti dei redditi di capitale “corrisposti” dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni in Italia di soggetti esteri.

Da una interpretazione strettamente letterale della norma si dovrebbe concludere nel senso di escludere la tassabilità in Italia dei frutti del trust in quanto, in base alla lettera g-sexies), la fattispecie reddituale assuma rilevanza per effetto della sola imputazione.

L’Agenzia, però, chiarisce dicendo che “tuttavia, dal momento che la lettera g- sexies) sopra richiamata ha definito una nuova tipologia di reddito di capitale che assume rilevanza per effetto della sola imputazione, si ritiene che, in forza della specialità della norma, tale criterio prevalga su quello della corresponsione previsto in linea generale dalla predetta lettera b) comma 1 dell’art. 23. Conseguentemente i redditi imputati da trust residenti a beneficiari non residenti sono tassabili a prescindere dalla loro effettiva corresponsione.”

Secondo la dottrina,111 l’interpretazione fornita dall’Agenzia in relazione a quest’ultima fattispecie, appare sicuramente condivisibile in quanto una diversa interpretazione, pur trovando un valido appiglio nella lettera della norma porterebbe ad uno sfruttamento delle smagliature del sistema per sottrarsi al pagamento delle imposte.