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I LIBRI DEL NUOVO TESTAMENTO

Nel documento per il lettore della Bibbia Vademecum (pagine 102-114)

Fatta eccezione per le epistole di sicura attribuzione paolina (1 Tessa-lonicesi, 1-2 Corinzi, Galati, Filippesi, Filemone, Romani, Colossesi), per tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento esistono tuttora forti divergenze fra gli studiosi circa l’autenticità e la data di composizione. Si va dalla po-sizione più conservatrice, che mantiene autori e date tradizionali, a quella più critica che tende a spostare verso l’anno 100 (e anche oltre) numerosi scritti del Nuovo Testamento. Fra questi due estremi esiste una gamma in-finita di posizioni intermedie. Non è sempre facile orizzontarsi fra queste varie ipotesi: esistono ragioni interne agli scritti (linguaggio, espressioni, citazioni) ed esterne (riferimenti, allusioni) che militano in favore di una soluzione o di un’altra.

Sovente la datazione di uno scritto dipende dalla soluzione adottata circa la sua autenticità. Per esempio, le epistole «pastorali» (1-2 Timoteo e Tito), se si attribuiscono personalmente a Paolo, vanno collocate prima dell’anno 64; se viceversa si rifiuta la loro autenticità e si attribuiscono a un collaboratore di Paolo, vanno collocate verso l’anno 90, quando le comu-nità erano già saldamente costituite. Intorno alle figure dei grandi apostoli operavano discepoli e collaboratori che si ispiravano al loro insegnamento. Si può quindi parlare di «scuole» paolina, petrina, giovannea, dalle quali sono sorti alcuni scritti del Nuovo Testamento. Questi, se pur non autentici dal punto di vista formale (cioè scritti o dettati direttamente dall’aposto-lo), possono essere considerati autentici dal punto di vista dell’ispirazione (cioè scritti da un discepolo che si ispirava all’insegnamento dell’aposto-lo). Questo vale, ad esempio, per le epistole agli Efesini e agli Ebrei e per la 2 Tessalonicesi (che sono di ispirazione paolina); per la 2 Pietro (che è di ispirazione petrina); per le epistole di Giovanni e l’Apocalisse (che sono di ispirazione giovannea). Questo procedimento non ci deve né stupire né scandalizzare: era abbastanza normale nell’antichità attribuire uno scritto di particolare valore al personaggio che lo aveva ispirato (anche se non ne era l’autore materiale) per dare allo scritto una maggiore autorità morale (in questi casi, apostolica).

Lo stesso discorso vale per i Vangeli. Il Vangelo di Matteo, ad esem-pio, nella stesura attuale è quasi certamente frutto di una «scuola mattaica» che ha elaborato un precedente scritto di Matteo molto più breve. Assai complesso è il problema degli scritti di Giovanni. Vari studiosi ritengono che il Vangelo sia opera in gran parte dell’apostolo, mentre gli altri scritti sarebbero stati composti da discepoli.

1. Vangeli e Atti

I primi quattro libri del Nuovo Testamento sono attribuiti dalla tradi-zione a due apostoli (Matteo e Giovanni) e a due discepoli degli apostoli (Marco e Luca). I primi tre vangeli (Matteo, Marco e Luca) sono detti «si-nottici» per il parallelismo dei loro contenuti. Come indica il nome di van-geli (preferibilmente attribuito ai libri) e di evanvan-geli (preferibilmente attri-buito al messaggio), il loro scopo non è tanto la biografia di Gesù quanto la predicazione del suo insegnamento e della sua missione. Il Vangelo di Luca si collega agli Atti degli Apostoli, che ne costituiscono il seguito, mentre il quarto vangelo, insieme alle epistole di Giovanni e all’Apocalisse, forma quello che, per convenzione, viene chiamato «corpus giovanneo».

Matteo. È il primo, benché non il più antico, dei quattro vangeli, attribuito

dalla tradizione all’apostolo ed ex pubblicano Matteo. Il suo contenuto è formato dalla combinazione, ad opera di una «scuola mattaica», di tre fon-ti: materiale originale, materiale tratto da Marco e «fonte Q», una raccolta di lógia (detti di Gesù) utilizzata da Matteo e Luca. L’epoca di composi-zione del vangelo può essere indicata intorno agli anni 80/85, il luogo è la Palestina (pochi studiosi propendono per Antiochia), la lingua originaria è il greco (non l’aramaico come era stato ipotizzato). Il Vangelo di Matteo, che si rivolge alla comunità giudeo-cristiana avvalendosi anche di meto-dologie rabbiniche e di abbondanti citazioni anticotestamentarie, presenta Gesù soprattutto come il Maestro autorevole, il Legislatore, il Giudice. Tra le scansioni individuabili in questo vangelo, si dà qui quella proposta da John L. McKenzie, che suddivide i 28 capitoli dell’opera in 5 libri, prece-duti da un prologo sulla nascita e l’infanzia di Gesù (Mt 1-2) e seguiti dal racconto della Passione e risurrezione (Mt 28). I cinque libri includono ciascuno una sezione narrativa e un discorso:

– Libro primo: l’annuncio del regno (Mt 3-7) con il discorso della montagna. – Libro secondo: ministero in Galilea (Mt 8-11) con il discorso missionario. – Libro terzo: controversie e parabole (Mt 11,2–13,52) con il discorso delle parabole del regno.

– Libro quarto: la formazione dei discepoli (Mt 13,53-18) con il discorso ecclesiastico.

– Libro quinto: Giudea e Gerusalemme (Mt 19-25) con il discorso escato-logico.

Marco. È il secondo e più antico dei quattro vangeli, attribuito a Giovanni

Marco, che la tradizione vuole cugino di Barnaba, discepolo di Pietro e amico di Paolo. L’autore utilizza fonti scritte e tradizioni orali, e scrive in greco, tra il 65 e il 70, forse a Roma, per i cristiani di origine pagana. Il suo vangelo, in cui manca ogni notizia sul periodo precedente la vita pubblica di Gesù, consta di 16 capitoli ed è percorso dal tema fondamentale e tipica-mente marciano del «segreto messianico», ma i vari racconti o «gruppi let-terari» sono collegati da piccoli sunti o «sommari» senza una vera struttura complessiva. Lo si può tuttavia dividere in una prima parte (Mc 1-9) sul ministero di Gesù in Galilea, una seconda parte (Mc 10-15) sul viaggio di Gesù a Gerusalemme e la sua passione e morte, e un capitolo finale (Mc 16) sulla tomba vuota e le apparizioni del Risorto.

Luca. È il terzo dei quattro vangeli, concepito dal suo autore come la

pri-ma parte di un’opera comprendente anche gli Atti degli Apostoli. Secondo Col 4,14 Luca era medico. Probabilmente nativo di Antiochia, non conob-be Gesù e fu fedele compagno di Paolo in Oriente e a Roma. Il vangelo a lui attribuito dalla tradizione (con qualche riserva da parte della critica), composto di 24 capitoli, è stato scritto in un greco elegante dopo il 70 e si rivolge a cristiani di origine pagana. Le sue fonti sono il vangelo di Marco e «Q», oltre a tradizioni di varia provenienza, orali e scritte, da lui raccolte accuratamente e presenti soprattutto nella sezione centrale o «inserto luca-no» (Lc 9,51–18,14).

Il Vangelo di Luca si apre, come quello di Matteo, con i racconti dell’infan-zia (Lc 1-2) preceduti da un prologo di gusto ellenistico. Seguono la prepa-razione al ministero (Lc 3–4,13), il ministero in Galilea (Lc 4,14–9,50), il viaggio a Gerusalemme (Lc 9,51–19,28) con l’inserto lucano, il ministero a Gerusalemme (Lc 19,29-21), la passione, morte, risurrezione e ascensio-ne di Gesù (Lc 22-24).

Peculiari di Luca sono i cantici legati alla storia dell’infanzia: il Magnifi-cat, il Benedictus e il Nunc dimittis. Inquadrata in un’accentuata dimensio-ne temporale, la teologia di Luca presenta caratteri di universalismo e di attenzione ai poveri e agli umili.

Giovanni. La tradizione attribuisce il quarto Vangelo all’apostolo

Giovan-ni, il quale l’avrebbe scritto, in vecchiaia, a Efeso. In realtà l’opera è il frutto di una lunga elaborazione all’interno di una comunità che si

rappor-tava all’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo (iden-tificato dagli antichi con «il discepolo che Gesù amava», Gv 13,23). La formazione di questo vangelo è assai complessa e si differenzia da quella dei sinottici. Da una testimonianza orale riconducibile forse all’apostolo Giovanni, attraverso l’elaborazione di una «scuola giovannea», si giunge a una redazione finale più personale, che alcuni attribuiscono a Giovanni presbitero menzionato da Papia (ca. 130).

Scritto in greco (l’ipotesi di un originale aramaico è poco attendibile) in-torno all’anno 100, comprende 21 capitoli ed è divisibile in due parti. La prima parte (Gv 1-12) aperta dal famoso prologo (Gv 1,1-18), contiene racconti, storie di miracoli e discorsi, in un ordine che non corrisponde a una successione cronologica; la seconda parte (Gv 13-20) comprende i di-scorsi di addio (Gv 13-17) e la storia della passione, con notevoli differen-ze rispetto ai sinottici, la risurrezione e una breve conclusione (Gv 18-20). Il capitolo 21 narra l’apparizione del Risorto sul lago e si chiude con una seconda conclusione.

Caratteristiche di questo vangelo sono la totale assenza di parabole e, vice- versa, la presenza di grandi discorsi, spesso collegati a miracoli (sette in tut-to) che ne sono la premessa. La prevalenza di tematiche teologiche (la vita, la conoscenza, la luce, la verità, i segni o sacramenti, la chiesa, l’escatolo-gia) non diminuisce il valore storico del racconto, che si snoda nella cornice del ciclo liturgico giudaico. Recentemente sono stati messi in rilievo i con-tatti del lessico giovanneo con quello di Qumran e della gnosi.

Atti degli Apostoli. Così è chiamato, a partire dal secondo secolo, il

raccon-to delle origini cristiane composraccon-to dallo stesso auraccon-tore del Vangelo di Luca, probabilmente tra l’80 e l’85, come seconda parte della sua opera. Com-prende 28 capitoli che coprono il trentennio tra la risurrezione e l’ascensione di Gesù e l’arrivo di Paolo, prigioniero, a Roma. Nonostante il titolo, vi si narrano soltanto le vicende di Pietro, di Giacomo fratello del Signore, e so-prattutto di Paolo, dei diaconi Stefano e Filippo e dei collaboratori di Paolo, Barnaba e Timoteo. Esclusivamente ai viaggi missionari e alle vicende di Paolo è dedicata la seconda parte del libro (At 15,36–28). Il testo è conserva-to in una redazione detta «orientale» o «alessandrina» e in una, con qualche aggiunta e spostamento, detta «occidentale». Partendo dalla presentazione della Chiesa di Gerusalemme, legata nelle sue origini alla discesa dello Spi-rito a Pentecoste (At 2), il racconto segue l’estendersi della predicazione evangelica al di là dei confini di Israele, prima in Giudea e Samaria (At 8-9), poi nel mondo pagano con la missione universalistica di Paolo.

Alcuni problemi tuttora discussi sono la corrispondenza o meno delle co-siddette «parti in noi» (costituite da At 16,10-17; 20,5-21; 27,1–28,16) alle esperienze dirette del narratore; le differenze tra Atti e Galati nella

descri-zione del cosiddetto Concilio di Gerusalemme (At 15) e nel computo dei viaggi di Paolo a Gerusalemme; la diversità sia della teologia di Luca da quella di Paolo, sia del Paolo lucano da quello delle lettere. Preoccupazio-ne principale di Luca è in realtà mostrare, attraverso una selezioPreoccupazio-ne perso-nale di esperienze storiche, la continuità del disegno divino da Israele alla Chiesa mediante l’opera di Cristo e dello Spirito.

2. Corpus paolino

Con questa espressione si preferisce oggi designare l’insieme delle 14 lettere che un tempo venivano tutte attribuite a Paolo. Sono state progressi-vamente sottratte all’autenticità paolina la Lettera agli Ebrei, le cosiddette pastorali (1-2 Timoteo e Tito), Efesini, Colossesi, 2 Tessalonicesi (ma per alcune di queste permane ancora qualche divergenza fra gli studiosi). Le rimanenti sette lettere (Romani, 1-2 Corinzi, Galati, Filippesi, 1 Tessalo-nicesi, Filemone) sono considerate autentiche da quasi tutta la critica. Con la definizione di «lettere dalla prigionia» sono indicate, indipendentemente dalla loro autenticità, quattro lettere: Efesini, Filippesi, Colossesi e File-mone. Sono andate certamente perdute altre lettere, anche per il fatto che si tratta sempre di scritti occasionali e non costituenti un discorso teologico unico. La loro disposizione nel canone è soltanto determinata dalla loro lunghezza, secondo un ordine decrescente, con l’esclusione della Lettera agli Ebrei, posta per ultima, dal momento che già nell’antichità era stata messa in dubbio la sua autenticità.

Romani. Scritta nel 57/58 a Corinto, è l’unica lettera paolina diretta a una

chiesa non fondata da lui. Comprende 16 capitoli e si può suddividere in una parte dottrinale (Rm 1-11) e in una parte omiletica (Rm 12-16). La den-sa trattazione teologica verte sul rapporto legge-grazia, fede-opere, sulla salvezza operata dalla morte-risurrezione di Cristo e partecipata da tutti gli uomini mediante il battesimo e la fede, sullo Spirito promesso e tutta-via già presente nei cristiani. Una trattazione teologica particolare è quella costituita dai capitoli 9-11, dedicati al mistero di Israele. Nell’ultima parte Paolo tratta argomenti etici, come il tema dell’autorità, la carità, i deboli nella fede, e si conclude con una serie di saluti e una dossologia finale (Fi- gura 3; cfr. anche infra, p. 136). La Lettera ai Romani è stata assunta da Lutero come il testo base della sua dottrina sulla giustificazione per fede.

1Corinzi.QuestaletterafuscrittadaPaoloaEfesoduranteilterzoviaggio missionario,nellaprimaveradel55o56,etrattaproblemipraticidella comu-nitàchePaolointendevisitare:ledivisionideicristianidiCorintoinfazioni, loscandalodell’incestuoso,ilvaloredelmatrimonioedellaverginità,la

li-ceitàomenodellacarneimmolataagliidoli,ilcontegnodegliuominiedelle donnenelleassembleereligiose,icarismi,larisurrezionedeimorti.Sitratta inpartediproblemipostidaiCorinzistessiaPaolo,cheglioffrono l’occasio-neperprecisazioniteologicheeindicazionidicomportamento.Sonoda men-zionareinparticolareil«privilegiopaolino»(1Cor7,15),latradizionedella cenadelSignore(1Cor11,23-26),cheèlapiùanticanotizia neotestamenta-riainproposito,l’innoallacarità(1Cor13),laprofessionedifedenella risur-rezionedelSignore(1Cor15,1-11),cheèilprimokḗrygmaneotestamentario sullamorte,el’invocazionearamaicafinalemaránathá(1Cor16,22).

Figura 3: Codex Vaticanus (Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 1209, B),

2 Corinzi. Nell’autunno del 57, in Macedonia, Paolo scrisse questa lettera

dopo aver appreso da Tito gli effetti positivi operati sui Corinzi dalla sua pre-cedente missiva. Nei 13 capitoli di questa seconda lettera (che alcuni critici considerano l’unione di vari scritti paolini o che comunque non sarebbe con-servata nella sua forma originaria), Paolo rimprovera nuovamente coloro che turbano la Chiesa e che mettono in dubbio l’autenticità del ministero di Paolo stesso. In polemica contro i falsi apostoli, egli si difende e manifesta il proprio affetto disinteressato verso i Corinzi, con abbondanza di parti-colari autobiografici. Punti salienti della lettera, tutta percorsa da un’in-tensa emotività, sono, oltre all’attacco contro i perturbatori, forse gnostici e giudaizzanti (2Cor 10-12), la speranza escatologica che sostiene le tri-bolazioni degli apostoli (2Cor 5) e la colletta per Gerusalemme (2Cor 8-9).

Galati. Composta nel 56/57, forse a Efeso, questa lettera di 6 capitoli è

diretta ai cristiani di origine pagana della Galazia (Asia Minore): probabil-mente ai Galati del Nord, cristiani di origine pagana, piuttosto che (come ritennero alcuni studiosi dell’Otto e del Novecento) ai Galati dell’omonima provincia romana situata al Sud. Occasionata dalla propaganda giudaizzan-te che sosgiudaizzan-teneva l’obbligatorietà della legge mosaica e metgiudaizzan-teva in dubbio l’autorità apostolica di Paolo, la lettera si apre con un’autopresentazione dello stesso Paolo che rivendica di aver ricevuto il vangelo direttamente da Cristo. L’apostolo si richiama alla polemica avuta con Pietro ad Antiochia e sostiene (come nella Lettera ai Romani) la giustificazione per la fede e non per le opere della legge, alla quale attribuisce la funzione di «condurre» a Cristo. L’adozione a figli di Dio è il frutto dello Spirito, donato da Cristo, che fa del credente una nuova creatura.

Efesini. Una delle quattro lettere della prigionia, oggi per lo più ritenuta

non paolina. Anche l’indirizzo agli Efesini è probabilmente fittizio, trat-tandosi forse di una lettera destinata a diverse comunità. Fu scritta verosi-milmente nella regione di Efeso intorno all’80 (il 62/63 se si accetta la sua autenticità) e presenta molti contatti con la Lettera ai Colossesi. Si com- pone di 6 capitoli e si può dividere in due parti: la prima (Ef 1-3) è sostan-zialmente ecclesiologica: Cristo è il capo della Chiesa che unisce i vicini e i lontani in un corpo solo; la seconda (Ef 4-6) è parenetica ed esorta i bat-tezzati all’unità nella fede, a rivestire l’uomo nuovo, a essere imitatori di Dio. Tali atteggiamenti devono essere presenti in tutti gli aspetti della vita familiare. La lettera si chiude con l’esortazione ad armarsi per il combatti-mento spirituale contro le potenze del male. È notevole in questa lettera la tensione poetica che si esprime anche in diversi inni.

Filippesi. Una delle quattro lettere della prigionia, l’unica sicuramente

Comprende 3 capitoli: dopo aver manifestato il suo affetto per i Filippesi e la sua gioia pur nella prigionia, Paolo esalta l’unione a Cristo e riporta il famoso inno (Fil 2,6-11) di origine pre-paolina, che afferma nello stesso tempo la natura divina di Cristo, la sua kénōsis («svuotamento, abbassa-mento»), la sua morte e la sua esaltazione. La seconda parte della lettera, dopo un’esortazione a guardarsi dai giudaizzanti e a farsi imitatori dell’apo- stolo, riprende le espressioni di affetto e gratitudine verso i Filippesi.

Colossesi. Una delle quattro lettere della prigionia, la cui autenticità è

ne-gata da alcuni critici, anche se con minore sicurezza che in passato, per le affinità con Filemone. Qualora se ne accetti l’autenticità, sarebbe stata scritta durante la prima prigionia romana di Paolo tra il 61 e il 63. È indi-rizzata ai cristiani di Colossi in Frigia (Asia Minore), comunità che Paolo non conosceva direttamente, ma sulla quale era informato dal suo collabo-ratore Epafra (Col 1,7). Questi l’aveva avvertito di tendenze sincretistiche nella comunità: sia tendenze giudaizzanti e gnostiche, sia pagane, date le diverse componenti di quella Chiesa. La lettera sarebbe stata recapitata ai destinatari da Tichico e Onesimo (Col 4,7.9), altri collaboratori di Paolo. Il testo si compone di 4 capitoli e si può dividere in una parte dottrinale e in una parte parenetica, comprese fra un esordio eucologico e una conclusio-ne con notizie personali e vari saluti. Nella parte dottrinale si riafferma con grande forza la prima sovranità di Cristo, il quale è al di sopra di tutto e di tutti: il suo primato è all’origine della creazione e della redenzione, è lui che libera i credenti dal potere delle tenebre e li riunisce nel suo corpo che è la Chiesa. Perciò i credenti non devono preoccuparsi di regole e precetti, ma morire con Cristo e risorgere con lui nella fede. Questa consapevolezza deve guidare tutti gli aspetti dell’esistenza cristiana (parte parenetica).

1 Tessalonicesi. È la più antica delle lettere paoline ed è anche il primo

scritto del Nuovo Testamento. Sicuramente autentica, fu composta a Co-rinto intorno al 51 e indirizzata ai cristiani di Tessalonica, oggi Salonicco. Si compone di 5 capitoli nei quali Paolo svolge vari temi parenetici (sulla purezza, la carità fraterna, la speranza, la letizia cristiana) e rassicura i Tessalonicesi sulla sorte dei credenti morti prima della seconda venuta di Cristo, venuta che egli si attende in tempi brevi, durante la sua vita. La let-tera contiene anche una violenta invettiva antigiudaica, nella quale i giudei sono accusati di odio del genere umano per aver ostacolato la missione apostolica di Paolo (1Ts 2,15-16); queste espressioni saranno in seguito modificate in senso positivo nei capitoli 9-11 della Lettera ai Romani.

2 Tessalonicesi. Non da tutti riconosciuta autentica, questa lettera

più tardi (nel 68/70). Consta di 3 capitoli, nei quali l’autore riprende, con tono più severo, le ammonizioni contro le deviazioni teologiche e morali dei Tessalonicesi, passando poi a una prospettiva escatologica nella qua-le traspaiono motivi comuni all’apocalittica popolare del tempo. Contra-stando l’attesa di una parousía imminente (che induceva molti all’ozio e all’abbandono delle proprie responsabilità), la lettera afferma che la fine sarà preceduta da due eventi negativi: il «mistero dell’iniquità» (presenza occulta di satana) – già in atto ma non ancora pienamente manifestato, per-ché qualcuno o qualcosa lo trattiene (la predicazione di Paolo? l’arcangelo Michele? l’ordine civile romano?) – e una vera e propria parousía negativa dell’«iniquo», figura anticristica che verrà presto annientata da Cristo stes-so. In questa prospettiva Paolo esorta al lavoro e alla preghiera.

1 Timoteo, 2 Timoteo, Tito. Queste tre lettere sono chiamate «pastorali»,

sia perché i destinatari sono due «pastori» che lavorano fra le chiese, sia perché il contenuto è formato da una serie di consigli ai collaboratori per aiutarli a combattere le false dottrine e a organizzare bene le chiese. Coloro che sostengono l’autenticità paolina di queste tre lettere, si basano sull’ipo-tesi che dopo il processo a Roma annunciato negli Atti (anno 64), Paolo sa-rebbe stato liberato e avsa-rebbe predicato ancora in Spagna, in Asia Minore e altrove, per essere poi arrestato nuovamente e condannato a morte nel 67/68. In tal caso, 1 Timoteo e Tito sarebbero state scritte nei periodi di li-bertà e 2 Timoteo durante la prigionia romana, tutte in un arco di tempo che va dal 66 al 68. La maggioranza degli studiosi, per motivi interni (soprat-tutto allusioni a situazioni molto posteriori), ritiene che a scriverle sia stato un discepolo di Paolo, che si è servito di appunti «pastorali» dell’apostolo, intorno all’anno 90.

Le tre lettere, rispettivamente di 6, 4 e 3 capitoli, contengono una serie di

Nel documento per il lettore della Bibbia Vademecum (pagine 102-114)