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Sigla che designa la fonte → Yahwista (dal tedesco Jahwist )

Nel documento per il lettore della Bibbia Vademecum (pagine 48-57)

TERMINOLOGIA DELLE SCIENZE BIBLICHE E AUSILIARIE

J. Sigla che designa la fonte → Yahwista (dal tedesco Jahwist )

Israele. Nome imposto a Giacobbe dall’essere soprannaturale con cui lottò al guado

dello Iabbok (Gen 32,29). Il significato datogli dalla Bibbia è «forte contro Dio», mentre l’etimologia più probabile sarebbe «Dio si mostri forte». «Figli di Israele» sono chiamati nella Bibbia gli ebrei, in quanto ritenuti suoi discendenti. Regno di Israele indica invece il regno del Nord, tradizionalmente formato da dieci tribù. L’ag- gettivo israelita, israelitico, indica sia gli abitanti di questo regno, sia più in generale tutti i «figli di Israele» (soprattutto nell’epoca pre-monarchica); in epoca moderna è talvolta usato, come forma di riguardo, in luogo di giudeo o ebreo. Oggi Israele è il nome ufficiale dello stato ebraico, i cui cittadini, qualunque sia la loro stirpe o re- ligione, sono detti «israeliti». Si vedano anche → Èreṣ Yiśra’el e → Palestina.

Itala. → Vetus Latina.

J. Sigla che designa la fonte → Yahwista (dal tedesco Jahwist ).

Kairós. In greco, «momento, misura». Nel greco biblico, e in particolare nel

Nuo-vo Testamento, designa un tempo significante e decisiNuo-vo, con rilevanza escatolo-gica. Si distingue da chrónos che indica più spesso il tempo lineare.

Kašer. In ebraico, «adatto». Nella halaḵah indica ciò il cui uso è ritualmente

con-sentito sia nel campo alimentare, sia nel campo liturgico e in molti altri casi. Kašerut è l’insieme delle regole e procedure che definiscono questo ambito.

Kénōsis. In greco, «svuotamento». Con riferimento alla corrispondente forma

ver-bale di Fil 2,7, il termine designa la spogliazione dell’onnipotenza e della divinità, e l’accettazione della condizione di servo (o lo svuotamento nella morte) compiuta da Gesù.

Kḗrygma. In greco, «annuncio, proclamazione». Il termine designa l’annuncio

del messaggio e dell’evento centrale del Nuovo Testamento, ossia la proclamazio-ne della salvezza operata dal Cristo morto e risorto. Si distingue, da un punto di vista teologico e letterario, dalla catechesi, ossia dall’ammaestramento di coloro che hanno già ricevuto il kḗrygma.

Ketiv. → Qere-Ketiv.

Ketuvim. In ebraico, «scritti». La terza sezione della Bibbia ebraica, detta anche

Agiografi. Comprende: Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei cantici, Rut, Lamen-tazioni, Qohélet, Ester, Daniele, Esdra, Neemia, 1 e 2 Cronache.

Kippur o Yom Kippur. In ebraico, «espiazione» o «giorno dell’espiazione». La

massima solennità penitenziale dell’anno liturgico ebraico che cade il 10 del mese autunnale di tišri. Di origine postesilica, culminava nel Tempio con il rituale del → capro espiatorio (o più propriamente «emissario»), descritto in Lv 16. In tale occasione soltanto, il Sommo Sacerdote pronunciava il nome di Dio entrando nel Santo del Santi. La liturgia sinagogale è caratterizzata dalla solenne e ripetuta con-fessione dei peccati, dal suono dello → šofar e da un rigoroso digiuno di 25 ore.

Kohen (pl. kohanim). In ebraico, «sacerdote». Nella religione biblica, soprattutto

postesilica, gli addetti al culto del Tempio di grado superiore ai → leviti. Erano ritenuti membri della tribù di Levi, discendenti dalla famiglia di Aronne. Loro compito principale era l’esecuzione dei sacrifici; a loro spettavano le decime ed erano soggetti a norme di purità particolarmente severe. Dopo la distruzione del Tempio e fino ad oggi, ai membri di famiglie sacerdotali (che spesso portano co-gnomi come Cohen e sue varianti, Katz, Sacerdoti, Kaplan...) spettano soltanto poche prerogative particolari.

Koiné. Dal greco koinḕ diálektos, «lingua comune». La lingua greca scritta e

par-lata nel mondo ellenistico, usata anche dagli autori del Nuovo Testamento.

Koinōnía. In greco, «comunione». Il termine ha una rilevanza particolare negli

scritti neotestamentari dove indica sia la comunanza di beni (At 2,44-45; 4,34-35), sia la partecipazione comune al corpo e al sangue di Cristo (1Cor 10,16), sia più in generale i legami di grazia e carità che devono unire i credenti (1Gv 1,3-7).

Kýrios. Si veda il cap. x, I nomi di Dio.

Leviatàn. Mostro marino menzionato in diversi libri biblici (Gb 3,8; 40,25–41,26;

Is 27,1; Sal 74,14 e 104,26). Mutuato dalla mitologia cananea, rappresenta uno degli elementi del caos primordiale, domato da Dio insieme all’altro mostro Behe-mot («ippopotamo», Gb 40,15). Chiamato anche «serpente tortuoso» o «dragone», è descritto con immagini diverse, che talora l’hanno fatto identificare nel coc-codrillo, così come Behemot nell’ippopotamo. Secondo il → midraš, Dio aveva creato il maschio e la femmina del Leviatàn, ma per evitare che si riproducessero aveva poi ucciso uno dei due. Leviatàn e Behemot saranno il cibo dei giusti nel banchetto escatologico.

Levirato. Dal latino levir, «cognato». Pratica matrimoniale attestata dalla Bibbia

e consistente nella norma secondo cui la vedova di un uomo morto senza figli doveva essere sposata dal fratello di lui: il primo figlio nato da questa unione era considerato figlio del morto e ne assicurava quindi la discendenza. Se il cogna-to rifiutava quescogna-to suo dovere, avveniva la cerimonia detta «scalzamencogna-to» (ebr. ḥaliṣah). Descritta in Dt 25,7-10. La legge del levirato presenta alcune varianti nel libro di Rut.

Leviti. Membri della tribù di Levi con funzioni cultuali secondarie rispetto a quelle

teronomista e → deuteronomistica. I leviti avevano diritto a una loro decima e abitavano le città levitiche, prive di territorio. Dopo la distruzione del Tempio i membri delle famiglie levitiche (che spesso portano ancora oggi il cognome Levi o sue varianti) non hanno praticamente nessuna funzione cultuale.

Lógion (pl. lógia). In greco, «detto». Nell’esegesi neotestamentaria, ogni sentenza

o detto attribuito a Gesù. Una raccolta di lógia costituirebbe una delle due → fonti dei Vangeli sinottici. Esistono anche alcuni lógia extra-canonici o «detti apocrifi» di Gesù. Lógos. → Parola. Lucifero. → Satana.

Lulav. In ebraico, «ramo di palma». Per estensione designa il mazzo di palma,

salice e mirto, usato nella festa delle Capanne (→ Sukkot).

Maccabei. Nome con cui è conosciuta una famiglia sacerdotale della Giudea,

dall’appellativo aramaico di maqqava, ebraico maqqévet («maglio»), dato inizial-mente a Giuda Maccabeo, uno dei cinque figli del capostipite Mattatia (prima metà del ii secolo a.e.v.). La famiglia, divenuta dinastia regnante sulla Giudea, è anche conosciuta con il nome di → Asmonei. Con lo stesso nome di Maccabei sono designati 7 fratelli protagonisti di un leggendario episodio di martirio narrato in 2Mac 7, e ambientato nella persecuzione di Antioco iv. Essi, e infine la loro ma-dre, morirono fra i tormenti piuttosto che trasgredire la legge alimentare giudaica.

Madianiti. Popolazione che prende il nome da Madian, regione situata tra Edom

(→ edomiti) a Nord, il golfo di Elat a Sud, il deserto arabico a Est e la valle del Giordano a Ovest. La Bibbia (Gen 25,2) li fa discendere da Madian, il figlio di Abramo e della concubina Keturà. Era madianita Ietro, detto anche Reuèl, presso cui si rifugiò Mosè (Es 2,15-21) e di cui sposò la figlia Sipporà. Contro i madianiti fu poi decretata (Nm 25 e 31) la guerra santa.

Magnificat. Parola iniziale, e quindi titolo, secondo la versione latina, del celebre

«Cantico di Maria» (Lc 1,46-55).

Maiuscoli, codici. → Onciali.

Mari. Antica città della Mesopotamia sul Medio Eufrate, oggi Tell Hariri. Fu il

centro di un regno fiorito nei secoli xix-xvii a.e.v. Gli scavi iniziati da André Parrot nel 1933 hanno messo in luce un archivio di 20.000 tavolette che offre importanti informazioni su istituzioni, usi e nomi propri dell’Antico Testamento.

Masoreti. Studiosi ebrei dei secoli viii-x della nostra era, cultori della masorah o «tradizione» testuale biblica. L’opera dei masoreti consistette nello stabilire un unico testo consonantico della Bibbia ebraica, nel fornirlo di una vocalizzazione e punteggiatura scritta (e a questo scopo furono inventati i segni vocalici e gli

accenti: «puntazione masoretica»), nel segnalare in note marginali, con la massi-ma accuratezza, ogni anomassi-malia grafica o grammassi-maticale del testo stesso. Vi furono diverse scuole o tradizioni masoretiche (masoreti dell’Est e masoreti dell’Ovest), tra le quali prevalse infine quella tiberiense.

Matriarche. → Patriarchi.

Media. Regione situata a Sud del mar Caspio, fra la → Persia, la → Siria e l’ →

Elam. È abitata da una popolazione indo-europea. Diventa un regno, con capitale Ecbatana, alla fine del secolo viii a.e.v. e raggiunge grande potenza con il re Cias-sare (633-584 a.e.v.) che conquistò Ninive. Isaia, Geremia e Daniele ravvisano nella Media lo strumento che avrebbe dovuto abbattere la → Babilonia, ma nel 550 a.e.v. l’ultimo re medo, Astiage, fu detronizzato dal nipote Ciro di Persia. Nella Media si svolge gran parte del libro di Tobia.

Megillot (sing. megillah). In ebraico, «rotoli». Oltre a essere il termine comune

per indicare un libro o un documento, designa specificamente i 5 brevi libri bibli-ci della sezione dei → Ketuvim, che vengono letti in bibli-cinque solennità dell’anno liturgico ebraico. Essi sono: Cantico dei cantici per → Pésaḥ, Rut per → Šavu‘ot, Lamentazioni per il 9 di → Av, Qohélet per → Sukkot ed Ester per → Purim.

Memoriale. Termine corrispondente all’ebraico zikkaron, che designa non tanto

la memoria di una persona o di un evento passati, quanto la loro presenza efficace, realizzata mediante la tradizione, il racconto, la ripetizione rituale del gesto. Rien-trano nella categoria del memoriale la cena pasquale ebraica e la cena eucaristica cristiana, ma più in generale tutto l’ebraismo e il cristianesimo hanno il loro centro nel continuo rinnovamento, attraverso il memoriale, dell’opera salvifica di Dio.

Menorah. In ebraico, «lucerna, lampada». Il vocabolo designa in particolare il can-

delabro a sette braccia che faceva parte degli arredi del santuario (Es 25,31-40). Si trova raffigurato nel rilievo dell’arco di Tito e ancor oggi è simbolo dell’ebraismo, oltre che stemma dello Stato d’Israele.

Messia. Dall’ebraico mašíaḥ (o dall’aramaico mešiḥa), «unto», al quale

corri-sponde il greco christós. L’unzione consacrava il sacerdote, il re e anche gli arredi del santuario e il santuario stesso; eccezionalmente è riferita a un profeta e a un re straniero di cui Dio si serve (Ciro, Is 45,1). Il titolo di unto ha quindi un’accezione regale-sacerdotale che sarà collegata a un particolare disegno divino, e connoterà un personaggio della stirpe davidica destinatario della promessa e instauratore, in futuro, del regno di Dio: il Messia. Nel Nuovo Testamento il titolo di Messia (Cristo), così come quello di → Figlio dell’uomo, designa Gesù, il quale però ne fa un uso molto riservato (→ segreto messianico). Figure messianiche si trovano nella letteratura apocalittica e in quella rabbinica, e falsi Messia compaiono nella storia ebraica fino a tempi recenti. L’attesa messianica, che identifica il Messia in uno o più personaggi storici o escatologici ai quali vengono riferite le «profezie messianiche», è il centro del messianismo nelle sue varie manifestazioni.

Messianismo. → Messia.

Metánoia. → Tešuvah.

Mezuzah. In ebraico, «stipite». Nella prassi religiosa ebraica, l’astuccio

conte-nente un piccolo rotolo di pergamena con i testi di Dt 6,4-9 e 11,13-21 che viene fissato allo stipite destro della porta, in osservanza letterale del comando di Dt 6,9.

Mezzaluna fertile. Espressione geografica con la quale si indica la regione fertile

a forma di mezzaluna, costituita dalla valle del Tigri e dell’Eufrate, dalla costa palestinese e dalla valle del Nilo, teatro delle antiche civiltà del Vicino Oriente.

Midraš (pl. midrašim). Interpretazione rabbinica della Scrittura. Il termine

ebrai-co, che deriva dal verbo daraš, «cercare, investigare, indica sia il metodo di ese-gesi, sia la produzione letteraria che ne è derivata. Il midraš nato dalla scuola come ricerca della normativa è detto midraš halaḵico (→ halaḵah), il midraš nato nella sinagoga come commento edificante alle letture bibliche liturgiche, è detto midraš omiletico o haggadico (→ haggadah). Sono prevalentemente haggadici anche i midrašim esegetici che commentano in modo continuato un libro biblico. Il midraš ha cominciato a essere messo per iscritto nel iii secolo e.v. e per oltre un millennio ha prodotto una vasta letteratura di difficile datazione e attribuzione, date le numerose rielaborazioni redazionali.

Minyan. In ebraico, «numero». Nella liturgia ebraica, quorum di 10 uomini

re-ligiosamente adulti (→ bar miṣwah) che sono necessari per la celebrazione del culto pubblico. Rappresentano il numero minimo per l’esistenza di un’assemblea.

Minuscoli. Manoscritti. Così sono denominati, in opposizione ai → maiuscoli

o → onciali, i manoscritti greci della Bibbia. Più recenti degli onciali, non sono anteriori al ix secolo e.v.

Miqra’. → TaNaḴ.

Mišnah. In ebraico, «ripetizione, studio». Compilazione sistematica della legge

orale compiuta da rabbi → Yehudah ha-Naśi, verso la fine del ii secolo e.v., ini-zialmente in forma orale e poi per iscritto. È divisa in 63 trattati raggruppati in 6 ordini, che codificano tutta la normativa relativa al culto, ai rapporti sociali, al diritto civile e penale, al matrimonio, al puro e impuro ecc. A partire dall’inizio del

iii secolo, la Mišnah è divenuta il principale oggetto di insegnamento e, con le sue interpretazioni, ha dato origine al → Talmud.

Mitanni. → Hurriti.

Mito. Genere letterario consistente nell’interpretazione in forma narrativa e

sim-bolica di eventi metastorici, o situazioni esistenziali, o fenomeni naturali. La Bib-bia ne presenta diversi esempi spesso comuni ad altre culture del Vicino Oriente antico, dalla cosiddetta storia primordiale biblica (creazione, caduta, diluvio, torre

di Babele di Gen 1-11), ai racconti dell’infanzia dei vangeli di Matteo e di Luca. Il mito, che non va confuso con la mitologia o gesta di dèi ed eroi, rappresenta un momento della problematica religiosa che non è mai interamente superato.

Miṣwah (pl. miṣwot). In ebraico, «comando, precetto». Ogni comando positivo o

negativo espressamente rivelato da Dio nella → Torah scritta o orale. La tradizione rabbinica elenca 613 precetti, di cui 248 positivi e 365 negativi (molti dei quali ap-plicabili solo in terra di Israele e quando esiste il santuario). Secondo l’ → ebraismo, i precetti devono essere eseguiti non per una valutazione etica del loro contenuto, ma per ubbidienza a Dio che li ha comandati.

Moabiti. Antica popolazione che la Bibbia fa discendere da Moab, figlio di Lot,

residente a Est del mar Morto, a Sud degli Ammoniti e a Nord degli → Edomiti, nel paese detto appunto terra di Moab. Secondo Nm 22-24 il loro re Balak incaricò Balaam di maledire gli israeliti. Sottomessi da Davide, tornarono poi indipendenti con il loro re Mesa (in ebraico Meša‘, 2Re 3). Il dio nazionale era Camos (in ebrai-co Kemoš). A questo popolo appartenne Rut.

Moloc. Nella versione greca dei → Settanta, nome o appellativo di una divinità

fenicia, chiamata in realtà méleḵ, «re». Questo nome è scritto nel testo ebraico móleḵ, sostituendo cioè alle sue vocali quelle di bóšet, «vergogna», e così lo si do-veva leggere. A questa divinità si sacrificavano dei bambini: pratica che è attestata dalla Bibbia nella valle della Geenna. Moloc/Molek venne così a designare anche il sacrificio stesso. Contro questa pratica si scaglia il profeta Geremia.

Monolatria o enoteismo. Culto prestato a una sola divinità, senza che ciò comporti

la negazione dell’esistenza di altri dèi. Era questa la situazione religiosa di Israele prima che, con la predicazione profetica, si affermasse il → monoteismo.

Nabucodonosor. In ebraico, Nevuḵadne’ṣṣar o Nevuḵadre’ṣṣar; in accadico, Nabū-

kudurrī-uṣur («O dio Nabu, proteggi il confine!»). Sovrano neobabilonese (605/4-562 a.e.v.), figlio di Nabopolassar. Salì al trono subito dopo aver vinto il faraone Necao ii nella battaglia di Karkemiš (605 a.e.v.) ed estese il suo dominio su Siria e Palestina. Quando il re di Giuda Ioiakìm si ribellò contro la condizione di vassal-laggio, Nabucodonosor assediò Gerusalemme costringendola alla resa e deportò in Babilonia Ioiakin, succeduto nel frattempo al padre, e i notabili tra i quali il profeta Ezechiele (597 a.e.v.). Il nuovo re Sedecia, posto sul trono di Gerusalemme da Na-bucodonosor, gli si ribellò a sua volta provocando un nuovo assedio, la distruzione totale di Gerusalemme e del Tempio e la deportazione di gran parte della popo-lazione di Giuda (587/586 a.e.v.). È questo l’inizio dell’esilio babilonese, durato 50 anni. Oltre che sovrano guerriero, Nabucodonosor fu grande costruttore: a lui si devono fra l’altro i giardini pensili di Babilonia e la ricostruzione del tempio di Marduk. Il libro di Daniele immagina che alla corte di Nabucodonosor sia vissuto il giovane deportato ebreo protagonista ed eponimo del libro, e interprete dei sogni del re, il quale, sempre secondo tale libro (Dn 4), sarebbe stato colto per qualche tempo da pazzia per umiliare il suo orgoglio.

Nazireo. Dall’ebraico nazir, «dedicato, consacrato». Secondo una prassi

codifica-ta in Nm 6,1-21, colui o colei che ha fatto un particolare voto di consacrazione al Signore (nazireato), impegnandosi per un periodo determinato o per tutta la vita ad astenersi dalle bevande alcoliche e dall’uva, dal tagliarsi i capelli e dal contatto fisico con i cadaveri. I più famosi sono Sansone e Samuele. È possibile che aves-sero fatto questo voto Giovanni il Battista (Lc 1,15) e Paolo (At 18,18). Il termine non va confuso con «nazareno» o «nazareo», abitante di Nazaret.

Néfeš. In ebraico, «respiro». Principio vitale dell’uomo e dell’animale. Dell’uomo

indica sia l’individualità fisiologica, sia quella psichica e affettiva. Talvolta néfeš indica semplicemente il pronome riflessivo «se stesso».

Neovulgata. → Vulgata.

Nevi’im. In ebraico, «profeti». La seconda sezione della Bibbia ebraica: si divide

in profeti anteriori, corrispondenti ai libri storici, Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, e in profeti posteriori, cioè i profeti propriamente detti, tranne Daniele che figura nei → Ketuvim.

Noachidi. Precetti, o «precetti dei figli di Noè». Nella teologia rabbinica i precetti

(generalmente contati come 7) della → Torah che Dio avrebbe rivelato a Noè per l’intera umanità. L’osservanza di questi precetti consente ai non ebrei di entrare nella «alleanza di Noè», cioè di partecipare alla sorte dei giusti in questo mondo e nell’altro, al pari di Israele. Generalmente essi sono così formulati: obbligo di avere dei giudici e divieto di bestemmia, idolatria, unioni illecite, uccidere, rubare, mangiare un membro di un animale vivo. Un’allusione a questa dottrina si trova probabilmente nelle decisioni del concilio apostolico di Gerusalemme (At 15,20-21.28-29).

Nomi di Dio. Nella Bibbia ebraica, a seconda delle fonti, Dio è chiamato Elohim,

El, El Šadday, yhwh, Adonay, Dio dei Padri, Dio di Abramo ecc. Si veda il cap. x, I nomi di Dio.

Novissimi. Superlativo dal latino novus, «ultimo». Sono così designate nella teo-

logia cristiana le quattro situazioni finali dell’esistenza umana: morte, giudizio, inferno e paradiso.

Numero. Nella Bibbia, come in molte culture antiche, i numeri hanno anche

signi-ficati simbolici, talvolta connessi a speculazioni astronomiche o astrologiche. Tra i numeri dotati di particolari valori simbolici si possono ricordare:

1, espressione dell’unità divina. 2, le tavole dell’alleanza sinaitica.

3, la perfezione delle realtà celesti, la santificazione di Dio o → qeduššah, i tre →

patriarchi, la Trinità, le tre virtù teologali.

4, la completezza delle realtà terrene, cioè i 4 punti cardinali e i 4 elementi. Inoltre

bestie di Dn 7, le 4 coppe della cena pasquale, i 4 evangelisti, le 4 virtù cardinali.

5, i 5 libri del Pentateuco, i 5 libri dei Salmi, i 5 pani moltiplicati da Gesù. 6, la creazione compiuta in 6 giorni, ma anche l’imperfezione rispetto al 7. Il 666

di Ap 13,18, numero della Bestia, rappresenta il massimo dell’imperfezione e del- l’opposizione a Dio: vi è stata anche ravvisata l’equivalenza numerica delle con-sonanti di «Nerone Cesare» scritto in ebraico.

7, il compimento dell’opera della creazione e quindi la perfezione, la settimana e in

modo particolare il sabato (šabbat), anche nelle sue valenze di anno sabbatico, anno giubilare e sabato escatologico. Come somma di 3 e 4 unisce in sé la terra e il cielo (con i suoi 7 pianeti). Il 7 ricorre in oggetti e tempi della liturgia ebraica come il can-delabro o → menorah, i giorni degli azzimi (→ Pésaḥ) e delle Capanne (→ Sukkot ), le 7 settimane tra Pésaḥ e → Šavu‘ot. Secondo Gesù, si deve perdonare 70 volte 7 (Mt 18,22). Particolarmente frequente è il numero 7 nell’Apocalisse: le 7 chiese, i 7 sigilli, le 7 trombe, le 7 coppe, i 7 segni. 7 sono i sacramenti della Chiesa cattolica e anche le 7 virtù (4 cardinali e 3 teologali).

8, il giorno della circoncisione (ottavo dalla nascita) e giorno della risurrezione di Ge-

sù (nel linguaggio dei Padri, «ottavo giorno» della settimana in quanto segue il setti-mo giorno e indica perciò la nuova realtà escatologica inaugurata da Cristo risorto).

9, la perfezione (come quadrato del 3). 9 sono i cori degli → angeli secondo la

tradizione post-biblica e 9 i cieli nella cosmologia medievale. 9 sono anche i mesi della gestazione; l’ora nona è l’ora della morte di Gesù (Mt 27,46).

10, con 10 parole Dio ha creato il mondo (le 10 ricorrenze del verbo dire in Gen 1).

Secondo la Genesi, 10 sono le generazioni dei patriarchi prima del diluvio da Ada-mo a Noè e altre 10 dopo il diluvio da Sem ad AbraAda-mo. 10 sono i comandamenti, 10 le piaghe d’Egitto e 10 sono gli uomini che costituiscono nel culto ebraico il → minyan. 10 infine sono le → sefirot nella Qabbalah. La particolare frequenza di questo numero deriva probabilmente dalla sua connessione con le 10 dita delle mani, e dal fatto che il 10 conclude e ricomincia la serie dei numeri.

Nel documento per il lettore della Bibbia Vademecum (pagine 48-57)