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Sigla della fonte → Sacerdotale (dal tedesco Priest )

Nel documento per il lettore della Bibbia Vademecum (pagine 57-62)

TERMINOLOGIA DELLE SCIENZE BIBLICHE E AUSILIARIE

P. Sigla della fonte → Sacerdotale (dal tedesco Priest )

Padre nostro. Preghiera data da Gesù ai suoi seguaci come esempio del modo

in cui devono pregare. Si trova in Mt 6,9-13 e Lc 11,2-4; la versione di Matteo, più lunga, consiste in un’invocazione e sette implorazioni. Presenta importanti paralleli con il → Qaddiš e con le → Diciotto benedizioni, preghiere che sembra fossero già in uso, nella loro forma antica, nel culto sinagogale dell’epoca di Gesù.

Palestina. Nome con cui in epoche diverse si è designata la striscia costiera

delimi-tata a Occidente dal Mediterraneo, a Nord dal Libano, a Sud dal deserto del Negheb (Negev) e a Oriente dai monti di Moab e di Edom, comprendente le regioni storiche della Galilea, della Samaria e della Giudea. Il suo nome più antico fu Canaan (→ Ca- nanei), ma è anche chiamata Terra d’Israele, Terra Promessa, Terra Santa. Il nome di Palestina deriva da → filistei che ne abitarono la striscia costiera meridionale a partire dal xii secolo a.e.v. Già attestato in Erodoto, questo nome fu imposto uffi-cialmente dai Romani nel 135 e.v., dopo aver represso la seconda guerra giudaica. Mentre la tradizione ebraica usa l’appellativo → Éreṣ Yiśra’el («terra di Israele»), gli arabi hanno adottato i termini Palestina e palestinesi anche come propria con-notazione etnico-nazionale.

Palinsesto. Dal greco palímpsēstos, «raschiato di nuovo». Manoscritto su cui la

prima scrittura è stata raschiata o lavata così da poter riutilizzare il foglio (in per-gamena o più raramente in papiro) per scrivervi un nuovo testo.

Paráclito. Dal greco paráklētos, «avvocato, intercessore, consolatore». Titolo che

negli scritti giovannei designa sia Gesù, sia lo Spirito Santo che Gesù risorto man-derà ai suoi fedeli per assisterli, illuminarli e testimoniare per lui.

Parallelismo. Procedimento caratteristico della poesia ebraica e antico-orientale.

Consiste in una corrispondenza tra i due emistichi o membri di uno stesso versetto, o tra due versetti, di concetti anziché di rime o di assonanze. Si distingue il pa-rallelismo sinonimico, in cui l’idea è ripetuta con altre parole; antitetico, in cui il secondo membro esprime concetti contrari o antitetici; sintetico, in cui il contenu-to del primo membro è completacontenu-to da quello del secondo; climatico o ascendente (dal greco klîmax, «scala»), in cui un’espressione del primo membro ricorre nel secondo «in salita» con un ulteriore sviluppo concettuale e verbale.

Parola. In ebraico davar, in greco lógos, in latino verbum. Il vocabolo, che in ebrai-

co significa sia «parola», sia «cosa», sia «avvenimento», oltre all’uso comune in-dica la parola rivelativa di Dio, la parola creatrice di Dio e la parola profetica. La riflessione tardo-biblica e dell’ → ebraismo sull’uso della parola in riferimento alle

manifestazioni divine, portò a una personificazione della parola stessa in un’entità mediatrice, ora identificata con la Sapienza (→ Ḥoḵmah), ora con attributi divini connessi alla creazione, alla provvidenza, alla presenza. Nell’ebraismo alessandrino si ebbe uno sviluppo di questa teologia nella dottrina del Lógos, mentre nell’ebrai-smo palestinese la personificazione della Parola fu espressa piuttosto con la nozione di → Torah preesistente, la quale a sua volta si collegò con quella di → Šeḵinah. Il Vangelo di Giovanni riprende la dottrina del Lógos e dichiara che la Parola si fece carne» (Gv 1,14) in Gesù Cristo, ma la Parola incarnata in Gesù non è per lui un semplice attributo divino o un’entità intermedia, bensì il Figlio unigenito del Padre.

Parousía. In greco, «presenza». Nel Nuovo Testamento il termine indica la

secon-da venuta di Gesù alla fine dei tempi. La Chiesa apostolica riteneva imminente la parousía: in questa luce vanno interpretate molte affermazioni e disposizioni neotestamentarie.

Pasqua. → Pésaḥ.

Pastorali, lettere. Così sono denominate, a partire dal xviii secolo tre lettere del- l’epistolario paolino: 1 e 2 Timoteo e Tito. La denominazione deriva dal fatto che sono indirizzate a due «pastori» e contengono consigli per il governo delle Chiese. Secondo la maggioranza degli studiosi sarebbero da attribuire a un discepolo di Paolo che le avrebbe composte intorno al 90.

Pater. → Padre nostro.

Patriarchi. In ebraico avot, «padri». In senso ristretto sono Abramo, Isacco e

Gia-cobbe. In senso più generale si distinguono i patriarchi pre-diluviani da Adamo a Noè, e post-diluviani da Sem ad Abramo: in Gen 5 e 11 costituiscono due serie genealogiche di 10 patriarchi ciascuna. Ai tre grandi patriarchi si affiancano le quattro matriarche o «madri»: Sara, Rebecca, Lia e Rachele. Nella teologia del- l’ → ebraismo il popolo di Israele riceve il perdono dei peccati e la liberazione dai pericoli per i meriti dei patriarchi.

Pellegrinaggio, feste di. Le tre grandi feste originarie dell’anno liturgico ebraico,

che comportavano, secondo la prescrizione di Es 23,14, un pellegrinaggio al Tem-pio di Gerusalemme come già, in epoca più antica, ai santuari legati alle memorie patriarcali (Betel, Hebron, Bersabea, Dan ecc.), o alla presenza dell’Arca (Silo). Esse erano → Pésaḥ, → Šavu‘ot e → Sukkot. Al pellegrinaggio, che si conclude- va con un sacrificio al Tempio, fanno riferimento i salmi detti «canti delle salite» o → graduali (dal 120 al 134).

Penitenziali, salmi. Nella liturgia latina sono così chiamati 7 salmi: 6, 32, 38, 51,

102, 130, 143.

Pentateuco. Dal greco, «cinque astucci» (con riferimento ai libri che vi erano

Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. In ebraico sono detti Torah o ḥumaš, «cinquina», ḥamišah ḥumšeh Torah, «i cinque quinti della Torah». La tra- dizione antica ebraica e cristiana li considera opera di Mosè. Nell’ebraismo co-stituiscono la prima sezione della Bibbia ebraica e la più importante, in quanto ritenuta rivelazione immediata di Dio dal Sinai: perciò la Torah è al centro del culto sinagogale e il rotolo che la contiene (séfer Torah) riceve una venerazione particolare. La scienza biblica moderna ha dato origine alla «questione del Penta-teuco», cioè all’indagine sulla sua formazione dai documenti e dalle tradizioni, e sulla sua redazione definitiva: l’ipotesi documentaria di Julius Wellhausen è la più importante proposta di soluzione di tale problema (→ fonti, teoria delle).

Pentateuco samaritano. → Samaritani. Pentecoste. → Šavu‘ot.

Persia. Territorio (oggi Iran) posto tra il mar Caspio e il golfo Persico. Ciro ii il Grande (559-530 a.e.v.) vi fondò l’impero persiano, dopo aver annesso il regno dei Medi (550) e aver conquistato l’impero neo-babilonese. Con il suo editto del 538 permise ai deportati ebrei di tornare in Giudea e ricostruire il Tempio; fu perciò considerato dal → Deuteroisaia «unto» (mašiaḥ, Is 45,1 ss.), cioè realizzatore dei disegni divini. Aggeo, Zaccaria ed Esdra ricordano anche Dario i (522-486) che organizzò l’impero, mentre nei libri di Esdra e Neemia sono menzionati Artaserse (i e ii), in Neemia Dario (ii o iii?). Il libro di Daniele colloca nel terzo anno di Ciro una visione annunciante la caduta dell’impero (Dn 10-11); il libro di Ester è ambientato nella Persia di Assuero (probabilmente Serse i, 485-465 a.e.v.). La religione ufficiale dell’impero persiano era lo zoroastrismo. L’impero persiano fu abbattuto nel 332 da Alessandro Magno. La Persia rimase in seguito sotto i → Se- leucidi; poi passò sotto i Parti e i Sassanidi, fino alla conquista araba (656 e.v.).

Personalità corporativa. Espressione coniata dal teologo Henry Wheeler

Robin-son nel 1936 per indicare nella Bibbia l’identificazione dell’intero popolo o co-munità in un singolo personaggio, come il re o il → Servo, o la solidarietà di tutti i componenti della comunità nella responsabilità e nella colpa commesse da un singolo: per esempio, Gen 3 e 1Sam 14,30.36-45.

Pésaḥ. Termine ebraico; dall’equivalente aramaico pasḥa (così trascritto anche in

greco e in latino) deriva l’italiano Pasqua. Nell’Antico Testamento la prima delle tre feste di pellegrinaggio dell’anno liturgico ebraico. È considerata una festa di liberazione, in quanto celebra l’esodo degli ebrei dall’Egitto. Nata dalla fusione di una festa primaverile di pastori e di una di agricoltori, è descritta e prescritta in Es 12-13: i suoi elementi fondamentali sono l’immolazione dell’agnello pasquale (esso stesso chiamato pésaḥ), consumato in un banchetto di comunione insieme ad → azzimi ed erbe amare, e l’eliminazione di ogni avanzo di sostanze lievitate. Il libro dell’Esodo prescrive che questo rito abbia luogo la sera all’inizio del 15 (cioè la sera del 14) del mese di nisan (marzo/aprile), che corrisponde al plenilunio di primavera. La prima pasqua è connessa dal racconto biblico alla decima piaga,

o morte dei primogeniti, alla quale gli ebrei scamparono proprio grazie all’asper-sione delle loro porte con il sangue dell’agnello pasquale: l’angelo vendicatore, secondo l’etimologia tradizionale, «passò oltre» o «saltò» (ebr. pasaḥ) le case de-gli ebrei. Da festa stagionale divenuta festa storica, vi si aggiunse in seguito il racconto della liberazione dall’Egitto (Es 12,26 ss.); dalla distruzione del Tempio (70 e.v.) a tutt’oggi si celebra senza l’agnello, non potendosi immolare una vit-tima fuori dal santuario. Il rito, arricchito di Salmi (113-118 e 136), di canti e di interpretazioni midrašiche (→ midraš), è contenuto in un libro illustrato detto → Haggadah di Pésaḥ, letto durante il → Séder. Alla pasqua ebraica i sinottici colle-gano l’ultima cena di Gesù. Infatti, i testi del Nuovo Testamento indicano in Gesù l’agnello pasquale immolato per consentire agli uomini il passaggio dalla morte alla vita: passaggio realizzato nella sua risurrezione, vista quindi come un nuovo e perfetto esodo. Un problema storico-esegetico assai complesso è l’effettiva natura della cena celebrata da Gesù (séder o cena di addio?) e la data di tale evento.

Pešaṭ. In ebraico, «semplice». Nell’esegesi rabbinica è così chiamato il senso

let-terale, o meglio immediato, di un testo biblico (→ sensi biblici), che non deve mai essere trascurato dall’interprete.

Pešiṭta. In siriaco, «semplice». Versione siriaca dell’Antico Testamento, eseguita

probabilmente da cristiani di origine ebraica, nel i o ii secolo e.v. In seguito, non oltre il v secolo, vi fu aggiunta la Pešiṭta del Nuovo Testamento: è la versione ufficiale delle Chiese cristiane di lingua siriaca.

Pirqe Avot. In ebraico, «Capitoli dei Padri». Trattato della → Mišnah, che

racco-glie massime degli antichi maestri dall’epoca di Esdra al ii secolo e.v. Il suo scopo è di mostrare la trasmissione della → Torah da Mosè all’epoca dei compilatori e di esprimere attraverso brevi sentenze la concezione ebraica della vita secondo la Legge. Ai cinque capitoli canonici ne fu aggiunto un sesto, quando entrò in alcuni riti liturgici l’uso di leggerne un capitolo nei sei sabati tra Pésaḥ e Šavu‘ot.

Philía. → Agápē.

Poliglotta. Edizione della Bibbia che presenta, in colonne parallele, il testo

origi-nale e versioni in diverse lingue, generalmente antiche. Le più famose sono la Po-liglotta di Alcalá (1514-1522), la PoPo-liglotta di Arias Montano (1572), la PoPo-liglotta di Parigi (1629-1645) e la Poliglotta Walton o di Londra (1655-1657).

Popoli del mare. Sono così chiamati gruppi etnici di diversa origine che, partendo

da Creta, dalla penisola e dalle isole greche e da altre regioni contigue, si insedia-rono nelle zone costiere dell’Asia Minore (mentre fuinsedia-rono respinti dall’Egitto). A tale invasione, avvenuta nei secoli xiii-xii a.e.v., si deve ricondurre lo stanziamen-to dei → filistei sulla costa palestinese.

Povero. Da un primitivo e generico significato sociologico la nozione di povero,

passa a indicare, nei profeti e soprattutto nei Salmi, il povero davanti a Dio, cioè il fedele disprezzato dagli uomini, umile e fiducioso solo nella misericordia del Signore. I «poveri del Signore» dell’epoca postesilica sono stati considerati da alcuni studiosi come un gruppo o una corrente spirituale, a cui si ricolleghereb- bero i «monaci» di → Qumran. Nel Nuovo Testamento Gesù incarna il modello del povero e fa dei poveri i destinatari privilegiati della sua predicazione e della sua azione.

Preghiera sacerdotale. Così è chiamata la preghiera di Gesù al Padre durante

l’ultima Cena (Gv 17). In essa Gesù, ricapitolando la propria missione, affida al Padre i suoi seguaci «perché siano una cosa sola».

Presbitero. Dal greco presbýteros, «più anziano». Nel Nuovo Testamento (ma

non nell’epistolario paolino) il presbitero o «anziano» è una figura importante nella struttura delle prime comunità cristiane. Più volte menzionati dagli Atti, gli anziani sono spesso associati agli apostoli negli incarichi di governo delle comu-nità, e sempre al plurale, segno di un ministero collegiale che non si distingue da quello dell’ → episcopo. In seguito la figura del presbitero si differenziò da quella dell’episcopo, trasformandosi in quella del prete (termine che etimologicamente ne deriva), che assunse parecchie connotazioni del sacerdozio neotestamentario.

Proselito. Il termine ebraico ger (nei → Settanta prosḗlytos) indica generalmente

lo straniero residente in Israele, partecipe dei diritti e (se circonciso) della vita re-ligiosa del popolo. In seguito designa i non ebrei che, accettando «il giogo dei pre-cetti», e assoggettandosi alla circoncisione e al battesimo o immersione, entrano a far parte a pieno diritto del popolo d’Israele. In tal caso si tratta propriamente del ger ṣédeq (cioè «proselito di giustizia»). Il proselitismo, praticato in alcuni mo-menti della storia ebraica, fu più tardi abbandonato sia per il divieto delle autorità cristiane o islamiche, sia per una certa diffidenza verso i proseliti, sia infine per la convinzione che la salvezza dei gentili non richiede la conversione all’ebraismo, ma soltanto l’osservanza dei precetti → noachidi.

Protocanonici. Termine che indica i libri biblici, sia dell’Antico sia del Nuovo

Testamento, che furono ammessi per primi nel → canone, senza provocare discus-sioni sulla loro canonicità, a differenza dei → deuterocanonici.

Protovangelo. Così veniva chiamato l’annuncio divino contenuto in Gen 3,15,

secondo il quale la stirpe della donna schiaccerà la testa del serpente. Secondo l’interpretazione tipologica (→ tipologia) tale annuncio si riferiva a Maria, madre di Gesù.

Pseudoepigrafo. → Apocrifo.

Pubblicano. Appaltatore delle imposte nel sistema fiscale dello stato romano.

I pubblicani appartenevano generalmente al ceto dei cavalieri. Per estensione, fu-rono così chiamati anche i funzionari che riscuotevano le imposte direttamente

per i governatori delle province, come nella Palestina ai tempi del Nuovo Testa-mento. Erano malvisti dalla popolazione per la loro frequente esosità; il termine pubblicano nei Vangeli assunse quindi un significato negativo: i pubblicani erano considerati peccatori ed erano evitati al pari dei pagani e delle prostitute. Gesù era accusato di frequentare i pubblicani: si ricorda la sua visita a casa di Zaccheo (Lc 19,2-10) e la chiamata di Matteo all’apostolato (Mt 9,9).

Purim. In ebraico, «sorti». Festa che celebra la salvezza degli ebrei di Persia

nar-rata nel libro biblico di Ester. Il nome della festa allude alle sorti che erano state gettate per decidere il giorno dello sterminio degli ebrei (Est 3,7), si celebra il 14 (il 15 nelle città anticamente cinte di mura) del mese di adar (febbraio-marzo) con la lettura del libro di Ester, lo scambio di doni alimentari, l’abbondanza di vino e varie manifestazioni carnevalesche come le mascherate e le rappresentazioni teatrali (Purimspiel ).

Puro e impuro. In ebraico, ṭahor e ṭame’. Coppia di termini antitetici che nella

religione biblica denota rispettivamente le realtà di cui l’uomo può fare uso e quelle che lo contaminano più o meno gravemente. In questa seconda categoria rientrano sia la sfera del → sacro, sia quella legata alla nascita, alla corruzione e alla morte (sperma, sangue mestruale, sudore, escrementi, cadaveri) nonché certi animali, come i rettili. La sfera del puro in qualche modo coincide con quella del profano, cioè di quanto non contamina. Tuttavia il puro è venuto anche a designare la santità di Dio e quindi talvolta a coincidere con il sacro, mentre l’impuro rientra talora nella categoria del profano. Ogni passaggio dal sacro al profano o viceversa comporta impurità se non avviene secondo precise modalità rituali, spesso riser-vate soltanto agli addetti al sacro.

Nel documento per il lettore della Bibbia Vademecum (pagine 57-62)