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6. Le lezioni di madrelingua

6.2. Lingua e cultura

Come già affermato precedentemente, il linguaggio è il mezzo principale attraverso il quale sviluppiamo la nostra esistenza in quanto membri di un gruppo, di una società.

Spesso accanto al termine linguaggio troviamo quello di cultura. Il loro frequente comparire in coppia è indice del profondo e indissolubile legame che li caratterizza.

Trattando questa ricerca di aspetti linguistici in ambito educativo, è utile dedicare un approfondimento a tale rapporto. Inizialmente, verranno proposte alcune riflessioni sul concetto di cultura e sulla sua interdipendenza dal concetto di linguaggio. Successivamente, ci si soffermerà sul ruolo che l’elemento cultura viene a ricoprire sia nell’insegnamento dello sloveno come L2, sia nell’insegnamento della madrelingua.

Una delle caratteristiche principali del concetto di cultura è la sua multidisciplinarietà, attorno alla quale vertono tutte le sue possibili definizioni.

A tal proposito, Kramsh (1998: 2) propone per cultura due definizioni, entrambe riferite a una comunità d’individui, una comunità sociale.

La prima definizione, derivata dal campo umanistico, si focalizza sul modo in cui un gruppo sociale rappresenta se stesso e gli altri attraverso le proprie produzioni materiali; siano queste opere d’arte, letteratura, istituzioni sociali o artefatti della vita quotidiana, e i meccanismi per la loro riproduzione e conservazione nel corso della storia.

Nella seconda definizione, che deriva dal mondo delle scienze sociali, Kramsh (1998: 2) ingloba il concetto di “ground of meaning” proposto da Howard Nostrand, ovvero gli atteggiamenti, le credenze, i modi di pensare, i comportamenti e le commemorazioni condivisi dai membri di quella comunità. Per rafforzare tale definizione, Kramsh (1998: 3) riporta anche quella del sociologo Richard Brislin:

“La cultura si riferisce agli ideali, ai valori, alla formazione e all’uso di categorie, alle ipotesi sulla vita e alle attività, che diventano inconsciamente o subconsciamente “giusti” e “corretti” per gli individui che identificano se stessi come membri di una società”.

Addentrandoci nel campo dell’insegnamento linguistico, ricordiamo quanto affermato dall’antropologo britannico Edward B. Taylor, riportato da Ciliberti (2012: 118):

La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio spazio etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.

“I concetti di lingua e cultura sono strettamente interconnessi tra loro, essendo possibile affermare che senza espressione linguistica non vi sarebbe cultura e, viceversa, non esisterebbe la lingua senza contenuto culturale.”

Benché il linguaggio non sia che uno dei sistemi culturali (accanto agli usi, miti, alla religione, alla musica etc.) è l’unico a ricoprire un ruolo di fondamentale importanza.

Le differenze tra le diverse culture esistenti sono basate principalmente sulla diversa interpretazione di ciò che viene concepito come la realtà esterna. Il meccanismo basilare per attivare quest’interpretazione è proprio quello linguistico. Grazie alla facoltà del linguaggio, l’essere umano può arrivare non solo alla comprensione della natura, ovvero a ciò che è nato e cresce naturalmente, ma è altrettanto in grado di dare una forma alla cultura, a ciò che sta crescendo e che viene coltivato,91 che diventa il suo universo. Il linguaggio esprime quindi da un lato l’identità culturale del singolo e del gruppo, dall’altro il incorpora la realtà culturale. Per i membri di una comunità, infatti, non è sufficiente esprimere le proprie esperienze, devono altrettanto crearle attraverso lo strumento linguistico.

Infine, come ricorda Kramsh (1998: 3), il linguaggio è un sistema di segni, visto anch’esso come portatore di valori culturali. I parlanti identificano sé stessi e gli altri attraverso l’uso che fanno del linguaggio; vedono il proprio linguaggio come forte simbolo della propria identità. Così ad esempio la proibizione del suo uso, viene spesso percepita dai parlanti con un rifiuto del loro gruppo sociale e della loro cultura.

La cultura in un certo modo impone ai parlanti una struttura e dei principi di selezione. Essa non è formata solamente dai modi di pensare, dalle regole di comportamento e dai valori condivisi dai membri di una comunità nel momento attuale; essa è frutto di comportamenti e norme solidificatisi con il trascorrere del tempo e che oggi possono apparire come comportamenti naturali. Accanto allo strato sincronico (sociale) e quello diacronico (storico) della cultura, viene ad affiancarsi un terzo strato altrettanto essenziale, definito da Kramsh (1998: 8) dell’immaginazione. Le comunità discorsive (ing. Discourse communities)92 non sono caratterizzate solo da fatti, ma anche da sogni e da un immaginario comune. Quest’ultimo viene mediato dal linguaggio, che, attraverso la vita della comunità riflette, dà forma ed è una metafora della realtà culturale. Lo strumento del                                                                                                                

91 Kramsh (1996: 4) riporta a questo proposito la differenza tra i termini natura (dal latino nascere) e cultura (dal latino

colere: coltivare).

92  Con discourse communities Kramsh (1998:7) intende una ramificazione della nozione di speech community, ovvero “the common ways in which members of a social group use language to meet thei social needs. Not only the

grammatical, lexical, and phonological features of their language (for example, teenafe talk, professional jargon, political rhetoric) differentiate them from others, but also the topics they choose to talk about, the way they present information, the style with which they interact, in other words their discourse accent”.

linguaggio è intimamente connesso non solo alla cultura del presente e quella del passato, ma anche alla cultura dell’immaginazione che governa le decisioni e le azioni delle persone.

All’imprescindibile rapporto tra lingua e cultura è legata la teoria del relativismo linguistico ed in particolare l’ipotesi di Sapir-Whorf (ing. Sapir-Whorf hypothesis).

Secondo tale ipotesi, la struttura della lingua abitualmente utilizzata da un individuo influenza le modalità di pensiero e di comportamento. Tale posizione è stata ampiamente discussa e contrastata in ambito scientifico, fino ad arrivare all’accettazione di alcune sfumature di tale teoria come il fatto che vi siano differenze culturali nelle associazioni semantiche evocate da concetti apparentemente comuni (Kramsh 1998:13)93..

L’influenza della cultura sulla lingua si riflette principalmente nel lessico. Da una parte vi è l’ambiente naturale che richiede la creazione e l’uso di determinati termini rilevanti per una data cultura, dall’altro vediamo come parte della struttura del lessico sia interessata dall’organizzazione sociale del gruppo.

La lingua non deve e non può essere vista come un mero costituente della cultura, solamente come un mezzo per poterla interpretare, bensì come il suo dinamico principio costitutivo. Dal canto suo, come prerequisito e creatore della cultura, il linguaggio prende forma a seconda dei bisogni e delle possibilità della cultura; la cultura è “penetrabile”, comprensibile attraverso lo strumento linguistico il quale, a sua volta, per essere compreso necessita di un retroterra di informazioni culturali che lo sostengano (Zuanelli Sonino 2009: 267). Così la cultura come il linguaggio, grazie alla loro sinergia, formano e cambiano il mondo (Bugarski 2005: 17).

L’importanza dell’indissolubile rapporto lingua-cultura non è passato inosservato al mondo dell’istruzione. Con l’ingresso nei sistemi educativi di sempre più alunni con lingua e cultura diversa dalla maggioranza, i sistemi scolastici si trovano dinanzi a diverse sfide su come affrontare il legame tra lingua e cultura dei nuovi arrivati e dei rapporti che queste andranno a intessere con la lingua e la cultura di maggioranza.

In Slovenia, ma come in tutta Europa, si sta cercando di dare sempre più importanza allo sviluppo di ciò che viene definita competenza comunicativa interculturale. Come anche nel caso in esame, le culture coinvolte nel processo d’insegnamento e di apprendimento di una L2 sono due: quella materna e quella del paese straniero.

                                                                                                               

93 Le lingue che vengono prese in esame più volte nel corso di questa ricerca, lo sloveno, il croato, il bosniaco ed il serbo, data la vicinanza sia geografica che strutturale è possibile che non presentino grandi differenze nella concettualizzazione mentale delle sfumature semantiche, o non è stato possibile rintracciare studi realizzati in merito.

Tali nuove circostanze hanno portato ad una nuova definizione di apprendente della L2 come sottolinea Ciliberti (2012: 116) riportando la definizione di Celia Roberts et. presente nel saggio Language Learnes as Ethnographers:

“In recent years, language learners have come to be described in terms of ‘cultural mediators’, ‘border-crossers’, ‘negotiators of meaning’, ‘intercultural speakers’ and such like. Language learning is becoming increasingly defined in cultural terms and these new names and targets for language learning imply a reconceptualisation of the language learning endeavour”.

Affinché la nozione di cultura sia pedagogicamente e didatticamente proficua, deve evidenziare il legame inscindibile che esiste tra la lingua e gli aspetti socioculturali che essa esprime e che contribuisce a costituire in un determinato contesto spazio-temporale (Ciliberti 2012: 119).

Le lezioni extracurricolari proposte dalla scuola Livada, come anche il laboratorio di lingua slovena come L2 di cui si tratterà in seguito, possono essere viste ed intendono essere un ponte tra due lingue e due culture diverse, affinché nessuna di queste venga vista dai propri parlanti o dalla società ospitante come ‘diversa’ o addirittura ‘inferiore’.