• Non ci sono risultati.

Un livello di regolazione di importanza determinante in materia d

Sala Pietà, Palazzo Incontr

SICUREZZA ALIMENTARE E TUTELA DELLA SALUTE ILLUSTRAZIONE DEI CONTENUTI DELLA SESSIONE

3. Un livello di regolazione di importanza determinante in materia d

sicurezza alimentare è quello europeo. Si è quindi parlato dell’avvenuta affermazione di un “diritto alimentare europeo” come un sistema giuridico retto da un catalogo di principi, dotato di una disciplina generale e trasversale, nonché di un apparato istituzionale esecutivo (così, la relazione di Iurato; si veda anche la relazione di Bassu) e di un’agenzia, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).

In materia di sicurezza alimentare, un punto di riferimento fondamentale è dato dal regolamento CE n. 178/2002 che, attingendo alle risultanze del “Libro bianco sulla sicurezza alimentare” del 2000: a) definisce una strategia globale dei prodotti alimentari; b) afferma la piena rintracciabilità di prodotti e alimenti; c) individua la responsabilità dei soggetti coinvolti nelle diverse fasi di produzione e di post-produzione; d) disciplina la gestione efficiente delle crisi tramite l’analisi del rischio; e) prevede procedure di dialogo con i consumatori (si veda, in particolare, la relazione di Bassu).

I principi fondamentali in materia, desumibili anche da tale atto, sono dati, ancora una volta, dai principi di precauzione e di proporzionalità (sul punto, si vedano, in particolare, le relazioni di Bassu e Oddi).

Il principio di precauzione, affermatosi con riferimento alla tutela dell’ambiente, è ormai espressamente riferito anche alla sicurezza alimentare e, come si legge nella relazione di Bassu, si traduce nell’adozione di misure provvisorie di gestione di un rischio per la salute, in attesa di informazioni di carattere scientifico che provino la sussistenza di un pericolo effettivo. Si tratta di un principio che, sebbene garantisca una tutela forte dell’integrità della persona, si presta necessariamente a interpretazioni discrezionali suscettibili anche di distorsioni applicative.

Assai interessanti sul punto le considerazioni contenute nella relazione di Oddi, il quale ricorda che, secondo la Commissione europea, il principio in parola designa e compendia una strategia strutturata di approccio al rischio per la salute umana, che si articola in fasi distinte. In questo senso, esso rappresenta un vero e proprio protocollo di gestione del rischio e attinge a valutazioni sia di natura tecnico-scientifica (anche nei casi in cui i dati non abbiano carattere concludente), sia, almeno in senso lato, politiche, che attengono al grado di accettabilità sociale di un certo rischio in un determinato momento storico.

Giovanni Tarli Barbieri 199

Come viene ricordato nella relazione di Di Donato, sul punto il Consiglio di Stato ha affermato che “la stessa applicazione del principio di precauzione postula l’esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre; e comporta che quando non sono conosciuti con certezza i rischi connessi ad un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata (corsivo mio) rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali”9.

Inoltre, il principio di precauzione non impone necessariamente né di agire (anche l’inazione, infatti, può costituire una risposta) né di adottare atti finali produttivi di effetti giuridici, e quindi suscettibili di controllo giurisdizionale.

Nella gestione del rischio, devono sempre essere osservati i criteri generali di proporzionalità, non discriminazione e coerenza. Devono inoltre essere tenuti presenti i vantaggi e gli oneri (sia a breve sia a lungo termine, anche di carattere non economico: ad es., la tutela della salute) derivanti dall’azione o dall’inazione, oltreché l’evoluzione delle conoscenze scientifiche (alla cui luce le misure adottate devono essere sottoposte a nuova valutazione).

Di fondamentale importanza è il principio di proporzionalità che, diversamente da quanto avviene a livello di WTO, appare più sbilanciato in una direzione di tutela della salute, cosicché le misure adottate in virtù del principio di precauzione debbono soddisfare il requisito della appropriatezza, cioè debbono risultare idonee a conseguire l’obiettivo stabilito, della necessarietà, dell’equo grado di bilanciamento tra il fine perseguito e il sacrificio a carico del destinatario della stessa, così da realizzare il criterio della adeguatezza.

Tuttavia, come ricorda la relazione di Alessandra Forti, anche dopo l’entrata in vigore del regolamento CE n. 178/2002, le esigenze di protezione non sono state né l’unico, né probabilmente il più importante degli obiettivi di cui il legislatore ha tenuto conto: in effetti, il diritto alla salute e gli altri diritti fondamentali di garanzia devono convivere ed essere bilanciati con gli altrettanto fondamentali diritti di libertà e, in particolare, con le esigenze del libero mercato. Analizzando alcuni degli aspetti della disciplina in materia di sicurezza, si ha però l’impressione che nel bilanciamento tra le esigenze di tutela della salute e gli altri interessi concorrenti la questione della salute alimentare sia stata depotenziata di alcuni profili, come quello riguardante la sicurezza o adeguatezza nutrizionale dei moderni alimenti.

Forti ha insistito, ad esempio, sulle rilevanti problematiche relative agli alimenti salutistici, che sono colpevolmente trascurati dal regolamento CE n.

ILLUSTRAZIONE DEI CONTENUTI DELLA SESSIONE 200

178/2002 e collocati in una disciplina non priva di elementi di frammentarietà e, comunque, fuori dall’ambito in cui il legislatore UE si è occupato dei requisiti generali di sicurezza e/o di salubrità ai quali devono conformarsi tutti gli alimenti. Così, la tutela della salute è ancora riconoscibile come valore fondamentale ma solo in alcuni ambiti, come, in particolare, nella definizione delle misure con le quali contenere la forza suggestiva delle menzioni salutistiche (per cui esse debbono essere corrette e non fuorvianti ed anche scientificamente fondate e quindi comprovate in termini oggettivi). In tal modo, si è creata una pericolosa scissione che sembra sottovalutare il problema dei rischi per la salute collegati alla diffusa presenza sul mercato di alimenti che, sicuri sul piano della salubrità, non sempre sono adeguati anche sul piano delle qualità nutrizionali.

In definitiva, tale relazione costringe anche il giurista a riflettere sul fatto che il concetto di salute alimentare è intrinsecamente complesso, tale da comprendere la salute dell’ambiente, del suolo, degli alimenti e, solo in ultima analisi, la salute dei consumatori in un contesto nel quale essi dovrebbero poter contare su alimenti non solo innocui ma anche completi (sul punto si rinvia anche a Oddi che ricorda l’approccio della Corte di giustizia sui prodotti alimentari integrati con sostanze nutritive).

Il quadro ordinamentale e i problemi da esso suscitati richiamati da Forti trovano poi un’importante, ulteriore applicazione a proposito delle politiche in materia di lotta all’obesità, di cui si sono occupate Silvia Bolognini e Francesca Minni; obesità che costituisce una piaga ormai largamente diffusa non solo nei Paesi più agiati ma anche in alcuni di quelli meno ricchi (America Latina).

Outline

Documenti correlati