L’esperienza positiva dei Tribunali ad hoc nell’applicazione dei diritti umani e dei principi umanitari attraverso l’affermazione della responsabilità individuale ha portato l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a proseguire con favore sulla strada della giurisdizione penale internazionale. Infatti, in diversi contesti, durante gli anni Novanta, sono stati istituiti tribunali “misti”189, d’intesa
col governo degli Stati o in occasione di periodi di amministrazione temporanea del territorio da parte dell’ONU190.
Il 17 luglio 1998, lo Statuto è stato approvato durante la conferenza diplomatica di Roma, sotto la veste giuridica di un accordo multilaterale191.
La Corte così istituita – indipendente, dotata di personalità internazionale (art. 4) e permanente192 – rappresenta il più alto atto di affermazione, sul piano giuridico, di principi propri
del diritto internazionale dei diritti umani193. Essa spinge gli Stati ad attivarsi per punire i colpevoli
al loro interno, possedendo così una funzione deterrente, e costituisce una base solida per giungere in futuro alla creazione di un codice del diritto penale internazionale194.
La Competenza della Corte penale internazionale o ICC è complementare rispetto a quella delle giurisdizioni nazionali (art. 1), ossia interviene solo quando lo Stato che ha giurisdizione sul caso non ha la capacità o la volontà di perseguire e punire gli autori dei crimini in modo adeguato195.
188 Il principio di irrilevanza della qualifica ufficiale rivestita dal reo durante la consumazione del reato è sancito qui nell’art. 6, comma 2, mentre il principio di giurisdizione concorrente – che lo Statuto relativo alla ex Jugoslavia conteneva nell’art. 9 – è stato trasposto nell’art. 8 dello Statuto in esame; mentre la disciplina del ne bis in
idem e le relative deroghe è contenuta nell’art. 9.
189 Il carattere misto ha riguardato sia la composizione degli organi – con personale giudiziario sia dello Stato sia internazionale – sia il diritto penale sostanziale e processuale applicabile.
190 C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., pp. 69-70: ciò è avvenuto in Kosovo, Sierra Leone, Cambogia e Timor orientale. L’Assemblea generale ha richiamato l’attenzione della Commissione di diritto internazionale sulla questione della creazione di una Corte penale internazionale; nel 1994, la Commissione ha presentato all’Assemblea generale un progetto di Statuto, poi rielaborato da un Comitato ad hoc, nel 1995; infine, il Comitato preparatorio ha completato il progetto.
191 S. MARCHISIO, Lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, in I diritti dell’uomo. Cronache e
battaglie, I, 1998, p. 49; C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., pp. 71-75; F. TRIONE, Divieto e crimine di
tortura, cit., pp. 12-13. I numerosi punti controversi e la svolta storica che lo Statuto incarna, affermando con forza il
primato dell’individuo e della sua dignità a discapito della sovranità degli Stati, hanno comportato sette importanti voti contrari (anche di Stati Uniti, Cina, India, Israele e Turchia).
192 S. MARCHISIO, Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, in I Diritti dell’Uomo. Cronache e
battaglie, I, 1998, p. 52.
193 F. TRIONE, Divieto e crimine di tortura, cit., p. 13. 194 T. TREVES, Diritto internazionale, cit., p. 208. 195 S. MARCHISIO, Lo Statuto di Roma, cit., p. 50.
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A differenza dei Tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, che erano istituiti con risoluzione del Consiglio di Sicurezza e, per questa via, imposti a tutti gli Stati, la ICC è nata da un accordo multilaterale, che non può vincolare se non gli Stati firmatari196.
La giurisdizione della Corte si può applicare quindi solo in due ordini di casi: qualora l’imputato sia un cittadino di uno Stato parte, oppure allorché il crimine sia stato commesso nel territorio di uno Stato parte (art. 12)197.
A ciò si aggiunge la possibilità, ex art. 87, comma 5, che la Corte promuova accordi ad hoc con Stati non firmatari dello Statuto per ottenere la loro collaborazione (art. 12, comma 3).
L’art. 5, comma 1 dello Statuto definisce la competenza ratione materiae della Corte, sancendo che questa «è limitata ai crimini più gravi, motivo di allarme per l’intera comunità internazionale198.
L’art. 6, nello stabilire il contenuto del crimine di genocidio, utilizza le stesse parole che erano già nello Statuto del Tribunale per la ex Jugoslavia e nello Statuto del Tribunale per il Ruanda. Di conseguenza, valgono anche qui le stesse osservazioni già riportate riguardanti la tortura, che può essere – come reato-mezzo – una delle modalità di realizzazione del genocidio (in particolare, con le forme descritte nelle lettere b) e c) dell’art. 6).
L’art. 7 dello Statuto, descrivendo i crimini contro l’umanità, assume invece una portata parzialmente innovativa. I crimini vietati sono quelli ormai classici del diritto penale internazionale, ma l’elencazione risulta – rispetto a quella degli Statuti dei Tribunali ad hoc – più completa e dettagliata, comprendendo fattispecie articolate o nuove, come la riduzione in schiavitù (lett. c)), la sparizione forzata di persone (lett. i)), lo stupro e la gravidanza forzata (lett. g)), l’apartheid (lett. j)). Il riferimento alla tortura, invece, non è mutato, poiché l’art. 7 inserisce tra i crimini contro l’umanità sia la tortura (lett. f)), sia «altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale» (lett. k)).
Una novità sicuramente rilevante di questo Statuto è la presenza di definizioni autonome delle fattispecie criminose. L’art. 7 infatti, nel suo comma 2, precisa il significato di ognuno dei crimini elencati al comma precedente, specificando, tra l’altro, che «per “tortura” s’intende
196 T. TREVES, Diritto internazionale, cit., p. 208.
197 S. MARCHISIO, Lo Statuto di Roma, cit., p. 50; C. ZANGHÌ, La protezione internazionale, cit., p. 75. Non basta invece che l’imputato sia custodito in uno Stato parte, né che sia parte lo Stato di cittadinanza delle vittime, come pure era stato proposto: S. MARCHISIO, Lo Statuto di Roma, cit., pp. 50-51.
198 La Corte ha competenze, in forza del presente Statuto, per i crimini seguenti: a) crimine di genocidio; b) crimini contro l’umanità; c) crimini di guerra; d) crimine di aggressione. In realtà, quest’ultimo crimine non è giustiziabile fino alla futura approvazione di una disposizione che fissi una definizione del termine “aggressione” e ne precisi la fattispecie (art. 5, comma 2).
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l’infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati»199.
L’ampiezza che caratterizza la definizione di tortura secondo lo Statuto dell’ICC va comunque letta alla luce del fatto che, per poter integrare un crimine contro l’umanità, gli atti di tortura devono anche essere commessi «nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell’attacco» (art. 7, comma 1). Dunque, la condotta deve essere caratterizzata da tutti gli elementi della definizione e da tutti gli elementi propri dei crimini contro l’umanità per essere giudicabile dalla Corte penale internazionale sotto il profilo dell’art. 7 dello Statuto.
I crimini di guerra sono, infine, enumerati all’art. 8. Si tratta di un’elencazione già utilizzata dagli Statuti dei Tribunali internazionali per la ex Jugoslavia (per i crimini connessi a conflitti internazionali) e per il Ruanda (per i crimini compiuti durante conflitti interni). L’art. 8, comma 2, è però redatto con maggior precisione e completezza, ed elenca ben cinquanta fattispecie (trentaquattro relative ai conflitti internazionali; sedici relative alle guerre interne).
In riferimento ai conflitti armati internazionali, le lettere a) e b) dell’art. 8, comma 2, richiamano, rispettivamente, le gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e le gravi violazioni del diritto consuetudinario di guerra.
La tortura e le fattispecie connesse sono più volte richiamate, in quanto tra i crimini di guerra ci sono: «tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici» (art. 8, comma 2, lett. a), n. ii)); «cagionare volontariamente gravi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute» (art. 8, comma 2, lett. a), n. iii)); «assoggettare coloro che si trovano in potere del nemico a mutilazioni fisiche o ad esperimenti medici o scientifici di qualsiasi tipo, non giustificati da trattamenti medici delle persone coinvolte né compiuti nel loro interesse, che cagionano la morte di tali persone o ne danneggiano gravemente la salute» (art. 8, comma 2, lett. b), n. x)); «violare la
199 La definizione ricorda quella contenuta nella Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite del 1984, soprattutto nella parte in cui esclude dai trattamenti incriminati le sofferenze insite nell’esecuzione di una pena legittima o provocate per negligenza dello Stato, senza alcuna intenzionalità. Gli elementi costitutivi della fattispecie sono ancora: l’inflizione di dolori o sofferenze fisiche o mentali; la gravità degli stessi e l’intenzionalità della condotta. È però espunto dalla definizione della CAT, adottata anche dalla giurisprudenza delle Corti ad hoc, un elemento ingombrante: lo scopo specifico, che limitava moltissimo l’ambito di applicabilità del divieto. Per quanto riguarda un altro elemento costitutivo fortemente limitante, ossia la particolare identità che l’autore, previsto nella CAT, l’elemento specializzante non compare nella definizione dello Statuto. Tuttavia, questo fa riferimento al fatto che la vittima si trovi sotto la custodia e il controllo del suo torturatore, richiamando l’idea di un autore riconducibile a una qualche autorità: risultano sicuramente esclusi, quindi, i maltrattamenti compiuti a fini personali tra privati. C. DANISI, Divieto e
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dignità delle persone, in particolare utilizzando trattamenti umilianti o degradanti» (art. 8, comma 2, lett. b), n. xxi)); «stuprare» (art. 8, comma 2, lett. b), n. xxii)).
In riferimento ai conflitti armati non internazionali, le lettere c) ed e) dell’art. 8, comma 2 richiamano, rispettivamente, le gravi violazioni dell’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e le gravi violazioni del diritto consuetudinario di guerra relativo ai conflitti interni. Anche qui, la tortura e le fattispecie connesse sono più volte richiamate, in quanto tra i crimini di guerra sono compresi «atti di violenza contro la vita e l’integrità della persona, in particolare tutte le forme di omicidio, le mutilazioni, i trattamenti crudeli e la tortura» (art.8, comma 2, lett. c), n. i)); «violare la dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti» (art. 8, comma 2, lett. c), n. ii)); «stuprare» (art. 8, comma 2, lett. e), n. vi)); «assoggettare coloro che si trovano in potere del nemico a mutilazioni fisiche o ad esperimenti medici o scientifici di qualsiasi tipo, non giustificati da trattamenti medici delle persone coinvolte né compiuti nel loro interesse, che cagionano la morte di tali persone o ne danneggiano gravemente la salute» (art. 8, comma 2, lett. e), n. xi)).
Di estremo interesse è poi l’art. 27, che sancisce l’assoluta irrilevanza della qualifica ufficiale dell’autore, che quindi non può sottrarsi alla propria responsabilità personale con l’espediente formale dell’aver agito nell’esercizio delle proprie funzioni, attribuendo così le proprie azioni allo Stato.
4.1. Luci e ombre sull’operato della CPI
L’istituzione della Corte Penale Internazionale non pare abbia sortito l’effetto di ricalcare i risultati positivi ottenuti dai Tribunali ad hoc nell’applicazione dei diritti umani. Invero, in quindici anni di attività della CPI, sono state processate poche decine di persone: assai meno di quelle incriminate dai tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e il Ruanda, che indagavano su un solo Paese e in relazione a un arco di tempo limitato200.
Non solo, in alcuni casi gli Stati membri non hanno cooperato per estradare l’imputato, come nella vicenda che ha riguardato il presidente sudanese Al-Bashir, tanto che le incriminazioni non hanno avuto alcun esito politico ed egli mantiene saldo il controllo sul suo Paese201.
Ciò che è evidente è che i Governi degli Stati esercitano una forte influenza sulla giustizia penale internazionale. Sono infatti gli stessi Governi a stanziare i finanziamenti per i tribunali
200 D. ARCHIBUGI – A. PAESE, Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Castelvecchi, Roma, 2017, p. 87.
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internazionali, a nominare i giudici e addirittura a mettere a disposizione le carceri per i (pochi) condannati202.
Come si può agire per permettere alla giustizia penale internazionale di svolgere il suo ruolo ideale, ossia controllare gli abusi dei governi, piuttosto che essere uno strumento nelle loro mani?
In primo luogo, le organizzazioni della società civile hanno la possibilità di raccogliere dati e informazioni su casi riguardo ai quali la CPI per qualsiasi ragione (politica) non indaga203.
In secondo luogo, sarebbe auspicabile attribuire nella scelta dei giudici una maggiore incisività all’intervento delle organizzazioni non governative, come la Coalition for the
International Criminal Court od Amnesty International. Allo stato attuale le ONG hanno il compito
marginale di commentare i profili degli aspiranti giudici. Essi sono nominati dall’Assemblea degli Stati della CPI, sulla base di un’analisi dei propri profili giuridici; vengono altresì considerati: il ruolo degli stati che contribuiscono maggiormente ai finanziamenti, la copertura geografica, la rappresentatività delle culture giuridiche, l’equilibrio di genere, etc204.
In terzo luogo, si deve sottolineare come le azioni della CPI siano complementari a quelle svolte dai Tribunali d’opinione205.
I Tribunali di opinione paragiudiziari di creazione moderna si configurano come una sorta di giurisdizione internazionale informale, ovvero espressa dalla società civile e non dai poteri costituiti, mancante di forza coercitiva, ma con l’ambizione di sensibilizzare l’opinione internazionale e i pubblici poteri in forza del valore morale delle sentenze; sono privi di poteri sanzionatori, ma possono svolgere indagini e denunciare determinati abusi.
Ad esempio, il World Tribunal on Iraq, istituito da diverse organizzazioni non governative, ha avuto una vasta eco, soprattutto perché gli organi della giustizia internazionale (inclusa la Corte di giustizia internazionale) erano paralizzati a causa del potere esercitato dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Il World Tribunal on Iraq ha invece potuto istruire un processo d’opinione che ha portato alla condanna, sebbene solo simbolica, dei crimini di guerra206.
202 D. ARCHIBUGI – A. PAESE, Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, cit., p. 88.
203 Ad esempio, una organizzazione non-governativa di avvocati ha prodotto prove sui crimini di guerra commessi dai soldati inglesi durante l’invasione dell’Iraq del 2004. Quando le nuove prove sono state consegnate alla CPI, l’Ufficio del Procuratore della CPI ha avviato un’indagine, che era già stata frettolosamente archiviata alcuni anni prima. In questi casi, la pressione esterna può riuscire a far svolgere alla CPI la sua funzione istitutiva.
204 D. ARCHIBUGI – A. PAESE, Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, cit., p. 90.
205 Ibidem, p. 90.
206 Per un approfondimento si rimanda a M. G. SÖKMEN, World Tribunal on Iraq Making the Case Against
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Il Tribunale permanente dei popoli, attivo presso la Fondazione Basso, ha da quarant’anni istruito Tribunali d’opinione su molti temi della politica mondiale e ha recentemente indagato e condannato sulle violazioni dei diritti delle persone migranti e rifugiate207.
Queste attività sono certamente d’auspicio affinché anche la CPI e gli altri organi delle Nazioni unite agiscano, utilizzando i ben più consistenti mezzi a loro disposizione.
In quarto luogo, la CPI non ha esautorato la possibilità di agire tramite giurisdizione universale esercitata dalle magistrature nazionali. La cosiddetta “Internazionale dei giudici” può svolgere un ruolo molto utile nel richiamare l’attenzione su crimini particolarmente gravi, e in alcuni casi addirittura trasferire determinati procedimenti alla CPI208.
L’efficacia della Corte Penale internazionale nel reprimere i crimini di sua competenza rischia di non soddisfare le aspettative. Se si lascia la CPI dentro la sola logica inter-governativa, la Corte assume le sembianze di uno strumento compiacente e inutile. È auspicabile che l’operato della CPI venga sottoposto all’attenzione dell’opinione pubblica e che essa acquisisca la forza e il coraggio di indagare anche sulle situazioni politicamente “scomode”, incriminando delinquenti anche se godono di protezioni altolocate: solo così potrà diventare davvero un effettivo dispositivo per la protezione dei diritti umani209.
207 Documento finale relativo alle sessioni sulla violazione dei diritti umani delle persone migranti e rifugiate Bruxelles - Parlamento europeo - 9 aprile 2019, reperibile al sito http://permanentpeoplestribunal.org/wp-
content/uploads/2019/04/DocumentoFinaleBruxelles_ITA_11Aprile2019.pdf.
208 D. ARCHIBUGI – A. PAESE, Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, cit., p. 93.
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CAPITOLO II
LE CONVENZIONI REGIONALI CHE SI OCCUPANO DI TORTURA
SOMMARIO: Introduzione - Sezione I - Le Carte regionali extra-europee - 1. Dichiarazione interamericana
dei diritti e dei doveri dell’uomo - 2. La Convenzione americana dei diritti dell’uomo dell’Organizzazione degli Stati Americani - 3. La Convenzione interamericana per la prevenzione e la punizione della tortura - 4. La Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli dell’Organizzazione dell’Unità Africana - 5. La Carta araba dei diritti dell’uomo - 6. La Carta di diritti umani dell’Asia - Sezione II - Le Carte regionali- sovrannazionali europee - 1. Il Consiglio d’Europa - 2. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo - 3. Il divieto di tortura nella giurisprudenza della Corte Edu - 3.1. Assolutezza del divieto - 3.2. Il principio di effettività - 3.3. Interpretazione evolutiva - 3.4. Il criterio della gravità del maltrattamento - 3.5. Il criterio della relatività - 3.6. Tortura, pene e trattamenti inumani o degradanti - 3.6.1. Il divieto di tortura: applicazione dei criteri - 3.6.2. Pene e trattamenti inumani - 3.6.3. Trattamento o punizione degradante - 3.7. Obblighi positivi e negativi derivanti dal divieto di tortura e trattamento disumano o degradante - 3.7.1. Obbligo di avviare una procedura di inchiesta - 3.7.2. Onere probatorio – 4 .La Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti - 5. Il diritto dell’Unione Europea - 6. Le fonti del diritto dell’Unione Europea sul divieto di tortura - 6.1. La Carta di Nizza - 6.2. Gli orientamenti dell’UE - 7. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea - 7.1. Gli effetti della tortura e il riconoscimento della protezione sussidiaria - 7.2. Mandato di arresto europeo e divieto di tortura - 8. L’efficacia della tutela locale
Introduzione
Il procedimento internazionale di protezione dei diritti umani non è progredito solo in seno alle Nazioni Unite, ma ha avuto grande risonanza a livello regionale, in particolare nei continenti europeo e americano. Gli strumenti di human rights law sviluppatisi in contesti locali hanno contribuito a intensificare le tutele rispetto alla matrice costituita dalla Dichiarazione ONU del 1948, in quanto coinvolgono Stati tra loro accomunati da una stretta omogeneità culturale210.
Sezione I
Le Carte regionali extra-europee