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Lockdown di Paolo Martini*

Miracolosamente quanto rapidamente il traffico scompare, l’inquinamento di aria e acqua si riduce, si azzerano gli incidenti stradali, i furti, le aggressioni, alcune malattie regrediscono. Non tutto il male viene per nuocere? L’avverti- mento non è da sottovalutare.

Siamo tutti a casa, l’animale uomo riscopre il bisogno di protezione, una protezione dalla malattia e dalla morte che solo le mura di casa sembrano garantirgli. La gente assiste spaventata e incredula alle immagini trasmesse in continuazione di camion carichi di bare, di fosse comuni che rimandano a epoche terribili, di mancati funerali, di medici che soccombono in prima linea. Gli infermieri, abbigliati come astronauti, sono gli angeli della vita e della morte. Virologi e pneumologi, esperti di malattie infettive e primari di ospedali creati in pochi giorni divengono i nuovi guru della comunicazione. Stiamo a casa raccomandano non solo i governi e gli scienziati ma anche enormi cartelli che compaiono come fantasmi ai bordi delle strade deserte e minacciose, stay safe stay at home.

Ed ecco riproporsi la sindrome della capanna, che ancora non ci lascia data l’endemicità del virus. L’abitazione viene vissuta come porto sicuro contro le minacce di un mondo esterno minaccioso e malato.

Riscopriamo le paure ataviche dei nostri antenati: fuori c’è la peste medieva- le, dentro la sicurezza e il comfort del ventunesimo secolo. La casa domotica, intelligente è la cara compagna di questi tempi oscuri e che riportano alla mente un passato che credevamo dimenticato, obsoleto. È un deja vu terribi- le per gli anziani, una prima assoluta per le generazioni post belliche, spaven- tate e irritate per essere rinchiuse in casa da un giorno all’altro. Addio a bar, discoteche, sabati sera e fidanzati. Addio allo shopping in centro, agli aperiti- vi, al cinema, ai concerti, alle conferenze e ai teatri. Si vive la cultura in stre- aming, fuori c’è il virtuale mischiato al reale, in casa la certezza degli affetti. Parigi, Milano, Londra, Berlino sono cattedrali nel deserto, l’architettura si riappropria nel vuoto di una potente quanto malinconica bellezza.

Venezia tace, i suoi canali non sono più maleodoranti, i pesci tornano in Lagu- na. Roma ci regala l’inebriante bellezza dei fori imperiali deserti, una bellezza dimenticata nel frastuono e nelle polveri fini.

I piccoli borghi divengono luoghi privilegiati dove si può tentare una vita quasi normale con il cane e l’orto previa mascherina obbligatoria che ci mo- difica i lineamenti standardizzando i nostri volti.

Dalla nostra casa osserviamo incuriositi e impauriti paesaggi che non ci ap- partenevano. Il vivere discosto, in montagna come al mare invernale, diviene un imperativo di salvezza.

I fenomeni sociologici impazzano. In Italia si scopre o piuttosto riscopre l’Hei- mat che in tedesco non è solo la patria ma il luogo dove mi sento bene, dove sono al sicuro. Le bandiere e i canti dai balconi delle città blindate sono nuove

forme di socializzazione spontanea. In questo l’Italia è sempre molto creativa e fa da capofila a un’Europa segregata. L’inno nazionale risuona da una lato all’altro delle strade e delle piazze ma non c’è nessun incontro della nazio- nale di calcio. C’è una sfida più difficile da vincere tutti assieme. O bella ciao, la nuova resistenza è alla malattia, la resilienza diventa virtù fondamentale.

Tutto a casa, tutti a casa

Le abitudini sono cambiate con il ritorno della vita di coppia e di famiglia, i vecchi giochi sono stati rispolverati. I genitori hanno ricominciato a giocare con i bambini e non solo con l’elettronica. I nonni isolati, coinvolti in partico- lar modo nella pandemia, hanno recuperato non solo il loro valore sentimen- tale e umano ma anche quello economico.

La terribile malattia che farà da spartiacque tra il prima e il dopo, tra l’Eden snobbato e l’inferno oltre la porta, ha condotto anche a una profonda rifles- sione sull’antica convivenza tra le generazioni con scambio affettivo e di sa- pere quale alternativa alle case anziani prese di mira con particolare crudeltà dal virus in tutto il pianeta. I limiti della moderna separazione tra giovani, adulti e anziani è stata ben evidenziata dalle carenze gestionali e umane ri- scontrate negli ex-ospizi che hanno cambiato nome ma non contenuti. E gli asili chiudono, le scuole pure. Tutti a casa.

La nostra abitazione, che si trattasse di un monolocale in centro piuttosto che di un agriturismo o di una villetta bifamiliare, è stata la protagonista consa- pevole di questa moderna fuga nel passato. Gesti antichi hanno trovato un sapore contemporaneo donando un nuovo significato al termine convivenza. Io stesso ho cominciato a cucinare con mia moglie, a impastare il pane, a tro- vare gioia nella semplicità ritrovata del focolare domestico. La casa ci parla, ascoltiamola!

Come dice la filosofa svizzera Lina Bertola gli spazi ci parlano e ci sorpren- dono, basta imparare ad ascoltarli. E proprio l’interazione tra spazi ed essere umano diviene tema centrale dello stare a casa ma anche dello stare in ufficio. Ascoltare gli spazi e redistribuirli, modificarli secondo le nuove esigenze di- viene imperativo categorico sia per le famiglie che per le aziende. Si torna così alla specializzazione degli ambienti. Il Covid 19 ama gli open space, le separazioni in plexiglas divengono elementi funzionali di uffici, banche, spor- telli postali ma anche ristoranti. Il ripensamento è d’obbligo.

Ci si chiede, a livello di architetti, se sia il caso di densificare ulteriormente spazi già affollati, di consumare ancora territorio o se non sia meglio ritrova- re il senso di dimensioni più ridotte.

Klein ist fein, piccolo è bello. In Canton Ticino negli ultimi anni si era già af- fermato un ritorno alla vita in valle come alternativa a spazi urbani troppo opprimenti e stressanti. Questo fenomeno potrebbe ampliarsi, il desiderio di natura, di spazi aperti e di ambienti interni più ragionevoli nelle loro dimen- sioni si farà probabilmente strada nei prossimi anni. La speculazione edilizia verrà battuta dal virus? Chi può dirlo oggi, ma le premesse per rivoluzionare in senso opposto il modus abitandi ci sono e la richiesta di “riumanizzazione” della società e dei suoi spazi vitali sembra impellente. Tutto dovrebbe diven- tare più semplice, più easy, più smart.

Lo smart work ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti che prose- guirà al di là della pandemia.

Il risparmio energetico si impone, come pure una razionale diminuzione del- la mobilità, valore assoluto di inizio secolo. Aereo? Meglio il treno e in città viva la bici che sta conoscendo un vero boom. Cogliamo il valore educativo di questa emergenza che potrebbe prolungarsi o ripetersi nel breve futuro. L’essere umano dà il meglio se si trova sotto pressione e dunque confidiamo in un salto di qualità esistenziale accompagnato da una nuova coscienza eco- logica che metta al bando carbone, petrolio e i suoi disastrosi derivati come plastica e benzina.

Se è vero che il virus predilige aree inquinate e sovrappopolate anche se rite- nute sviluppate e benestanti da parametri ormai desueti, dovremo rivedere i nostri concetti di sviluppo, di qualità di vita e del senso stesso dell’esistenza al di là di visioni ideologiche o utilitaristiche.

L’avanzata politica dei verdi in tutto il nostro Continente significa che abbia- mo raggiunto la maturità necessaria per il cambiamento, che siamo disposti a cedere qualche comodità in cambio di un nuovo concetto di sicurezza basato sulla salute, nostra e del nostro ecosistema.

Il Papa si domanda con pragmatica e laica ragione: possiamo essere noi sani in un mondo malato? Domanda retorica perché viviamo qui e facciamo par- te del contesto naturale che non dobbiamo più dominare con arroganza ma preservare e recuperare per le future generazioni. Non si deve avere paura dell’inatteso che ci attende, lo gestiremo con competenza e fiducia. La fiducia ha sempre salvato l’umanità, lo farà una volta ancora portandoci fuori dal labirinto della crescita quantitativa a favore di quella qualitativa.

La città del futuro lontano va pensata nel presente e realizzata nel futuro prossimo.

In questa città dovrebbe esserci posto per tutti in una democratizzazione de- gli spazi e dei mezzi economici che si impone al di là degli orientamenti poli- tici o della strenua difesa di interessi egoistici. Gli imprenditori più illuminati lo hanno capito aumentando i salari in questi tempi difficili e rinunciando al facile percorso del licenziamento e della bancarotta. La solidarietà sodale,

il partenariato nel nome del comune interesse dovranno affermarsi in una società veramente sociale e matura.

Non dobbiamo disperdere il patrimonio di interconnessione tra i popoli ma saperlo gestire in una rinnovata globalizzazione dei diritti e dei doveri, in un nuovo contratto sociale che tanto ricorda quello proposto molto tempo fa da J.J. Rousseau.

Allora la nostra capanna non dovrà disporre di un fossato pieno di coccodrilli o di muri reali e virtuali.

L’abitazione, come sempre nel corso della storia, ci dirà il nostro livello di sviluppo e di presa di coscienza. Essa sarà la protagonista di un nuovo modo di pensare, di vivere, di lavorare, insomma di abitare quali parafrasi di un modo di vivere il pianeta che soddisfi le esigenze umane senza più cedere alle tentazioni di un facile e perverso sfruttamento delle risorse che devono ritornare a essere veramente comuni.

La tradizione latina della domus familiare e quella nordeuropea della tribù dove tutto è condiviso devono fondersi nel nuovo concetto di heimat quale appartenza verso e non contro l’altro.

In questo contesto le esperienze abitative comuni, ormai di lunga data nel centro e nord Europa, potranno darci nuovi punti di riferimento per un abi- tare sociale non ideologico o alternativo ma quale modello di sviluppo econo- mico in un nuovo contesto ecologico. Ecologia delle coscienze e della mente prima ancora che del creato.

* Presidente di BAICR Cultura della relazione. Responsabile Area Comunicazione Master “Il

Polis Maker per la qualità del vivere e lo sviluppo urbano sostenibile”.

Tra le molte definizioni con cui si vuole descrivere la società contempora- nea vi è quella di società della comunicazione e la comunicazione è uno degli elementi che connotano i sistemi urbani, destinati a sostenere, velocizzare e rendere sempre più generative le relazioni tra i cittadini diventando per molti le ragioni prime di costituzione dei sistemi urbani storici e contempo- ranei. Nell’epoca attuale il concetto stesso di comunicazione si dilata sia nelle dimensioni fisiche di spazio sia in quelle logiche e digitali.

Si tratta così di descrivere i processi complessivi di comunicazione all’inter- no dei sistemi urbani, verso i territori che li racchiudono e verso gli altri si- stemi tra cui quelli direttamente concorrenti.

Lo stesso concetto di città, nel sistema italiano e in molte realtà internazio- nali, non può essere riferito esclusivamente alle città di grandi dimensioni, dimenticando realtà molto più piccole ma connotate dall’estrema rilevanza storica delle istituzioni culturali, politiche ed economiche che le hanno con- notate e che hanno rappresentato modelli importanti per sistemi che hanno assunto nel tempo dimensioni anche molto più significative. Alcune di que- ste cittadine ancora oggi mantengono un dinamismo inaspettato e possono rappresentare modelli di riferimento ancora attuali e sistemi di innovazione culturale inaspettata.

Per merito certamente del direttore del master, professor Caruso di Spacca- forno, uno dei temi su cui più volte ci siamo soffermati, organizzando anche dei momenti di lavoro condiviso tra i docenti delle diverse aree, è il tema del

pluriennale tra neuroscienza, arte e big data