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incompetenza nella classe politica, quando non un desiderio di un manteni- mento dello status quo, radicato invece nella burocrazia degli enti.

Definire il campo

Per questa analisi, però, occorrono due importantissime precisazioni. La pri- ma è che occorre abbandonare una visione ideologica del lobbista. In una diffusa pubblicistica, e un senso comune alimentato ad arte da anni questa figura è un semplice faccendiere a servizio di suoi o di altri obbiettivi, obbiet- tivi quasi sempre in contrasto con l’interesse pubblico.

Un’idea che nasce da lontano e che ha trovato una nitida rappresentazione nel film del 1963 “Le mani sulla città” di Francesco Rosi.

Un abile costruttore entra con furbizia nei meandri della politica napoletana per appoggiare, a suo favore, una gigantesca speculazione immobiliare. Non che ci siano state in passato forme più o meno ampie di speculazione: e il territorio urbano nel mondo ne è anzi assai segnato.

Ma la realtà di oggi impone figure professionali che abbiano una visione più complessa che la massimizzazione ad ogni costo del profitto del proprio cliente.

La pervasività delle informazioni, una diffusa consapevolezza del valore dello spazio in ambito urbano e in quello extraurbano (si vedano le diffuse batta- glie per il consumo zero del suolo), la consapevolezza civica che le politiche di pianificazione urbana siano connesse strettamente con la qualità della vita, impongono figure che siano in grado non solo di comprendere i com- plessi iter urbanistici ma di mediare fra le complesse, articolate e stratificate esigenze che si affacciano su uno stesso territorio.

La figura del lobbista si deve di conseguenza arricchire di molteplici com- petenze che vanno dalle più ovvie, quelle relazionali e comunicative, a quel- le più complesse che vanno dalla sociologia e all’antropologia fino a quelle dell’approccio law and economic che dà nuove e motivate spinte alle argo- mentazioni del lobbista stesso.

Questo approccio olistico, è assai compatibile con quello del Polismaker: il suo approccio multisettoriale e l’attenzione alla sostenibilità e alla vivibilità sono assai compatibili con la sua azione.

Lobbista e Polismaker possono arricchire la relativa azione o il Polismaker può diventare fruttuosamente parte degli skills del lobbista stesso.

L’attività del lobbista

Concentrandoci sul caso italiano, invero assai complesso per le diffuse spe- cificità delle normative regionali, l’attività del lobbista parte dalla attività di influenza sulle leggi di pianificazione, o governo, del territorio.

Grandi infrastrutture, decisioni strategiche, obiettivi di lungo periodo la com- petenza esclusiva delle regioni italiane in ambito urbanistico, rende possibile interventi di ampio respiro, che possono avere impatti fondamentali sull’e- conomia.

La limitazione delle superfici commerciali nei contesti urbani diffusi in vari contesti del nostro Paese ha orientato chiaramente le scelte e i profitti della grande distribuzione per anni.

Ma dal punto di vista economico ancora di più le scelte di limitare o meno il consumo del suolo con strumenti urbanistici di questo livello può avere con- seguenze profonde sugli assetti del territorio.

Non sempre decisioni chiaramente influenzate da gruppi lobbistici hanno un impatto concreto sul territorio. La cosiddetta legge sui seminterrati della re- gione Lombardia aveva potenzialmente la possibilità di immettere sul merca- to milioni di metri cubi che si sarebbero potuti trasformare in spazi abitativi o commerciali: quasi sempre i comuni si sono opposti o ne hanno limitato l’applicazione sul proprio territorio.

Assai ridottesi le competenze in ambito urbanistico di città metropolitane e delle province, il luogo principe dell’attività lobbistica è diventato il comune. I “piani regolatori” con le sue previsione di destinazione del suolo del comu- ne stesso, delle infrastrutture e dei servizi, sono naturalmente un banco di prova del lavoro del lobbista.

Ormai gli sviluppatori immobiliari si servono di figure professionale o propri uffici appositi per affrontare interventi di una certa complessità

Ciò è stato reso possibile dall’ampia diffusione dell’urbanistica contrattata. Strumenti normativi rendono diffusamente possibile che pubblico e privato, ferme restando alcune linee guida, come gli indici di edificabilità, si accordi- no su alcuni aspetti di piani urbanistici: l’utilizzo del suolo può essere con- vertito dal comune in “standard” qualitativi o quantitativi con l’acquisizione di aree o servizi al pubblico.

Trovare l’equilibrio fra l’operatore, attento alla sostenibilità e alla profittabi- lità economica dell’operazione, la pubblica amministrazione, attenta invece agli umori dell’elettorato, agli equilibri di bilancio e alle varie pressioni che vengono fatte loro, e magari un’opinione pubblica più o meno ampia e orga- nizzata, questo è il compito del lobbista.

In un mondo che non tollera più una libertà quasi sconfinata - estetica, di vo- lumi, di qualità urbanistica degli edifici - come in un passato anche recente, la

necessità di trovare equilibri possibili diventa fondamentale. L’obiettivo del lobbista rimane, in questi casi, la deliberazione amministrativa (delibera di giunta, di consiglio, o più raramente una determina dirigenziale) che renda concretamente possibile l’operazione immobiliare stessa.

Talvolta le operazione coinvolgono interessi e considerazione che richiedono un lavoro di anni, un ampio coinvolgimento dell’opinione pubblica, e di un diffuso consenso politico.

Caso di scuola la complessa operazione di riqualificazione delle aree dei sette scali ferroviari dismessi di Milano, che rientrano tra i beni trasferiti a Ferrovie dello Stato. Parliamo di aree di milioni di metri quadri, forse l’operazione di riqualificazione europea più importante del nuovo millennio. In questo caso si tratta di vere e proprie “ferite urbane” nel cuore della città. La società FS Sistemi Urbani, al 100% di Ferrovie dello Stato, ha il mandato di valorizzare le proprietà del gruppo non strumentali alle attività di trasporto. E’ interes- sante constatare che queste grandi operazioni non sono state rallentate dalla crisi economica. La mano pubblica che collabora con i privati, è fondamen- tale: il percorso di pianificazione delle aree ferroviarie dismesse merita di essere ricostruito: nel 2005 il Comune di Milano, Ferrovie dello Stato Italiane e Regione Lombardia hanno deciso per un modello di pianificazione che inte- grasse rigenerazione urbana e sviluppo ferroviario. Nel novembre del 2016, il Consiglio Comunale ha definito gli indirizzi dell’Accordo di Programma, toccando vari temi: visione strategica, verde, trasporto ferroviario, abitazioni per i ceti più deboli, presenza di funzioni pubbliche. Ne è seguito un processo di confronto e discussione che ha coinvolto migliaia di soggetti interessati in pochi mesi. Il risultato è stata una strategia urbana potenzialmente efficace: basti solo dire che in ogni area sono previsti parchi urbani con una superficie minima del 55%.

Ma l’attività lobbistica si estrinseca anche per evitare che le amministrazio- ni locali ostacolino con la loro attività amministrativa grandi opere. Grandi infrastrutture implicano la leale collaborazione delle amministrazioni locali, con la realizzazione di opere di servizio e vialibilità locale che debbono esse- re previste dalla regolamentazione di piano comunale.

Allo stesso modo occorre, per la rapida esecuzione delle opere, che gli enti locali - ma anche non - alimentino la giustizia amministrativa.

Ecco che l’arma del lobbista diventata la previsione di compensazioni e mi- tigazioni - economiche ma soprattutto infrastrutturali - a vantaggio delle co- munità locali.

Esempio principe in Europa è stata l’autostrada BREBEMI. Su un costo totale di 2,4 miliardi di euro, il 25% degli investimenti Brebemi, pari a circa quat-

trocentrotrentadue milioni di Euro, hanno riguardato interventi di viabilità ordinaria, mitigazioni e compensazioni ambientali a favore di un territorio fra i più urbanizzati e complessi.

L’attività di lobbying non è solo un appannaggio di gruppi industriali o di in- teressi economici organizzati. Come ci insegna la matura attività di interme- diazione di interessi nei Paesi anglosassoni anche enti non profit, religioni e benefici possono svolgere questa attività. Interessante a questo riguardo l’at- tività dei Paladini Apuoversiliesi. L’associazione, che ha preso il via 21 anni fa, ha per scopo la tutela ambientale e la valorizzazione culturale del territorio, con al centro l’erosione della spiaggia, in particolare a Marina di Massa. L’associazione, con la continua interazione con il mondo politico regionale toscano, spingendosi anche ad interventi presso i ministeri, si è sempre op- posta all’ampliamento del porto di Carrara, che potrebbe accelerare in modo esponenziale l’avanzata dell’erosione.

Questa attività è spesso accompagnata ad un’altra attività tipicamente lobbi- stica: il grassroots lobbying, diversamente dall’attività di lobby tradizionale, si propone di influenzare indirettamente il dibattito degli enti decisionali, ac- crescendo la consapevolezza del pubblico di massa relativamente ad un tema e invitando i cittadini a riportare la propria opinione agli organi decisionali stessi.

Alcune considerazioni finali

Ma il lobbismo nel mondo di oggi può sopravvivere e prosperare come attivi- tà lecita e socialmente utile se e solo se venga accompagnata da trasparenza e consapevolezza.

Se in molti Paesi il lobbismo è lecito e ragionevolmente rispettato, nel nostro Paese la radicale opposizione a pensare la politica fuori dalle forme tradizio- nali ha portato ad un lungo ostracismo verso il lobbismo. Solo negli ultimi 15 anni le regioni hanno introdotto limitate forme di riconoscimento al lobbi- smo, e da ultimo portando alla creazione di un registro dei lobbisti presso la Camera dei Deputati.

Ciò ha provocato una mancata riflessione sul lobbismo a livello locale, che è rimasto di conseguente poco trasparente e opaco, facendo dubitare della sua utilità da una parte, e spingendo i lobbisti a questo livello a non dichiararsi come tali, se possibile peggiorando la loro situazione.

La mancanza di consapevolezza e la mancata trasparenza di questa attività provoca alcuni macroscopici rischi che possiamo solo sommariamente decli- nare. Fra di essi il più grave è il traffico di influenze illecite. Nato per colpire i

comportamenti opachi dei faccendieri si è trasformato in un caso. Reato per molti “disegnato male”, in bilico fra millantato credito e corruzione, è peri- colosamente generico perché nella sua previsione di punire chi “sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remu- nerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”, non definisce esattamente cosa sia l’atto contrario, l’omissione o il ritardo, aprendosi a conseguenze pe- ricolose per chi operi, con questo approccio, all’urbanistica.

* Architetto e dottore di ricerca in Urbanistica Tecnica. É professore a contratto di Tecnica e