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un sistema complesso da reinterpretare in relazione alle nuove tecnologie e ai diversi contesti territorial

La rete della mobilità lenta in relazione alle nuove tecnologie e ai diversi contesti territoriali

L’introduzione delle nuove forme di mobilità elettrica ed un uso sempre più diffuso della rete della mobilità lenta richiede un ripensamento delle carat- teristiche tecnico funzionali della rete, da definire in relazione alla gerarchia dei percorsi, alla compresenza di diverse tipologie di utenti, ai flussi ed alle specificità dei diversi contesti territoriali. È importante, da questo punto di vista, una classificazione dei percorsi, definita a livello normativo, che gui- di le azioni progettuali, in modo chiaro e univoco, lasciando in ogni modo margini di flessibilità per offrire risposte adeguate, in relazione alle diverse caratteristiche urbane e territoriali. È quindi necessario distinguere tra la realizzazione di nuovi percorsi e l’adeguamento di quelli preesistenti, per i quali, le caratteristiche morfologiche del tessuto urbano e del territorio non sempre consentono la realizzazione di soluzioni “tecnicamente perfette” ma possono garantire adeguati standard di sicurezza e fruibilità, migliorando in modo incisivo le situazioni preesistenti. In altri termini, è necessario offrire un ampio quadro sistematico della classificazione dei percorsi, che consenta ai progettisti di trovare la soluzione più idonea, in relazione alle specificità dei diversi contesti territoriali. Questa considerazione assume maggior rilie- vo se si osservano le caratteristiche tecniche dei percorsi ciclopedonali, pre- senti sul territorio, che spesso non corrispondono ai requisiti richiesti dalla normativa. Questo riflette, da un lato, la mancanza di una diffusa cultura pro- gettuale sul tema mobilità lenta e dall’altro la necessità di rivedere il quadro di riferimento normativo anche in considerazione della diffusione dei nuovi mezzi elettrici.

Il punto di partenza non può che essere l’attuale quadro normativo sulla mo- bilità lenta ed in particolare sulla mobilità ciclabile, che costituisce un impor- tante riferimento per la progettazione della rete ma che richiede di essere ridefinito ed integrato, in relazione alle innovazioni in atto e all’aumento dei flussi. Da questo punto di vista, oltre al Codice della Strada1 ed al relativo re- golamento2, i principali riferimenti sono costituiti dalla normativa sulla mo- bilità ciclabile che fornisce indirizzi e norme tecniche per la progettazione di una rete destinata non solo alle biciclette ma a diverse tipologie di mezzi e di fruitori e sempre più integrata al sistema della mobilità sostenibile ed intermodale. Nello specifico, i riferimenti principali sono costituiti dal D.M. 557/1999 “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteri-

1D.Lgs 285/1992 Nuovo codice della strada.

stiche tecniche delle piste ciclabili” e dalla L. 2/2018 “Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica”.

È in particolare il D.M. 557/1999 a costituire attualmente il principale riferi- mento normativo per la progettazione della rete della mobilità lenta, in quan- to definisce una classificazione tecnico funzionale dei percorsi ciclabili, sia ad uso esclusivo sia ad uso promiscuo con i pedoni e con i veicoli, e stabilisce, per ogni tipologia di percorso, i requisiti tecnico funzionali per garantire ade- guati standard di sicurezza e fruibilità.

Il decreto fornisce un quadro di riferimento omogeneo e sistematico per la progettazione della rete ciclopedonale. In particolare, introduce la definizio- ne di “Itinerario ciclabile”, inteso come percorso stradale utilizzabile dai ci- clisti3 ed individua, in relazione ai tipi di fruitori e alle caratteristiche tecnico funzionali dei tracciati, quattro tipologie di itinerari ciclabili: a. piste ciclabili in sede propria; b. piste ciclabili su corsia riservata; c. percorsi promiscui pe- donali e ciclabili; d. percorsi promiscui ciclabili e veicolari4. Le norme tecnico funzionali ed i criteri progettuali forniti dal D.M. 557/1999 consentono di in- dividuare ulteriori sottotipologie di percorsi e stabilire per esse, dimensioni e caratteristiche tecnico funzionali e adeguati standard di sicurezza e fruibili- tà. Importante, sotto il profilo tecnico-progettuale e normativo, la distinzione che viene stabilità tra pista ciclabile e percorsi promiscui (pedonali e ciclabili e ciclabili e veicolari) che si riflette in criteri più specifici e vincolanti per le piste ciclabili e in indirizzi e regole meno vincolanti per i percorsi promiscui. Il decreto inoltre prevede, da parte degli enti locali, la redazione di un Piano della rete degli itinerari ciclabili per la realizzazione ed il completamento del sistema. Il limite del decreto è stato quello di non stabilire dei criteri diffe- renti tra gli interventi di nuova realizzazione e le opere di adeguamento di tracciati preesistenti, nell’ambito dei quali esistono vincoli fisici, dovuti sia alla conformazione del tessuto urbano sia alla morfologia del territorio, che non sempre consentono di avere le stesse caratteristiche tecnico funzionali di nuovi percorsi ciclopedonali realizzati in aree libere e spazi aperti. Questa osservazione assume maggior rilievo se si considera che gli interventi per la realizzazione ed il completamento della rete ciclopedonale si configurano prevalentemente come interventi di ricucitura e di adeguamento dei traccia-

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Art.1, D.M. 557/1999, “(…) Gli itinerari ciclabili si identificano con i percorsi stradali utiliz-

zabili dai ciclisti, sia in sede riservata (pista ciclabile in sede propria o su corsia riservata), sia in sede ad uso promiscuo con pedoni (percorso pedonale e ciclabile) o con veicoli a motore (su carreggiata stradale). (…)”.

ti preesistenti. Il risultato è quello di avere percorsi che non rispondono ai requisiti stabiliti dalla normativa, come frequentemente emerge dall’osser- vazione della rete ciclopedonale, presente sul territorio, o di inibire la pos- sibilità di completare itinerari ciclabili, favorendo l’uso di percorsi alternati- vi, meno sicuri, oltre a disincentivare l’uso della bicicletta e dei nuovi mezzi elettrici a favore dei mezzi motorizzati tradizionali. Ovviamente non devono essere messi in discussione gli standard di sicurezza e di fruibilità dei percor- si5 ma è necessario offrire un quadro di riferimento tecnico-normativo, più ampio e meno rigido, a supporto della progettazione degli itinerari ciclabili, che consenta di individuare la soluzione più idonea, in relazione ad ogni spe- cifico contesto territoriale.

Entrando più nello specifico ed osservando i contenuti della norma, diversi sono gli elementi che limitano la possibilità di realizzare itinerari ciclabili e recuperare percorsi e tracciati preesistenti, in particolare all’interno del tessuto urbano. Una prima considerazione riguarda la larghezza minima dei percorsi ciclopedonali. La norma non fissa in modo specifico un limite ma stabilisce che la larghezza dei percorsi ciclopedonali debba essere adeguata- mente incrementata rispetto al minimo di 2,50 m., stabilito per le piste cicla- bili bidirezionali. È quindi evidente che un percorso della larghezza di 2,50 m., sotto il profilo normativo, risulta inadeguato per un percorso promiscuo ciclabile pedonale ed è presumibile che la larghezza minima debba essere portata ad almeno 3,00 m., anche con bassi flussi, considerata la compresen- za di pedoni e biciclette.

Dall’osservazione della rete ciclopedonale presente sul territorio si rileva una diffusa presenza di percorsi ciclopedonali con una larghezza di 2,50 m. ed in diversi casi anche inferiore. Questo mette in evidenza come ci sia un’e- vidente contraddizione tra ciò che stabilisce la norma e quelle che sono le caratteristiche effettive della rete. Dal punto di vista normativo, stabilire una larghezza minima di circa 3,00 m. per i percorsi ciclopedonali limita inoltre la possibilità per i ciclisti di penetrare all’interno delle aree pedonali di molti centri storici anche in caso di bassi flussi di persone e ciclisti. Per essere pre- cisi, la norma consente, eccezionalmente e per brevi tratti, adeguatamente segnalati, di ridurre di 50 cm la larghezza delle piste ciclabili bidirezionali6 e quindi anche dei percorsi ciclopedonali ma questo risolve solo parzialmente il problema.

Un altro elemento che rappresenta un limite alla diffusione della rete della mobilità lenta, riguarda la pendenza massima stabilità dalla norma per le pi-

5Sulla mobilità ciclabile e sulla sicurezza si veda in particolare(Giuliani, Maternini, 2018). 6Cfr. art. 7, comma 2, D.M. 557/1999.

ste ciclabili in sede propria, indipendenti dalle sedi viarie, dove la pendenza longitudinale delle singole livellette non può generalmente superare il 5%, fatta eccezione per le rampe degli attraversamenti ciclabili a livelli sfalsati, per le quali è ammessa una pendenza massima del 10%. Il decreto stabilisce inoltre che la pendenza longitudinale media delle piste medesime, valutata su basi chilometriche, non deve superare il 2%, salvo deroghe documentate da parte del progettista7. Questi vincoli limitano la possibilità di realizzare piste ciclabili in aree collinari e montane, dove ovviamente le pendenze non possono essere così limitate. Su questo tema bisogna inoltre considerare che la diffusione della mobilità elettrica apre nuove opportunità di accesso ai territori collinari e montani con ricadute positive sia in termini di fruizione turistica ricreativa che di mobilità sostenibile.

I limiti posti dalla normativa, in termini di larghezza e di pendenza dei per- corsi, costituiscono solo alcuni degli elementi tecnico-funzionali che richie- dono di essere rivisti, nel rispetto di adeguati standard di sicurezza e fruibili- tà, per una maggiore diffusione della rete della mobilità lenta sul territorio ed in particolare all’interno dei tessuti urbani e nelle aree collinari e montane. Con l’introduzione della L. 2/2018 è stato dato un nuovo impulso alla diffu- sione della mobilità ciclabile e più in generale della mobilità lenta e soste- nibile. In particolare, la legge ha offerto un quadro sistematico per la piani- ficazione e la progettazione della rete ciclabile, ai diversi livelli territoriali. Ha introdotto a livello nazionale il Piano generale della mobilità ciclistica e definito indirizzi e criteri omogenei per la redazione dei piani ciclabili delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni8. È stata però persa l’occasione per aggiornare, in modo organico e sistematico, i requisiti tecnico funzionali richiesti per le diverse tipologie di percorsi ciclabili e ci- clopedonali. Nello specifico invece di integrare i contenuti e la classificazione tecnico funzionale dei percorsi, definita dal D.M. 557/1999, è stata introdotta una nuova classificazione che si va ad affiancare alla precedente, rendendo più complessa la lettura e l’applicazione della normativa.

Nonostante la crescente attenzione sul tema della mobilità ciclabile e più in generale della mobilità sostenibile, manca un quadro di riferimento nor- mativo, organico ed unitario, che consideri nel suo complesso la rete della mobilità lenta, caratterizzata da un crescente utilizzo e dalla diffusione delle nuove forme di mobilità elettrica. In questi termini è necessaria l’introduzio-

7Cfr. art. 8, comma 3, D.M. 557/1999.

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Nello specifico, la legge introduce, i Piani regionali della mobilità ciclistica per le regioni ed i

Biciplan per i comuni e le città metropolitane e fornisce indicazioni alle province per la pianifi- cazione della rete ciclabile, in coerenza con gli altri strumenti di pianificazione.

ne di un’unica norma che partendo dall’attuale quadro normativo, consideri in modo unitario il sistema della mobilità lenta, stabilendo in relazione alle caratteristiche della rete e alle diverse tipologie di utenti (bici, pedoni, mezzi elettrici, …), regole e criteri progettuali che tengano conto dei diversi contesti ambientali.

La presenza di un’unica norma rende più semplice ed incisivo non solo il ri- spetto delle regole e dei criteri per la progettazione ma anche la diffusione di una cultura progettuale, attenta alla sicurezza, alla fruibilità dei percorsi e alle specificità dei diversi contesti ambientali. In questi termini, assume par- ticolare rilievo la definizione di un unico quadro di riferimento per la classi- ficazione delle caratteristiche tecnico funzionali dei percorsi, articolata per tipologie e sottotipologie.

L’Introduzione di un quadro di riferimento organico e unitario per la proget- tazione della rete della mobilità lenta offre infine l’opportunità di definire con maggior chiarezza regole e criteri progettuali e favorisce una corretta in- terpretazione delle norme, che risulta più complessa quando si fa riferimento a più leggi, che non sempre risultano coerenti tra loro.

La rete della mobilità lenta come componente di un progetto territoriale

Il progetto della rete della mobilità lenta non è solo un progetto di caratte- re tecnico funzionale, finalizzato a garantire la sicurezza e la fruibilità dei percorsi, ma si configura come la componente di un progetto territoriale più complesso. Una componente che assume molteplici ruoli e funzioni che si riflettono sia nelle trasformazioni fisiche del territorio e della città sia nel modo di muoversi, di fruire e percepire gli spazi urbani e naturali.

Le interrelazioni tra la rete della mobilità lenta ed il territorio sono molteplici e richiedono di essere esplorate con un approccio multidisciplinare (Busi, Pezzagno, 2006) per indirizzare le scelte progettuali verso uno sviluppo so- stenibile, teso a valorizzare le risorse territoriali e cogliere le opportunità offerte dalle continue trasformazioni che investono la città.

Una prima dimensione da esplorare sono le interrelazioni con le altre forme di mobilità sostenibile, in particolare su ferro e acqua, con cui la rete della mobilità lenta si integra, andando a costituire un sistema intermodale, teso sia alla fruizione turistico ricreativa del territorio sia alla mobilità urbana. In particolare, una rete diffusa di mobilità lenta, connessa con i nodi intermoda- li, garantisce una maggiore accessibilità e fruizione del territorio. Dal punto di vista urbano migliora gli spostamenti casa-scuola, casa-lavoro e l’accesso ai servizi. Sotto il profilo turistico ricreativo contribuisce a migliorare l’attratti- vità del territorio, generando sistemi di fruizione particolarmente suggestivi.

Un esempio significativo, in questi termini, è costituito dalle interconnessioni che si vengono a generare tra l’Itinerario cicloturistico dell’Adda, la naviga- zione del Lago di Como ed il Trenino del Bernina, patrimonio dell’Unesco. Questi sistemi di interconnessioni risultano sempre più integrati, grazie alle nuove tecnologie, in particolare il Web e le App, che consentono di rendere più facili gli spostamenti, grazie alle opportunità di visualizzare e prenotare i diversi mezzi di trasporto, sempre più integrati tra loro. Le nuove tecnolo- gie migliorano inoltre la fruizione turistico ricreativa del territorio, non solo perché consentono di prenotare servizi ed attrezzature, ma anche perché of- frono l’opportunità di affiancare all’esplorazione dei luoghi, una dimensione virtuale che racconta la storia, l’ambiente e le culture dei diversi siti e che può offrire visioni inedite e suggestive con riflessi di carattere culturale, ludico e ricreativo.

I percorsi destinati alla mobilità lenta assumono inoltre un ruolo rilevante per la fruizione, la valorizzazione e la progettazione del paesaggio. Consento- no di esplorare una molteplicità di luoghi e paesaggi, mettendo in rete risorse naturali e paesistico culturali. Si configurano come elementi di connessione delle identità dei luoghi, creando delle occasioni per la valorizzazione ed il recupero del patrimonio storico culturale (Fossati, 2006). Assumono un ruo- lo rilevante nei progetti di riqualificazione dei paesaggi storici e nella genesi di nuovi paesaggi contemporanei, mettendo in rete spazi pubblici e nuove funzioni urbane.

Sotto il profilo ambientale i percorsi destinati alla mobilità lenta si integrano con gli ambienti naturali, generando molteplici relazioni tra l’uomo e la na- tura e assumono un ruolo strutturante in diversi progetti di riqualificazione ambientale. Si configurano inoltre come elementi di connessione tra l’am- biente naturale e la città, assumendo spesso il ruolo di veri e propri micro corridoi ecologici che penetrano all’interno del tessuto urbano e connettono i parchi urbani alle aree naturali.

Dal punto di vista turistico-ricreativo, la mobilità lenta costituisce l’occasione per lo sviluppo del cicloturismo e di molteplici forme di turismo sostenibile tese alla valorizzazione del territorio. Nel caso del turismo culturale, offre l’occasione di fruire a piedi o in bicicletta del patrimonio storico, di entrare in contatto con la cultura materiale dei luoghi e di scoprire tradizioni e identità del territorio. Questo tipo di turismo si intreccia con quello enogastronomico che consente di scoprire i sapori ed esplorare i luoghi ed i paesaggi della pro- duzione agraria. La rete della mobilità lenta assume un ruolo centrale anche per lo sport ed il turismo attivo. Non solo perché si configura come la struttu- ra portante per fare trekking, jogging o andare in bicicletta ma anche perché mette in rete i luoghi e gli spazi degli sport di acqua, terra e cielo.

territorio è la necessità di un approccio integrato, nella progettazione e pia- nificazione della rete, che la consideri come componente di un territorio in continua trasformazione, da osservare e reinterpretare, al fine, da una parte, di cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti e dall’innovazione tecno- logica e dall’altra di tutelarne e valorizzarne le risorse ambientali e paesi- stico culturali. In altri termini è necessario un approccio che coinvolga, in modo sinergico, molteplici aspetti e competenze di carattere ingegneristico, urbanistico, economico, ambientale ma anche di tipo sociale e culturale, da definire e calibrare in modo specifico, in relazione alle caratteristiche di ogni progetto e contesto territoriale.

Un approccio multidisciplinare che ha trovato riscontro nel progetto dell’I- tinerario cicloturistico dell’Adda9, dove il progetto di completamento della dorsale e della rete ciclabile è stato definito in relazione al sistema della mo- bilità intermodale e alle diverse componenti territoriali (Pinto, Fossati, 2020; Pinto, Fossati, 2019). Un lavoro che è stato supportato da analisi e valutazioni di carattere ingegneristico, urbanistico, ambientale ed economico, tese a va- lutare la sostenibilità degli interventi e le molteplici ricadute sul territorio e che ha trovato continuità, sotto il profilo metodologico, nel progetto della Greenway dei Laghi Briantei10.

Lo stesso tipo di approccio si riflette, sotto il profilo culturale e formativo, nel master Polis Maker, caratterizzato da un taglio multidisciplinare, nella con- sapevolezza che progettare oggi sul territorio richiede il coinvolgimento di più figure professionali che sappiano interagire tra loro ed esplorare nuove dimensioni disciplinari che si vengono a generare dai continui cambiamenti che investono il territorio e dall’innovazione.

9L’Itinerario cicloturistico Adda è una ciclovia che si estende dalle Alpi al Po per 310 km, lun-

go il fiume Adda e il Lago di Como, da Bormio a Cremona ed attraversa sei province e la città metropolitana di Milano. Lo studio di fattibilità dell’itinerario è stato elaborato nell’ambito del Bando “Brezza: piste cicloturistiche connesse a VENTO”, promosso da Fondazione Cariplo e curato dagli enti territoriali interessati dall’itinerario e dal Politecnico di Milano.

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La Greenway dei Laghi Briantei collega i Laghi di Alserio, Pusiano e Annone con il Lago di

Como e si estende per una lunghezza di ca. 25 km. La dorsale ciclopedonale è integrata da dira- mazioni principali e secondarie che consentono l’accessibilità al sistema del trasporto pubblico e mettono in rete servizi, centri abitati e risorse ambientali e paesistico culturali per una lun- ghezza complessiva di ca. 75 km. Lo studio per la realizzazione della Greenway è stato elaborato dal Politecnico di Milano e commissionato dall’Autorità di Bacino del Lario e dei Laghi Minori (capofila), dal Parco Regionale Valle del Lambro, dal Comune di Erba e dal Rotary Club Erba Laghi.

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12. Pinto F., Fossati A. (2019), Mobilità sostenibile per la valorizzazione del territo- rio: l’Itinerario cicloturistico Adda, in AA.VV., Atti della XXI Conferenza Nazionale SIU “Confini, movimenti, luoghi. Politiche e progetti per città e territori in transi-