Gioco e spettacolo nel Medioevo: problemi e difficoltà per una ricostruzione storica e iconografica
2.3 I luoghi dello spettacolo medievale
Il crollo delle istituzioni ufficiali adibite allo spettacolo che subì l'epoca tardoantica lascia aperti notevoli dubbi su cosa ci fosse o meno nell'epoca successiva. Ad ogni modo, come ho già spiegato nel paragrafo precedente, questo crollo non deve essere stato troppo brusco, ma una situazione lenta e graduale, a cui non si può assegnare una data precisa. Certo è che i grandi circhi, gli ippodromi, gli stadi, gli anfiteatri, ad un certo punto non furono più utilizzati e caddero in disuso, e non vennero costruite altre strutture simili.
Il motivo di tale cambiamento può essere cercato sotto vari aspetti, primo fra tutti l'avvento del cristianesimo che, come abbiamo visto, si oppose freneticamente sia agli edifici, dedicati agli dei pagani, sia alle attività che vi si svolgevano. Un altro fattore fu quello economico, perchè il Medioevo vide il formarsi di un nuovo tessuto sociale e, di conseguenza, anche il sistema economico vide una trasformazione, che non prevedeva l'accumulo di offerte per lo spettacolo ludico. In ogni caso, possiamo attribuire tale cambiamento ai secoli III e IV, quando abbiamo notizia dell'abbandono di alcuni teatri, come quello di Bologna, Verona, Pola.130 Come ho specificato, tale datazione deve essere guardata con cautela, poichè il fenomeno fu tutt'altro che unitario. Infatti, l'incoronazione di Adaloaldo nel 604 d.C. avvenne proprio nel circo di
130 Basso P., Gli edifici di spettacolo nella città medievale, in Tosi G. (a cura di), Gli edifici per
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Milano.131 Ciò risulta molto importante, perchè indica che alcuni edifici subirono un cambio di funzionalità.
La maggior parte di queste strutture, come si poteva prevedere, cadde in rovina e, ancora peggio, ne furono riutilizzati i materiali. Questo fu il caso del Colosseo, che subì la spoliazione dei suoi marmi, fino a che Clemente X nel 1675 ne riconobbe la sacralità.132 Di fronte a questo scenario e di fronte alla mancanza di edifici per lo svago ludico, lo spettacolo si portò all'aperto. Non bisogna stupirsene, dal momento che dopo il Mille la città vide la sua rinascita, con una nuova corrente mercantile che la fece oggetto di scambio e produzione. E proprio per agevolare il lavoro di questi mercanti, la fiera iniziò ad assumere grande importanza. Inizialmente, esse erano poste al di fuori la cinta muraria, ma successivamente vennero trasferite all'interno, dove vi era un'altra importante occasione di ritrovo per la società, il mercato, «punto di raccolta e di smistamento di mercanzie».133
Nel Medioevo fu la piazza il vero centro della vita cittadina, l'intero spazio aperto che si apriva attorno alle chiese e alle cattedrali, inizialmente dalle forme irregolari.134 Ne abbiamo esempi bellissimi, come Piazza del Campo a Siena.135 Questi furono i grandi spazi che accolsero la ludicità medievale, lo spazio degli artisti, dei performer, dei saltimbanchi di orsi, di presentazione di nuovi animali esotici. Come ha fatto notare Georges Minois, non dobbiamo pensare che tutto ciò fosse presente sempre, anzi. Vi erano delle occasioni particolari nella quale i giullari potevano dare sfogo alla loro creatività,136 ovvero durante le feste popolari collettive.
131 Ivi, pag. 902. 132 Ivi, pag. 904.
133 Grohmann A, La città medievale, Bari, 2004, pp. 69-70. 134 Ivi, pag. 75.
135 Ivi, pag. 76.
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Nonostante l'iconografia medievale non ci abbia lasciato una scena vera e propria a indicarci che tali esibizioni avvenissero proprio in piazza o durante fiere e mercati, possiamo ricorrere a rappresentazioni in cui è presente, comunque, l'aspetto ludico. L'Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena (fig. 111) è l'esempio più ecclatante, fornendoci un ottimo squarcio della vita a quel tempo. L'affresco mostra la città ben governata, confermata dagli uomini che compiono vari mestieri: quelli in alto a destra stanno sistemando un tetto, i mercanti stanno scambiando le loro merci, la campagna fuori le mura è ben coltivata. Al centro della composizione, tra le mura cittadine e la realtà caotina di un giorno come un altro, un gruppo di donne danzano prese per mano in cerchio, il classico girotondo a tempo di tamburello a sonagli, che la donna con il vestito nero continua a fare oscillare. Un altro esempio di questa ludicità in spazi aperti lo troviamo a Torre Aquila, nel Ciclo dei Mesi. L'affresco relativo al mese di Gennaio (fig. 113) mostra la campagna circostante alle mura di un castello, divisa da questo da un piccolo fossato, ma allo stesso tempo collegata da un ponte levatoio. La campagna è sommersa dalla neve, ma le attività non si fermano, come ci mostrano i due personaggi incappucciati che tengono in mano un lungo bastone ciascuno. Entrambi sono accompagnati da due cani, probabilmente sono dei cacciatori. In primo piano vediamo un momento ludico: sei persone, un uomo e due donne a sinistra e tre uomini a destra, stanno giocando a lanciarsi palle di neve. L'affresco nella torre scalare di Santa Sofia a Kiev mostra uno spettacolo di giocolieri e suonatori di flauto che si esibiscono proprio nella piazza di fronte la chiesa (fig. 108).
L'importanza che assumevano il gioco e la danza nel Medioevo è sottolineata dal fatto che in entrambe le prime due scene descritte, questi vengono posti in primo piano, mentre attorno si estendono le mura cittadine. Un documento risulta
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importante per sostenere la tesi dello spettacolo in piazza, nonostante sia un pò tardo rispetto al periodo qui preso in considerazione. Si tratta del diario di viaggio di Thomas Coryat, risalente al 1608, in cui si riportano i luoghi precisi di piazza San Marco dove i giullari si esibivano: «Il luogo dove essi [i monta'inbanco] principalmente agiscono è la prima parte di via San Marco, che va dalla facciata occidentale della chiesa di San Marco alla facciata opposta della chiesa di San Geminiano. Qui due volte il giorno, cioè nella mattinata e nel pomeriggio, potete vedere cinque o sei palchi eretti per loro. Quelli che agiscono a terra, i suddetti ciarlatani, che sono i più poveri, stanno più spesso nella seconda parte di Piazza San Marco, non lontano dal cancello del Palazzo Ducale».137
Sebbene l'iconografia sui luoghi sia alquanto carente, possiamo farci un'idea in che strutture avvenivano gli spettacoli all'interno della città. Due miniature di un manoscritto francese della Città di Dio possono farci riflettere su alcuni punti. In una delle due scene vediamo una cinta muraria esagonale, aperta su un lato da una porta (fig. 116). Al centro si innalza una sorta di pulpito dal tetto a spioventi, dalla cui finestra esce un uomo con un libro in mano, evidentemente sta recitando. Attorno al pulpito, infatti, un personaggio suona la tromba, un altro il corno, uno tiene in mano uno strano oggetto, un mimo gesticola con le mani. Tutti, insomma, accompagnano con mimica e musica la recitazione. La miniatura potrebbe fornirci una testimonianza su un possibile allestimento architettonico immobile, ma non possiamo confermarlo con certezza. I protagonisti della recitazione, infatti, sono molto diversi ai giullari che vedremo nel prossimo capitolo, sia nel costume sia nel cappello.
137 Coryat T., Crudezze. Viaggio in Francia e in Italia. 1608. Il testo riportato è presente in Saffioti T., I
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L'altra miniatura proveniente da un altro manoscritto della Città di Dio ci mostra un alto pulpito circolare (fig. 114), al di sopra del quale quattro personaggi stanno interpretando un testo scenico. Infatti, uno di loro legge, mentre gli altri tre suonano il flauto. Lo spazio sottostante è occupato da una panca circolare, su cui sono seduti diversi uomini dai cappelli stravaganti, alcuni con il turbante, altri terminanti a punta. I costumi sono molto simili a quelli della scena precedente, lunghe tuniche che arrivano sino ai piedi e cappelli morbidi e appuntiti. Dal momento che entrambi i manoscritti risalgono agli inizi del XV secolo, bisognerebbe capire cosa il miniatore avesse in mente di rappresentare, se giullari e spettacoli a lui contemporanei o dell'epoca romana. Ritengo, prendendo in considerazione altre fonti iconografiche, che le due scene non siano di aiuto per la comprensione di uno spettacolo giullaresco, mentre i pulpiti potrebbero costituire un'ottima testimonianza di allestimenti medievali.
Purtroppo, le fonti iconografiche non ci hanno lasciato ciò che davvero avrebbe fatto la differenza in questo studio, ovvero un allestimento di tende pronto ad ospitare spettacoli circensi, una sorta di capannone colorato, come quelli che siamo abituati a vedere oggi. Sicuramente, l'utilizzo di tende per lo spettacolo non era cosa estranea al Medioevo. Nel Romanzo di Alessandro è presente una miniatura di margine, nella quale tre donne stanno assistendo ad uno spettacolo di marionette (fig. 38). Il teatrino è costituito da una tenda, che copre il basamento sostenente la scena vera e propria e, soprattutto, l'uomo che fa muovere i burattini. Credo, quindi, che si possa ipotizzare l'utilizzo di tendaggi anche per altri generi di spettacolo, soprattutto perchè facilmente montabili e smontabili.
Ad ogni modo, documentazione di una tenda utilizzata per uno spettacolo la abbiamo solo nel XV secolo, quando un regista se ne servì per mettere in scena un
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dramma religioso, ma essa faceva solo da sfondo alla rappresentazione.138 Paradossalmente, invece, un allestimento di tende simile a come lo vediamo oggi al circo lo troviamo in un contesto totalmente diverso, atto ad ospitare un incontro amoroso. La scena in questione è un affresco di Memmo di Filippuccio del 1318 nella Camera del Podestà del Museo Civico di San Gimignano. La tenda nella sua sommità ha la forma di ombrello e, essendo aperta, ne vediamo anche l'interno (fig. 110). Certo, un allestimento così piccolo non avrebbe mai potuto ospitare uno spettacolo circense, però esso dimostra che il nostro circo attuale ha sicuramente origine da questi edifici. D'altra parte, già Sandra Pietrini aveva fatto notare come la scena teatrale potesse essere un luogo riparato e coperto, seguendo le parole di Uguccione da Pisa, che faceva riferimento al teatro come un luogo ombreggiato da tende.139
Se il riconoscimento dei luoghi all'aperto ci apre alcune difficoltà per la mancanza di fonti, un altro tipo di spazio per lo spettacolo circense non ci pone, invece, ombra di dubbio: la corte. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la voglia di sorridere pervadeva ogni rango e ogni ceto sociale, dal comune cittadino, al contadino, dal castello dei grandi feudatari fino alla corte reale. Claudia Villa, studiosa dei passatempi di corte, ha messo in evidenzia come le cronache non parlino troppo dell'argomento, probabilmente perchè i reali volevano far passare la loro immagine come colta, attenta ad imparare a leggere e a scrivere, non interessata allo spettacolo dei giullari.140 In realtà, le corti furono ricchissime di questi
138 Pietrini S., Spettacoli e immaginario teatrale nel Medioevo, Roma, 2001, pag. 156. 139 Ivi, pag. 158.
140 Villa C., Antecedenti mediolatini. Liutprando e il riso della corte ottoniana, in Passare il tempo. La
letteratura del gioco e dell'intrattenimento dal XII al XVI secolo. Atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991, op cit., pag. 51.
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ultimi, basti pensare al Romanzo di Flamenca che ne elenca ben millecinquecento,141 e ci offre una descrizione dettagliata sugli innumerevoli spettacoli proposti al momento delle nozze tra Archimbaut e Flamenca: «Subito dopo si presentano i giullari. Ognuno desidera farsi ascoltare. Avreste potuto udire le corde risonare su timbri diversi. Chi conosce una nuova suonata per viola, una canzone, un discorso, o un "lai", fa del suo meglio per mettersi in mostra. L'uno esegue sulla viola il "lai" del Caprifoglio, l'altro quello di Tintagel; l'uno canta il "lai" del Fino Amante, l'altro quello che compose Yvain; l'uno suona l'arpa, l'altro la viola; l'uno il flauto, l'altro lo zufolo; l'uno suona la giga, l'altro la rota. [...] L'uno fa il gioco delle marionette, l'altro si esibisce con i coltelli; l'uno striscia per terra, l'altro fa capriole; [...]».142
Anzi, fu proprio nelle corti che i giullari, a partire dal XIV, presero una fissa dimora,143 e la figura del buffone iniziò il suo grande successo, tanto da diventare
stretto fedele del sovrano. Matrimoni, banchetti e cerimonie ufficiali, che erano tutte occasioni alla quale la comicità e la ludicità dovevano prendere parte, presero il nome generico di «corti bandite».144 Accadeva spesso che i giullari si spostassero di
corte in corte raccomandati dagli stessi sovrani, o che questi se li prestassero tra loro temporaneamente. Giacomo II, re di Sicilia, fece emanare una legislazione che prevedeva a corte minimo cinque giullari: «Nei domini del principe possono liberamente stare, secondo l'antica tradizione, mimi e giullari. [...] Per tale ragione vogliamo e ordiniamo che nella nostra corte ve ne debbano essere cinque, di cui due
141 Pietrini S., I giullari nell'immaginario medievale, Roma, 2011, pag. 47.
142 Romanzo di Flamenca. Il testo è riportato in Saffioti T., I giullari in Italia, op cit., pag. 105, da cui
cito.
143 Ivi, pag. 47.
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siano trombettisti e il terzo suonatore di timpani, ai quali spetti il compito di suonare all'inizio di ogni nostra comparsa in pubblico, [...]».145
Vediamo un bell'esempio della presenza dei giullari a corte in una miniatura di un manoscritto della Città di Dio, conservato a Den Haag. Durante un banchetto di corte, musica e danza hanno il loro libero sfogo (fig. 117). Lo vediamo anche in una miniatura del Remède de Fortune, dove suonatori di tromboni e cornamuse accompagnano il pranzo dei nobili, mentre un giullare sembra usufruire anch'esso delle pietanze (fig. 112). Suonatori di trombe fanno parte anche di un banchetto in un manoscritto di Guglielmo d'Orleans (fig. 115). Interessante risulta una miniatura del
Roman de la Rose, che mostra un giardino di corte fiorito, più precisamente un hortus conclusus, nella quale prendono posto varie esibizioni: un acrobata, un
suonatore di arpa, uno di ghiterna, un girotondo (fig. 109).
D'altra parte, il riso dei sovrani e la derisione da parte di un giullare di un esponente politico avevano degli scopi ben precisi, ovvero trarne dei vantaggi a fini politici e distruggere la carriera a qualcun altro. Questi furono aneddoti ben utilizzati per enfatizzare la propria dignità e sminuire quella degli altri. Come osserva Georges Minois, «il riso era quindi ampiamente utilizzato al servizio dei valori e dei poteri che, pur essendo parodiati durante la festa, ne traevano comunque vantaggio».146 Ciò lo sapeva bene Enrico II Plantageneto, che non perdeva mai occasione con le sue battute di attaccare le più alte cariche ecclesiastiche, papa compreso.147 Personalità del XIII secolo come Ferdinando II di Castiglia e Luigi IX di Francia non seppero mai rinunciare alla compagnia dei giullari, che allietavano l'atmosfera nei momenti faticosi
145 Ad leges palatinas Jacobi II Regis Maioricarum ecc., in Saffioti T., I giullari in Italia, op cit., pag. 87,
da cui cito.
146 Minois G., Storia del riso e della derisione, op cit., pag. 223. 147 Ivi, pag. 222.
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dei sovrani nell'organizzazione del regno.148 In alcuni casi, come vedremo prossimamente, coloro che entravano con i propri spettacoli a servizio di una corte furono soggetti a delle regole ben precise.
Fu proprio in queste sedi che lo spettacolo dei giullari raggiunse una maggiore dignità, al contrario di coloro che continuarono a lavorare sulla strada; una dignità, comunque, passeggera, dal momento che le esibizioni di corte non erano poi così qualitativamente migliori rispetto alle altre, ma ciò che faceva la differenza era la ricompensa ricevuta. A questo scenario vanno aggiunti tutti gli intrattenitori che presoro parte alle feste in case private. Lo stesso Alcuino nel 791 ospitò alcuni giullari in casa propria, come leggiamo in una sua lettera.149 Ma andiamo a vedere di preciso chi erano costoro e quali furono gli spettacoli che li caratterizzarono.