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A. LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE ARTISTICA COME DIRITTO FONDAMENTALE NEI DIVERSI ORDINAMENTI: IL RUOLO

3. La Corte Europea e alcuni casi-studio sulla libertà di espressione

3.1 Il caso Müller c Svizzera

I ricorrenti di questo caso sono nove cittadini svizzeri, tra le quali il pittore Josef Felix Müller, che si rivolsero nel 1984 alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per accertare che ci fosse stata nei loro confronti una violazione dell’art. 10 della Convenzione da parte della Svizzera.

Nel 1981 i ricorrenti avevano organizzato una mostra di arte contemporanea a Friburgo per celebrare il 500° anniversario dell’entrata del Cantone di Friburgo nella Confederazione Elvetica. La mostra si intitolava “Fri-Art 81” e presentava opere di artisti, invitati dagli organizzatori (i ricorrenti) e da altri artisti, che sarebbero state realizzate appositamente nei locali adibiti alla mostra: agli artisti era stata data piena libertà di usare gli spazi a loro concessi. I lavori sarebbero rimasti in esposizione dall’agosto 1981 al 18 ottobre dello stesso anno, giorno di conclusione della mostra. Il pittore Müller dipinse in tre notti tre grandi tele intitolate “Tre notti, Tre dipinti” (Drei Nächte, drei Bilder), che erano pronte all’apertura della mostra. La mostra era stata pubblicizzata attraverso la stampa e manifesti, ed era aperta gratuitamente al pubblico. Il catalogo della mostra, preparato per l’anteprima del 21 agosto, conteneva una riproduzione fotografica delle tre tele.

Il giorno dell’apertura, il 4 settembre, la procura del Cantone di Friburgo intervenne in quanto le tele di Müller violavano le disposizioni dell’art. 204 del codice penale Svizzero, che proibisce le pubblicazioni di materiale osceno e ne richiede la distruzione. L’intervento partì per richiesta di un uomo la cui figlia minorenne aveva reagito violentemente alla visione dei dipinti. Quindi, il procuratore generale accompagnati da alcuni agenti di polizia si presentò alla mostra richiedendo la rimozione delle tele e il loro sequestro.

Nel 1982 i nove ricorrenti vennero condannati a pagare ciascuno una somma per aver pubblicato materiale osceno contro le disposizioni del codice penale e fu ordinato che le opere confiscate venissero depositate nel Museo di Arte e Storia del Cantone di Friburgo, per tutelarle, in quanto era stato riconosciuto che il sig. Müller era un artista valido nel saper destreggiare le tecniche artistiche, la composizione dei soggetti e l’uso

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Corte EDU, 28 aprile 1988, Müller c. Svizzera, n. 10737/84, disponibile online http://strasbourgconsortium.org/document.php?DocumentID=2119

42 del colore. Tuttavia, le opere in sé erano state considerate oscene e offensive della pubblica morale, in quanto rappresentavano atti esplicitamente sessuali e perversi, senza dar la possibilità di un’interpretazione simbolica. Il soggetto delle tele offendevano il senso del pudore mostrando immagini crude in cui i soggetti (uomini e animali) prendevano parte a pratiche sessuali contro natura. Inoltre, le opere erano state esposte in una mostra alla quale poteva accedere chiunque gratuitamente; non erano stati apposti limiti di età per prevenire la visione di queste tele ai minori o a un pubblico più sensibile.

La confisca delle opere, resa necessaria “in una società democratica” nel 1982 per tutelare la moralità e i diritti altrui, fu revocata nel 1988 quando l’artista fece richiesta di restituzione. Ormai i tempi si ritenevano cambiati e la funzione della confisca era stata assolta.

I ricorrenti ritenendo ingiustificata e non necessaria la loro condanna al pagamento della multa e la confisca delle opere, in violazione all’art. 10, fecero ricorso alla Corte Europea. Secondo i ricorrenti le misure prese dalla procura svizzera interferivano con la loro libertà di espressione: sia di esporre liberamente delle opere, sia di esprimere un soggetto forte ma pur sempre artistico. Inoltre le interferenze previste dall’art. 10 comma 2 non rispettavano, secondo i ricorrenti, quei criteri di previsione da parte della legge, la legittimità degli obiettivi e la necessità in una società democratica: innanzitutto, l’articolo del codice penale chiamato in causa per condannare l’oscenità delle opere era ritenuto dai ricorrenti troppo vago per essere una legge specificatamente preventiva. La norma non era essere sufficientemente dettagliata e precisa da permettere ai cittadini di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. La Corte aveva peraltro già spiegato che concetti così volubili come osceno o pubblica morale, o senso del pudore, non possono essere protetti da leggi troppo dettagliate e rigide, in quanto l’idea è di creare una legge valida sempre, in qualsiasi tempo, tenendo presente del mutare dei tempi e delle idee. Dunque, le disposizioni penali riguardo al tema dell’oscenità erano “previste dalla legge”, secondo il significato del art. 10.2 della Convenzione.90

La “legittimità” della condanna emanata dalla Corte svizzera contro i ricorrenti era altrettanto valida e coerente con il comma 2 dell’art. 10, in quanto la procura aveva

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43 come obiettivo quello di proteggere la morale pubblica e i diritti degli altri cittadini offesi dalle opere.

Sulla “necessità” dell’interferenza i ricorrenti ritennero le misure prese sproporzionate agli obiettivi perseguiti dal governo: confiscare i dipinti equivalse a imporre a tutto il Paese una visione morale di una parte della società (le autorità pubbliche) come visione unica, ma ciò contraddiceva gli obiettivi stessi della Convenzione di proteggere la pluralità delle opinioni. Tuttavia, la procura svizzera ritenne che l’interferenza fosse stata anche minore di quanto previsto dal codice penale: questo stabilisce la distruzione del materiale ritenuto osceno. La confisca e il sequestro sono misure permesse agli Stati parte della Convenzione, che mantengono un margine di azione per tutelare la morale pubblica e l’ordine pubblico. Inoltre sono misure preventive che permettono di evitare simili casi nel futuro. Ad ogni modo, anche se era stato privato delle sue opere per otto anni, la Corte sottolineò che niente aveva impedito al sig. Müller di fare richiesta per riavere i suoi quadri prima di allora.

La Corte concluse che non sussisteva alcuna violazione dell’articolo 10 della Convenzione; le misure adottate dalla procura svizzera venivano ritenute adeguate ai criteri ammessi dal comma 2 e si riconosceva che il soggetto delle tele era offensivo del comune senso del pudore, anche per un pubblico non così sensibile, e conscio dell’artisticità delle opere. L’interferenza risultava “necessaria [per] una società democratica”.