Com’è noto, l’opera generale di Kerouac si basa sostanzialmente su esperienze reali tratte dalla sua vita, dove, di volta in volta, Kerouac ritorna sul suo passato da prospettive differenti, con dilatazioni temporali diverse, spesso cambiando i nomi dei protagonisti. Si avverte chiaramente come in lui il presente sia costituito da un continuo ed onnipresente passato, che ritorna su se stesso, senza mai abbandonarlo.
Kerouac aveva una memoria prodigiosa, fatto che gli consentì, anche a distanza di tempo, di essere molto preciso nella ricostruzione degli eventi. In questa memoria, che tiene costantemente vivo il passato rendendolo parte costitutiva del presente in una realtà parallela, autonoma, e in qualche modo però accessibile, paiono echeggiare le parole di Bergson:
69
Ibidem, p. 91.
36 La memoria è conservazione integrale e automatica del passato,
il passato in questo senso è una realtà che sopravvive a se stessa e si prolunga nel suo presente; è una sopravvivenza indipendente ed integrale, una sopravvivenza in sé.71
L’aspetto interessante e significativo dell’autobiografia – e, in genere, rispetto all’uso del materiale autobiografico – ritengo sia quello, come spiega Trisciuzzi, di investigare il proprio posto nel mondo, di mettere sostanzialmente il tempo a propria disposizione per svolgere una ricerca, un dialogo con se stessi, in cui trovar risposte:
Narrare di sé significa innanzitutto interrogarsi sullo statuto della propria identità, sulla cifra che ci contraddistingue; significa comunicazione, comunicare a noi stessi e agli altri chi siamo; significa trasformare il dialogo interiore in dialogo con l’alterità; significa scandire e dare regolazione alle nostre emozioni mediante la rappresentazione degli eventi della nostra vita.72
Mettere per iscritto la propria vita si ricollega al bisogno di autodeterminarsi e di dare un senso ed un ruolo alla propria identità73. L’autobiografia, aprendo al dialogo con se stessi, fa sì che l’autore/narratore subisca una sorta di sdoppiamento interiore:
L’autore che si cimenta in una fatica autobiografica si scopre un’altra persona: svela a se stesso che le storie che gli sono appartenute valgono soprattutto se – scrivendole – non gli apparterranno più e se potrà leggerle come se fossero appartenute ad uno sconosciuto.74
L’autore diviene altro da sé, sconosciuto e nuovo per se stesso, elevando il grezzo dato biografico a fine filo artistico con cui ricamare il suo essere personaggio. L’eroe autobiografico compie così la (sua) impresa semplicemente scrivendo la propria vita, unica azione che gli permette di trasformarsi, nella scrittura, in personaggio75. A tal
71 Henry L. Berson, Matière et Memoire, Paris, 1896, citato da Franca Ruggieri, Maschere dell’artista. Il
giovane Joyce, Roma, Bulzoni, 1986, p. 28. 72
Leonardo Trisciuzzi, Barbara Sandrucci, Tamara Zappaterra, Il recupero del sé attraverso
l’autobiografia, Firenze, Firenze University Press, 2005, p. 7. 73
Ibidem, p. 8. Sull’idea di autobiografia come ricerca di identità, si veda anche Rino Caputo, Matteo Monaco, Scrivere la propria vita. L’autobiografia come problema critico e teorico, Roma, Bulzoni, 1997.
74 Duccio Demetrio, Pedagogia della memoria: per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi, 1998, citato da Leonardo Trisciuzzi, Barbara Sandrucci, Tamara Zappaterra, Il recupero del sé, cit., p. 8.
75
Sulla relazione tra eroe autobiografico ed eroe letterario, si vedano, tra gli altri, Rino Caputo, Matteo Monaco, Scrivere la propria vita, cit., p. 302.
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proposito, ed in particolare riguardo al genere autobiografico in America, Robert Sayre sottolinea che “autobiography may be the preminent kind of America expression”76. Sulla scrittura autobiografica, Thoreau, uno degli autori più amati da Kerouac, precisa – in una frase spesso citata – la stretta relazione che nella sua ottica dovrebbe intercorrere tra arte e letteratura: “My life has been the poem I would have writ but I could not both live and utter it”77. Nel riflesso tra la fenomenologia dell’esistenza e la pagina scritta si comprende l’importanza di cui viene caricato il fatto biografico per l’autore. Thoreau registra la propria vita e le proprie osservazioni – tra gli altri – nei Journals, una poderosa opera che comprende scritti dal 1837 al 1861, così come in A Week on the
Concord and Merrimack Rivers, dove egli chiarisce il valore delle opere biografiche,
sostenendo che è dalla loro verità ed onestà che il lettore può davvero trarre insegnamenti: “We do not learn much from learned books, but from true, sincere, human books, from frank and honest biographies”78. Thoreau spiega nei Journals come il poeta possa essere esso stesso protagonista ed eroe delle sue giornate – dunque nella vita vera, non solo nell’invenzione – ed è questo che il lettore desidera conoscere:
Is not the poet bound to write his own biography? Is there any other work for him but a good journal? We do not wish to know his imaginary hero, but how he, the actual hero, lived from day to day.79
Tedeschini Lalli nota come in una simile affermazione si possa in sostanza rintracciare la concezione romantica della poesia come confessione e, più precisamente, della confessione lirica80. Scrivere della propria vita permette di essere autori e personaggi insieme, autorizzando una vita più lunga, resasi eterna per iscritto, in cui le vicende, benché parziali, possono cristallizzarsi, una volta lasciate in eredità al linguaggio, nella forma espressiva, la quale dunque richiede di esser forgiata sapientemente per poter far comprendere e trasmettere appieno l’emozionalità e la propria prospettiva. La letteratura offre un valido strumento per ricostruire o rivisitare il proprio passato, avvalendosi eventualmente anche di escamotages o strategie tecniche: ad esempio, Der Zauberberg
76
Robert F. Sayre, “Autobiography and the making of America”, in James Olney, Autobiography. Essays
Theoretical and Critical, Princeton, Princeton University Press, 1980, p. 147, citato da Rino Caputo,
Matteo Monaco, Scrivere la propria vita, cit., p. 306.
77
Henry David Thoreau, A Week on the Concord and Merrimack Rivers, in Id., The Works, a cura di H. S. Canby, Boston, Houghton e Mifflin, 1927, p. 364.
78 Ibidem, p. 101.
79
Henry David Thoreau, The Journal, cit., 21 ottobre 1857, vol. x, p. 115.
80
Per un’introduzione a Henry David Thoreau, si veda, tra gli altri, Biancamaria Tedeschini Lalli, Henry
38
di T. Mann e A Portrait of the Artist as a Young Man di Joyce sono entrambe autobiografie, ma in terza persona81.
Come ricorda, tra gli altri, Ulla Musarra-Schroder, il romanzo moderno – si pensi a Gide, Proust, V. Woolf e agli stessi Joyce e Mann –, diversamente da quello realistico, presenta un più alto grado di introversione, tratta del mondo interiore, di se stessi82. Nei romanzi fioriti nel modernismo i tempi e gli spazi si dilatano secondo l’ʿioʾ: si pensi, ad esempio, alla poderosa opera di Joyce, Ulysses, che narra le vicende che avvengono a dei dublinesi – Leopold e Molly Bloom e Stephen Dedalus – in un solo giorno (il 16 giugno 1904), in una città.
Kerouac accoglie la lezione modernista europea, ma fa sua anche la lezione dei maestri americani, in particolare di Wolfe, il cui stile autobiografico ed il suo esaminare le vite di persone comuni sono notevole fonte di ispirazione per l’autore di Lowell83. Per il giovane Kerouac, al quale era già chiaro di voler essere un uomo di lettere ed uno scrittore, appariva necessario vivere, sperimentare, ma al contempo osservare, per comprendere e poi, al momento opportuno, far riaffiorare in superficie i ricordi:
I wish to be a novelist, a playwright, short story writer… in short, a man of letters. Therefore, I live, partly, to observe the world about me, so that I can write about it some day, drawing from the fund of my memory.84
Nel Journal of an Egotist, un sorta di diario che Kerouac teneva da ragazzo, scrisse fantasticheggiando sul futuro come artista e sulla volontà di completare il “ciclo della vita”85:
I want to complete the cycle of life.
I want to live the life of the eccentric “artist” who consider himself a rare kind of a bird… a high form of aesthete who has nothing to do with this maddening world of Philistines.
And then I want to develop out of that into a more mature man in his twenties, efficient in the material world.
From then, I must flow into the channel of life until I reach middle-aged bourgeoisie, the culmination of my mental powers.
81
Sul romanzo di inizi Novecento e sulla sua rappresentazione dell’interiorità, si veda Ulla Musarra-Schroeder, Narciso e lo specchio: il romanzo moderno in prima persona, Roma, Bulzoni, 1989, p. 5.
82 Ibidem, p. 62 83
Si veda Jack Kerouac, The Sea, cit., p. 259.
84
Ibidem, p. 172.
39 Then, when that day comes, I shall write a ponderous novel
about America.86
Nell’espressione “then, when that day comes” si avverte tutta l’attesa e la promessa che si agita in Kerouac, il quale, a dispetto di quel ʿfatidico giorno a venireʾ, ha scritto e descritto se stesso e l’America in molteplici visioni e revisioni.
Anche in Orpheus Emerged Kerouac ha raccontato dei suoi anni alla Columbia University, dei suoi confronti intellettuali con gli amici Burroughs e Ginsberg, delle disquisizioni sull’arte e sulla letteratura e su tutti gli altri mezzi che sono dati all’uomo per esprimersi e conoscersi, per mettersi in comunicazione col mondo ed interpretarlo, raccontandolo. Nella ricerca di una ʿnuova visioneʾ l’uomo però è anche calato in una dimensione fortemente caratterizzata dal fattore tempo, dove esso diviene spazio, strumento, ʿmerceʾ. Il problema del tempo – ʿproblemaʾ così modernista – tocca profondamente Kerouac e in Orpheus assume peraltro un’ulteriore complicazione ed amplificazione perché, nel rimando al mito di Orfeo, proietta fuori dal tempo, conducendo in un viaggio prima a ritroso e in verticale, nel passato e nel profondo, e poi ancora più in là, orizzontalmente, oltre il tempo, nella dimensione mitologica che offre modelli paradigmatici all’uomo.
L’allusione al mito di Orfeo, inoltre, rende possibile a Kerouac l’analisi della discussione sul ruolo dell’artista nella società come uomo. La vita vera, per Kerouac, si lega sempre a doppio filo con quella artistica, con l’opera d’arte, di scrittura, l’unico vero mezzo che egli ritenga opportuno per spiegarsi, come scrive in una lettera del 1949 all’amico Ed White:
Non posso descrivere queste cose logiche in una dialettica purchessia (e in molte di più). Il solo modo possibile per far intuire ciò che intendo consiste nel ricomporre la vita in un’opera d’arte che dimostri ciò che intendo e ciò che penso che tutti intendiamo87.
La vita di Kerouac è stata una vita consacrata all’arte e all’amore per la scrittura, e dunque in essa, necessariamente, e solo in essa, si può cogliere e conoscere Kerouac.
86
Ibidem, p. 166.
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