“Song of My Modern Sorrow”: Decostruendo Orpheus Emerged
3.4 Tempo, paradosso e ricerca esistenziale
La logica della “midwinter spring” in Little Gidding è la logica del paradosso179, in cui gli opposti coesistono e coincidono, si compiono e si colgono, solo nel riferimento in funzione alla controparte.
Watzlawick definisce il paradosso come una “contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti”180, come un sovvertimento della logica che nasce da un eccesso della stessa: è l’inaspettato rovesciamento di senso che si origina dalla linearità e dalla sequenzialità. Se ogni parte afferma la sua esistenza, la riunione degli opposti sarebbe in questo senso un paradosso perché permetterebbe di affermare negando. Se ogni parola o emozione ha un opposto che esclude il verificarsi simultaneo dei due poli, la logica dell’unificazione apre invece a una visione polimorfa del reale che supera le dicotomie e l’aut-aut, per evocare il diritto di essere e sentire contemporaneamente anche più cose diverse, anche laddove la natura, o la vita, sembrino negare tale possibilità.
Nel caso di Orpheus Emerged si tratta di voler conciliare l’opposizione arte/vita, le esigenze umane con le aspirazioni artistiche, la prosaicità dell’esistenza con le vette della poesia, l’infelicità che si mescola al cinismo e alla lucida consapevolezza di ciò che si è e ciò che si è stati, di ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Se Michael esprime il suo disagio interiore nei suoi scritti, l’arte della parola diventa dunque il mezzo attraverso il quale si svelano e si dispiegano mondi.
177
Alessandro Serpieri, T. S. Eliot: le strutture profonde, cit., p. 268.
178 Ibidem, p. 269.
179
Si veda il saggio di A. David Moody, “Four Quartets”, in Id., The Cambridge Companion to T. S. Eliot, Cambridge, Cambridge University Press, 1994.
180 Si veda l’autorevole studio di Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica
della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma,
Astrolabio, 1971, p. 179 (titolo originale Pragmatics of Human Communication: a Study of Interactional
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Seguendo un iter a ritroso, in cerca di fonti tra i maestri della logica del paradosso, in opere in cui le parole si dimostrino non più alleate, ma capricciosi e sfuggenti – benché utili e preziosi – strumenti per forgiare una realtà che dimostri come gli opposti, non solo convivano, ma siano addirittura l’uno risultato dell’altro, si giunge alle opere di Lewis Carroll. Pur non avendo un riscontro concreto sul fatto che Kerouac conoscesse le opere di Carroll già nei primi anni Quaranta, vi è un chiaro riferimento all’autore inglese nel più tardo Pull My Daisy181. Tuttavia, molti sono gli indizi che inducono a pensare che vi sia un’influenza, quantomeno indiretta, da parte di Carroll su alcune tematiche e personaggi di Orpheus. Ad esempio, la figura di Paul, costantemente di fretta, che corre da una parte all’altra del campus dicendo di non aver tempo, ricorda molto il White Rabbit di Alice’s Adventures in Wonderland ossessionato dall’orario. E, in un parallelismo con Eliot, mi sembra interessante notare un altro riferimento in merito al tempo collegato al mondo animale. In Burnt Norton è infatti un uccello a chiedere di affrettarsi –“quick, said the bird” – e attraverso una porta giungere a un magnifico giardino (esattamente come quello di Alice):
Footfalls echo in the memory
Down the passage which we did not take Towards the door we never opened Into the rose garden.
[…]
Other echoes
Inhabit the garden. Shall we follow? Quick, said the bird, find them,
Round the corner. Through the first gate, Into our first world, shall we follow The deception of the thrush? (I, vv. 11-24)
Serpieri ricorda che in Eliot l’uccello misterioso è l’araldo della rivelazione, come ad esempio, in Ash-Wednesday:
181 Pull My Daisy è il film-manifesto realizzato nel 1959 con l’amico fotografo Robert Frank ed il pittore Alfred Leslie, a cui parteciparono anche Ginsberg, Orlovsky e Corso e di cui Kerouac fece il commento fuori campo. Il titolo del film, ripreso da una poesia scritta di getto da Kerouac e Ginsberg, è un’allusione erotica: l’espressione “pull my daisy” evoca infatti l’ultimo atto dello streap-tease prima della completa nudità. Quanto ai riferimenti a Carroll, nel film si cita una filastrocca di Humpty Dumpty. McNally chiarisce che Kerouac aveva visto la produzione Disney di Alice in Wonderland del 1950: si veda Dennis McNally, Desolate Angel, cit., p. 151. Anche la musica jazz è presente in Pull My Daisy: con la cantante Anita Ellis e lo swing della voce di Kerouac. Sul film si veda, tra gli altri, Alain Dister, La Beat Generation, cit., p. 62.
73 But the fountain sprang up and the bird sang down
Redeem the time, redeem the dream The token of the word unheard, unspoken (Ash-Wednesday, IV, vv. 28-30)
Oltre al filtro eliotiano, l’influenza di Carroll potrebbe essere giunta a Kerouac anche attraverso Joyce, conosciuto ed apprezzato dallo scrittore di Lowell. Joyce fece di Carroll una fonte significativa per Finnegans Wake, opera in cui adattò molte delle invenzioni carrolliane (come portmanteau words, doublets, ecc.) e dove citò a più riprese direttamente lo scrittore vittoriano182. Melchiori definisce il linguaggio di
Finnegans Wake “onirico e dalla natura di indistricabile amalgama di valenze
semantiche, talora perfino contraddittorio”183 su cui si riverbera l’influenza di Yeats – altro maestro di Kerouac – ma non dello Yeats delle poesie giovanili, bensì il narratore dei preziosi racconti esoterici The Tables of Law e The Adoration of the Magi, di cui Joyce aveva scoperto la prosa sapiente e musicale resa attraverso un gioco di immagini legate a valori fonici e visivi, oltre all’indefinitezza e l’ineffabilità del messaggio184. Il linguaggio di Carroll è certamente uno degli aspetti di maggior fascino della sua arte. Egli usa sapientemente giochi di parole, doppi sensi, indovinelli, parodie, nonsense, tutto ciò che accelera la mente, ma tutto è sempre trasformato e sfuggente: “Curioser and Curioser”185 esclama in effetti Alice, quasi ʿdimenticandoʾ l’inglese. In un mondo alla rovescia, anche gli animali parlano e sono figure persino sagge ed autorevoli, che a loro volta giocano con le parole e con le omofonie186. Elizabeth Sewell sostiene che vi siano diverse analogie tra Carroll ed Eliot legate all’uso e alle possibilità del linguaggio, e supporta le sue tesi ricordando, ad esempio, come in East Coker “the intolerable
182 Vi sono vari riferimenti a Carroll e a filastrocche riferite ad Humpty Dumpty: si veda, tra gli altri, Anna Rosa Scrittori, Alice e dintorni. Figure della creatività di Carroll, Venezia, Supernova, 2003, p. 14. Giorgio Melchiori ricorda che nei primi quattro capitoli di Finnegans Wake vi sono circa 160 canzoni e nursery
rhymes: si veda James Joyce, Finnegans Wake, a cura di Giorgio Melchiori, Milano, Arnoldo Mondadori,
1975, p. 45, p. 168.
183
Giorgio Melchiori, Joyce: Il mestiere dello scrivere, Torino, Einaudi, 1994, p. 187.
184 Ibidem, p. 58-59.
185
Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland and Through the Looking-Glass (1865), Oxford- New York, Oxford University press, 1982, p. 30.
186Ad esempio, la Mock Turtle, parlando delle sue lezioni, offre delle spiegazioni linguisticamente fantasiose per chiarire come mai il suo orario andasse diminuendo: era ʿevidenteʾ dato che lesson deriva da lessen (diminuire). Inoltre, le materie come reeling and writhing suonano simili a reading and writing. Si veda Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland, cit., p. 104.
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wrestle with words and meanings” riecheggi la disquisizione di Humpty Dumpty su chi comanda nella forgiatura del significato delle parole187.
Sewell spiega inoltre come il nonsense sia il tentativo di convertire il linguaggio in simboli logici o musica:
Nonsense is how the English choose to take their pure poetry, their language mathématique or romances sans parole: their struggle to convert language into symbolic logic or music.188
È dunque la parola con la sua malleabilità a trasformarsi in base alle esigenze del poeta, a diventare segno plurisignificante la cui assolutezza è sempre questionabile o ridefinibile – perché “to define is to limit”189, per citare Wilde –, come se nella parola vi fosse molto di più: il suo significato e anche l’ombra del suo contrario.
Nelle conversazioni assolutamente logiche, troppo logiche, ʿtroppo alla letteraʾ, col Mad Hatter o con il Cheshire Cat, Alice sperimenta il disagio di una realtà che non sente sua e la follia: ma il curioso gatto la informa del fatto che “we’re all mad”190. La pazzia è parte del reale e smaschera le finzioni patinate. Hamlet in effetti si finge pazzo per raggiungere la verità, ma la sua è una follia pianificata – e Polonio osserva precisamente “though this be madness, yet there is method in’t”191 – come in effetti hanno senso i discorsi del Mad Hatter e del Cheshire Cat.
Kerouac in realtà non era strettamente interessato ai giochi di parole o alle questioni di logica, ma certamente era interessato ai valori musicali della lingua, alle suggestioni, alla possibilità – tramite la lingua – di descrivere e investigare la realtà interiore ed esteriore ed i suoi significati.
Carroll arricchisce le possibilità del significare attraverso un uso magistrale del
nonsense, la cui strategia è quella di far coesistere senso e controsenso192: in breve
coincidentia oppositorum nel linguaggio, del linguaggio.
In Carroll, la questione del dire e del voler dire è sempre posta in maniera problematica193. Si pensi ad esempio al dialogo tra Alice e Humpty Dumpty sul significato della parola glory:
187
Si veda Elizabeth Sewell, “Lewis Carroll and T.S. Eliot as Nonsense Poets”, in Robert Phillips (a cura di), Aspects of Alice. Lewis Carroll’s Dreamchild as Seen Through the Critic’s Looking-Glasses 1865-1971, New York, The Vanguard Press, 1971, p. 160.
188
Ibidem, p. 155.
189 Oscar Wilde, The Picture of Dorian Gray (1891) in Id., The Works, cit., p. 336.
190
Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland, cit. p. 58.
191
William Shakespeare, Hamlet, a cura di Agostino Lombardo, Milano, Feltrinelli, 1995, p. ix.
75 - I don’t know what you mean by “glory”, Alice said.
- Humpty Dumpty smiled contemptuously. “Of course you don’t – till I tell you. I meant “there’s a nice knock-down argument for you!”
- But “glory” doesn’t mean “a nice knock-down argument”, Alice objected.
- “When I use a word”, Humpty Dumpty said in rather a scornful tone “it means just what I choose it to mean – neither more nor less”.
- “The question is – said Alice – whether you can make words mean so different things”.
- “The question is – said Humpty Dumpty – Which is to be master – that’s all”.194
“The question is which is to be the master” è sostanzialmente legata a un problema di ruolo ed identità: problema che Carroll affronta in particolare nell’incontro tra Alice ed il Caterpillar, che la bambina trova seduto su un fungo nel bosco. Fumando lentamente da un narghilè, il bruco chiede ad Alice “tu chi sei?”, ma la domanda è troppo difficile per la bambina, che da quella mattina aveva cambiato diverse volte forma e aveva visto cose incredibili:
“Alice replied, rather shyly, “I- I hardly know, Sir, just at present- at least I know who I was when I got up this morning, but I think I must have been changed several times since then”. “What do you mean by that?” said the Caterpillar, sternly. “Explain yourself!”
“I can’t explain myself, I’m afraid, Sir” said Alice “because I’m not myself, you see”.195
Il problema dell’identità si pone anche nell’opera di Kerouac, infatti, come si è detto precedentemente, scrivere di sé significa sostanzialmente cercare il proprio posto nel mondo. Le opere di Kerouac sono spesso ʿvisioni e revisioniʾ della sua vita o sono rielaborazioni delle sue esperienze personali. Nella continua ripresa, dilatazione e focalizzazione sugli avvenimenti, nel continuo tornare su un passato che è continuamente presente, si può cogliere, a mio avviso, la necessità di capire, investigare e spiegare il proprio ʿposto del mondoʾ da parte di Kerouac.
Benché al giovane di Lowell fosse da presto chiaro che la sua vocazione fosse scrivere, molte in lui erano le ambiguità tra cui la sua vita si snodava: era il giovane ed atletico ragazzo sportivo, ma era anche l’intellettuale interessato ai classici e alla scrittura; era il
193
Ibidem, p. 26. 194
Lewis Carroll, Through the Looking-Glass, in Id., Alice’s Adventures, cit., p. 190.
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figlio devoto alla madre – e probabilmente succube della sua figura – mai del tutto staccatosi dal suo ruolo di figlio e dalle cure materne, ma era anche il ribelle che voleva esplorare l’America ed il mondo; era un donnaiolo, ma aveva avuto anche esperienze omosessuali. In sostanza, vi erano sempre due mondi e due tendenze opposte che lottavano in lui, alle quali probabilmente Kerouac cercava risposte per definire chi fosse veramente.
Anche Carroll fu un personaggio ambiguo, fulgido esempio di doppiezza: era un uomo di religione e al contempo un serissimo matematico, un fine artista del ritratto fotografico e un autore straordinario di storie per bambini196. Egli probabilmente, come sostiene Scrittori, a dispetto delle regole e dei divieti che scandivano la sua vita quotidiana, esprimeva nel nonsense quel “bisogno istintivo di recuperare la libertà di pensiero e azione spaziando nei territori dell’assurdo”197.
Probabilmente fu proprio per queste visioni nell’assurdo, per mondi in cui le cose e le persone si rimpicciolivano e si ingrandivano, dove gli animali parlavano, per un mondo visionario ed eccitatamente sensoriale, che vi fu per Carroll un ritorno di interesse nell’epoca della ribellione giovanile: il viaggio di Alice sembrava un ʿviaggio da acidoʾ. In un breve saggio intitolato “Lewis Carroll - the First Acidhead” (1968), Fensch sottolinea le analogie del viaggio di Alice con quelle di un viaggio psichedelico. Ad esempio, dice, Alice beve da una bottiglietta il cui liquido ha molteplici sapori: crostata di ciliegie, crema, budino, ananas, tacchino arrosto, croccante, crostini imburrati. Bevuto il delizioso contenuto, Alice rimpicciolisce, dopo aver già precedentemente cambiato dimensioni. Fensch trova in questa descrizione dei fatti evidenti analogie tra quanto accade ad Alice e le sensazioni da viaggio psichedelico, giungendo alla conclusione che, quando una cosa ha tanti sapori e permette a chi la assaggia di contrarsi e percepire il proprio corpo con dimensioni differenti, “that’s tripping out”198. Parimenti, secondo Fensch, la presenza del Caterpillar su di un fungo sarebbe un altro indizio allusivo.
196
Virginia Woolf riconosce con acume le dicotomie che caratterizzavano l’ambigua figura del Reverendo Dodgson alias Lewis Carroll: la scrittrice definisce infatti il suo ruolo formale come una “gelatina incolore” contenente un “cristallo”, Lewis Carroll, l’artista. Si veda a tal proposito Virginia Woolf, Lewis Carroll, in Id., Collected Essays, a cura di L. Woolf, London, Hogarth, 1966, 4 voll., vol. I, pp. 254-255.
197
Si veda Anna Rosa Scrittori, Alice e dintorni, cit., p. 14.
198
Thomas Fensch, “Lewis Carroll- the First Acidhead”, in Robert Phillips (a cura di), Aspects of Alice, cit., p. 484.
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